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domenica 9 luglio 2017

Erasmo da Rotterdham, Elogio della follia. …è pacifico che tutte le passioni rientrano nella sfera della follia: ciò che distingue il savio dal pazzo è che questi si fa guidare dalle passioni, mentre il primo ha per guida la ragione. Perciò gli stoici spogliano il sapiente di tutte le passioni come fossero delle malattie. Tuttavia questi elementi emotivi, non solo assolvono la funzione di guide per chi si affretta verso il porto della sapienza, ma nell’esercizio della virtù vengono sempre in aiuto spronando e stimolando, come forze che esortano al bene. Anche se qui fieramente leva la sua protesta Seneca, col suo stoicismo integrale, negando al sapiente ogni passione. Ma così facendo distrugge anche l’uomo e crea al suo posto un Dio di nuovo genere, che non è mai esistito e non esisterà mai; anzi, per parlare ancora più chiaro, scolpisce la statua di un uomo di marmo, privo d’intelligenza e di qualunque sentimento umano. Perciò, se lo desiderano, si godano pure il loro saggio, che potranno amare senza rivali, e dimorino con lui nella Repubblica di Platone, o, se preferiscono, nel mondo delle idee, o nei giardini di Tantalo

"Platone e …..l'”idea” del manicomio.
Il giudice rinchiuderà nel sophronisterion coloro che sono diventati atei per stoltezza, non per malvagità di sentimenti e di costumi, e ve li terrà secondo la legge per non meno di cinque anni. Durante questo periodo nessun altro dei cittadini potrà frequentarli, ad eccezione dei magistrati che fanno parte del consiglio notturno che si incontreranno con loro per educarli e salvare le loro anime. Quando sarà passato per loro il periodo di incarcerazione, se qualcuno di loro sembrerà rinsavito vada ad abitare con gli altri saggi, ma se verrà giudicato in modo contrario e sarà trovato ancora colpevole, allora sia condannato a morte” 
Platone, Leggi, 909 a, citato in Giulio Guidorizzi, 
“Ai confini dell’anima – I Greci e la follia” Raffaello Cortina Editore, Milano 2010, pag. 46.

Si tratta del primo testo dell’antichità (le Leggi, un’opera della tarda maturità di Platone, risalgono alla metà del 4° secolo avanti Cristo) che prevede per i folli un istituto manicomiale, seppure con finalità rieducative (il sophronisterion è una casa di “temperanza”, dove si è rieducati a riacquistare la “temperanza”); contiene, tuttavia, già i tratti di un’istituzione che avrà molta “fortuna” nell’Occidente. 

Commenta Guidorizzi: “Il sophronisterion platonico anticipa un’idea che ricompare sinistramente lungo la storia della psichiatria moderna: la follia s’identifica con la mancanza d’integrazione con il sistema dominante, perché solo un pazzo può rifiutarsi di riconoscere che il sistema di valori e le leggi della società sono incontestabili, giuste, equilibrate; le migliori nel miglior mondo possibile. Il sophronisterion platonico si configura pertanto come il primo caso (solo teorico) d’intervento sulla follia da parte di un potere costituito, e quindi di gestione ideologica della follia”. 
Giulio Guidorizzi, op. cit., pag. 46.
3 febbraio 2011

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Michel de Montaigne
la follia……
Chi squilibra l’anima, “chi più spesso la spinge alla follia se non la sua prontezza, il suo acume, la sua agilità e infine la sua stessa forza? Da che cosa nasce la più sottile follia se non dalla più sottile saggezza? Come dalle grandi amicizie nascono grandi inimicizie; dalle saluti vigorose, le malattie mortali; così dalle rare e vive emozioni delle nostre anime, le pazzie più straordinarie e più bizzarre;….. Nelle azioni degli uomini insensati vediamo come propriamente la pazzia si accordi con le più vigorose operazioni dell’anima nostra. Chi non sa quanto sia impercettibile la distanza tra la follia e le ardite elevazioni di uno spirito libero e gli effetti di una virtù suprema e straordinaria?
Michel de Montaigne, Saggi, Oscar Mondadori, Milano, 1970, vol. I, pag. 641


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Tale è la peggiore delle follie: non riconoscere la miseria nella quale si è imprigionati, la debolezza che ci impedisce di accedere al vero e al bene; non sapere quale parte di follia ci spetta. Rifiutare questa sragione che è il segno stesso della nostra condizione significa rinunciare a usare per sempre in modo ragionevole la propria ragione. Perché se la ragione esiste, essa consiste proprio nell’accettare questo cerchio continuo della saggezza e della follia, nell’essere chiaramente coscienti della loro reciprocità e della loro impossibile separazione. La vera ragione non è esente da ogni compromesso con la follia; al contrario, essa è obbligata a percorrere le vie che questa le traccia
Michel Foucault, “Storia della follia nell’età classica”, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1981, pagg. 52-53

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“…è pacifico che tutte le passioni rientrano nella sfera della follia: ciò che distingue il savio dal pazzo è che questi si fa guidare dalle passioni, mentre il primo ha per guida la ragione. Perciò gli stoici spogliano il sapiente di tutte le passioni come fossero delle malattie. Tuttavia questi elementi emotivi, non solo assolvono la funzione di guide per chi si affretta verso il porto della sapienza, ma nell’esercizio della virtù vengono sempre in aiuto spronando e stimolando, come forze che esortano al bene. Anche se qui fieramente leva la sua protesta Seneca, col suo stoicismo integrale, negando al sapiente ogni passione. Ma così facendo distrugge anche l’uomo e crea al suo posto un Dio di nuovo genere, che non è mai esistito e non esisterà mai; anzi, per parlare ancora più chiaro, scolpisce la statua di un uomo di marmo, privo d’intelligenza e di qualunque sentimento umano. Perciò, se lo desiderano, si godano pure il loro saggio, che potranno amare senza rivali, e dimorino con lui nella Repubblica di Platone, o, se preferiscono, nel mondo delle idee, o nei giardini di Tantalo”. 
Erasmo da Rotterdham, Elogio della follia, cap. 30


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“Follia e società”
[...] Basaglia dice: “Occorre fondare una nuova medicina, consapevole del fatto che l’uomo è un corpo sociale oltre che un corpo organico. Ed è su questo corpo sociale che la nuova medicina deve lavorare, non più solo sul corpo organico. Noi vogliamo trasformare il malato mentale morto nel manicomio in persona viva, responsabile della propria salute. Non lasciamo la persona che sta male nelle mani del solo medico, ma cerchiamo di costruire un nuovo schema di vita insieme con altre persone, che non sono solo malati. Quando cerchiamo di coinvolgere la comunità nella cura del paziente, stiamo tentando di eliminare il corpo morto, il manicomio, e di sostituirlo con la parte attiva della società. Questo è il modello che proponiamo e che è disfunzionale alla logica della società in cui viviamo.” 
(cit. da U. Galimberti)


L’utopia di Basaglia “era di fare della clinica un laboratorio per rendere “umane” e non “oggettivanti” le relazioni tra gli uomini, attraverso la creazione di servizi di salute mentale diffusi sul territorio, residenze comunitarie, gruppi di convivenza, con la partecipazione di maestri, educatori, accompagnatori, attori motivati”.
(cit. da U. Galimberti)



Per approfondire:
→ D la Repubblica delle Donne (pag. 146)
→ Franco Basaglia: L’uomo e la cosa
22 giugno 2009

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