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lunedì 10 giugno 2013

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Giacché il segreto dell'esistenza umana non è vivere per vivere, ma avere qualcosa per cui vivere.

Fëdor Dostoevskij, "I fratelli Karamàzov" [Братья Карамазовы], 1879

Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso
Fëdor Dostoevskij

«Credo che tutti dovrebbero amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo.»
«Amare la vita più del senso della vita?»
«Proprio così: amarla prima della logica, come dici tu, assolutamente prima di ogni logica, e solo allora se ne afferrerà il senso.»
Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov

La forza centripeta sul nostro pianeta è ancora terribilmente forte, Alëša.
Si ha voglia di vivere, e io vivo, anche a dispetto della logica.
Sebbene io possa non credere nell’ordine delle cose,  
tuttavia amo le foglioline vischiose che si dischiudono in primavera,  
mi è caro il cielo azzurro e mi sono care certe persone, 
che a volte – lo crederesti? – non si sa neppure perché si amino
e mi sono care certe conquiste umane, 
nelle quali, forse, ho smesso di credere da un pezzo.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov


Amate gli animali […]. Non inquietateli, non tormentateli, non togliete loro la gioia: non opponetevi all'intenzione di Dio. Uomo, non porti al di sopra degli animali: essi sono senza peccato mentre tu, nella tua grandezza, guasti la Terra al tuo solo apparire lasciando dietro di te la tua lurida traccia.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov

E, fratello sono proprio io quell’insetto: è stato scritto appositamente per me. In tutti noi Karamàzov e anche in te, angelo, vive quell’insetto e scatena tempeste nel tuo sangue. Sì, tempeste perché la lussuria è una tempesta, è peggio di una tempesta! La bellezza è una cosa spaventosa e terribile! Terribile perché indefinibile, e definirla non si può perché Dio ci ha dato solo enigmi. Qui i due opposti si congiungono e tutte le contraddizioni coesistono. Io, fratello, sono poco istruito, ma ho allungo riflettuto su questo. Troppi misteri! Troppi enigmi opprimono l’uomo sulla Terra.
Svelali per quanto puoi ed escine sano e salvo.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov



«Io sono un Karamazov! 
Perché, se precipito in un abisso, è a capofitto,
con la testa in giù e i piedi in su,
e sono anzi contento di esservi caduto in maniera così degradante:
lo considero bello! E quando sono al fondo della vergogna innalzo un inno».
Fëdor Michajlovic Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”


E sente anche che nel cuore gli cresce una commozione mai provata prima, che ha voglia di piangere, che vuole far qualcosa per tutti, perché il piccino non pianga più, perché non pianga mai la sua nera madre emaciata, perché nessuno pianga più da quel momento, e lo vorrebbe fare subito, senza rimandare e senza tenere conto di niente, con tutto l'impeto dei Karamazov. Fratello, in questi due mesi io ho sentito dentro di me un uomo nuovo, è risorto in me un uomo nuovo! Era prigioniero dentro di me, ma non sarebbe mai comparso senza questo fulmine. Cosa mi importa se starò per vent'anni a scavare minerale col martello nelle miniere? non ne ho affatto paura. Anche là nelle miniere, sottoterra, ci si può trovare accanto un cuore umano. No, la vita è completa anche sotto terra! [...] E cos'è poi la sofferenza? Non la temo, anche se fosse senza fine. Ora non la temo. E mi sembra che in me ci sia tanta forza da vincere tutto, tutte le sofferenza, pur di potermi dire: io sono!"
Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov


Il più delle volte chiamiamo “buio” la luce che i nostri occhi non riescono a vedere.
Chiamiamo “dolore” il piacere che non raggiungiamo, “odio” l’amore che non riusciamo a dare, “guerra” la pace che non abbiamo e “avere” tutto ciò che ci impedisce di Essere.
Aleksej Karamazov



«Un solo filo d'erba, un solo scarabeo, una sola formica, un'ape dai riflessi d'oro... testimoniano d'istinto il mistero divino>>.
I fratelli Karamazov (Братья Карамазовы)


Dmitrij Karamàzov:
"Taci, cuore,
pazienta, sopporta e taci!"
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov




«Bla bla bla! Il solito bigottismo e le solite frasi trite e ritrite! Frasi e gesti triti e ritriti! Le solite menzogne e la solita formalità delle genuflessioni fino ai piedi! Li conosciamo questi inchini! 
"Un bacio sulle labbra e un pugnale nel cuore", come nei masnadieri di Schiller.
Non amo la falsità, padri, voglio la verità! Ma la verità non è nei ghiozzi, e questo io l'ho già dichiarato! Padri monaci, perché osservate il digiuno? Perché mai vi aspettate una ricompensa in cielo per questo? Per un premio simile andrei anche io a digiunare! No, monaco santo, sii virtuoso nella vita, fa' del bene alla comunità, non chiuderti nel monastero dove trovi la pappa bell'e pronta, non aspettarti un premio lassù, ecco: questo sarebbe un po' più difficile. Anche io, padre igumeno, so parlare come si deve. Che cosa avete preparato lì?», e si avvicinò al tavolo. «Porto Vacchio Factori, Médoc imbottigliato dai fratelli Eliseev, suvvia, padri! Altro che ghiozzi! Vedi che po' po' di bottigliette hanno messo in mostra i padri, eh, eh, eh! E chi ha procurato tutto questo? E' stato il contadino russo, il lavoratore che porta qui il suo soldino guadagnato con le sue mani callose, strappandolo alla famiglia e ai bisogni dello stato! Voi padri santi, spremete il popolo!»
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov


"Chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne, arriva al punto di non distinguere più la verità, nè in se stesso, nè intorno a sè, e giunge così a disistimare se stesso e gli altri.
Non stimando più nessuno, cessa anche di amare e allora, mancandogli l'amore, per sentirsi occupato e divagarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri triviali, giungendo fino alla bestialità nei suoi vizi;
e tutto per il continuo mentire agli altri e a se stesso "
Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov



- A proposito, mi raccontava recentemente un bulgaro a Mosca, – proseguí Ivàn Fjòdorovic, come se nemmeno ascoltasse il fratello, – quali misfatti i turchi e i circassi, temendo una sollevazione generale degli slavi, commettano là da loro, in tutta la Bulgaria; essi cioè incendiano, sgozzano, violentano donne e fanciulli, inchiodano i prigionieri per gli orecchi agli steccati e li lasciano cosí fino al mattino, poi li impiccano, e altre cose che non si possono nemmeno immaginare. Infatti talvolta si parla della crudeltà “belluina” dell’uomo, ma questo è sommamente ingiusto e offensivo per le belve: la belva non può mai essere cosí crudele come l’uomo, cosí artisticamente, raffinatamente crudeleLa tigre morde e sbrana soltanto, e non sa far altro. Non le verrebbe mai in testa di inchiodare gli uomini per gli orecchi e di lasciarli cosí per una notte, nemmeno se lo potesse fare. Quei turchi, fra l’altro, torturavano con voluttà anche i bambini, cominciando dallo strapparli col pugnale al ventre materno fino a lanciare in aria i lattanti e a riceverli sulle baionette sotto gli occhi delle madri. Anzi il far ciò sotto gli occhi delle madri costituiva il loro maggior godimento. Ma ecco un’altra scena che pure m’interessò molto. Figurati: un poppante fra le braccia della madre che trema, intorno i turchi penetrati nella casa. Essi hanno combinato un allegro scherzetto: accarezzano il bimbo, ridono per divertirlo e ci riescono, il bimbo si mette a ridere. In questo momento un turco gli punta la pistola a quattro dita dal viso. Il bambino ride gioioso, tende le manine per afferrare la pistola, e tutt’a un tratto l’artista gli fa scattare il grilletto sul volto e gli sfracella la testina... Artistico, non è vero? A proposito, si dice che i turchi amino molto i dolci.
- Fratello, a che tutto questo? – domandò Aljòsa.
- Io penso che, se il diavolo non esiste e quindi è stato creato dall’uomo, questi l’ha creato a propria immagine e somiglianza.
- In tal caso, come ha fatto di Dio.
- Tu sai torcere le parole in modo ammirevole, come dice Polonius nell’Amleto, – rise Ivàn – Tu hai preso al balzo la mia parola, e sia! Ne ho piacere. Bello però il tuo Dio se l’uomo lo ha creato a propria immagine e somiglianza!
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov



Non parlo delle sofferenze dei grandi, essi hanno mangiato il frutto proibito e vadano al diavolo,
che il diavolo se li porti tutti, ma i bambini, i bambini!
Fëdor Dostoevskij, Ivan Karamazov


"Immagina di essere tu a edificare il destino umano con lo scopo di rendere felici gli uomini, di concedere loro, alla fine, pace e serenità, e che per fare questo sia necessario e inevitabile fare soffrire anche una sola creaturina, quella bimba, per esempio, che si batteva il petto con il piccolo pugno, e sulle sue lacrime invendicate erigere quell'edificio. Ebbene acconsentiresti a esserne l'artefice a queste condizioni? Dimmelo e non mentire!"
"No, non acconsentirei" disse piano Alëša.
"E potresti ammettere l'idea che gli uomini per i quali tu lo costruisci acconsentano dal canto loro ad accettare una felicità fondata sul sangue innocente di un piccolo martire, e una volta accettata, a essere felici in eterno?"
"No, non potrei ammetterlo. Fratello" disse Alëša.



"Purtroppo questi giovani non comprendono che il sacrificio della vita è, in parecchi casi, forse il più facile dei sacrifici e che sacrificare, per esempio, cinque o sei anni della propria impetuosa giovinezza all'impervia fatica degli studi, alla scienza, anche solo per decuplicare in sé le forze per dedicarsi a quella verità o a quell'impresa che si vagheggia e che ci si prefigge di compiere, un tale sacrificio è, insomma, per molti di essi sovente quasi superiore alle loro forze."
I Fratelli Karamazov


«Ecco l’odierna sorte degli uomini: piccoli bimbi che si sono ribellati in classe e hanno cacciato il maestro. Ma anche l’esaltazione dei ragazzetti avrà fine e costerà loro cara. Essi abbatteranno i templi e inonderanno di sangue la terra. Ma si avvedranno infine, gli sciocchi fanciulli, di essere bensì dei ribelli, ma dei ribelli deboli e incapaci di sopportare la propria rivolta. (…) Noi invece proveremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri bimbi, ma che la felicità infantile è la più dolce di tutte».
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov




La bellezza è una cosa terribile e paurosa. Paurosa, perché è indefinibile, e definirla non si può, perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due rive si uniscono, qui le contraddizioni coesistono. Io, fratello, sono molto ignorante, ma ho molto pensato a queste cose. Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l’uomo. Scioglili, e torna sano alla riva. La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l’ideale della Madonna e finisca con l’ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel cuore l’ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l’ideale della Madonna, anzi il suo cuore brucia per questo ideale, e brucia davvero, sinceramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, l’animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione che cos’è? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra una follia, per il cuore, invece, è tutta bellezza. Ma c’è forse bellezza nell’ideale di Sodoma? Credimi, proprio nell’ideale di Sodoma la trova l’enorme maggioranza degli uomini! Lo conoscevi questo segreto, o no? La cosa penosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E’ qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini. Già, la lingua batte dove il dente duole…”.
Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov


Guardate i laici e tutto questo mondo che si è innalzato sul popolo di Dio:
il volto e la Sua verità non vi si sono deformati? Essi hanno la scienza, ma nella scienza c'è appena quello che cade sotto i sensi. Il mondo dello spirito invece, la metà superiore dell'essere umano, la si ripudia completamente, la si bandisce con una cert'aria di trionfo, anzi con odio. Il mondo, specialmente negli ultimi tempi, ha proclamato la libertà, e che cosa vediamo in questa sua libertà? Niente altro che servitù e suicidio. Poiché il mondo dice: "Tu hai dei bisogni: appagali dunque, ché tu hai gli stessi diritti degli uomini più ragguardevoli e più ricchi. Non temere di appagarli, moltiplicali anzi." ...E che cosa mai scaturisce da questo diritto alla moltiplicazione dei bisogni? Nei ricchi l'isolamento e il suicidio spirituale, nei poveri l'invidia e l'omicidio, perché si sono dati i diritti, ma non si sono ancora indicati i mezzi per soddisfare i bisogni. Affermano che il mondo si unirà ogni giorno di più e formerà una comunione fraterna abbreviando le distanze, trasmettendo il pensiero attraverso l'aria. Oibò! non credete a una simile unione degli uomini.
Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov



Se il diavolo non esiste, ma l'ha creato l'uomo, 
l'ha creato a sua immagine e somiglianza.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1878/80

«A me, invece, il pensiero di Dio mi tormenta. Non fa che tormentarmi.
E se Egli non esistesse? Se avesse ragione Rakltin, quando dice che è questa, nell'umanità, un'idea artificiale? Se Dio non c'è, l'uomo è il re della terra, della Creazione. Magnifico! Ma come farà ad essere virtuoso senza Dio? Ecco il busillis! lo me lo domando di continuo. Poiché l'uomo, allora, chi mai amerà? A chi sarà riconoscente, a chi canterà un inno? Rakltin dice che si può amare l'umanità anche senza Dio. Quel moccioso incimurrito lo può soltanto affermare, ma io non lo posso capire. Per Rakltin vivere è facile: «Tu, mi diceva oggi, occupati piuttosto dell'estensione dei diritti civili dell'uomo, o magari di quanto occorre fare perché la carne non aumenti di prezzo, con ciò dimostrerai il tuo amore per l'umanità in modo più semplice e immediato che con le tue filosofie». Al che io risposi: «Ma tu stesso, se non credi in Dio, alzerai il prezzo della carne, se te ne verrà il destro, e guadagnerai un rublo per copeca ». Si adirò. Infatti che cos'è la virtù? rispondimi, Aleksjèj, lo ho una virtu, il cinese un'altra: è dunque una cosa relativa. Oppure no? O non è relativa? Questione insidiosa! Tu non riderai, se dirò che per questo non ho dormito due notti. Ora mi meraviglio soltanto che gli uomini possano vivere senza mai pensare a questo. Vanità! Per Ivàn non c'è Dio. Egli ha una sua idea. Un'idea che non mi entra. Ma egli tace. lo credo che sia massone. Glie l'ho domandato: è stato zitto. Volevo bere dell'acqua alla sua fonte: è stato zitto. Una volta sola ha detto due parole. -Che cosa ha detto? -Aljòsa colse la palla al balzo.Io gli dico: Allora tutto è permesso, se è così?».
Feodor Dostoevskij, I fratelli Karamazov.


Vedi, caro, c'era un vecchio peccatore del diciottesimo secolo, il quale dichiarò che se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, s’il n’existait pas Dieu il faudrait l'inventer. E l'uomo ha davvero inventato Dio. E ciò che è strano, ciò che dovrebbe destare stupore, non è che Dio possa esistere veramente, ma che questa idea, l'idea della necessità di Dio, abbia potuto infiltrarsi nella mente di un animale così selvaggio e cattivo come l'uomo - a tal punto è santa, commovente e saggia questa idea, a tal punto essa fa onore all'uomo. Per quanto riguarda me, ho smesso da un pezzo di pormi la domanda se è stato Dio a creare l'uomo o l'uomo a creare Dio. Ecco qual è il mio essere, Alλsa, ecco la mia tesi. Ti ho parlato sinceramente...Tu non volevi sapere se credo o no in Dio, volevi solo scoprire di che vive il fratello che tu ami. Eccoti servito.
Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Dialogo tra Ivan e Ailisha


Secondo me, non c’è nulla da distruggere, fuorché l’idea di Dio nell’umanità;
ecco di dove occorre cominciare! È di qui, di qui che si deve partire, o ciechi, che non capite nulla! Una volta che l’umanità intera abbia rinnegato Dio (e io credo che tale epoca, a somiglianza delle epoche geologiche, verrà un giorno), tutta la vecchia concezione cadrà da sé, senza bisogno di antropofagia, e soprattutto cadrà la vecchia morale, e tutto si rinnoverà.
Gli uomini si uniranno per prendere alla vita tutto ciò che essa può dare, ma unicamente per la gioia e la felicità di questo mondo. L’uomo si esalterà in un orgoglio divino, titanico, e apparirà l’uomo-dio. Trionfando senza posa e senza limiti della natura, mercé la sua volontà e la sua scienza, l’uomo per ciò solo proverà ad ogni istante un godimento cosí alto da tenere per lui il posto di tutte le vecchie speranze di gioie celesti. Ognuno saprà di essere per intero mortale, senza resurrezione possibile, e accoglierà la morte con tranquilla fierezza, come un dio. Per fierezza comprenderà di non dover mormorare perché la vita è solo un attimo, e amerà il fratello suo senza ricompensa. L’amore non riempirà che un attimo di vita, ma la stessa consapevolezza di questa sua fugacità ne rinforzerà altrettanto l’ardore quanto prima esso si disperdeva nelle speranze di un amore d’oltre tomba e infinito...”, e via di questo passo. Delizioso!”
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov



Il mondo dello spirito, che è la meta superiore dell'essere umano, è stato ripudiato completamente, è stato bandito con un'aria di trionfo, anzi, con un senso di odio. Hanno proclamato la libertà, specialmente negli ultimi tempi, e che vediamo, che cosa c'è nella loro libertà? Schiavitù ed autodistruzione, nient'altro! Perchè il mondo dice: "Tu hai dei bisogni, perciò appagali, poichè hai gli stessi diritti degli uomini illustri e ricchi. Non aver paura di appagarli, anzi, moltiplicali". Ecco che cosa insegna oggi il mondo, e in questo vedono la libertà. Ma qual'è il risultato di questo moltiplicare i propri bisogni? Per i ricchi il risultato è l'isolamento e il suicidio morale, per i poveri l'invidia e l'omicidio, perchè i diritti glieli hanno dati, ma i mezzi per appagare questi bisogni non glieli hanno ancora indicati.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov



Non non c'è nessun peccato, e non ci può essere nessun peccato su tutta la terra, che il Signore non perdonerà a chi è veramente pentito. L'uomo non può commettere un peccato tanto grande quanto l'amore infinito di Dio.
Fëdor Dostoevskij, "I fratelli Karamazov"


"Ricorda particolarmente che non puoi in alcun modo essere giudice.
Giacché nessuno può essere su questa terra giudice di un malfattore, se prima non abbia egli stesso acquistato coscienza che anche lui è altrettanto malfattore quanto quello che gli sta innanzi, e che lui per l'appunto, rispetto al delitto di colui che gli sta innanzi, è forse prima d'ogni altro colpevole. Quando abbia raggiunto questa comprensione, allora potrà anche essere giudice. Per quanto abbia tutta l'apparenza di una cosa assurda, questa non è che la verità. Infatti, se io stesso fossi stato giusto, forse anche il malfattore che mi sta dinanzi non sarebbe tale. Se sei capace di assumere su di te il delitto del malfattore che ti stia dinanzi e che tu giudichi col tuo cuore, assumilo senza indugio, e soffri al posto suo tu stesso, lasciando che senza rampogne egli se ne vada. E seppure fosse proprio la legge a costituirti giudice suo, anche allora, per quanto ti sarà possibile, opera secondo questo spirito, giacché egli andrà e si giudicherà lui stesso con severità maggiore del giudizio tuo. Se poi s'allontanerà, dopo il tuo bacio, senz'alcuna commozione e ridendosi di te, ebbene, non farti tentare neppur da questo: vuol dire che l'ora per lui non è ancora scoccata, ma verrà a suo tempo: e se non verrà, non importa: se non lui, sarà un altro al posto suo che capirà, e soffrirà, e condannerà e accuserà se stesso, e la giustizia sarà soddisfatta. Credi a questo, credi con certezza, giacché in questo per l'appunto si fonda la confidenza e tutta la fede dei santi."
Fëdor Dostoevskij,  I Fratelli Karamazov


Non siate superbi con i piccoli, non siate superbi nemmeno con i grandi
Non odiate chi vi respinge e disonora, chi vi ingiuria e calunnia. Non odiate gli atei, né i cattivi maestri e i materialisti, neppure i malvagi fra loro – per non parlare dei buoni giacché ve ne sono molti di buoni, specialmente ai nostri tempi. Ricordateli così nella vostra preghiera: 
“Salva, o Signore, tutti coloro per i quali nessuno prega, salva anche quelli che non ti vogliono pregare”. E aggiungete anche: “non per orgoglio ti prego, o Signore, perché anch’io sono un vile peggio di tutto e di tutti…”.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov




“L’amore è un maestro, ma bisogna saperlo conquistare, perché è difficile meritarlo: lo si ottiene a caro prezzo e con grande fatica per lungo tempo, perché bisogna amare non per un istante, fortuitamente, ma sino alla fine. Di amare fortuitamente tutti sono capaci, anche i malvagi.”
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I Fratelli Karamazov


Giacché il segreto dell'esistenza umana non è vivere per vivere, 
ma avere qualcosa per cui vivere.
Fëdor Dostoevskij - I fratelli Karamazov (Il Grande Inquisitore)


Il fatto è che tu continui a pensare nei termini della nostra terra com'è adesso!
Ma la nostra terra di adesso può essersi ripetuta un bilione di volte essa stessa; si è estinta, si è ghiacciata, spaccata, frantumata, disintegrata nei suoi elementi primari, di nuovo acque sopra il firmamento, e poi ancora cometa, ancora sole e dal sole la terra - ecco: questa evoluzione potrebbe essersi ripetuta un numero infinito di volte ed esattamente nella stessa maniera fino all'ultimo particolare. Una scocciatura delle più indecorose...
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov



Non che non accetti Dio, Alëša, 
gli sto solo restituendo, con la massima deferenza, il suo biglietto.
Dostoevskij, I fratelli Karamazov


[…] Il fratello Ivan è una sfinge e tace, tace sempre. Io invece ho Dio che mi tormenta.
Il solo pensiero di Dio mi tormenta. E se non esistesse? Se avesse davvero ragione Rakítin a dire che quest’idea è artificiale, nell’umanità ? Allora, se non c’è, l’uomo è il capo della terra, dell’universo. Grandioso! Ma come potrà essere virtuoso senza Dio? È un problema! Io continuo a pensarci. Poiché allora l’uomo chi amerà? A chi sarà grato, a chi canterà l’inno? […] Cos’è, infatti, la virtù? Rispondimi tu, Alekséj. Io ho una virtù e il cinese ne ha un’altra: è una cosa, quindi, relativa. O no? O non è relativa? È una domanda fatale! Non ti mettere a ridere se ti dico che non ho dormito due notti per questo. Mi meraviglio soltanto di come gli uomini vivano e non pensino mai a questo. Vanità!
F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov



Di me Le dirò che sono figlio del mio secolo, figlio della miscredenza e del dubbio, e non solo fino ad oggi, ma tale resterò fino alla tomba. Quali terribili sofferenze mi è costata - e mi costa tuttora - questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nelle mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Ciononostante Iddio mi manda talora degl'istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegli istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in questi istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. Questo Credo è molto semplice, e suona così: credere che non c'è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c'è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità.
Ma è meglio smettere di parlare di questo. Del resto, non so perchè certi argomenti vengano di solito rigidamente esclusi dalla conversazione in società, e se qualcuno comincia a parlarne gli altri se ne sentono in certo modo urtati e offesi.
Fëdor Dostoevskij, Lettera a N.D. Fonvizina




Ti dico che per l'uomo non c'è assillo più tormentoso di quello di trovare qualcuno al quale trasmettere al più presto quel dono della libertà con il quale il disgraziato essere viene al mondo. Ma solo colui che acquieta la coscienza degli uomini può dominare la loro libertà. Con il pane ti veniva dato un vessillo inconfutabile: dagli il pane e l'uomo si inchina, giacché non v'è nulla di più inconfutabile del pane, ma se qualcun altro al di fuori di te s'impadronisce della sua coscienza - oh, allora egli sarà persino capace di gettare via il tuo pane e di seguire colui che seduce la sua coscienza. In questo avevi ragione. Giacché il segreto dell'esistenza umana non è vivere per vivere, ma avere qualcosa per cui vivere.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Il Grande Inquisitore



“Noi abbiamo rettificato la tua opera e l‟abbiamo fondata sul miracolo, il mistero e l‟autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere guidati come un gregge. […] Noi dimostreremo che sono deboli, che sono soltanto dei poveri bambini, ma che la lorofelicità infantile è la più dolce di tutte. Essidiverranno timidi, ci seguiranno con gli occhi e si stringeranno intorno a noi, come pulcini alla
chioccia. […] Sì, noi li costringeremo a lavorare,
ma nelle ore di riposo noi organizzeremo la lorovita come un gioco di bimbi, con canzoncine, cori,danze innocenti. Oh, noi permetteremo persino che essi commettano peccato sono creature così deboli e fragili– ed essi ci ameranno come bambini per il fatto che noi permetteremo loro di peccare. Noi diremo loro che qualsiasi peccato sarà espiato a patto che venga compiuto con il nostro permesso…E non avranno nessun segreto per noi. […] Anche isegreti più tormentosi della loro coscienza, tutto essi ci riferiranno e noi troveremo una soluzione per tutto e loro confideranno nella nostra soluzione con gioia, poiché essa libererà loro dal grande assillo e dalle tremende pene che adesso patiscono per giungere ad una decisione libera, personale.”
Fedor Michajlovic Dostoevskij, Il grande inquisitore



"Ma i bambini? Che ne faremo allora dei bambini? Ecco un problema che non riesco a risolvere. Lo ripeto per la centesima volta: di problemi ce ne sono molti, ma ho preso solo quello dei bambini, perché qui è innegabilmente chiaro quanto voglio dire. Ascolta: se tutti devono soffrire per comprare con le loro sofferenze un’armonia che duri eternamente, cosa c’entrano però i bambini, dimmi? Non si capisce assolutamente perché debbano soffrire anche loro, e perché debbano pagare quest’armonia con le loro sofferenze! Per quale ragione anche i bambini servono da materiale e da concime per preparare un’armonia futura in favore di chi sa chi? La solidarietà fra gli uomini nel peccato io la capisco, e capisco anche la solidarietà nell’espiazione; ma i bambini non hanno niente a che fare con la solidarietà nel peccato, e se la verità è davvero questa, che, cioè, anche loro sono solidali coi padri in tutte le colpe commesse dai padri, allora non è una verità di questo mondo e io non la capisco. Qualche bello spirito, magari, dirà che tanto anche il bambino crescerà e avrà il tempo di peccare; ma lui, quel bambino di otto anni sbranato dai cani, non era ancora cresciuto! No, Alëša, non bestemmio! Io capisco bene come si scuoterà l’universo intero quando tutte le voci, in cielo e sotto terra, si fonderanno in un unico inno di lode, e tutto ciò che vive o ha vissuto griderà: «Tu sei giusto, o Signore, giacché le Tue vie ci sono rivelate!». Certo, quando la madre abbraccerà l’aguzzino che le ha straziato il figlio, e tutti e tre esclameranno fra le lacrime: «Tu. sei giusto, o Signore», quel momento sarà davvero l’apoteosi di ogni conoscenza, e allora tutto sarà spiegato. Ma proprio qui sta il busillis, è proprio questo che non posso accettare! E finché sono sulla terra, mi affretto a prendere le mie misure".
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Il Grande Inquisitore, Parte seconda, libro quinto.




«Davanti a chi inchinarsi?» 
Non c’è preoccupazione più continua e più tormentosa per l’uomo, quando è rimasto libero, che quella di trovare al più presto qualcuno davanti a cui inchinarsi. Ma l’uomo vuole inchinarsi davanti a qualcosa che sia ormai fuori discussione, talmente fuori discussione, che tutti quanti gli uomini acconsentano a inchinarsi, tutti senza eccezione. Perché la preoccupazione di queste misere creature non è soltanto quella di cercare qualcosa davanti a cui si possa inchinare l’uno o l’altro di loro, ma è appunto quella di trovare qualcosa in cui tutti credano e davanti a cui tutti si inchinino, tutti quanti insieme. Proprio questo bisogno di comunione nell’atto di adorare è il più grande tormento di ogni uomo singolo e dell’umanità intera, fin dal principio dei secoli […]. 
Il segreto dell’esistenza non consiste solo nel vivere, ma nel sapere per che cosa vivere.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov


Scegliendo i "pani", tu avresti dato una risposta all'ansia comune e eterna dell’umanità, sia di ciascun singolo individuo, sia dell’intera compagine umana, l’ansia che si riassume nella domanda: "chi venerare?". La preoccupazione più assillante e tormentosa per l’uomo, fintanto che rimane libero, è quella di trovare al più presto qualcuno da venerare. Ma l'uomo vuole venerare qualcosa di inconfutabile, tanto inconfutabile che tutti gli uomini acconsentano immediatamente a venerarlo insieme. Giacché la preoccupazione di questi poveri esseri consiste non solo nel trovare qualcosa che uno o l’altro possano venerare, ma trovare quel qualcosa in cui tutti credano e che tutti venerino; la condizione essenziale è che si sia assolutamente tutti insieme. Ecco, questa esigenza di comunione nella venerazione è il principale tormento di ogni uomo, preso singolarmente, come dell'intera umanità, dall'inizio dei secoli. Per questa comune venerazione essi si sono trucidati fra loro a colpi di spada. Essi hanno creato dei e si sono sfidati l'un l'altro: 'Gettate via i vostri dei e venite a venerare i nostri, altrimenti sarà la morte per voi e per i vostri dei!' E così sarà fino alla fine del mondo, persino quando anche gli dei saranno scomparsi dalla faccia della terra: allora cadranno in ginocchio davanti agli idoli.Tu lo sapevi, non potevi non conoscere questo fondamentale segreto della natura umana, eppure rifiutasti l'unico infallibile vessillo che ti veniva offerto per costringere l'umanità a venerarti incondizionatamente - il vessillo del pane terreno - e lo rifiutasti in nome della libertà e del pane celeste. Guarda che cos'altro hai fatto tu. E tutto sempre in nome della libertà! Ti dico che. Ma solo colui che acquieta la coscienza degli uomini può dominare la loro libertà. Con il pane ti veniva dato un vessillo inconfutabile: dagli il pane e l'uomo si inchina, giacché non v'è nulla di più inconfutabile del pane, ma se qualcun altro al di fuori di te s'impadronisce della sua coscienza - oh, allora egli sarà persino capace di gettare via il tuo pane e di seguire colui che seduce la sua coscienza. In questo avevi ragione. Giacché il segreto dell'esistenza umana non è vivere per vivere, ma avere qualcosa per cui vivere.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Il Grande Inquisitore


Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull'autorità.
E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono così terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti. Avevamo noi ragione d’insegnare e di agire così? Parla! Forse che non amavamo l’umanità, riconoscendone così umilmente l’impotenza, alleggerendo con amore il suo fardello e concedendo alla sua debole natura magari anche di peccare, ma però col nostro consenso? Perché mi guardi in silenzio coi tuoi miti occhi penetranti? Va’ in collera, io non voglio il Tuo amore, perché io stesso non Ti amo. E che cosa dovrei nasconderti? Non so forse con chi parlo? Tutto ciò che ho da dirti, già Ti è noto, lo leggo nei Tuoi occhi. E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui, ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo più con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell'ultimo dono ch'egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Il Grande Inquisitore


I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij.
«Un solo filo d'erba, un solo scarabeo, una sola formica, un'ape dai riflessi d'oro... testimoniano d'istinto il mistero divino>>. I fratelli Karamazov (Братья Карамазовы) è l'ultimo romanzo scritto da Fëdor Michajlovič Dostoevskij, spesso ritenuto il vertice della sua produzione letteraria. Pubblicato a puntate su "il Messaggero russo" a partire dal gennaio 1879, lo scrittore riuscì a completare l'ultimo capitolo solo pochi mesi prima di morire. LA TRAMA DEL ROMANZO SI SVILUPPA ATTORNO ALLE VICENDE DEI MEMBRI DELLA FAMIGLIA KARAMAZOV, AL CONTESTO IN CUI MATURA L'ASSASSINIO DI FËDOR, IL CAPOFAMIGLIA E AL CONSEGUENTE PROCESSO NEI CONFRONTI DI DMITRIJ, IL FIGLIO PRIMOGENITO ACCUSATO DI PARRICIDIO; AD UN LIVELLO PIÙ PROFONDO È IL DRAMMA SPIRITUALE SCATURITO DAL CONFLITTO MORALE TRA FEDE, DUBBIO, RAGIONE E LIBERO ARBITRIO.
Secondo l'originale progetto dell'autore, la storia dei fratelli Karamazov doveva essere la prima parte di una complessa e vasta biografia di Aleksej (Alëša), uno dei fratelli.
L'OPERA, DOPO CINQUE ANNI, DUE DI STUDIO E TRE DI LAVORO, RIMASE QUINDI INCOMPIUTA. Il primo progetto "L'Ateo" risaliva alla fase precedente agli studi e l'idea di personaggio era più simile a quella del padre che di Ivan. Il libro è considerato uno dei più importanti dell'800 e di ogni tempo.
« ...CIASCUNO DI NOI È COLPEVOLE DI TUTTO E PER TUTTI SULLA TERRA, questo è indubbio, non solo a causa della colpa comune originaria, ma ciascuno individualmente per tutti gli uomini e per ogni uomo sulla Terra »
Nei primi capitoli l'autore presenta i personaggi, iniziando dal VECCHIO PADRE FËDOR PAVLOVIČ, PROPRIETARIO TERRIERO IN UN DISTRETTO DI PROVINCIA, UOMO VOLGARE E DISSOLUTO, CAPACE SOLTANTO DI VOLGERE A SUO VANTAGGIO GLI AVVENIMENTI.
Questi si era sposato dapprima con Adelaida Ivanovna Mjusova, una fanciulla di temperamento romantico che aveva accettato di diventare sua moglie per potersi liberare da un ambiente familiare dispotico, non per vero amore. Ella in seguito aveva abbandonato il marito e il figlioletto Dmitrij, che viene allevato in casa dal servo Grigorij (solo in seguito se ne interessano alcuni parenti), sviluppando sentimenti contrastanti nei confronti dei genitori.
DA UN SECONDO MATRIMONIO DI FËDOR, CON SOFIA IVANOVNA (SOPRANNOMINATA L'"URLONA"), sono nati Ivàn e Aleksej. LA DONNA, DOLCE E BELLA, SOFFRE PER IL COMPORTAMENTO ROZZO E INSENSIBILE DEL MARITO, FINO AD AMMALARSI E MORIRE PRECOCEMENTE.
IVÀN CRESCE CHIUSO IN SÉ STESSO, INTELLIGENTE, SCETTICO SEPPUR ASSETATO DI FEDE. ALEKSEJ È DIVERSO DAL FRATELLO: DI CARATTERE LEALE, EGLI CERCA LA VERITÀ NELLA FEDE, PER LA QUALE È DISPOSTO A SACRIFICARE OGNI COSA, ED ENTRA IN UN MONASTERO PER SFUGGIRE ALLA MALIZIA UMANA.
« ...Aleksej aveva scelto la vita contraria a quella di tutti gli altri, ma con lo stesso ardente desiderio di compiere un atto eroico immediato. Non appena, dopo serie meditazioni, fu persuaso dell'immortalità e dell'esistenza di Dio, disse naturalmente a sé stesso: "Voglio vivere per l'immortalità e non accetto nessun compromesso intermedio"... Ora sembrava persino strano ad Alëša continuare la vita di prima. »
Il fratello maggiore Dmitrij, che odia il padre per varie ragioni, a partire dagli interessi materiali, è il primo a confessarsi con Aleksej.
Dmitrij ha conosciuto, quando era nell'esercito, Katerina Ivanovna, una ragazza molto bella che ha bisogno di un prestito per aiutare suo padre. Dmitrij la invita a casa sua pensando di ricattarla, ma quando si trova alla presenza della giovane, le consegna la somma e la congeda. Dopo poco tempo, Katerina restituisce la somma e confessa a Dmijtri il suo amore. I due si fidanzano, ma poco tempo dopo Dmijtri si innamora, di un amore tutto passionale, di Grušenka, donna bellissima ma piena di rancore verso tutti gli uomini che le hanno fatto del male. In questo suo torbido amore Dimijtri incontra un rivale proprio in suo padre, il vecchio Fëdor, che sostiene di voler sposare Grušenka. Intanto Katerina Ivanovna è attratta da Ivàn, che la ricambia.
Un terribile scontro verbale esplode tra Dmitrij e il padre nel monastero dello starec Zosima, (uno Jurodivye), dove è stato organizzato un incontro chiarificatore alla presenza di tutti i fratelli, del padre e dello stesso starec, a cui Aleksej era devoto. Improvvisamente lo starec Zosima si alza e si prostra dinanzi a Dmitrij; in seguito rivelerà ad Aleksej di averlo fatto perché aveva compreso che il giovane avrebbe dovuto affrontare un grande sacrificio.
Alëša conosce Iljuša, il figlio d'un vecchio capitano che Dmitrij ha profondamente offeso e che è molto abbattuto per l'umiliazione subita dal genitore. Iljuša, malato e dall'animo generoso e fiero, commuove Alëša, che ha pietà del piccolo e vorrebbe che l'offesa recata dal fratello venisse perdonata. Alëša conosce anche Lisa, che si innamora di lui e glielo svela con una lettera. Il giovane novizio, sorpreso, si lascia andare alle nuove sensazioni.
Un giorno Ivàn, a pranzo in una trattoria, si confida con Alëša che lo ha raggiunto per discorrere insieme: nascono le pagine più tormentate del romanzo, che riflettono le idee di Dostoevskij sulla natura umana e sul destino degli uomini. Ivan non accetta l'ingiustizia della sofferenza degli innocenti, dei bambini in particolare: restituisce "il biglietto d'ingresso" a un Dio che permette le sofferenze anche di un solo bambino. Alle domande sull'esistenza di Dio, sul senso del dolore e sull'essenza della libertà, Ivàn propone al fratello la trama di un suo poemetto (mai scritto, solo immaginato), in cui appaiono le linee d'una definizione di quei difficili problemi. A ciò è dedicato il capitolo de "Il Grande Inquisitore", considerato una delle massime vette del romanzo.
Gli eventi maturano e Ivàn, che si è costruito una sua personale filosofia sul destino dei Karamàzov, e che crede nella teoria secondo cui "tutto è permesso", irretisce con le sue idee Smerdjakov, figlio naturale di Fëdor tenuto in casa come un servo, che in certo modo è indotto a condividere l'avversione per il padre.
Dmitrij, che sa che il padre vuole sposare Grušenka e vorrebbe fuggire lontano con lei, prima di realizzare il suo progetto vuole restituire a Katerina Ivanovna una somma di tremila rubli, ma non sa dove trovare il denaro. Non esita a rivolgersi a molte persone che lo respingono e lo gettano nella disperazione. Si arma quindi di un pestello di bronzo e corre alla casa del padre, deciso ad ucciderlo se lo scoprisse insieme a Grušenka. Attraverso la finestra illuminata, però, vede il padre da solo, si allontana stravolto e colpisce con il pestello il servitore, Grigorij, che aveva cercato di fermarlo. Dmitrij corre da Grušenka, ma viene a sapere che la donna è partita per Mokroje insieme ad un altro uomo. Dmitrij pensa che sia meglio uccidersi: con i soldi che avrebbe dovuto restituire a Katerina compra liquori e dolci, poi si fa condurre in carrozza a Mokroje, dove intende trascorrere la notte nei bagordi per poi uccidersi. Ma a Mokroje trova Grušenka insieme ad un vecchio amante, che vuole solo sottrarre alla giovane del denaro. Dmitrij riesce a smascherare il vecchio e trascorre la notte con Grušenka, bevendo al suono della musica zigana.
All'alba, però, la polizia fa irruzione nella camera e arresta Dmitrij con l'accusa di omicidio. Infatti, il vecchio padre Fëdor è stato ucciso, e si sospetta proprio di Dmitrij. Nessuno, tranne Ivàn, sospetta di Smerdjakov, che è il vero colpevole.
Da questo momento il racconto si impernia sul processo a cui è sottoposto Dmitrij e sull'analisi psicologica dei vari personaggi colpiti dal dramma. A predominare è il tormento interiore di Ivàn che, attraverso lunghi e snervanti soliloqui (culminanti nella visione allucinatoria del diavolo, seppur in suadenti modi affabili e in abiti borghesi), si convince delle proprie gravi responsabilità ideologiche. A Smerdjakov, che gli svela di essere l'assassino e gli mostra i denari sottratti a Fëdor, Ivàn manifesta con violenza tutta la perplessità legata alla concretizzazione materiale di una sua idea: l'animo già molto fragile di Smerdjakov ne resta colpito e l'uomo si uccide. Ivàn al processo, descritto con minuzia in un variare continuo di prospettive, confessa la verità, ma non viene creduto: Dmitrij viene condannato ai lavori forzati. Dmitrij sente però, ancor prima della condanna, incominciare a maturare in sé un "uomo nuovo", che può "risorgere" anche attraverso la punizione, perché "tutti sono colpevoli per tutti", e può così accettare il suo destino anche se non ha ucciso suo padre:
« E allora noi, uomini del sottosuolo, intoneremo dalle viscere della terra un tragico inno a Dio che dà la gioia! »
Nell'epilogo viene descritta una situazione dai contorni sfumati, in cui l'autore lascia intravedere una speranza. Ivàn, in preda ad un grave attacco di febbre cerebrale, si trova a casa di Katerina Ivanovna; avendo previsto la malattia, egli ha predisposto per iscritto un piano di fuga per Dmitrij, da mettere in atto nel momento in cui trasferiranno il condannato in Siberia. Katerina ha un commovente incontro con Dmitrij in cui si giustifica per aver testimoniato contro di lui, pur non credendo nella sua colpevolezza. Intanto Grušenka, ora fortemente innamorata di Dmitrij, è pronta a seguirlo ovunque.
L'ultimo capitolo racconta i funerali del povero Iljuša, in un piccolo dramma di ragazzi che riflette il torbido dramma degli adulti, e che mostra ad Aleksej la prospettiva di fede in una vita futura che superi le tragedie del passato. Il padre Snegirëv, tramortito dal dolore, porta alla sepoltura una crosta di pane da sbriciolare sulla fossa, per esaudire il desiderio del figlio moribondo, che lo aveva chiesto "... perché i passeri ci volino sopra: sentirò che sono venuti e sarò contento di non essere da solo".
« "Karamàzov!" gridò Kòlja. "È vero quello che dice la religione che resusciteremo dai morti e tornati in vita ci vedremo di nuovo tutti, anche Iljùšečka?"
"Resusciteremo senz'altro, e ci vedremo e ci racconteremo l'un l'altro allegramente e gioiosamente tutto quello che è stato" rispose Alëša a metà tra il riso e l'entusiasmo »
Riferendosi a I fratelli Karamazov, Lev Tolstoj affermò: «Non sono riuscito ad arrivare fino in fondo». Ma nel 1910, poco prima di morire, tornò a leggere questo romanzo. A tal proposito, Victor Lebrun scrisse che l'«incubo di essere minacciato con la violenza per ottenere da lui il testamento e per simulare il suo ritorno alla fede ortodossa, ossessionava a tal punto il vecchio, che egli sentì in quei giorni il desiderio di rileggere I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Nella notte fra il 27 e il 28 ottobre questo libro restò spalancato nel punto in cui il figlio si abbandona a vie di fatto contro suo padre. Il libro restò così aperto per sempre sulla tavola di Tolstoj». Quella stessa notte Tolstoj fuggì di casa e l'indomani inviò dal monastero di Optina una lettera, destinata alla figlia Aleksandra, in cui chiedeva di avere, oltre ai Saggi di Montaigne e Una vita di Maupassant, anche I fratelli Karamazov". 








Rosanna Pizzo a 
Il biopotere di foucaultiana memoria e l'assoggettamento dei corpi.



La leggenda del Grande Inquisitore Dostoevskij.
Uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi, Umberto Orsini recita la leggenda del Grande Inquisitore, uno dei testi più memorabili della letteratura mondiale.
Autore: Fedor Dostoevskij. Libro: I fratelli Karamazov

https://youtu.be/GOkPY_y_rck
















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