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giovedì 1 marzo 2012

Protagora. Il bravo insegnante è una giusta sintesi di disposizione naturale e di esercizio costante

Il bravo insegnante è una giusta sintesi di disposizione naturale e di esercizio costante
Protagora



Di tutte le cose misura è l'uomo: di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono.
Protagora


Giusto sarà ciò che appare tale alla maggioranza, ciò che giova ed ottiene il consenso più ampio possibile.
Protagora


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In ogni caso Protagora doveva essere carissimo: un suo allievo, tale Evatlo, scandalizzato per i mille denari che gli chiese a fine corso, cercò di non pagarlo, con la scusa che il compenso pattuito era subordinato al primo successo che avrebbe avuto in tribunale. Protagora non si scompose minimamente e disse: «Caro Evatlo, tu non hai scampo, giacché io ti cito subito in giudizio: se i magistrati ti daranno torto, mi dovrai pagare perché hai perso, se invece ti daranno ragione, mi dovrai pagare perché hai vinto».




“Rimetto a Protagora la scelta di ciò che più gli piace. Però, se acconsente, smettiamola di discutere sui carmi e sui poemi. Mi pare, infatti, che le discussioni che si fanno sulla poesia siano del tutto simili a quei banchetti che fanno gli uomini volgari e di bassa levatura. Questi, infatti, essendo incapaci di trarre da se stessi materia di conversazione per il banchetto e di esprimerla con voce e discorsi propri, per mancanza di formazione spirituale, fanno rincarare le suonatrici di flauto, abbondantemente pagando una voce estranea, cioè la voce di flauti, e con la voce di flauti si intrattengono tra di loro. Invece, dove ci sono commensali dotati di personale virtù e di formazione spirituale, non ti accadrà di vedere né suonatrici di flauto, né danzatrici né citaredi. Costoro si intrattengono a conversare l'uno con l'altro con la propria voce, perché bastano per se medesimi, senza avere bisogno di queste scempiaggini e di questi trastulli, e parlano e ascoltano un po' per ciascuno ordinatamente, anche se libano in abbondanza. Così, anche queste nostre riunioni, se veramente accolgono uomini quali i più di noi dicono di essere, non hanno bisogno della voce di altri e neppure di quella dei poeti, che non è possibile interrogare su ciò che dicono. E i più, quando discutono di questioni che non sono in grado di risolvere, chiamando i poeti a testimonianza nei loro discorsi, fanno loro dire chi una cosa chi un'altra. Invece gli uomini per bene lasciano stare le conversazioni di questo genere, e si intrattengono tra loro con argomenti loro propri, saggiandosi l'un l'altro nei discorsi.” 
Platone, “Protagora”, 347b-348a




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