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martedì 6 marzo 2012

Don Lorenzo Milani. Se si perdono i ragazzi difficili, la scuola non è scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge i malati

ll problema degli altri è uguale al mio.
Uscirne da soli è l’egoismo.
Uscirne insieme è la politica.
don Lorenzo Milani



Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici


Voler bene al povero, proporsi di metterlo al posto che gli spetta, significa non solo crescergli i soldi , ma soprattutto crescergli il senso della propria superiorità, mettergli in cuore l’orrore di tutto ciò che è borghese, fargli capire che soltanto facendo tutto il contrario dei borghesi potrà passar loro innanzi ed eliminarli dalla scena politica e sociale.
don Lorenzo Milani


Dio lo sa che ho amato più voi che Lui...[...]
Ragazzi mi date molto di più di quello che ho dato a voi.
Quanto è bella l’amicizia, specialmente in situazioni simili. [...]
Chi non si abbandona alla morte
vuol dire che prima non si è abbandonato alla vita, alle passioni e all’amore. [...]
Mi sono fatto cristiano e prete solo per spogliarmi di ogni privilegio;
ora mi sento l’ultimo anch’io.
don Lorenzo Milani (Prima di morire ai ragazzi di Barbiana)





“Fate scuola, fate scuola. Ma non come me, fatela come vi richiederanno le circostanze. Guai se vi diranno: il priore avrebbe fatto in un altro modo. Non date retta, fateli star zitti, voi dovrete agire come vi suggerirà l’ambiente e l’epoca in cui vivrete. Essere fedeli a un morto è la peggiore infedeltà”.
Don Milani ai suoi ragazzi




"Mi piace ricordare  Don Milani e i ragazzi della Scuola Barbiana
Lorenzo Milani è stato un prete e un maestro. Uomo di grande bontà, ha dedicato la sua vita ad aiutare il prossimo. In particolar modo, si è distinto per il suo impegno civile a sostegno dei poveri e per il suo ruolo di educatore con i ragazzi. A partire dagli anni '50, fu trasferito a Barbiana, dove si dedicò totalmente alla scuola. Il contesto in cui si trovò Don Lorenzo era un ambiente molto difficile, i cui giovani vivevano situazioni complicate in famiglia ed erano segnati da una povertà che avrebbe loro sbarrato la strada ovunque. La scuola che propose a quegli studenti e gli insegnamenti che diede loro, furono molto severi ma fornirono delle ottime basi per affrontare la vita. Lì scrisse con i suoi ragazzi, il libro che ha dato una sferzata alla scuola italiana.
Lettera a una professoressa. L'amarezza di una generazione
"Lettera a una professoressa"
L'idea della lettera venne da un episodio in particolare. Due ragazzi della Scuola Barbiana si recarono a Firenze per le magistrali. Qui furono umiliati e bocciati. L'episodio spinse Don Lorenzo Milani a scrivere subito una lettera ai professori, colpevoli di aver agito tanto brutalmente. Quello fu l'input che spinse il prete a mettere su carta critiche e consigli per la Scuola italiana.
Tema centrale del testo è la disuguaglianza, condizione che secondo Don Milani è acuita dalla scuola italiana, che innalza i bravi e ricchi lasciandosi alle spalle i meno abbienti e meno studiosi. Egli accusava la scuola, poiché credeva che essa tendesse a bocciare i bambini in difficoltà, invece di aiutarli e sostenerli.. Un sistema che non ha interesse a insegnare ai giovani, ma che desidera solo ingurgitare tasse.
Lettera a una professoressa è stata una delle premesse al '68 italiano e alle sue lotte per il cambiamento del sistema scolastico".



I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l’anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quel orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.
Don Lorenzo Milani. "Lettera ai Giudici"

Ammonimento di Lorenzo Milani:
Se si perdono i ragazzi difficili, la scuola non è scuola:
è un ospedale che cura i sani e respinge i malati




non mi piace la frase che circola anche fra i professori "se non ha voglia di studiare è inutile insistere" Non è vera


L'indifferenza alla cosa pubblica è quella che permette ai malvagi di governare il mondo.
Don Lorenzo Milani

"Gli atti coerenti sono i più vicini al cuore, ma un atto coerente isolato è la più grande incoerenza."
don Lorenzo Milani


"Fu Don Milani ad adottare il motto “I care” letteralmente “Mi importa, ho a cuore" (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista). Questa frase scritta su un cartello all'ingresso della scuola di Barbiana, riassumeva le finalità di “cura educativa” di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale. La “cura educativa” si concretizza in una pratica di cura che consiste nel promuovere una forma di sollecitudine per l’altro attenta e rispettosa che si propone come offerta di esperienze potenzialmente capaci di nutrire e sostenere il desiderio di esistere, di “esserci”, di impegnarsi nel costruire orizzonti di senso".
Rosalba Miceli. I fondamenti della relazione di aiuto

Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.
don Lorenzo Milani

Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste: Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
Don Lorenzo Milani

A chi gli chiedeva come aveva fatto per avere tanti frequentatori delle sue scuole di campagna, Don Lorenzo Milani rispondeva : «Non mi chiedete come bisogna fare, ma come bisogna essere, per avere successo.»"

Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l'unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perchè il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio signore crocifisso.
don Lorenzo Milani


E' solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. 
Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli.
don Lorenzo Milani. da "LETTERA AD UNA PROFESSORESSA", scuola di Barbiana


CARA SIGNORA (Lettera ad una professoressa di Don Milani)
Lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti
Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che "respingete". Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva. Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non essere visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti ad un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla. Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è per viltà né eroismo. È solo per mancanza di prepotenza. Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: "non si dice lalla, si dice aradio".Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. "Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua". 
L’ha detto la Costituzione pensando a lui.


[...] non posso rimuovere del tutto un cattivo pensiero, che la situazione in cui versa la scuola italiana sia stata voluta da quelle classi sociali che temevano che la scuola diventasse un potente fattore di rinnovamento sociale, che avrebbe consentito ad ogni cambio generazionale un rinnovamento profondo delle classi dirigenti. Non è detto che gli intelligenti nascano sempre tra le medesime classi sociali: “Dio non fa questo scherzo ai poveri”.
Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa



Nel 1953 nel 1° giorno di scuola popolare, Don Lorenzo Milani, tolse il crocifisso dalla parete della sala parrocchiale dove si teneva la lezione perché non doveva esserci neppure un simbolo che facesse pensare che quella fosse una scuola confessionale, spiegando: "se uno mi vede eliminare un crocifisso non mi darà dell'eretico, ma si porrà piuttosto la domanda affettuosa del come questo atto debba essere cattolicissimamente interpretato perché da un cattolico è posto".




lo hanno trasferito a Barbiana e là non c'era nulla di nulla quattro case di analfabeti e null'altro





Don Milani ci ha insegnato molto bene che, in una società ingiusta, non tutti abbiamo le stesse opportunità. Non si sceglie dove nascere, così, scegliere di poter studiare e fino a quando non è possibile per tutti. Quando questo è possibile, al termine degli studi, arriva il momento di cercare quel lavoro che ti piace tanto, ma... c'è una selezione primaria, dovuta al familismo e al clientelismo, che non rendono la cosa giusta e facile. [...]
Per arricchire il proprio vocabolario c'è bisogno di studiare. In un ambiente colto si è più stimolati.
Don Milani dice proprio questo. Un concetto ribadito da tutti i pedagogisti. Io, fra l'altro, avendo studiato pedagogia e psicologia dell'età evolutiva, avendo preso l'abilitazione, dopo un tirocinio svolto in una scuola materna di un quartiere molto popolare di Firenze, avendo lavorato per 35 anni nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, conosco molto bene cosa significa la diseguaglianza sociale nel rendimento scolastico degli alunni.


NON C'È NULLA CHE SIA PIÙ INGIUSTO QUANTO FAR PARTI UGUALI FRA DISUGUALI
(da Lettera a una professoressa)





Francesco Milanaccio:
CAMBIARE I PARADIGMI DELL'EDUCAZIONE. KEN ROBINSON PARLA DEL PENSIERO DIVERGENTE E DELLA NECESSITÀ DI RIPENSARE IL SISTEMA SCOLASTICO
http://www.youtube.com/watch?v=SVeNeN4MoNU&feature=youtu.be



http://youtu.be/MCqmi-wQXoI







Inclusione è... dimenticare le etichette. 
Quanta fatica, a volte, per farlo capire a colleghi e genitori.



I fondamenti della relazione di aiuto


ROSALBA MICELI
Fu Don Milani ad adottare il motto “I care” letteralmente “Mi importa, ho a cuore" (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista). Questa frase scritta su un cartello all'ingresso della scuola di Barbiana, riassumeva le finalità di “cura educativa” di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale. La “cura educativa” si concretizza in una pratica di cura che consiste nel promuovere una forma di sollecitudine per l’altro attenta e rispettosa che si propone come offerta di esperienze potenzialmente capaci di nutrire e sostenere il desiderio di esistere, di “esserci”, di impegnarsi nel costruire orizzonti di senso.

Si deve allo psicologo statunitense Carl Rogers, pioniere nello studio dell'empatia, una delle prime formulazioni della relazione di aiuto “come una situazione in cui uno dei due partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue le parti, una valorizzazione delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione”. “Prendersi cura” (caring) del prossimo presuppone la relazionalità coinvolgendo i sentimenti, la partecipazione emotiva alle difficoltà e sofferenze altrui (empatia), la compassione. In accordo a Martin Hoffmann, la “sofferenza empatica” costituisce la motivazione primaria che spinge all’azione non consentendo di sottrarsi dalle responsabilità e quasi “obbliga” ad intervenire concretamente in aiuto. 


Particolarmente complesso appare il processo della “sovrattivazione empatica”, una condizione che si realizza involontariamente se la sofferenza empatica dell’osservatore diviene così intensa da trasformarsi in un vivo sentimento di sofferenza personale; a quel punto l’osservatore può innescare la “deriva egoistica”, spostando l’attenzione dalla persona sofferente a se stesso. Evita la sovrattivazione empatica e la conseguente deriva egoistica chi riesce a regolare il coinvolgimento o è empaticamente “impegnato” (committed) verso l’altro (o gli altri), come avviene nelle relazioni in cui l’empatia, l’affetto o le esigenze di ruolo fanno in modo che una persona si senta quasi obbligata a prestare aiuto. In questi casi è finanche possibile che la sovrattivazione empatica alimenti ed intensifichi l’impegno ad aiutare chi si trovi in difficoltà. Colui che mette in atto una relazione di aiuto deve acquisire dunque la consapevolezza ed il controllo del processo, padroneggiando abilità che giungono a diventare un tutt’uno con se stesso. 

Mi importa, ho a cuore” è anche il motto che anima i “terapeuti naturali”, o meglio, “operatori di aiuto naturali”, terapeuti senza laurea o titoli specifici, ma terapeuti esperti, persone speciali che per qualità personali esaltate da dolorose esperienze personali o familiari, hanno sviluppato solide competenze di aiuto e di lavoro sociale, paragonabili a quelle dei “professionisti dell’aiuto”. Sono persone che si assumono in prima persona la responsabilità della cura, apprendendo continuamente dall’esperienza. Una ricerca qualitativa (condotta con il metodo delle interviste strutturate) promossa dal Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, ha indagato in questo sottobosco di competenze mal riconosciute o riconosciute a denti stretti dai “professionisti della cura” allo scopo di documentarle e legittimarle ed al contempo di verificare l’ipotesi che il comportamento di aiuto nasce da qualità umane (quali empatia, buon senso, umiltà, speranza) prima ancora che da un “sapere” specialistico. Qualità umane che possono costituire una fonte inesauribile di “sapere”, continuamente esercitato dall’esperienza, e talvolta venuto in contatto, e finanche agito in sinergia con quello dei professionisti dell’aiuto. 


Alcuni si riconosceranno nelle storie proposte nel volume “Natural Helpers” (a cura di Fabio Folgheraiter e Patrizia Cappelletti, edizioni Erickson), primo sguardo sulle narrazioni raccolte nel corso della ricerca del Dipartimento di Sociologia: interviste a persone sospese sull’orlo dell’abisso – malattia, depressione, disabilità – e che hanno continuato a sperare, ad amare, ad aver cura di se stesse e degli altri, avanzando su un terreno sconnesso e scivoloso, a piccoli passi, con lo sguardo fisso alla meta, che non è altro che la vita stessa. Individui, che toccando con mano la fragilità e la precarietà della vita, e dando un senso alla sofferenza, imparano non solo l’arte del “rimanere umani”, ma si esercitano ogni giorno nell’arte di divenire, possibilmente, ancora più umani.





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