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giovedì 31 ottobre 2013

Moby dick. Non c’è progresso fermo e irreversibile in questa vita; non avanziamo per gradi fissi verso l’ultima pausa finale: attraverso l’incanto inconscio dell’infanzia, la fede spensierata dell’adolescenza, il dubbio della gioventù (destino comune), e poi lo scetticismo, e l’incredulità, per fermarci alla fine, maturi, nella pace pensosa del Forse. No, una volta arrivati alla fine ripercorriamo la strada, e siamo eternamente bambini, ragazzi, uomini e Forse. Dov’è l’ultimo porto da cui non salperemo mai più? In quale etere estatico naviga il mondo, di cui i più stanchi non si stancano mai? Dov’è nascosto il padre del trovatello? Le nostre anime sono come quegli orfani le cui madri nubili muoiono nel partorirli: il segreto della nostra paternità giace nella loro tomba, ed è lì che dobbiamo cercarlo


“Tradurre Moby Dick è un mettersi al corrente con i tempi. Il libro – ignoto sinora in Italia – ha tacitamente ispirato per tutta la metà del secolo scorso i maggiori libri di mare. E da qualche decina di anni gli anglo-sassoni ritornano a Melville come a un padre spirituale scoprendo in lui, enormi e vitali, i molti motivi che la letteratura esoticheggiante ha poi ridotto in mezzo secolo alla volgarità. Herman Melville, nato a New York nel 1819 da una famiglia antica e nobilesca, morì a New York nel 1891, dopo essere passato anche per gli impieghi statali, immiserito, sconosciuto e sdegnoso. Ma queste sue infelicità non ci toccano. È la solita sorte dei grandi, su cui piace ai posteri spargere eloquenza, salvo poi a trattare anch’essi i contemporanei nell’antichissimo modo. Questa infelicità di Melville anzi ha avuto qualche parte in Moby Dick. Benvenuto, quindi. Poi bisogna ricordare i quattro anni della giovinezza passati su navi baleniere e da guerra, nel Pacifico, nell’Atlantico, tra cacce, tifoni, bonacce e avventure d’inferno o d’arcadia, tutta materia che è stata colata, con un lento lavoro di assimilazione, nelle opere. E l’arcadia c’è in Typee, c’è in Omoo, c’è in Mardi, le storie ispirate dai mesi di vita che l’autore condusse in comune coi cannibali di un’isola oceanica. L’inferno è in WhiteJaeket – spigliato e spietato giornale della vita di bordo su una nave da guerra – e in Pierre, una truce storia morale fallita, che serve a mostrare a quale prezzo, e con quali fatiche l’autore di Moby Dick sia giunto al capolavoro.”
Ottobre 1941, Cesare Pavese




Io amo tutti gli uomini che si tuffano.
Qualunque pesce sa nuotare vicino alla superficie, ma ci vuole una grossa balena per scendere a ottomila metri o più; e se questa non ce la fa a toccare il fondo, beh, tutto il piombo di Galena non basta a forgiare lo scandaglio in grado di farlo. […] Sto parlando […] dell’intero corpo dei “palombari del pensiero”, che si sono immersi nel fondo per ritornare a galla con gli occhi iniettati di sangue da che è cominciato il mondo.
Herman Melville, Lettera a Evert A. Duyckinck, 3 marzo 1849



Essenziale tra questi motivi era la travolgente idea della grande balena in carne e ossa. Un mostro tanto portentoso e misterioso sollevava tutta la mia curiosità. Poi, i mari selvaggi e remoti dov’egli voltolava la sua massa simile a un’isola, i pericoli, indescrivibili e senza nome, della caccia: queste cose, con tutte le concomitanti meraviglie di un migliaio di parvenza e di suoni patagonici, s’aggiungevano a spingermi al mio desiderio. Ad altri uomini, forse, tutto questo non sarebbe stato d’incitamento, ma, quanto a me, io sono tormentato da una smania sempiterna per le cose lontane. Mi piace navigare mari proibiti e approdare su coste barbariche. Non ignorante di ciò che è bene, sono lesto a percepire un orrore, ma non per questo, se ci riesco gli volto le spalle; dato che non è che bene mantenersi in buoni rapporti con gli inquilini del luogo dove si abita.
Herman Melville, “Moby Dick o la Balena”


Ora, perché la balena dovrebbe insistere così a fare le sue sfiatate fuori, se non per riempire il suo serbatoio d’aria, prima di tuffarsi davvero? Quant’è ovvio, perciò, che questa necessità d’emersione esponga la balena a tutti i rischi fatali della caccia! Poiché né con l’amo né con la rete si potrebbe catturare questo immenso Leviatan, quando navigasse a un migliaio di tese sotto la luce del sole. Non tanto quindi la tua abilità, o cacciatore, quanto i grandi bisogni vitali ti dànno la vittoria!
Moby Dick di Herman Melville


"...mi stanno davanti come tanti mucchietti di polvere, e io ne sono la miccia. Oh, è duro che per accendere gli altri anche la miccia debba andare distrutta! Ciò che è osato, l’ho voluto; e ciò che ho voluto lo farò! Mi credono pazzo: Starbuck mi crede pazzo; ma io sono demoniaco, io sono la pazzia impazzita. Quella pazzia selvaggia che è calma solo per capire se stessa! La profezia ha detto che sarei stato smembrato, e difatti! Ho perso questa gamba. Io ora profetizzo che smembrerò il mio mutilatore. E perciò il profeta e l’esecutore siano la stessa persona. Questo è più di quanto avete saputo mai fare voi, grandi dei..."
Herman Melville, Moby Dick



«Vendicarsi di una bestia bruta!» gridò Sturbuck. «Una bestia che t'ha colpito solo per il più cieco istinto! Capitano Ahab, è una pazzia! Provar collera verso un essere bruto mi sembra un'empietà».
"Stammi di nuovo a sentire, amico... andiamo ancora un po' più a fondo. Tutti gli oggetti visibili non sono altro che maschere di cartapesta. Però, in ogni evento – in un atto reale, in un'azione indubbia – lì, un essere sconosciuto, ma comunque razionale, preme da dietro la maschera irrazionale, imprimendovi le proprie fattezze. Se l'uomo vuole colpire, allora che il suo ferro trapassi la maschera! Come farebbe un carcerato a raggiungere l'esterno se non trapassando il muro? Per me, la balena bianca è quel muro, che mi è stato spinto contro. A volte penso che dall'altra parte del muro non ci sia nulla. Ma questo basta già. Mi tiene occupato, mi si impone. Vedo in lei una forza furiosa, innervata da una malignità imperscrutabile. Ciò che odio di più è proprio quella imperscrutabilità, e che la balena bianca ne sia l'agente o il mandante, io le rovescerò comunque addosso il mio odio. E non venirmi a parlare di empietà, amico mio. Colpirei anche il sole, se mi offendesse. Giacché se il sole fosse capace di offendermi, io sarei capace di colpirlo, poiché esiste sempre una sorta di lealtà nel gioco, nella rivalità che regna su tutto il creato. Ma io, amico, non mi lascio comandare nemmeno dal gioco leale. Chi è sopra di me? La verità non ha confini".
Herman Melville, Moby Dick o La Balena



E con questo (Starbuck) sembrava intendere non soltanto che il coraggio più degno di fiducia e più utile è quello che sorge dalla giusta stima del pericolo da affrontare, ma anche che un uomo che non abbia nessuna paura è un compagno di gran lunga più pericoloso di un vigliacco "
Herman Melville, Moby Dick


Poco c’era quindi da dubitare che sempre, fin dal giorno di quell’incontro quasi fatale, Achab avesse nutrito un feroce desiderio di vendetta, tanto più accanito dacché nella sua insensata morbosità era infine giunto a identificare con Moby Dick non solo tutti i suoi mali fisici, ma ogni sua esasperazione intellettuale e spirituale. La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e con mezzo polmone. Quell’intangibile malvagità che è stata al principio delle cose; al cui impero persino i moderni Cristiani ascrivono metà dei mondi; che gli antichi Ofiti dell’Oriente veneravano nel loro demonio scolpito; questa malvagità Achab non cadeva in ginocchio ad adorarla come quelli ma, trasportandone freneticamente l’idea nell’aborrita Balena Bianca, le si lanciava contro, così mutilato com’era. Tutto ciò che più sconvolge e tormenta la ragione, tutto ciò che rimescola la feccia delle cose, ogni verità che contiene malizia, ogni cosa che schianta i tendini e rapprende il cervello, tutto il sottile demonismo della vita e del pensiero, ogni male, per l’insensato Achab era visibilmente personificato e fatto praticamente raggiungibile in Moby Dick. Egli accumulava sulla gobba bianca della balena la somma di tutta l’ira e di tutto l’odio provati dall’intera sua razza dal tempo di Adamo, e poi, come se il suo petto fosse un mortaio, le sparava addosso la bomba del suo cuore bruciante. È poco probabile che questa monomania cominciasse in lui nel preciso istante della sua mutilazione fisica. Allora, scagliandosi contro il mostro col coltello alla mano, aveva soltanto sfogata un’improvvisa, appassionata animosità corporale, e quando ricevette il colpo che lo stroncò, egli sentì probabilmente soltanto l’atroce lacerazione fisica, ma nulla più. Pure, quando, essendo egli forzato da quest’incontro a mettere la prora verso la patria.
Herman Melville, Moby Dick


- Oh, Starbuck! E’ un vento dolce, dolce, e un cielo dall’aspetto dolcissimo. In un giorno simile, di altrettanta dolcezza, ho colpito la mia prima balena: ramponiere a diciott’anni! Quaranta, quaranta, quarant’anni fa! Quarant’anni di caccia continua! Quarant’anni di privazioni e di pericoli e di tempeste! Quarant’anni sul mare spietato! Per quarant’anni Achab ha abbandonato la terra tranquilla, per quarant’anni ha combattuto sull’ orrore dell’ abisso! Proprio così, Starbuck, di questi quarant’anni non ne ho trascorsi a terra tre. Quando penso a questa vita che ho fatto, alla desolazione di solitudine che è stata, all’isolamento da città murata di un capitano che non ammette che ben poche delle simpatie della verde campagna esterna… oh stanchezza! oh peso! Schiavitù africana da comando solitario!… Quando penso a tutto questo, sinora soltanto sospettato, non ho mai veduto così chiaro, e come per quarant’anni non ho mangiato che cibo secco salato, giusto emblema dell’asciutto nutrimento della mia anima! Mentre il più povero uomo di terra ha avuto frutta fresca quotidiana ed ha spezzato il pane fresco del mondo invece delle mie croste muffose.. lontano, lontano oceani interi da quella moglie bambina che ho sposato dopo i cinquanta, mettendo la vela il giorno dopo al Capo Horn e non lasciando nel cuscino nuziale che un’infossatura!
HERMAN MELVILLE, Moby Dick



"De balena vero sufficit, si rex habeat caput, et regina caudam."

Secondo questa legge redatta nell'Inghilterra del XIII secolo, gli storioni, le balene e i delfini sono tuttora definiti Pesci Regali a causa della loro 《superiore eccellenza》 che li rende solo e unicamente proprietá della famiglia regnante. Tale norma fa si che ogniqualvolta venga catturato, importato o si spiaggi uno di questi animali, la sua testa spetti di diritto al re mentre la coda alla regina. Nel romanzo Moby Dick si fa riferimento a questa legge nel capitolo 90 dove si afferma che la coda di una balena serva alla regnante per ottenere dei corsetti dalle ossa. La regola ha poi trovato terreno fertile nei paesi che si affacciano sul mare del Nord ed è stata adottata da numerosi sovrani del tempo.



Sai, Bulkington? È come se tu vedessi bagliori di quella nostra verità insopportabile: che il pensiero, tutto il pensiero serio e profondo, non è che l'impavido sforzo della mente di mantenersi libera in mare aperto, mentre i venti più violenti della terra e del cielo cospirano per gettarla sulla costa miserabile e infida.
Herman Melville, Moby Dick

«Sussultando e sbuffando come un destriero da battaglia impazzito, che abbia perduto il suo padrone, l’oceano senza legge scorre il globo. Considerate l’astuzia del mare: come le sue creature più temute scivolano sott’acqua, senza quasi affatto mostrarsi, perfidamente nascoste sotto le più incantevoli tinte dell’azzurro. Considerate pure lo splendore e la bellezza diabolici di tante delle sue razze più feroci, quali le forme aggraziate ed eleganti di tante specie di squali. Considerate ancora il cannibalismo universale del mare: come tutte le creature si predano a vicenda mantenendosi fin dall’inizio del mondo in guerra eterna. Considerate tutto questo, e poi volgetevi a questa verde dolcissima terra: considerateli entrambi, la terra e il mare, e non scoprite una bizzarra analogia con qualcosa in voi stessi? Poiché, come questo spaventevole oceano circonda la terra verdeggiante, così nell’anima dell’uomo c’è un’insulare Tahiti, piena di pace e di gioia, ma circondata da tutti gli orrori della vita a metà sconosciuta. Che ti protegga Iddio! Non allontanarti da quest’isola, ché potresti non tornare mai più.»
Herman Melville, Moby Dick, o la Balena


Oh, Dio! quali estasi torturanti sopporta colui che è consumato da un'unica inappagata brama di vendetta! Dorme coi pugni serrati; e si sveglia con le unghie piene di sangue che gli trafiggono le palme.
Dio ti aiuti, vecchio [Achab], i tuoi pensieri hanno creato una creatura dentro di te ; e colui che l'intensità del pensiero rende un Prometeo, di quel cuore per sempre si ciberà un avvoltoio; quell'avvoltoio è la creatura stessa che egli crea.
Herman Melville, Moby Dick



"Dobbiamo continuare a inseguire questo pesce assassino finché non affoga l’ultimo uomoDovremo farci tirare da lui in fondo al mare? O farci trascinare all’inferno?
Oh si, continuare la caccia è un’empietà e una bestemmia!"
Herman Melville, Moby Dick


".....quelle fauci! quelle fauci! è questa la fine di tutte le mie preghiere ardenti?
Di tutta una vita di fede? O Achab, Achab, guarda cosa hai fatto. Alla via, timoniere, alla via! No, no, poggia di nuovo! Si volta per assalirci! Oh, la sua fronte implacabile si getta su un uomo a cui il dovere dice che non può fuggire. Signore, stammi accanto!"
Herman Melville, Moby Dick



"La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell'intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e con mezzo polmone. Quell'intangibile malvagità che è stata al principio delle cose. Tutto ciò che più sconvolge e tormenta la ragione, tutto ciò che rimescola la feccia delle cose, ogni verità che contiene malizia, ogni cosa che schianta i tendini e rapprende il cervello, tutto il sottile demonismo della vita e del pensiero, per l'insensato Achab era visibilmente personificato e fatto praticamente raggiungibile in Moby Dick. Egli accumulava sulla gobba bianca della balena la somma di tutta l'ira e di tutto l'odio provati dall'intera sua razza dal tempo di Adamo, e poi, come se il suo petto fosse un mortaio, le sparava addosso la bomba del suo cuore bruciante."
Herman Melville, Moby Dick


Tutti gli oggetti visibili, amico, sono solo maschere di cartone. Ma in ogni cosa che succede, nell’azione viva, nel fatto preciso, lì, c'é qualche cosa di sconosciuto ma sempre ragionevole che sporge il profilo della faccia da sotto la maschera cieca. Se l’uomo vuole colpire, deve colpire la maschera! Come può evadere il carcerato se non forza il muro? Per me la balena bianca è quel muro. Me l’hanno spinto accanto. Qualche volta penso che lì dietro non c'é niente. Ma è sempre abbastanza. Mi chiama alla prova. Mi opprime. In essa vedo una forza che è un oltraggio, con una malizia inscrutabile che l’inneva. Quella cosa incomprensibile è soprattutto ciò che odio. Forse la balena bianca è il mandatario, e forse è il mandante, ma io gli rovescerò addosso questo mio odio. Non mi parlare di blasfemia, amico; colpirei il sole se mi offendesse. Perché se il sole potesse offendermi, io potrei colpirlo; perché c'é sempre una specie di lealtà nel gioco, e la rivalità presiede su tutta la creazione. Ma io non mi sento soggetto neanche a questa lealtà. Chi è sopra di me? La verità non ha limiti.
Herman Melville, Moby Dick


Un desiderio tanto più accanito perché nella sua smania morbosa egli era arrivato al punto da identificare con la bestia non solo tutti i suoi mali fisici, ma ogni sua esasperazione intellettuale e spirituale. La balena bianca gli nuotava davanti agli occhi come l’incarnazione ossessiva di tutte quelle forze del male da cui certi uomini profondi si sentono azzannare nel proprio intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e mezzo polmone. Quella malvagità inafferrabile che è esistita fino dal principio, al cui regno perfino i cristiani d’oggi attribuiscono metà dei mondi, e che gli antichi Ofiti dell’oriente veneravano nel loro demonio di pietra, Achab non cadeva in ginocchio per adorarla come loro, ma ne trasferiva allucinato l’idea nell’aborrita balena bianca e le si piantava contro, così mutilato com’era. Tutto ciò che sconvolge e tormenta di più tutto quel che rimescola la feccia delle cose, ogni verità farcita di malizia, ogni cosa che spezza i tendini e coagula il cervello, tutti i subdoli demonismi della vita e del pensiero, ogni male insomma, per quell’insensato di Achab, era personificato in modo visibile e reso raggiungibile praticamente in Moby Dick.
Herman Melville, Moby Dick



Il più sincero tra gli uomini è l'Uomo dei Dolori del libro di Isaia, e il più vero dei libri è quello di Salomone, e l'Ecclesiaste è l'acciaio temperato della sofferenza. "Tutto è vanità" TUTTO. Questo mondo caparbio non ha ancora assimilato la saggezza del non cristiano Salomone. Ma chi scansa prigioni e ospedali, e traversa in fretta i cimiteri, e preferisce parlare di bel canto anziché dell' inferno; chi considera Cowper, Young, Pascal e Rousseau dei poveri malati, e per un'intera spensierata esistenza giura sulla suprema saggezza di Rabelais, che proprio per questo lo diverte da matti... questo non è l'uomo adatto a sedere su una pietra tombale, e a calpestare il verde, umido muschio assieme al grandissimo, meraviglioso Salomone. Ma perfino Salomone sostiene che "l'uomo che si allontana dalla via della sapienza rimarrà (mentre è ancora in vita) nella congregazione dei morti". E dunque non abbandonarti al fuoco, affinché non ti faccia girare su te stesso fino a tramortirti, come accadde a me in quell'occasione.
Esiste una saggezza che fa male, ma anche un dolore che è pazzia. In certe anime si libra un'aquila reale capace di tuffarsi in picchiata nelle gole più buie, per riemergere e salire talmente in alto da confondersi col sole. E perfino se restasse per sempre nella gola, quella gola si trova pur sempre tra le montagne, per cui anche nel punto più basso l' aquila di montagna volerà sempre più in alto dei suoi simili di pianura, per quanto questi tentino di innalzarsi."
Herman Melville, Moby Dick o la balena


"Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto."
[Incipit di 'Moby Dick', di Herman Melville nato il 1 agosto 1819]


Ero un buon cristiano; nato e cresciuto nel seno dell’infallibile Chiesa Presbiteriana.  Come potevo allora unirmi a questo selvaggio  idolatra nell’adorazione del suo pezzo di legno?
Ma pensai, che cos’è un culto? Credi davvero, Ismaele, che il Dio magnanimo del cielo e della terra (pagani e tutti quanti inclusi) può essere mai geloso di un insignificante pezzetto di legno nero? E' impossibile. Allora cos’è il culto? Fare la volontà di Dio. Questo vuol dire culto. E che cos’è la volontà di Dio? Fare agli altri quello che mi piacerebbe avere fatto dagli altri, questa è la volontà di Dio. Ora Queequeg è il mio prossimo. E cosa vorrei che facesse per me questo Queequeg? è logico, unirsi a me nella mia speciale forma di culto presbiteriana. Di conseguenza, debbo unirmi a lui nella sua; ergo, debbo diventare idolatra. 
Herman Melville, Moby Dick


Mi sembra che abbiamo enormemente frainteso questa faccenda della Vita e della Morte.
A me sembra che ciò che chiamano la mia ombra qui sulla terra sia la mia vera sostanza.
A me sembra che nel guardare alle cose spirituali noi somigliamo fin troppo alle ostriche, che osservano il sole attraverso l'acqua e ritengono quell'acqua la più rarefatta delle atmosfere.
A me sembra che il mio corpo non sia che la feccia del mio essere migliore.
In realtà, si prenda il mio corpo chi vuole, se lo prenda pure, dico, tanto non sono io.
E allora tre evviva per Nantucket, e la lancia sfondata e il corpo sfondato vengano quando vogliono, ché l’anima non può sfondarmela neanche Giove in persona.


Oh vita! Eccomi qua, superbo come un dio greco, eppure debitore a questo sciocco di un osso su cui reggermi! Maledetti questi reciproci debiti umani che non possono fare a meno di libri mastri. Vorrei essere libero come l’aria, e invece sono segnato nei registri di tutto il mondo. Sono così ricco, che avrei potuto controbattere ogni offerta dei Pretoriani più ricchi all’asta dell’impero romano, che era l’asta del mondo; eppure sono debitore anche della carne della lingua con cui mi vanto. Perdio! Prenderò un crogiolo e mi ci butterò dentro, per dissolvermi in una piccola concisa vertebra. Davvero.
Herman Melville, Moby Dick


Non c’è progresso fermo e irreversibile in questa vita; non avanziamo per gradi fissi verso l’ultima pausa finale: attraverso l’incanto inconscio dell’infanzia, la fede spensierata dell’adolescenza, il dubbio della gioventù (destino comune), e poi lo scetticismo, e l’incredulità, per fermarci alla fine, maturi, nella pace pensosa del Forse. No, una volta arrivati alla fine ripercorriamo la strada, e siamo eternamente bambini, ragazzi, uomini e Forse. Dov’è l’ultimo porto da cui non salperemo mai più? In quale etere estatico naviga il mondo, di cui i più stanchi non si stancano mai? Dov’è nascosto il padre del trovatello? Le nostre anime sono come quegli orfani le cui madri nubili muoiono nel partorirli: il segreto della nostra paternità giace nella loro tomba, ed è lì che dobbiamo cercarlo.
Herman Melville, Moby Dick



“La cosa che forse tra l’altro faceva di Stubb un uomo così facile e senza paure, che così allegramente se ne faticava sotto il peso dell’esistenza in un mondo pieno di merciaiuoli cupi, tutti curvati a terra dai fardelli, la cosa che lo aiutava a portare in giro quel suo buonumore quasi empio, doveva essere la sua pipa. Poiché, come il naso, la sua corta pipetta nera era una delle fattezze abituali del suo volto. Vi sareste quasi aspettato che lui scendesse dalla cuccetta senza naso piuttosto che senza pipa. Teneva là un’intera file di pipe cariche, infilate in una rastrelliera, a stretta portata di mano, e ogni volta che andava a letto le fumava tutte successivamente, accendendole l’una dall’altra fino alla fine del capitolo e poi ricaricandole perché fossero di nuovo pronte. Poiché Stubb, quando si vestiva, invece di cacciare prima di tutto le gambe nei calzoni, si cacciava in bocca la pipa.
Secondo me, questo continuo fumare doveva essere stata almeno una delle cause della sua particolare disposizione. Poiché ognuno sa che quest’aria terrena, sia a terra che in mare, è terribilmente infetta dalle infelicità degli innumerevoli uomini che sono morti esalandola, e come al tempo del colera certuni vanno in giro con un fazzoletto canforato sulla bocca, così, allo stesso modo, contro tutte le tribolazioni mortali, il fumo di tabacco di Stubb poteva aver operato come una sorta di disinfettante.”
Herman Melville, Moby Dick. La pipa di Stubb, dal capitolo XXVII di “Moby Dick o la Balena” di Herman Melville



“Come la calma profonda [...] è forse più spaventosa della tempesta stessa, poiché di fatto essa è soltanto l’involucro, la busta della tempesta, e la contiene dentro di sé [...] così l’aggraziato riposo della lenza, dov’essa silenziosamente s’abbiscia in mezzo ai rematori prima che venga messa in azione, quest’immobilità incute più reale terrore di qualunque altra parvenza nella pericolosa faccenda [...] Tutti gli uomini vivono ravvolti in lenze da balena. Tutti sono nati con capestri intorno al collo; ma è solamente quando vengono presi nel rapido, fulminio giro della morte, che i mortali diventano consci dei muti, sottili, onnipresenti pericoli della vita. E se voi foste un filosofo, sebbene seduto in una lancia baleniera non sentireste in cuore un briciolo di terrore più che seduto davanti al vostro fuoco serale con un attizzatoio, e non un rampone, accanto”
Herman Melville, Moby Dick


Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano
Herman Melville, Moby Dick



Clarel è senz'altro la meno conosciuta fra le grandi imprese di Melville. Ma si sa che la sua opera non delude mai ed è piena di rivelazioni anche negli angoli più riposti. Diciottomila versi suddivisi in centocinquanta canti, irti di allusioni e significati occulti, uno scosceso massiccio poetico, versi che fanno «trasalire alla lettura» per la loro «virtù profetica». Egli parla ai nostri attimi di pace, di indifferenza, di sovranità; lascia che risuonino tutte le voci, e le estreme di preferenza, quelle che negano ogni senso (mondano) alla vita; permette a ogni germe di crescere e di offrire alla mente il suo frutto: nulla reprime. È un eroe gnostico.
Elemire Zolla


Fermati, Morte! ti prego!
Offri gentile la tua mano
a lei che guidi in luoghi assai lontani;
non farle calpestare a piedi nudi
la cenere, ma lasciala provare
teneri muschi nel suo camminare,
ovunque vi volgiate. Schiva l’Orco;
punta dove le terre son cullate
dal chiardiluna – prati muti e solitari,
ove mai una foglia vien soffiata
da giglio nella mano di Azzaele.
E là, finché non giunga l’amor suo,
dàlle miele selvaggio e sacrosanto,
seducendola con squisiti incanti.
Herman Melville, Clarel, pellegrinaggio in Terrasanta





Pietro Cerudelli 

Per realizzare il suo capolavoro Melville trasse spunti dal periodo della sua vita trascorso sulle navi, anche baleniere. E inoltre s'ispirò ad un fatto realmente accaduto: quello della lotta implacabile tra una baleniera e un grande capodoglio al largo della costa sudamericana.




Filippo Livorno 
Mi dispiace contraddirla , ma nel caso del romanzo Moby Dick io direi l'eterna lotta dell'uomo contro la natura ( la balena ) che viene alla fine dominata e sopraffatta.




Il romanzo di ben 500 pagine dello scrittore e critico letterario statunitense Herman Melville, (1819/1891 )“Moby Dick o la balena”, frutto anche di tormentate esperienze personali, fu pubblicato nel 1851, tradotto in italiano per la prima volta dallo scrittore Cesare Pavese nel 1932, “un vero e proprio poema sacro, cui non son mancati né il cielo né la terra a por mano”(Pavese). In realtà, il romanzo, che ha dato luogo a vari chiavi di lettura, é disseminato di varie riflessioni filosofiche, scientifiche, letterarie ed artistiche. La vicenda si svolge in mare, quel mare “titanico e biblico”, (Cesare Pavese) con il suo protagonista il narratore, Ismaele e il capitano Achab che é l'antagonista “grand'uomo, senza religione, simile a un dio".....il quale "è stato all'università e insieme ai cannibali"..... su cui si incentra insieme alla balena bianca cui da ossessivamente la caccia, l'intero svolgimento della narrazione. Ma chi é Achab? Achab é il capitano che guida la baleniera Pequod su cui si é imbarcato anche Ismaele il protagonista narratore del romanzo e alter ego di Melville, nulla sapendo degli oscuri intenti che tormentano il comandante, che in effetti vuole dirigere la rotta solo per dare la caccia ed uccidere Moby Dick, la balena bianca rea di avergli mutilato la gamba dal ginocchio in giù, costringendolo a rimediare con una protesi ricavata da una mascella di capodaglio....”è stato Moby Dick che mi ha disalberato […] è stata quella maledetta Balena Bianca a rasarmi, a far di me per sempre un buono a nulla incavigliato! […] e le darò la caccia oltre il Capo di buona Speranza, al di là del Capo Horn, al di là del grande Maelstrom di Norvegia, oltre le fiamme della perdizione, prima di abbandonarla”. Parole cariche di quello che sarà un odio per la balena che sarà altrettanto auto-distruttivo per il nostro Achab,mcome vedremo ....”Moby Dick rappresenta un antagonismo puro, e perciò Achab e il suo nemico formano una paradossale coppia di inseparabili” (C. Pavese). Ma la balena é solo una proiezione, di “un idea fissa e incurabile” di quel fantasma che abita Achab contro cui lotta dando in realtà una caccia tormentosa ad un altro se stesso, quella balena misteriosa, che appare e scompare con i suoi guizzi tra i flutti, per inabissarvisi, inafferrabile e insondabile come la sua cupa dimora. Qualcuno l'ha definita l'emblema del sacro, “il trascendente che affiora mostrando per un istante la sua ambiguità incomprensibile.” La balena..
”Tutto ciò che più sconvolge e tormenta la ragione, tutto ciò che rimescola la feccia delle cose, ogni verità che contiene malizia […] tutto il sottile demonismo della vita e del pensiero, ogni male, per l’insensato Achab era visibilmente personificato e fatto praticamente raggiungibile in Moby Dick........... Achab , non a caso portava nel volto impresse le stimmate di questo tormento ”Aveva l'aspetto di un uomo staccato dal rogo quando il fuoco ha devastato, trascorrendole tutte le membra, ma senza consumarle o rubar loro una sola particola della compatta e vecchia robustezza.. La sua figura, alta e grande, sembrava fatta di solido bronzo e modellata in un indistruttibile stampo, come il Perseo fuso del Cellini.”
Dice Melville: “Tutti gli uomini tragicamente grandi sono tali attraverso qualcosa di morboso”, d'altro canto gli eroi tragici che popolano la Tragedia greca da Medea ad Antigone a quelli del teatro elisabettiano che in Shaskespeare trova il suo più grande ed emblematico rappresentante, quindi da Amleto a Re Lear, non ci raccontano proprio questo? Eschilo ne”I Persiani, ci avverte che «Le passioni portano all’ira e questa sostiene la colpevole follia», ed Achab non é forse un eroe tragico della letteratura moderna preda di una hybris implacabile che mossa da un narcisismo ferito lo condurrà ad una “colpevole follia”? Eppure Achab ha momenti di cupa riflessione che gli fanno dire «Quando penso a questa vita che ho fatto, alla desolazione di solitudine che è stata […]. Mi sento stracco a morte, piegato, ricurvo come se fossi Adamo, barcollante dal tempo del Paradiso sotto il cumulo dei secoli». Ciò nonostante, non desiste fino al dramma finale con il suo doppio ..la Balena bianca il cui vano inseguimento, lo condurrà a morte ad opera del suo stesso arpione.... "Un uomo cadde in mare e si disperse tra i flutti". A nulla valgono le parole del primo ufficiale Starbuck che dice ad Achab”Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei!». Ma il desiderio, si sa é accecante, come d'altro canto evocato dal suo etimo, tutto in quel de privativo e in quel sidus -sideris, che allude ad uno sguardo privo di luce, senza stelle, un desiderio che si rivelerà desiderio di morte, che coinvolgerà l'intero equipaggio del Pequod. Infatti Achab finirà per danneggiare irrimediabilmente anche la baleniera, nella lotta contra Moby Dick, che affonderà insieme a tutti i membri dell'equipaggio. Mentre muore Achab urla. ”A te vengo, balena che tutto distruggi ma non vinci: fino all’ultimo lotto con te; dal cuore dell’inferno ti trafiggo; in nome dell’odio, vomito a te l’ultimo mio respiro”. Si salverà solo Ismaele, il narratore, infatti se omen e nomen, nel nome il destino, il suo nome dall'ebraico significa “Dio ascolta” o "Dio ascolterà" e persino “Dio ha esaudito o "Dio mi ascolta" quindi, Ismaele é depositario di una particolare protezione di un destino già iscritto nel suo nome che lo vuole salvato da Dio.
Quanto ad Achab che “cadde in mare e si disperse tra i flutti“ il suo destino é segnato da Melville nelle prime pagine del romanzo quando dice “Narciso che, non potendo stringere l’immagine tormentosa e soave che vedeva nella fonte, vi si tuffò e annegò. Ma quella stessa immagine noi la vediamo in tutti i fiumi e negli oceani. Essa è l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita; e questo è la chiave di tutto”. Lungo il cammino della vita forse tutti noi rischiamo di incontrare una balena bianca “ [...].



https://youtu.be/iXtC0wXxuSE










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