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venerdì 11 novembre 2016

Virginia Woolf, La signora Dalloway. Si sentiva molto giovane; e al tempo stesso indicibilmente vecchia. Affondava come una lama nelle cose; e al tempo stesso ne rimaneva fuori, osservava. Aveva l’impressione costante di essere lontana, lontanissima, in mare aperto, e sola. Sempre aveva l’impressione che vivere, anche solo un giorno, fosse molto, molto pericoloso. Non che si sentisse particolarmente intelligente, o straordinaria. […] L’unico talento che aveva era di riconoscere la gente come d’istinto

Per le strade di Londra passeggia anche Septimus Warren Smith, il deuteragonista del romanzo. 
Nulla sembra legare i due, se non la città di Londra. Clarissa ha cinquant'anni, è ricca. Septimus ne ha appena trenta, è povero e traumatizzato dall'esperienza feroce e violenta della guerra, in cui ha perduto non solo l'amico Evans, ma ogni pace. Eppure i due, senza mai incontrarsi, semplicemente sfiorando gli stessi luoghi, comunicano. Con sapienza straordinaria Virginia Woolf, giunta con questo al suo quarto romanzo, tesse il filo sottile di corrispondenze, echi, emozioni che creano un'opera di grande intensità. Dove un uomo e una donna sconosciuti l'uno all'altra sono accomunati dallo stesso amore e terrore della vita, che li porterà, nell'accettazione (femminile) o nel rifiuto (maschile), ad affermarne comunque l'inestimabile valore.
http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/la-signora-dalloway-1/


Come una nuvola attraversa il cielo, così il silenzio cade su Londra, e nell'anima. 
Ogni sforzo cessa. Il tempo batte stanco dall'albero maestro. Dove ci troviamo, ci fermiamo. 
Rigido, lo scheletro delle abitudini tiene su da solo la struttura umana. 
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


C'era da credere che la giornata, la giornata londinese, stesse appena per cominciare. 
Come una donna che si toglie il vestito di tela a fiori e il grembiule bianco, per adornarsi di celeste e di perle; così il giorno mutava, si levava di dosso ogni ciarpame, si vestiva di garza, si cambiava per la sera; e con lo stesso sospiro d'allegria di una donna che lasci cadere la gonna sul pavimento, anch'esso si liberò della polvere, del caldo, del colore; il traffico diminuì, le automobili sfreccianti, squillanti, si sostituirono all'ingombro dei furgoni; e qui e là tra lo spesso fogliame delle piazze alberate brillava intensa la luce. Mi dimetto, la sera sembrava dicesse, man mano che impallidiva e svaniva al di là dei merli e delle sporgenze, tonde o a punta, degli alberghi, delle case, dei negozi, scanisco, diceva, scompaio, ma Londra non voleva saperne, e puntava le sue baionette al cielo, la inchiodava, la costringeva a partecipare ai suoi bagordi.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


C'è in me qualcosa, pensò, in piedi accanto alla buca delle lettere, che anche adesso potrebbe sciogliersi in lacrime. Perché, lo sa il cielo. Una qualche specie di bellezza, forse; o il peso della giornata, che cominciata con la visita a Clarissa, l'aveva spossato per il caldo, l'intensità, e il gocciolio lento di un'impressione dopo l'altra giù in fondo a quella caverna dove profonde, oscure le impressioni si addensavano, e nessuno ne avrebbe mai saputo nulla. Proprio per quella ragione, per il suo assoluto e inviolabile segreto, la vita gli era sempre apparsa come un giardino sconosciuto, pieno di svolte, e di angoli, sorprendente. Sì, momenti che toglievano davvero il respiro; e proprio lì, accanto alla buca delle lettere, davanti al British Museum, gli stava capitando uno di quei momenti, quando tutto si raccoglie insieme, l'ambulanza, la vita e la morte. Era come se quella folla di emozioni lo risucchiassero verso un tetto altissimo, mentre il resto di lui rimaneva spoglio, come una specie di spiaggia bianca disseminata di gusci vuoti.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925



Così, per conoscere lei, come del resto per conoscere chiunque, bisognava scovare le persone, perfino i luoghi, che ci completano. Provava una strana affinità con della gente con cui non aveva mai parlato, una donna per la strada, un uomo dietro a un banco - persino con gli alberi, coi granai. E tutto sfociava in una teoria trascendentale che, visto l'orrore che aveva della morte, la induceva a credere o a dire che credeva (malgrado il suo scetticismo), che poiché le nostre apparizioni, o la parte che di noi appare, sono così effimere paragonate all'altra parte, la parte invisibile di noi, che si espande immensa, l'invisibile può benissimo sopravvivere, si può recuperare attaccato addosso a una persona qualsiasi, o magari a certi luoghi, dopo la morte... forse - forse. 
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 138


 Nel matrimonio, un po' di libertà, un po' d'indipendenza ci dev'essere, tra gente che vive tutti i santi giorni dell'anno sotto il medesimo tetto; e Richard gliela concedeva, e lei a lui. (Dov'era egli stamane, per esempio? Una riunione qualunque, ella non domandava mai.) Con Peter, invece, tutto aveva da esser condiviso, in tutte le cose si doveva andare a fondo.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925



«Si sentiva molto giovane; e al tempo stesso indicibilmente vecchia. 
Affondava come una lama nelle cose; e al tempo stesso ne rimaneva fuori, osservava
Aveva l’impressione costante di essere lontana, lontanissima, in mare aperto, e sola. 
Sempre aveva l’impressione che vivere, anche solo un giorno, fosse molto, molto pericoloso. 
Non che si sentisse particolarmente intelligente, o straordinaria. […] 
L’unico talento che aveva era di riconoscere la gente come d’istinto».
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 6
 (traduzione di Nadia Fusini)


Avevano sempre avuto quella strana facoltà di comunicare senza parole.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


L'anima tutta arrugginita
per quel torto che le stava conficcato nel cuore
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925, pag. 11



Viveva come un corallo incastonato nei fondali di un vasto oceano che vorrebbe seguire la direzione che segnala la sua radice ma che è costretto a deviare per farsi strada attraverso giganteschi scogli che gli ostruiscono il passaggio".
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


".. Perché questa è la verità dell'anima, pensò, del nostro io, che alla maniera di un pesce abita in mari profondi, e naviga all'oscuro, facendosi strada tra mucchi di alghe gigantesche, attraversando intervalli di sole intermittente, per andare sempre più giù nel buio, nel freddo, nel profondo, nell'imperscrutabile; poi d'improvviso si lancia in superficie e gioca con le onde increspate dal vento; ha, cioè, un inequivocabile bisogno di darsi una spazzolata, una rassettata, di ravvivarsi, di chiacchierare.."
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


Così si raccolgono, si sollevano, e ricadono, si raccolgono e ricadono ancora le onde in un giorno d'estate; e il mondo intero sempre più gravemente sembra che dica «è tutto», finché anche il cuore, che sta nel corpo disteso sulla spiaggia al sole, dice, è tutto. Non temere, dice il cuore. Non temere, dice il cuore, affidando il proprio fardello al mare, che sospira per tutte le pene, e riprende, e ricomincia, e si raccoglie, e ricade.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


Non c’era nessuno. Le parole svanirono. Allo stesso modo nell’aria svanisce un razzo, e le scintille, attraversata la notte, si arrendono, e il buio cala, e si posa sulle case e sulle torri, e i fianchi desolati delle colline si ammorbidiscono e scompaiono. Ma anche se sono scomparse, la notte è piena di loro; perso il colore, senza più finestre, le case esistono più massicciamente, emanano ciò che il pieno giorno non riesce a trasmettere - l'affanno e la sospensione di ciò che è ammassato nel buio; raggomitolato nel buio, privo del sollievo che porta l'alba, quando inonda di bianco e di grigio le pareti, e illumina ogni finestra, solleva la nebbia dai campi, mostra le mucche rossicce che vi pascolano in pace, e tutto riporta all'occhio, e tutto esiste di nuovo. Sono sola; sono sola! gridò, accanto alla fontana di Regent’ Park (fissando l'indiano e la sua croce), come a mezzanotte, forse, quando si sciolgono tutti i legami, e il paese ritorna alla sua forma antica, com'era quando i Romani vi sbarcarono, coperto di nuvole, quando ancora le colline non avevano nome e i fiumi serpeggiavano, non si sapeva verso dove - tanto era il buio…
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


Avrebbero potuto stare lontani anche cent'anni, lei e Peter, lei non gli aveva scritto neppure una lettera, le lettere di lui non erano un granché; ma poi d'improvviso pensava: se fosse qui con me adesso, che direbbe? Certi paesaggi, certe giornate glielo riportavano alla mente, ma con calma ora, senza l'antica amarezza - il che forse era la ricompensa del suo volere bene alla gente;
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


«Che importava se doveva ineluttabilmente cessare di esistere, e tutto sarebbe continuato senza di lei; le dispiaceva, forse? O non la consolava piuttosto credere che con la morte finisce tutto, completamente, ma in qualche modo, per le strade di Londra, nel flusso e riflusso di tutte le cose, qui, là, lei sarebbe sopravvissuta, e Peter anche; lei in quanto parte, ne era certa, degli alberi di casa sua, o anche di quella casa laggiù, brutta e cadente com’era, parte della gente che non aveva mai incontrato, sospesa come una nebbia tra le gente che conosceva bene, che la reggeva come aveva visto fare agli alberi con la nebbia».
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
 (traduzione di Nadia Fusini)

E importava poi qualcosa, si domandò, mentre camminava verso Bond Street, importava poi qualcosa che lei dovesse ineluttabilmente e completamente cessare di esistere? Tutto doveva continuare senza di lei; se ne risentiva, o non era invece confortante credere che la morte avrebbe messo fine a tutto? ma che in qualche modo, per le strade di Londra, nel flusso e nel riflusso delle cose, qui, là, lei sopravviveva, Peter sopravviveva, vivevano l'uno nell'altro, e lei era parte, non aveva dubbi, degli alberi di casa sua; di quella casa laggiù, così brutta, fatta com'era di mille pezzi sconnessi; parte di gente che non aveva mai incontrato; calava come nebbia tra le persone che conosceva meglio e che la sollevavano con i loro rami così come aveva visto gli alberi sollevare la nebbia; ma si estendeva quanto mai lontano, la sua vita, lei stessa.
Pag. 16



 Era una confessione terribile (si rimise il cappello), ma all'età di cinquantatré anni, non si aeva quasi più bisogno di nessuno. La vita, in ogni suo momento, in ogni sua goccia, qui, quest'istante, ora, al sole, a Regent's Park, era abbastanza. Troppo, addirittura.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 73

Temeva il tempo [...]; quando il poco margine che le restava non fosse più suscettibile di allungarsi, di assorbire i colori, i sapori, le tonalità dell'esistenza, come negli anni giovanili, quando entrando in una stanza lei la riempiva, e sentiva per un attimo, mentre esitava sulla soglia del salotto, una sospensione squisita, quella forse che potrebbe fermare un tuffatore prima di tuffarsi nel mare che sotto di lui si fa più cupo e luminoso, con le onde che minacciano di rompersi, ma appena leggermente alla superficie si divaricano, e trascinano e nascondono e mescolano alghe e perle mentre si rivoltano.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 26


non credeva che ci fosse un Dio, non era colpa di nessuno, e così s’inventò una specie di religiosità atea che consisteva nel fare il bene per amore del bene.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 69


 "Basta inciampare una volta e la natura umana ti si butta addosso"
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 82

Quando si è felici, aveva detto a Elizabeth, si hanno delle riserve a cui attingere, mentre lei era come una ruota senza gomma (le piacevano quelle metafore), sobbalzava a ogni scossa [...].
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 117


Il freddo scorrere delle impressioni visive gli venne meno, come se l'occhio fosse una tazza colma che lasciasse traboccare il superfluo lungo le pareti di porcellana.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925


Come una suora che si ritira dal mondo, o un bambino che esplora una torre, andò di sopra, sostò alla finestra, entrò in bagno. C'era il linoleum verde e il rubinetto che gocciolava. C'era un vuoto nel cuore della vita, una soffitta.
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925
Pag. 31


E possedeva quel dono straordinario, quel dono tutto femminile, di crearsi un mondo suo particolare ovunque si trovasse. 
Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925



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