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martedì 26 luglio 2016

Simmaco. Guardiamo le medesime stelle, comune è il cielo, un medesimo universo ci racchiude: che importa con quale dottrina ciascuno ricerca la verità? Non si può giungere fino a così sublime segreto per mezzo di una sola via.

Guardiamo le medesime stelle, comune è il cielo, un medesimo universo ci racchiude: che importa con quale dottrina ciascuno ricerca la verità? Non si può giungere fino a così sublime segreto per mezzo di una sola via.
Quinto Aurelio Simmaco



Nel 384 d.C. Quinto Aurelio Simmaco era considerato il più grande oratore latino del suo tempo. Egli, paragonato per abilità dialettica persino a Cicerone, era un fervente sostenitore delle antiche tradizioni di Roma. Simmaco si batté quindi con forza per ripristinare il mos maiorum e i culti secolari del suo paese, ma i tempi erano ormai cambiati: il cristianesimo avanzava inesorabile nel cuore dell'Impero, e con esso la censura verso qualunque alternativa alla fede nell'unico e vero Dio. Il fulcro del dibattito religioso divenne l'altare della Vittoria, posto da secoli nella sede del Senato

I cristiani decisero di rimuovere l'opera giudicandola blasfema, ma incontrarono l'opposizione di Simmaco, che tentò di appellarsi all'imperatore Valentiano II invocando una maggiore tolleranza religiosa. Nella “Relatio de ara victoria”, l'orazione più famosa di Simmaco, si legge:

Contempliamo le medesime stelle, ci sovrasta lo stesso cielo, uno solo è l'Universo che ci circonda: che importa quale sia la dottrina che ciascuno segue per ricercare la verità? Non si può giungere per un'unica via ad un mistero così sublime”.

 La risposta di Sant'Ambrogio, l'influente vescovo di Milano, non si fece attendere:
”Simmaco dice che non si può giungere per una sola via ad un mistero così grande. Ma ciò che voi (pagani) ignorate, noi lo sappiamo dalla voce di Dio. E ciò che voi ipotizzate, a noi è noto dalla stessa sapienza e verità di Dio. Non c’è accordo dunque fra la vostra e la nostra condotta”.

Alla fine i cristiani ebbero la meglio: il nuovo imperatore Teodosio ordinò di distruggere l'altare della Vittoria, fatto erigere da Augusto secoli prima, mentre Simmaco fu respinto con disprezzo. Il celebre oratore morì poco tempo dopo, colmo di rammarico, ricordando la gloria dei tempi passati e non riuscendo a riconoscersi nei nuovi valori di Roma.



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