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sabato 21 gennaio 2012

Rainer Maria Rilke. Importante è ricordare, ancora più importante è dimenticare.

Importante è ricordare, ancora più importante è dimenticare
Rainer Maria Rilke


Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e... cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che non possono esserti date poichè non saresti capace di convivere con esse. E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta.
Rainer Maria Rilke, Sulla pazienza


Bisogna avere pazienza verso le irrisolutezze del cuore e cercare di amare le domande stesse come stanze chiuse a chiave e come libri che sono scritti in una lingua che proprio non sappiamo. Si tratta di vivere ogni cosa. Quando si vivono le domande, forse, piano piano, si finisce, senza accorgersene, col vivere dentro alle risposte celate in un giorno che non sappiamo.



Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate;
accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza;
ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti.
E se anche foste in un carcere, le cui pareti non lasciassero filtrare alcuno dei rumori del mondo fino ai vostri sensi – non avreste ancora sempre la vostra infanzia, questa ricchezza preziosa, regale, questo tesoro dei ricordi?
Rivolgete in quella parte la vostra attenzione.
Tentate di risollevare le sensazioni sommerse in quel vasto passato; la vostra personalità si confermerà, la vostra solitudine s’amplierà e diverrà una dimora avvolta in un lume di crepuscolo, oltre cui passa lontano il rumore degli altri.
Sempre l’augurio che possiate trovare assai pazienza in voi da sopportare e assai semplicità da credere; che possiate acquistare sempre più fiducia in quello ch’è difficile e nella vostra solitudine tra gli altri.

E per il resto lasciatevi accadere la vita.
Credetemi: la vita ...
Rainer Maria Rilke



Quando i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò che in me è disorientato e confuso.
Rainer Maria Rilk


Io temo tanto la parola degli uomini.
Dicono sempre tutto così chiaro:
questo si chiama cane e quello casa,
e qui è l'inizio e là è la fine!

E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,
che sappian tutto ciò che fu e che sarà;
non c'è montagna che li meravigli;
le loro terre e giardini confinano con Dio!

Vorrei ammonirli, fermarli; state lontani!
A Me piace sentire le cose cantare.
Voi le toccate: diventano rigide e mute.
Voi mi uccidete le cose.
Rainer Maria Rilke


Il dolore riconduce nella interiorità la esteriorità della nostra esperienza del mondo. 
Rainer Maria Rilke


«Dobbiamo immaginare la nostra esistenza quanto più vasta possibile; tutto, anche l’inaudito, deve trovarvi spazio. E’ questo in fondo l’unico coraggio che si richiede a noi: essere coraggiosi verso quanto di più strano, prodigioso e inesplicabile ci possa accadere. Che gli uomini in tal senso siano stati vili, ha arrecato alla vita infinito danno; le esperienze che vengono chiamate “apparizioni”, tutto il cosiddetto “mondo degli spiriti”, la morte, tutte queste cose a noi tanto affini, la quotidiana resistenza le ha tanto rimosse dalla vita che i sensi, che le potrebbero afferrare, si sono atrofizzati …
Quanto è più umana quella insicurezza irta di pericoli, che spinge i prigionieri nelle storie di Poe a esplorare a tentoni le forme delle loro atroci carceri e a non essere estranei agli indicibili orrori di quel loro stare. Noi però non siamo prigionieri. Non trappole e lacci sono tesi intorno a noi, e non vi è nulla che ci debba angosciare o tormentare. Siamo posti nella vita come nell’elemento cui più siamo conformi, e inoltre, per millenario adattamento, ci siamo fatti così simili a questa vita che, se rimaniamo quieti, per un felice mimetismo, ci distinguiamo appena da tutto ciò che ci sta intorno».
Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta


Perché vuole escludere dalla sua vita una qualche irrequietezza, una qualche pena, una malinconia, se ignora cosa tali stati d'animo stiano operando in lei?. Se qualcosa nei suoi stati d'animo le appare malato, rifletta che la malattia è il mezzo con cui un organismo caccia l'intruso. Dunque bisogna solo aiutarlo a essere malato, a vivere tutta la malattia e a farla erompere, poiché questo è il suo progresso
Rainer Maria Rilke, Lettera ad un giovane poeta


Desidera la trasformazione. Sii entusiasta della fiamma;
in essa ti si sottrae una cosa che fa sfoggio di trasformazioni;
quello spirito che progetta e che domina il mondo terreno
non ama niente, nello slancio della figura, come il punto di svolta.
Rainer Maria Rilke, Sonetti a Orfeo

«Frenato dinanzi a ogni foglio di carta e a qualsiasi libro come una capra saldamente legata e, consapevole del laccio, mi avviluppo in modo così maldestro che di solito non dispongo neppure di tutta la lunghezza della corda. In questo cerchio, mastico senza voglia libri lasciati e ripresi cento volte, ora a destra ora a sinistra, riconoscendo a stento le singole erbe; perché anche questo ho in comune con la capra, che di quanto un tempo ho mangiato non resta assolutamente nulla di documentabile a cui potersi rifare: diventa per l’appunto capra, e questo non le è di sollievo una volta che comincia ad avvertire la propria goffaggine»
Rainer Maria Rilke, Lou Salomé, Epistolario


O Lou, in una poesia che mi riesce c’è molta più realtà che in ogni relazione o affetto che provodove creo io sono vero e vorrei trovare la forza di fondare la mia vita interamente su questa verità, su questa infinita semplicità e gioia che talvolta mi sono concesse.
Rainer Maria Rilke. Lettere a Lou Salomé



Non dimenticarti mai, Malte, di desiderare qualcosa per te. Al desiderare non si deve rinunciare mai. Credo che non ci sia adempimento, ma ci sono desideri che durano a lungo, per tutta la vita, tanto che l'adempimento si finisce per non attenderlo più.
I Quaderni di Malte, Rainer Maria Rilke


L’ho già detto? Io imparo a vedere. Sì, incomincio. Va ancora male. Ma voglio mettere a profitto il mio tempo. Non mi era mai capitato di accorgermi, per esempio, di quanti volti ci siano. C’è un’infinità di uomini, ma i volti sono ancor più numerosi poiché ciascuno ne ha più d’uno. Vi sono persone che portano un volto per anni, naturalmente si logora, diviene laido, si piega nelle rughe, si sforma come i guanti portati in viaggio. Queste sono persone econome, semplici; non mutano di volto, non lo fanno pulire neppure una volta. Va bene così, sostengono, e chi gli può dimostrare il contrario? Solo, viene da chiedersi: poiché hanno più volti, cosa ne fanno degli altri? Li mettono in serbo. Li porteranno i loro figli. Capita anche, però, che li portino i loro cani. E perché no? Una faccia è una faccia. Altri, si mettono un volto dopo l’altro con rapidità inquietante, e li logorano. A tutta prima sembra loro di averne per sempre; ma sono appena sui quaranta, e già arriva l’ultimo. Questo naturalmente è una tragedia. Non sono abituati a tener da conto i volti, il loro ultimo se ne va in otto giorni, ha dei buchi, in molti punti è sottile come la carta, e allora a poco a poco vien fuori il rovescio, il nonvolto, e vanno in giro con esso.”
Rainer Maria Rilke, I Quaderni di Malte Laurids Brigge



"Allora si sapeva; meglio si supponeva che ciascuno reca in sé la propria morte racchiusa. Come il proprio nocciolo un frutto. I piccoli ne recavano una piccola in sé; i grandi una grande. Le donne dentro il grembo; gli uomini dentro il petto. Ma ogni essere aveva in sé la sua morte. Anche il mio nonno, il vecchio ciambellano Cristoforo Brigge, recava in sé la sua morte. E quale morte! Una morte lunga due mesi e fragorosa così, che lo strepito potè esserne inteso, fuori, sino alla fattoria".
Rainer Maria Rilke: I quaderni di Malte Laurids Brigge

"La moltitudine umana è infinita. Ma i volti sono ancor più numerosi. Perché ciascun essere ha più volti. Alcuni portano per anni un viso soltanto. Non mutano il volto, non curano nemmeno di ripulirlo, ma poiché posseggono anch'essi più volti, che fanno degli altri? Li tengono in serbo. Li porteranno forse i loro figli.
Altri, invece, mutano volto con una rapidità inquietante e, presto, li consumano tutti. Ma ne hanno mutati quaranta e il quarantesimo è l'ultimo che si assottiglia come carta, poi salta fuori il rovescio ed essi vanno a spasso così .
Rainer Maria Rilke, I Quaderni di Malte Laurids Brigge


All’esterno molte cose sono cambiate. Non so come. Ma nell’interno e dinanzi a Te, mio Dio, nell’interno dinanzi a Te, spettatore: non siamo noi senza azione? Scopriamo, sì, che non sappiamo la parte, cerchiamo uno specchio, vorremmo struccarci ed eliminare il falso ed essere veramente. Ma qua e là ci resta ancora attaccato un pezzo di travestimento, che dimentichiamo. Una traccia di esagerazione rimane nelle nostre sopracciglia, non notiamo che gli angoli della nostra bocca sono piegati. E andiamo in giro così, zimbelli e creature dimezzate: né uomini veri né attori.
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge.


L’ho già detto? Io imparo a vedere. Sì, incomincio. Va ancora male. 
Ma voglio mettere a profitto il mio tempo. Non mi era mai capitato di accorgermi, per esempio, di quanti volti ci siano. C’è un’infinità di uomini, ma i volti sono ancor più numerosi poiché ciascuno ne ha più d’uno. Vi sono persone che portano un volto per anni, naturalmente si logora, diviene laido, si piega nelle rughe, si sforma come i guanti portati in viaggio. Queste sono persone econome, semplici; non mutano di volto, non lo fanno pulire neppure una volta. Va bene così, sostengono, e chi gli può dimostrare il contrario? Solo, viene da chiedersi: poiché hanno più volti, cosa ne fanno degli altri? Li mettono in serbo. Li porteranno i loro figli. Capita anche, però, che li portino i loro cani. E perché no? Una faccia è una faccia. Altri, si mettono un volto dopo l’altro con rapidità inquietante, e li logorano. A tutta prima sembra loro di averne per sempre; ma sono appena sui quaranta, e già arriva l’ultimo. Questo naturalmente è una tragedia. Non sono abituati a tener da conto i volti, il loro ultimo se ne va in otto giorni, ha dei buchi, in molti punti è sottile come la carta, e allora a poco a poco vien fuori il rovescio, il nonvolto, e vanno in giro con esso.
Rainer Maria Rilke, I Quaderni di Malte Laurids Brigge


Spengimi gli occhi: ti vedrò lo stesso.
Riempimi gli orecchi: posso sentirti.
E senza piedi ti cammino ancora a fianco.
E senza bocca posso ancora scongiurarti.
Spezzami le braccia ti abbraccerò col cuore con una mano.
Strappami il cuore: e mi batterà il cervello.
E se spegni anche il fuoco nella mente
allora ti porterò nel sangue.
Rainer Maria Rilke


Ho aperto l’atlante (per me la geografia non è una scienza, ma un insieme di rapporti di cui mi affretto ad approfittare) ed ecco, tu sei già segnata nella mia mappa interiore: da qualche parte fra Mosca e Toledo, ho creato uno spazio per l’impeto del tuo oceano.
Rainer Maria Rilke


Siamo in corsa incessante.
Ma il tempo che avanza,
vedete, è solo un breve passo
in ciò che eterno resta.
Rainer Maria Rilke


Noi ci tocchiamo. Con che cosa?
Con dei battiti d’ali. Con le lontananze stesse ci tocchiamo.
Rainer Maria Rilke


Guarda come crescono avvinti l’uno all’altra:
nelle loro vene tutto si fa spirito.
Vibrano come assi i loro corpi
nell’estasi che arde tutt’intorno e li trascina.
Nella sete ricevono bevanda e nel buio,
guarda, i loro occhi si rischiarano di luce.
Lascia che sprofondino uno nell’altra
per resistersi a vicenda.
Rainer Maria Rilke, Gli amanti


...Fummo sposi prima ancora di diventare amici e amici diventammo non per elezione, ma per nozze celebrate clandestinamente. In noi non erano due metà che si cercavano: un’integrità si riconobbe meravigliata nel fissare un’integrità inafferrabile. Fummo così fratello e sorella, come all’alba della storia, prima che le nozze tra fratelli diventassero un sacrilegio..
Rainer Maria Rilke, Diario fiorentino


Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l'umanità femminile. Questo progresso trasformerà l'esperienza dell'amore, che ora è piena d'errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo, all'amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.
Rainer Maria Rilke




Chi dovesse scrivere la storia del paesaggio si troverebbe subito senza soccorso, in balia di una cosa che a lui è incomprensibile, estranea, lontana. Ché noi siamo abituati alle forme umane, e il paesaggio non ne ha una; noi siamo abituati a pensare
dietro ogni gesto un atto di volontà, e il paesaggi o non vuole, anche se si muove. Le acque scorrono, e in esse ondeggiano e tremano le immagini delle cose e nel vento che anima le fronde dei vecchi alberi crescono a poco a poco i giovani boschi: crescono verso un futuro che noi non vivremo mai. Con gli uomini siamo abituati a intuire molto dalle loro mani, moltissimo poi dal viso nel quale come su un quadrante sono visibili le ore che reggono e pesano nel tempo della loro anima. Il paesaggio
invece non ha mani, non ha faccia – oppure è solo faccia, e appunto per questa sua grandiosità, per la incommensurabilità delle linee del suo volto, impressiona e avvilisce l’uomo quasi come quella “apparizione di spiriti” che si vede in un noto disegno del pittore giapponese Hokusai»
Rainer Maria Rilke



Aborro lo stile geometrico degli scalpellini d’oggi; forse sarà possibile acquistare una vecchia lapide (empire, ad es.), come successe a Vienna per la tomba di mio cugino. Si cancellino le iscrizioni precedenti e si faccia scolpire: lo stemma, il nome e, un po’ staccati, i versi:
Rosa, contraddizione pura!
Voglia
d’essere il sonno di nessuno
sotto sì tante
palpebre.
Rainer Maria Rilke



Eppure è così: ciascuno, nel suo profondo, è come una chiesa con i muri adorni di affreschi festosi. Nella prima fanciullezza, quando lo splendore è ancora sincero, c'è troppo buio là dentro per poter vedere i dipinti; poi, mentre l'ambiente si fa sempre più chiaro, ecco arrivare le sciocchezze dell'adolescenza, le false nostalgie, il pudore pieno di sogni, e questi intonacano una parete dopo l'altra. Qualcuno s'addentra nella vita per lungo e per largo, e non sospetta l'antico splendore sotto quella dimessa povertà. Ma beato colui che lo sente, lo trova e lo scopre in segreto. Si fa un dono grande. Troverà così la via verso se stesso.
Rainer Maria Rilke, diario fiorentino, 1898


Questo è il fattore incredibilmente toccante, coinvolgente in uno psicopatico: che egli, pur incurabile, ci comunica ancora qualcosa di noi stessi (nella misura in cui noi ci sforziamo, così come accade da circa un decennio, di capirlo nella sua lingua), che ci mette a nudo ciò che il comportamento di nessun sano potrebbe mai rivelarci e che tuttavia è indicibilmente importante, poiché oltre l’individualità (si potrebbe dire nascosto dietro a essa) si sfiora nuovamente la realtà oggettiva.
Lou a Rilke – Gottingen, 22 Settembre 1921


"Cerchi che si tendono sempre più
ampi sopra le cose è la mia vita.
Forse non chiuderò l'ultimo,
ma voglio tentare.
Giro attorno a Dio, all'antica torre,
giro da millenni;
e ancora non so se sono un falco, una tempesta
o un grande canto."
di Rainer Maria Rilke, poeta ceco, che morì oggi nel 1926



Siamo in un momento storico che sembra proiettarci nel pieno di quello che il filosofo Martin Heidegger connotava "Si" impersonale tra omologazione e repressione inconsapevole. Un mondo in cui il Si derubrica di senso ogni assunzione di responsabilità da parte del singolo, ad Esso reificato. Stiamo assistendo attraverso il "Si" anche alla morte nella vita quotidiana, non ultimo, del linguaggio simbolico, nel suo essere" eccedenza di senso", "traccia discorsiva", in quanto asservito alla ragione diurna che ci rende immuni dall'evocazione, dall'implicito, dal non detto, dall'allusione, avendo monopolizzato tutti i significati possibili, privandoci così di esprimere l'Umano che ci abita e che ci rende tali. La perdita del linguaggio simbolico attraverso la fissità del segno costretto all'interno di un significato pre-stabilito ed esclusivo ha ristretto l'universo del discorso al registro razionale e all'arroganza del significante...che ci controlla e ci reprime a nostra insaputa. Heidegger diceva in proposito"Nell'uso dei mezzi di trasporto o di comunicazione pubblici, dei servizi di informazione (i giornali), ognuno é come l'altro. Questo essere-assieme dissolve completamente il singolo esserci nel modo di essere "degli altri", sicché gli altri dileguano ancor di più nella loro particolarità e determinatezza. In questo stato di irrilevanza e di indistinzione il Si (Man) esercita la sua tipica dittatura. Ce la spassiamo e ci divertiamo come ce la si spassa e ci si diverte, leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura di arte come si vede e si giudica. Ci teniamo lontani dalla "gran massa" come ci si tiene lontani, troviamo "scandaloso" ciò che si trova scandaloso. Il Si che non é un esserci determinato, bensì tutti (ma non come somma) decreta il modo d'essere della quotidianità."(Martin Heidegger, Essere e Tempo).
In proposito alla perdita del "Simbolico", con toni nostalgici, così scriveva Rilke "Per i nostri avi, "una casa", una "fontana", una torre loro familiare, un abito posseduto erano ancora qualcosa di infinitamente più intimo; quasi ogni cosa era un recipiente in cui rintracciavano e conservavano l'umano. Ora ci incalzano dall'America cose nuove e indifferenti, pseudo-cose, aggeggi per vivere. Una casa nel senso americano, una mela americana, o una vite americana non hanno nulla in comune con la casa, il frutto, il grappolo in cui erano riposte le speranze e la ponderazione dei nostri padri" (R.M.Rilke)


Avevo quasi paura della musica, a meno che non risuonasse in una cattedrale, salendo direttamente a Dio, senza sostare in me. – In Egitto mi fu raccontato – e lo capisco – che ai tempi dell'antico impero la musica (così almeno si suppone), fosse proibita; doveva essere eseguita unicamente dinanzi a Dio e solo per lui, come se lui soltanto potesse sopportare la esaltazione e la seduzione della sua dolcezza, come se per ogni essere inferiore fosse mortale. Non lo è infatti, amica mia?... O la musica è forse la resurrezione dei morti? Si muore al limite del suo regno e si risorge in lei splendendo, per non più distruggere? Ma il mio cuore, ha già la forza di morire completamente in lei per poter poi così risorger?... Mi ricordo d'aver immaginato che, in grandi pianure, si potesse divenire un eroe, soltanto perché nelle sere primaverili le nuvole si accavallavano all'orizzonte in cumuli dal profilo ardito, ma poi era anche possibile che un uomo soccombesse, per aver sentito chissà dove nel passare, il suono di un violino, che deviava tutta la sua volontà verso un destino più oscuro. Quando ripenso quanta forza spontanea si sprigioni da un qualsiasi frammento di musica antica, come l'ho udita a volte in Italia o in Spagna, e anche nella Russia meridionale, Beethoven mi par quasi il Dio degli eserciti, che domina tutte le forze e che spalanca gli abissi dei pericoli per gettarvi poi sopra gli archi dei ponti delle sue splendide salvezze...
MAGDA VON HATTINGBERG, RILKE E BENVENUTA








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