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sabato 27 ottobre 2012

Arthur Rimbaud. La credenza. E’ un’ampia credenza scolpita; il legno scuro di quercia, assai vecchio, ha preso l’aspetto bonario dei vegliardi. La credenza è aperta, e versa nella sua ombra, come un fiotto di vino vecchio, aromi promettenti.

Io è un altro
Arthur Rimbaud


A me. La storia di una delle mie follie.
Da molto tempo mi vantavo di possedere tutti i paesaggi possibili
e trovavo irrisorie le celebrità della pittura e della poesia moderna.
Mi piacevano i dipinti idioti, sovrapporte, scenari, tele di saltimbanchi, insegne, miniature popolari,
la letteratura fuori moda, il latino di chiesa, i libri erotici senza ortografia, i romanzi dei nostri nonni, i racconti di fate, i libretti per bambini, le vecchie opere, i ritornelli semplici, i ritmi ingenui.
Sognavo crociate, spedizioni di cui non si hanno documenti, repubbliche senza storia,
guerre di religione soffocate, rivoluzioni di costumi, spostamenti di razze e di continenti:
credevo a tutti gli incantesimi.
Inventai i colori delle vocali! – A nera, E bianca, I rossa, O blu, U verde. –
Regolai la forma e il movimento di ogni consonante, e, con ritmi istintivi,
mi illusi d’inventare un linguaggio poetico accessibile, un giorno o l’altro, a tutti i sensi.
Tenevo in serbo la traduzione. Fu dapprima uno studio.
Scrivevo dei silenzi, delle notti, annotavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini.
Arthur Rimbaud (20 0ttobre 1854)



“La stella è pianto rosa al cuore delle tue orecchie,
l’infinito è rotolato bianco dalla tua nuca ai reni
il mare ha imperlato di rosso le tue vermiglie mammelle
e l’Uomo ha sanguinato nero al tuo sovrano fianco.”
Arthur Rimbaud


“Ho teso corde da campanile a campanile,
ghirlande da finestra a finestra
catene d’oro da stella a stella, e danzo.”
Arthur Rimbaud




“Scrivevo silenzi, notti,
notavo l’inesprimibile, fissavo vertigini.”
Arthur Rimbaud



“La donna sarà anch’essa poeta quando cesserà la sua schiavitù senza fine,
quando avrà riconquistato per sé la propria esistenza
(nel momento in cui l’uomo,
che è stato fino ad allora ignobile nei suoi riguardi,
la lascerà libera).”
Arthur Rimbaud




“La vita è una farsa dove tutti abbiamo una parte.”
Arthur Rimbaud



“Credo di essere all’inferno, tuttavia sono qui.”
Arthur Rimbaud



“La bellezza mi si era seduta sulle ginocchia,
e stava per abbracciarmi,
quando io l’ho schiaffeggiata e l’ho mandata via.”
Arthur Rimbaud





Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente.
Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga,
immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi.
Arthur Rimbaud

(...) Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente.
Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi.
Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di pazzia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto, - e il sommo Sapiente! - Egli giunge infatti all'ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli giunge all'ignoto, e quand'anche, smarrito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrà pur viste! Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti sui quali l'altro si è abbattuto!
Lettera del veggente, Arthur Rimbaud, a Paul Demeny
Charleville, 15 maggio 1871.


«[Il poeta deve sperimentare] tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il sommo Sapiente! – Poiché giunge all’ignoto! Avendo coltivato la sua anima, già ricca, più di ogni altro! Egli giunge all’ignoto, e anche se, sconvolto, dovesse finire per perdere l’intelligenza delle sue visioni, le avrebbe pur sempre viste! Crepi pure nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti su cui l’altro si è accasciato! […] Dunque il poeta è veramente un ladro di fuoco. Ha a suo carico l’umanità, perfino gli animali; dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se ciò che riporta da laggiù ha forma, egli dà forma; se è informe, darà l’informe. Trovare una lingua; – Del resto, ogni parola essendo idea, il tempo di un linguaggio universale verrà! Bisogna essere un accademico, – più morto di un fossile, –per rifinire un dizionario, di qualunque lingua sia. I deboli che si mettessero a pensare sulla prima lettera dell’alfabeto, potrebbero rovinare subito nella pazzia! – Questa lingua sarà dell’anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e che tira. Il poeta definirebbe la quantità d’ignoto che si risveglia nell’anima universale del suo tempo: egli darebbe di più – della formula del suo pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormità che diventa norma, assorbita da tutti, egli sarebbe veramente un moltiplicatore di progresso».
Arthur Rimbaud, Lettera del veggente ( a un giovane poeta amico di Izambard, Paul Demeny


E’ un’ampia credenza scolpita; il legno scuro di quercia, assai vecchio, ha preso l’aspetto bonario dei vegliardi. La credenza è aperta, e versa nella sua ombra, come un fiotto di vino vecchio, aromi promettenti. Piena zeppa, è un garbuglio d’antiche anticaglie, di lini odorosi e ingialliti, di cenci di donne e bambini, di merletti sciupati, di scialli da nonna con su dipinti dei grifoni. Là potremmo trovare i medaglioni, le ciocche di capelli bianchi o biondi, i ritratti, i fiori secchi il cui profumo si mescola al profumo dei frutti. O credenza dei tempi andati, tu conosci tante storie, e vorresti raccontare i tuoi racconti, ed emetti un fruscio quando lentamente si aprono le tue grandi porte nere.
Arthur Rimbaud. La credenza


Capisci che una persona non ti ama più quando non ti chiede come stai,
quando ritarda, quando ti dimentica, quando non ha più tempo.
Capisci che è finita quando lo spazio che aveva delineato per te va restringendosi,
capisci che non va quando dimentica che la pioggia ti rende triste,
quando lo dimentica e non corre da te per stringerti, per farti sentire meno sola.
Capisci che non ti ama più quando non cura le tue ferite,
quando lascia a casa l’antidoto, quando ride con gli altri e non con te.
I dettagli, sono i dettagli a fregarci. L’amore è un dettaglio.
Non è una questione di pienezza, di totalità,
è invece una questione di gesti, di sguardi.
Se mancano, manca l’amore.
Se mancano è meglio lasciar perdere.
Arthur Rimbaud, Capisci che una persona.


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