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sabato 8 luglio 2017

Anna Karenina. Tolstoj. «Sì, amico mio, le donne sono una vite su cui gira tutto». [...] E’ uno spaccato crudo della vacuità (sentita anche da loro stessi, in parte) della nobiltà russa (malgrado la loro voglia di capire e aggiornare le loro concezioni) e delle loro regole. Del nulla fondato sul nulla. Di una Società ricca ma ingessata ed anacronistica. E della condizione della donna di quell’epoca. Stretta tra santità e dannazione. La storia, nota a tanti, anche perché ne sono state tratte diverse riduzioni cinematografiche, corre in parallelo a tre relazioni: quella di Anna Karenina (illecita) con Aleksej Kirillovič Vronskij; quella di Stepàn "Stiva" Arkad'ič Oblònskij (fratello di Anna) con Dar'ja "Dolly" Aleksandrovna e quella di Konstantin Dmitrič Lëvin (amico di Stepan) con Katerina "Kitty" Aleksandrovna Ščerbackaja (sorella di Dolly). Tre stati d’animo diversi le caratterizzano: passione ed egoismo che però alla fine distruggeranno il tutto nella prima; finzione e rassegnazione nella seconda; convenzionalità ma anche conflitto (unilaterale da parte di lui) nella terza. Da un certo punto in poi, le parti più belle, quelle tormentate di Anna e soprattutto il lungo, corrosivo, stupendo soliloquio prima del tragico evento della fine.

Guardi, nel cinema, come in ogni altra arte, per creare un effetto di rumore bisogna che prima ci sia silenzio. Per creare un effetto di sorpresa bisogna che prima tutto sia scontato. Bisogna creare un tempio che poi verrà distrutto. Come dice il Vangelo: «Io posso costruire e poi distruggere». Ma costruire la parola e poi distruggerla – questo possono farlo anche gli scrivani, mentre comprendere e riempire di senso il destrino della creazione e della distruzione, questo può farlo solo l’artista. Pensiamo a Tolstoj: ci descrive dapprima una donna tranquilla e serena, Anna Karenina, un giovane e tranquillo ufficiale soddisfatto di sé, e poi fa crollare tutto, distrugge la sua costruzione, e nella distruzione scorge e rappresenta i meccanismi umani.
Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 92


Nel 1887 lo stesso Tolstoj circa l'inizio di Anna Karenina affermò di avere immaginato, mentre era sdraiato sul divano, un «nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico» e che da lì fu così perseguitato da quell'immagine da doverne creare un'incarnazione.    [...]  Anna è la perla dell'alta società di San Pietroburgo finché non lascia suo marito per l'affascinante conte Vronskij, ufficiale dell'esercito. Innamorandosi l'uno dell'altra, oltrepassano il limite dell'adulterio come "banale" e comune passatempo dell'epoca.   [...]  Il romanzo contiene anche la storia d'amore di Konstantin Lëvin e Kitty, solida e onesta, che si pone continuamente in contrasto con quella di Anna e Vronskij, che è macchiata dall'incertezza della situazione, che crea scompiglio, ritorsioni e sospetti. Così, per tutto il corso del romanzo, Tolstoj non vuole che il lettore commiseri i maltrattamenti di Anna, ma che riconosca la sua incapacità di impegnarsi davvero nella ricerca della felicità e della comprensione dei propri sentimenti, incapacità che la porta al suicidio. [...] si suicida lanciandosi sotto un treno. Per l'idea del violento suicidio di Anna, Tolstoj si ispirò a un fatto di cronaca accaduto il 4 gennaio 1872 nei pressi della sua abitazione, quando una donna di nome Anna Stepanovna Pirogova si suicidò alla stessa maniera nella stazione di Jasenki della ferrovia Mosca-Kursk.
https://it.wikipedia.org/wiki/Anna_Karenina


Anna Karenina. Tolstoj.
E’ uno spaccato crudo della vacuità (sentita anche da loro stessi, in parte) della nobiltà russa (malgrado la loro voglia di capire e aggiornare le loro concezioni) e delle loro regole. Del nulla fondato sul nulla. Di una Società ricca ma ingessata ed anacronistica. E della condizione della donna di quell’epoca. Stretta tra santità e dannazione. La storia, nota a tanti, anche perché ne sono state tratte diverse riduzioni cinematografiche, corre in parallelo a tre relazioni: quella di Anna Karenina (illecita) con Aleksej Kirillovič Vronskij; quella di Stepàn "Stiva" Arkad'ič Oblònskij (fratello di Anna) con Dar'ja "Dolly" Aleksandrovna e quella di Konstantin Dmitrič Lëvin (amico di Stepan) con Katerina "Kitty" Aleksandrovna Ščerbackaja (sorella di Dolly). Tre stati d’animo diversi le caratterizzano: passione ed egoismo che però alla fine distruggeranno il tutto nella prima; finzione e rassegnazione nella seconda; convenzionalità ma anche conflitto (unilaterale da parte di lui) nella terza. Da un certo punto in poi, le parti più belle, quelle tormentate di Anna e soprattutto il lungo, corrosivo, stupendo soliloquio prima del tragico evento della fine.
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 “Io infelice? – ella disse, accostandosi a lui e guardandolo con un entusiastico riso d’amore – io sono come un essere affamato al quale abbiano dato da mangiare. Avrà forse freddo, e avrà il vestito lacero; avrà vergogna, forse, ma non è infelice. Io infelice? No, eccola, la mia felicità.”
Lev Tolstoj, Anna Karenina


“Si volevano bene, malgrado la diversità dei caratteri e dei gusti, così come si vogliono bene gli amici incontratisi nella prima giovinezza. Malgrado ciò, come capita spesso fra persone che hanno scelto generi diversi di attività, ciascuno di loro, pur giustificando col ragionamento l’attività dell’altro, finiva col disprezzarla dentro di sé.”
Lev Tolstoj, Anna Karenina



«Sì, amico mio, le donne sono una vite su cui gira tutto».
Lev Tolstoj, Anna Karenina


[…] ti ho sempre amata, e se ami, ami tutta la persona, così com'è, e non come vorresti che fosse.
Lev Tolstoj, Anna Karenina

Era come se tutte quelle tracce del suo passato lo avessero afferrato dicendogli:
No, non ti libererai e non diventerai un altro, resterai quello che sei: con i dubbi, il continuo malcontento di te stesso, gli sterili tentativi di perfezionamento, le ricadute e l’eterna attesa d’una felicità alla quale non sei destinato e che non puoi conseguire.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


Ma conosceva la sua anima e la proteggeva come la palpebra protegge l’occhio, e non vi lascia entrare nessuno che non avesse la chiave dell’amore.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


«Anche questo è delizioso, che niente sia stato detto tra me e lei; ma ci siamo talmente intesi in quella invisibile conversazione fatta di sguardi e di toni di voce che oggi, in maniera più chiara che mai, ella mi ha detto che mi ama».
Lev Tolstoj, Anna Karenina


«Ma in lei c’era qualcosa che la metteva al di sopra del suo ambiente: in lei c’era lo splendore di un brillante autentico in mezzo a brillanti falsi. Questo splendore le veniva dagli occhi bellissimi e veramente misteriosi. Lo sguardo stanco e nello stesso tempo appassionato di quegli occhi colpiva per la sua assoluta schiettezza. Guardandola negli occhi pareva di leggere nella sua anima, e conoscerla significava amarla».
Lev Tolstoj, Anna Karenina



Non c’era nulla di particolare, almeno così sembrava, nell’abito suo e nella sua posa; ma per Levin era così facile riconoscere lei tra tanta gente, così come una pianta di rose fra le ortiche. Tutto prendeva luce da lei: era lei il sorriso che illuminava tutto, d’ogni intorno.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


Conosceva così bene il sentimento di Levin, sapeva che per lui le ragazze del mondo si dividevano in due tipologie: la prima comprendeva tutte le ragazze del mondo tranne lei; e costoro avevano tutti i difetti possibili ed erano ragazze molto convenzionali; la seconda tipologia comprendeva lei sola, che non aveva alcun difetto ed era superiore all'umanità intera.
Lev Tolstoj, Anna Karenina



Scese evitando di guardarla a lungo, come si fa con il sole.
Ma vedeva lei come si vede il sole, anche senza guardare.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


— Non ho nessun male — diceva, dopo essersi calmata;
— ma non puoi credere come per me tutto sia diventato brutto, ripugnante, volgare e prima di tutto me stessa. Tu non puoi immaginare quali brutti pensieri io abbia su tutto.
— Ma quali brutti pensieri puoi mai avere tu? — chiese Dolly, sorridendo.
— I più disgustosi e volgari, non te li posso dire. Non è malinconia, né stanchezza, ma qualcosa di molto peggiore. È come se tutto quello che c’era di buono in me si fosse nascosto e fosse rimasta solo la parte più ignobile.
Lev Tolstoj, Anna Karenina, 1877, parte seconda, cap. III (Kitty e Dolly)


Che significavano quelle cure?
Era voler riappiccicare i frammenti di un vaso rotto.
Il suo cuore era spezzato. Come volevano guarirla con pillole e polveri?
Lev Tolstoj, Anna Karenina.


Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radice in altri. Come una candela ne accende un’altra e così si trovano accese migliaia di candele, così un cuore ne accende un altro e così si accendono migliaia di cuori. L’uomo ama, non perché sia suo interesse amar questo o quello, ma perché l’amore è l’essenza dell’anima sua; perché non può non amare.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


Io non posso vivere altrimenti che secondo il cuore e voi vivete secondo le regole
Lev Tolstoj, Anna Karenina


«Sentiva di non poter allontanare da sé l’odio degli uomini, perché quest’odio non derivava dal fatto ch’egli fosse cattivo (in tal caso avrebbe cercato di essere migliore), ma dal fatto ch’era infelice in una maniera vergognosa e ripugnante. Sapeva che proprio perché il suo corpo era lacerato, gli uomini sarebbero stati senza pietà verso di lui. Sentiva che gli uomini l’avrebbero annientato, come i cani strozzavano un cane dilaniato che guaisce dal dolore. Sapeva che l’unico modo di salvarsi dagli uomini era nascondere loro le proprie ferite».
Lev Tolstoj, “Anna Karenina”


«No, non ti libererai e non diventerai un altro, resterai quello che sei: con i dubbi, il continuo malcontento di te stesso, gli sterili tentativi di perfezionamento, le ricadute e l’eterna attesa d’una felicità alla quale non sei destinato e che non puoi conseguire».
Lev Tolstoj, “Anna Karenina”


Non posso escogitare una situazione in cui la vita non sia un tormento, che noi tutti siamo creati per tormentarci, e che noi tutti lo sappiamo e tutti escogitiamo dei mezzi per ingannarci.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


Non c’era risposta, eccetto quella generica risposta che la vita dà ai problemi più complicati e insolubili. La risposta è questa: bisogna vivere delle esigenze della giornata, ossia dimenticare.
Lev Tolstoj, “Anna Karenina”



"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo. In casa Oblonski tutto era sottosopra. La moglie aveva scoperto una relazione amorosa del marito con una francese che era stata istitutrice in casa loro, qualche tempo prima, e gli aveva dichiarato che non poteva più vivere con lui sotto lo stesso tetto. Questa situazione durava da due giorni e si faceva sentire in modo penoso, tanto dai due coniugi quanto dagli altri membri della famiglia e sinanche dal personale di servizio. Tutti provavano l'impressione che la loro vita in comune non avesse più senso e che l'unione della famiglia e dei familiari di casa Oblonski fosse più effimera di quella delle persone che si trovavano casualmente riunite in qualsiasi albergoLa moglie non usciva dalle sue stanze; il marito era sempre fuori; i bambini correvano per la casa abbandonati a se stessi; l'istitutrice inglese aveva litigato con la governante e aveva scritto a un'amica pregandole di trovarle un altro posto; la sguattera e il cocchiere si erano licenziati."
[incipit di 'Anna Karenina' di Lev Nikolaevič Tolstoj, nato il 28 agosto 1828 (secondo il calendario giuliano all'epoca in vigore in Russia)]



- Anna è molto cambiata dopo il viaggio a Mosca.
C'è in lei qualcosa di strano - diceva una sua amica.
- Il cambiamento di maggior rilievo è che ha portato con sé l'ombra di Aleksej Vronskij - disse l'ambasciatrice.
- E che c'è di strano? C'è una favola di Grimm: l'uomo senza ombra, l'uomo privato dell'ombra. E questo gli è dato in castigo di qualcosa. Non ho mai capito in che cosa consistesse il castigo.
Ma per una donna, sì che deve essere triste non aver l'ombra.
- Sì, ma le donne con l'ombra, di solito, vanno a finir male - disse l'amica di Anna.
- Che vi si secchi la lingua! - disse di botto la principessa Mjagkaja a queste parole.
- La Karenina è un'ottima donna. Il marito non mi piace, ma a lei voglio un gran bene.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


Egli si trovava ovunque potesse incontrare la Karenina e, quando le circostanze glielo permettevano, le parlava del proprio amore. Ella non l'incoraggiava; ma nel suo spirito, ogni volta che lo vedeva, divampava quello stesso senso di animazione che l'aveva invasa fin dal primo giorno in cui l'aveva incontrato in treno; ed essa stessa si rendeva conto di come, appena lo scorgeva, la gioia le si accendesse negli occhi e affiorasse nel suo sorriso, senza tuttavia essere in grado di smorzare l'espressione di quella gioia.
Nei primi tempi dopo il ritorno, era sincera nel credere d'essere scontenta dell'insistenza di Vronski; ma una volta, non avendolo incontrato a un ricevimento dove contava vederlo, capì chiaramente, dalla tristezza che le invase l'anima, di aver ingannato se stessa; l'insistenza di quell'uomo non solo non le era fastidiosa, ma costituiva per lei tutto l'interesse della vita.
Lev Tolstoj, Anna Karenina



Vivere non per i propri bisogni, ma per Dio. Per quale Dio?
E cosa si può dire di più insensato di quello ch’egli ha detto?
Ha detto che non bisogna vivere per i propri bisogni, cioè che non bisogna vivere per quello che comprendiamo, verso cui siamo attratti, di cui sentiamo desiderio, ma che bisogna vivere per qualcosa di incomprensibile, per un Dio che nessuno può capire, né definire. E allora? Non ho forse inteso queste parole insensate di Fëdor? E, dopo averle intese, ho forse dubitato della loro giustezza? le ho giudicate sciocche, poco chiare, inesatte?
No, le ho intese e proprio così come intende lui, le ho intese pienamente e con maggiore chiarezza ch’io non intenda qualunque altra cosa nella vita; e mai nella mia vita ho dubitato né posso dubitare di questo. E non io solo, ma tutto, tutto il mondo intende pienamente questa sola cosa e di questa sola cosa non dubita e vi consente sempre.
Fëdor dice che il portiere Kirillov vive per la pancia. È comprensibile e ragionevole. Noi tutti, esseri ragionevoli, non possiamo vivere altrimenti che per la pancia. E a un tratto lo stesso Fëdor dice che vivere per la pancia è male e che bisogna vivere per la verità, per Dio, e io lo intendo da un accenno! E io, e milioni di uomini che hanno vissuto secoli fa e che vivono adesso, i contadini, i poveri di spirito e i saggi, che hanno pensato e scritto su questo e dicono la stessa cosa con il loro linguaggio confuso, noi tutti siamo d’accordo su questa sola cosa: per che cosa si debba vivere e cosa sia il bene. Io con tutte le persone non ho che una sola conoscenza ferma, indubitabile e chiara; e questa conoscenza non può essere spiegata con la ragione; è al di fuori di essa e non ha nessuna causa e non può avere nessun effetto. Se il bene ha una causa, non è più bene; se ha un effetto, la ricompensa, pure non è bene. Perciò, il bene è al di fuori della catena delle cause e degli effetti.
E questo appunto io lo so e tutti lo sappiamo.
Ma io cercavo dei miracoli, mi rammarico di non aver visto un miracolo che mi avesse persuaso.
Ed ecco il miracolo, l’unico possibile, continuamente attuale, che da ogni parte mi circonda, e io non me ne accorgevo! Quale miracolo può essere mai più grande di questo? […]
Io cercavo una risposta alla mia domanda.
E la risposta alla mia domanda non poteva darmela il pensiero:
esso è incommensurabile con la domanda. La risposta me l’ha data la stessa vita nella mia conoscenza di quello che è bene e di quello che è male. E questa conoscenza non l’ho acquistata con nulla, ma mi è stata data insieme agli altri, data perché non la potevo prendere da nessuna parte.
Di dove ho preso ciò? Sono forse giunto con la ragione a convincermi che bisogna amare il prossimo e non soffocarlo? Me l’hanno detto nell’infanzia, e io ci ho creduto con gioia, perché mi dicevano quello che avevo nell’animo. E chi l’ha scoperto? Non la ragione. La ragione ha scoperto la lotta per l’esistenza e la legge che esige che siano soffocati tutti quelli che ostacolano il soddisfacimento dei miei desideri. Questa è la deduzione della ragione. E che si debba amare un altro non poteva scoprirlo la ragione, perché è una cosa irragionevole”.
Lev Tolstoj, Anna Karenina


[...] Anna Karenina è senza scampo. È chiaro, gli occhi non mentono.
Molti eroi della narrativa moderna se la prendono comoda prima di entrare in scena.
Ma niente è come il debutto della protagonista di Tolstine (capitolo 18) prima che Anna si riveli a noi in tutto il suo charme. Procrastinare l’entrata in scena del protagonista è uno stratagemma collaudato nella narrativa moderna: anche Emma Bovary, Stavrogin, Gatsby se la prendono comoda. [...] Tra i molti scogli posti da un’opera corale la presentazione dei personaggi è di certo il più sfibrante. Il narratore esperto sa che introdurre un nuovo eroe comporta un’inevitabile perdita di energia e mette alla prova l’attenzione del pigro lettore.
Tolstoj ha già affrontato il problema nel maestoso Guerra e Pace, risolvendolo in modo convenzionale, alla Balzac. La goffa insistenza sulla miopia di Pierre, sul difetto di pronuncia di Denisov o sulla bruttezza della principessina Marie serve a tipizzare i personaggi in modo da renderli memorabili con il minor sforzo possibile. [...]

Anna Karenina. Il primo colpo di genio è iniziare la storia di un’eroina tragica di prima grandezza — degna di Medea, Didone o Fedra — con il piglio leggero di una commedia di Beaumarchais o di un film di Nora Ephron. Veniamo subito calati nei tormenti coniugali di Oblònskij: beccato dalla moglie in flagrante adulterio, cacciato dal talamo coniugale, è confinato da due giorni nel suo studio. Stiva (così lo chiamano in società) è l’amico che tutti vorremmo avere: piacente, buono e simpatico, un bon vivant dedito ai piaceri della mondanità, della gastronomia e del sesso. Considera suo diritto tradire l’amorevole Dolly, la moglie che, dopo cinque gravidanze, è invecchiata decisamente peggio di lui. Il suo solo cruccio è di non aver saputo ingannarla come al solito.

Il secondo colpo di genio è che Stiva, per risolvere tale controversia, si affidi a sua sorella Anna in arrivo da Pietroburgo. Che una delle più famose adultere della storia letteraria si presenti a noi nei panni di assennata paladina delle virtù parentali la dice lunga sull’ironia tolstoiana, assai più sottile, magnanima e lungimirante dei suoi sarcasmi puritani.

Per ora godiamoci il risveglio di Stiva, con tanto di toilette impeccabile e lauta colazione. Tratteniamo il fiato seguendolo fino agli appartamenti della moglie. Procede con la circospezione dei mariti colpevoli, sa che Dolly è pronta a fargliela pagare. Assistiamo al più classico dei bisticci coniugali, ignari che si tratti della pallida parodia degli scontri che Anna dovrà affrontare con il suo spregevole consorte. Tolstoj sta ben attento a non perdere il tono di commedia: per la tragedia c’è ancora tempo.

Lévin.
Iniziare la giornata con Stiva è un’esperienza talmente dolce e rassicurante che siamo disposti a sorbirci anche la sua mattinata in ufficio. Finché un usciere non annuncia l’arrivo di un tipo un po’ strambo, il quale, poco avvezzo alle usanze moscovite, senza troppi complimenti ha imboccato la rampa di scale che conduce agli uffici e ora se ne sta lì in trepida attesa di Stiva. Tolstoj impiega tutta la sua sapienza perché Lévin ci appaia per la prima volta attraverso gli occhi benevoli del suo più caro e vecchio amico. Stiva è felice di ritrovarlo goffo e irrequieto. Eccolo lì, il nostro Lévin, in tutto il suo fascino rupestre: aitante, barbuto, in testa un grosso colbacco di montone. Gli siamo già affezionati. Un amico di un uomo delizioso come Stiva, ci diciamo, sarà di certo altrettanto delizioso.
L’apparizione di Lévin non ha niente di gratuito ed estemporaneo, è perfettamente adeguata alle circostanze, e il bello è che qualsiasi lettore lo sa, lo sente. Lévin non è altri che l’amico timido e orgoglioso che ogni Stiva può sfoggiare, così come Stiva è l’amico cazzaro di cui qualsiasi Lévin ha bisogno. È così bello immergersi nel calore di questa amicizia consolidata. Arriviamo persino a eccitarci quando comprendiamo che Lévin non è lì per caso. È stato via da Mosca per quasi un anno e adesso vuole riprendere i suoi rapporti con la cognata di Stiva, la sorellina di Dolly: la piccola Kitty di cui è innamorato da sempre.

Kitty.
Il flashback di Tolstoj sulla tenera amicizia adolescenziale tra Lévin e Kitty è particolarmente toccante perché ormai proviamo una palpitante simpatia per questo proprietario terriero dalle scarse risorse sociali, e per i suoi propositi nuziali. Lévin è serio, timido e pieno di slanci romantici. È l’incarnazione romanzesca di ciò che un lettore di romanzi pensa di se stesso. Per questo tifiamo per lui e non vediamo l’ora di conoscere Kitty. L’autore si guarda bene dal soddisfare immediatamente le nostre attese. Vuole farci stare ancora un po’ con Lévin, mettendoci a parte del singolare rapporto che intrattiene con i suoi fratelli, così dissimili tra loro e così diversi da lui.

La pista di ghiaccio
L’incontro tra Lévin e Kitty è una delle scene più suggestive della letteratura universale.
Lévin arriva al giardino zoologico alle quattro di pomeriggio, in «una limpida giornata di gelo».
Gli basta vedere la carrozza degli Šcerbackij (la famiglia di Kitty) per farsi venire il batticuore.
Il sentiero innevato che conduce alla pista di pattinaggio è disseminato di simboli ieratici, lo scintillante laghetto ghiacciato è il correlativo oggettivo dei pensieri puri di Lévin e della verginità di Kitty. «Si accorse che lei era lì dalla gioia e dal terrore che gli aveva afferrato il cuore» scrive Tolstoj. Avvertiamo l’agitazione del nostro eroe, le pulsazioni, lo stomaco in subbuglio.

Eccola finalmente: sebbene condivida la pista con un nutrito gruppo di pattinatori, è isolata dal resto da una luce vivida. Gli appare come una rosa tra le ortiche, dice Tolstoj. Una similitudine semplice come è semplice l’animo di Lévin. «Tutto risplendeva di lei. Lei era il sorriso che illumina tutto intorno a sé». Adoriamo Kitty perché gli occhi di Lévin ci insegnano ad adorarla. Non sappiamo niente di lei e ne siamo già innamorati. Presidiamo con imbarazzo all’incontro tra questi amici di vecchia data. Kitty non è più una bambina, sta per esordire in società. Lévin, inselvatichito dai mesi in campagna, dà prova di irredimibile imbranataggineI due finalmente pattinano insieme ed è questo sport elegante a scioglierli. Quando lei gli chiede se si tratterà a lungo a Mosca, lui con qualche esitazione risponde: «Dipende da voi». Lei finge di non aver sentito e il lettore si chiede che ne sarà di Lévin.

L’antipatico Vronskij.
Dopo il promettente incontro con Kitty, avendo esercitato le sue eccellenti arti di pattinatore di fronte una piccola folla di entusiasti ammiratori, Lévin va a cena con Stiva nell’elegante hotel Inghilterra. La raffinatezza gastronomica di Stiva contrasta con i gusti semplici di Lévin il quale, d’altronde, ancora turbato dall’incontro con Kitty, non presta grande attenzione al cibo. Stiva, interpretando l’inquietudine dell’amico, lo incoraggia a chiedere la mano di lei il prima possibile. Ed è a quel punto che sente il dovere di metterlo in guardia da un possibile rivale. Durante la sua assenza, infatti, è giunto a Mosca un tizio quanto mai insidioso: il giovane, avvenente, ricchissimo conte Vronskij, «uno dei migliori esemplari della gioventù dorata pietroburghese».

Tolstoj persegue implacabilmente la sua tecnica di introdurre un nuovo eroe mostrandolo sempre dal punto di vista di un personaggio cui siamo già legati. Non sappiamo ancora niente di Vronskij ma ci appare attraverso il diaframma degli occhi sgomenti di Lévin. È il classico avvenente damerino da cui guardarsi, il sardanapalo che porta scompiglio nelle coppie consolidate. Inutile dire che tale informazione preliminare ci guiderà per tutto il romanzo, tanto più dopo che Vronskij, avendo compromesso Kitty, volgerà le sue brame su una donna sposata e assai più esperta.

Occorre dire che Tolstoj, nella sua equanimità, fa di tutto per non giudicare Vronskij, non è da lui infierire su un personaggio. «Per quanto mi riguarda — ha detto una volta — quando scrivo, provo improvvisamente pietà per un qualche personaggio, e allora gli do qualche qualità positiva, o ne tolgo qualcuna a qualcun altro, così che, in confronto agli altri, possa non apparire troppo nero». Eppure, nonostante gli sforzi dell’autore, l’antipatia del lettore per Vronskij non verrà mai meno. Se Lévin lo teme, se Lévin si prepara a odiarlo, allora siamo pronti a temerlo e a odiarlo anche noi. A questo punto i nostri eroi, in attesa di Anna, possono affrontarsi nel salotto degli Šcerbackij.

Il gioco di sguardi.
Lévin arriva all’evento mondano in anticipo. Desidera fare la sua proposta di matrimonio lontano da sguardi indiscreti. In una scena non meno memorabile di quella che ha luogo sulla pista di pattinaggio Kitty, indottrinata dalla madre e sedotta da Vronskij, lo rifiuta. «Non poteva essere altrimenti» commenta Lévin con un fatalismo che ci spezza il cuore. Per ragioni di opportunità decide di non lasciare subito il ricevimento, sebbene sia letteralmente distrutto. Qui la tecnica degli sguardi incrociati messa a punto da Tolstoj raggiunge un apice emotivo quasi intollerabile, come se il prestigiatore ci spiegasse il suo trucco. «Questo dev’essere Vronskij, pensò Lévin e, per convincersene, guardò Kitty. Lei aveva già fatto in tempo a guardare Vronskij e poi si era voltata a guardare Lévin. E dal solo sguardo di quegli occhi involontariamente radiosi, Lévin capì che lei amava quell’uomo, lo capì con certezza, come se lei glielo avesse detto a parole».
Ed ecco che il sublime quartetto si va componendo. All’appello manca solo Anna:
ignara del suo destino, è già sul vagone letto che da San Pietroburgo la conduce a Mosca.
Tolstoj ha in mente per lei un’entrata trionfale.

Una signora del gran mondo
Quando la mattina dopo Vronskij raggiunge la stazione per andare a prendere la vecchia madre in arrivo da Pietroburgo, al binario incontra Stiva che aspetta la sorella. Il treno arriva. Prima di salire sulla carrozza di prima classe, Vronskij cede il passo a una misteriosa signora dagli occhi grigi, carezzevoli e vivaci: «Con la sensibilità propria dell’uomo di mondo, gli bastò una sola occhiata per stabilire che la signora apparteneva al gran mondo». Ormai lo sappiamo, gli occhi non mentono: per Anna non c’è scampo.

31 luglio 2016 (modifica il 31 luglio 20
http://www.corriere.it/cultura/16_luglio_31/piperno-anna-karenina-dc75248e-56fd-11e6-b924-e8992a1bb7b1.shtml




Lev Tolstoj, * KARENINA PROVE DI INFELICITA' *
Il giornale "Notizie del Governatorato di Tula" l' 8 gennaio 1872 scrive che alle sette di sera, una giovane donna sconosciuta, decorosamente vestita, giunta alla stazione di Jansenki sulla linea Mosca - Kursk nel distretto di Kraplva si è avvicinata alle rotaie e, durante il passaggio del treno merci numero 77, fattasi il segno della croce, si è gettata sul binario, sotto il treno.
Sul giornale la donna risulta sconosciuta, ma di lei, in realtà, si sanno molte cose, a partire dal fatto che si chiama Anna. Anna Stepanova Pirogova.
Era un carattere amabile, il viso sempre sorridente. Era l' amante di un vicino di tenuta dei Tolstòj, un certo Bibikov, vedovo, proprietario terriero, gran cacciatore di beccacce. Anna viveva con lui come una moglie, ma senza essere sposata. Bibikov non aveva mai voluto.
A un certo punto però, Bibikov si era innamorato di un altra donna, una governante tedesca, e si era addirittura messo in testa di sposarla. Scoperto il tradimento Anna era andata via. Non sapeva dove. Era gennaio. Aveva vagato qualche giorno nella campagna innevata. Poi, stremata, e folle di dolore, era arrivata per caso nella stazione di Jasenki e si era buttata sotto un treno merci di passaggio.
Era il 4 gennaio 1872
da "Vite che non sono la mia in "Rivista di Psicologia Analitica"


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