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giovedì 5 gennaio 2012

L'importanza delle favole per una didattica emozionale. Per quanto io ami la Disney, devo ammettere che mi ha dato aspettative troppo alte verso la realtà.

L'importanza delle favole 
per una didattica emozionale


Mutato nomine de te Fabula narratur. 
Sotto nome diverso la favola di te parla.
Orazio, Satire, I, I, 69-70.


Se le favole si interrompono sempre con: 
 «E vissero felici e contenti... », non è perché la felicità sia poco interessante. 
Al contrario, appassiona tutti... Non è perché sia meglio immaginare che vivere. 
Chiedete a chiunque di scegliere tra queste due possibilità... 
Non è perché non esista. Tutti l'abbiamo vista... 
No, se le storie si interrompono sempre con: 
 «E vissero felici e contenti », è per una ragione molto più semplice. 
E' perché le favole, che servono a parlarci dell'infelicità, 
ci dicono anche: LA FELICITA' E' POSSIBILE... 
ed è meglio cercare di incontrarla piuttosto che ascoltarne la storia... [...]" 
Christophe André. Vivere Felici



La fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla ragione, né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà. 
John Ronald Reuel J.R.R. Tolkien. Sulle fiabe



"Io credo questo: le fiabe sono vereSono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto: la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste."
Italo Calvino


Per quanto io ami la Disney, 
devo ammettere che mi ha dato aspettative troppo alte verso la realtà.
© - F. ~ A Midsummer Night's Dream.


Erika Bachis 
Forse si dovrebbe chiarire il significato della parola ''favola''! 
Mi auguro che una volta superata l'infanzia sia naturale non ''credere'' a certe cose, poi se davvero un adulto pensa che i film disney rispecchino la realtà allora, anche se è cinico a dirsi, ha qualche serio problema...

Eleonora Vitagliano 
certo che un adulto non pensa che sia la REALTA', 
ma ha qualche serio problema ANCHE chi non sa più apprezzare la magia della fantasia


Erika Bachis
Ahahah hai scelto la persona sbagliata, visto che io mi nutro di fantasia! 
Il punto é che bisogna distinguere la magia e l'innocenza dalla vita vera: i film fantasy ci portano in un mondo perfetto che ci fa sognare, e lo so bene perchè io stessa li scrivo, ma poi la realtà è diversa! 
Non possiamo incolpare i film di averci dato troppe aspettative: quelli sono FILM, e con la realtà purtroppo non hanno niente a che fare! Ti assicuro che abbiamo più probabilità di veder volare Peter Pan piuttosto che vedere un vero amore coronato da un per sempre!



Le favole sono importanti nella formazione del bambino. 
La metafora come figura retorica è appropriata. 
Il termine viene dal greco e significa portare al di là
In effetti con essa si porta la mente del bambino ad esplorare un mondo non reale, ma fatto di simboli. Ben vengano dunque le favole ma non mettiamoci però mostri, streghe ed orchi.
Grazie alla metafora ricorriamo a simboli meno violenti



eppure i simboli negativi sono rappresentazioni degli ostacoli da superare che spesso sono altrettanto mostruosi nella vita. L'eroe/eroina delle favole, li supera con le sue risorse, soprattutto, e con l'aiuto di altri interventi esterni che appaiono per magia perchè rappresentano risorse nascoste che si scoprono quando più se ne ha bisogno, come poi succede nella vita. Il bambino che legge si identifica con l'eroe, lo introietta come modello di comportamento e ne assimila la capacità di superamento delle difficoltà. E' quindi importante che le fiabe siano dapprima lette da/con un adulto sensibile che metta in contesto le figure più tenebrose delle storie in modo da fare accettare al bambino il loro ruolo



I fiori non sono consapevoli del loro valore.
Marcia Grad, La principessa che credeva nelle favole





L'importanza delle favole 
per una didattica emozionale

La letteratura è un potente strumento di gioia, e soprattutto è un prezioso strumento didattico per educare i piccoli al rispetto reciproco. Tuttavia l’educazione ha bisogno di lentezza, cura, attenzione. Specialmente l’educazione emotivo-relazionale, la più urgente eppure la più trascurata. Se abbiamo sempre meno tempo da dedicare ai nostri ragazzi, difficilmente possiamo sperare in grandi cambiamenti. L’educazione non è più nelle mani della famiglia e della scuola, ma sta diventando quasi esclusivo appannaggio dei media. Con la conseguenza che bambini e ragazzi conoscono molto presto il concetto di violenza, l'aggressività in questo modo appartiene al loro quotidiano. Una grande quantità di immagini trasmesse dai media sono basate sulla violenza, sull’omicidio, sulla sopraffazione. Gli eroi degli schermi spesso sono degli assassini. Il messaggio arriva in maniera diretta, ma talvolta anche in modo subdolo, violenza camuffata. È l'antica metafora della strega che si traveste da vecchina buona per porgere la mela avvelenata. Sì, negli schermi si uccide perfino in nome dell'amore, una contraddizione folle ma presentata come fosse scontata.
Immersi in quest'atmosfera confusa, i ragazzi restano preda di una grande insicurezza. Spesso non hanno coscienza del loro stato emotivo e assecondano reazioni istintive, impulsive, dando origine ad atti violenti gratuiti. I loro gesti assomigliano a quelli visti in televisione o in alcuni siti web. Sembra quasi che non esista un modello di controllo emotivo, a parte la difesa del proprio ego. Per essere rispettati, occorre imporsi, pressare.
Nel rapporto uomo-donna, in special modo, la prevaricazione prende il posto dell’amore, come fosse normale basare le relazioni sul dominio fisico o psicologico. Ancora oggi si confonde l’amore con il potere.
Per queste ragioni non possiamo più rimandare, dobbiamo dedicare alla didattica emozionale lo stesso livello di attenzione che dedichiamo all'insegnamento dell'alfabeto, delle funzioni algebriche o alla geografia. Ammettiamo che, quando i piccoli ci esasperano, il nostro primo pensiero è quello di punirli, ma una punizione senza educazione non ha alcun senso, spesso lo sperimentiamo a nostre spese. Così come anche l'eccessiva  permissività è pericolosa. Occorre modificare radicalmente l'approccio educativo nei confronti dei ragazzi, iniziare ad affrontare insieme a loro il tema della violenza, soprattutto della violenza di genere.  È indispensabile formarli ad un comportamento riflessivo, insegnare il rispetto dell’altro, soprattutto il senso della dignità. Parliamo con loro d'amore, confrontiamoci sui sentimenti. Sì, perché per spiegare la violenza ai ragazzi, dobbiamo innanzitutto riuscire a distingue l'amore dal non-amore.  Se non sappiamo riconoscere l'amore, rischiamo di rimanere intrappolati in tutto ciò che gli assomiglia vagamente, ma che invece è il suo opposto. Come succede in quelle relazioni in cui si consuma violenza psicologica o fisica, e che spesso le persone scambiano per affetto. Con il giusto dialogo educativo possiamo aiutare i piccoli a prendere consapevolezza delle proprie  emozioni, affinché le vivano in armonia con gli altri. Possiamo insegnare ai ragazzi come trasformare l’insoddisfazione in una piena consapevolezza di sé che produca uno slancio positivo e dignitoso. La scuola è chiamata in prima linea ad intervenire per trasmettere il concetto di “dignità umana”. Ed  ecco che ritorna utile il ricorso alla letteratura fiabesca. Il passaggio dall'infelicità della violenza alla gioia della realizzazione di sé stessi è illustrato molto bene nelle fiabe. La fiaba è come un sentiero attraverso il quale il bambino può accedere alla propria personalità. Il procedere della narrazione, infatti, è orientato in modo da creare interazione tra chi scrive/racconta e chi ascolta.

Il bambino s’identifica con un personaggio nutrendosi delle sue qualità. Sceglie tra male e bene, e sceglie chi vuole essere. L’insegnante, attraverso la narrazione, lo aiuta a pensare, a sviluppare le proprie risorse interiori e la propria dignità. E non occorrerebbe nemmeno inventarne di nuove, le fiabe classiche sono già lì pronte per aiutarci a declinare i fatti umani più scabrosi, ma anche la bellezza della vittoria del bene. Nelle fiabe antiche, infatti, è ampiamente affrontato il tema della violenza, proprio perché è insita nell’animo umano. Sono storie preziose. Contengono il racconto dei nostri limiti, delle debolezze, ma anche l’invito a trovare una via d’uscita.
Purtroppo, attualmente, la letteratura fiabesca è trascurata, spesso mortificata nei suoi contenuti. Le fiabe originali sono state edulcorate e stravolte, per farne un prodotto cinematografico da intrattenimento. Quanti conoscono davvero la storia di Cenerentola? La maggior parte di noi conosce soltanto la versione proiettata sui grandi schermi, quella delle zucche magiche, scarpette di cristallo e principi azzurri. Eppure è una delle opere letterarie più complesse. La trama accompagna il lettore in un singolare percorso dentro di sé, nelle zone più oscure della nostra interiorità, esplorando il concetto di dignità, con leggerezza, senza trasmettere angoscia o timori. 
Tutte le fiabe classiche sono opere letterarie intense, non sono storielle per bambini come erroneamente si crede, bensì opere letterarie che derivano da leggende antichissime, adatte ad ogni età. Racchiudono la saggezza del tempo, quella che tendiamo a dimenticare, presi dalla fretta di ogni giorno. Per questo possiamo usarle per aiutare i piccoli, ma anche noi stessi, a riflettere sulla differenza tra amore e non-amore. Andiamo in cerca dei loro testi originali, ci sorprenderanno! Non è facile crescere e attualmente gli adulti non offrono dei grandi modelli. Usiamo, dunque, lo strumento meraviglioso delle fiabe. Non esiste un’età in cui cominciare a parlare d’amore, si può iniziare da subito, già da piccolissimi. In famiglia e a scuola,apriamo un libro di fiabe, leggiamolo insieme, ci farà bene.


http://www.ingenere.it/articoli/limportanza-delle-favole-una-didattica-emozionale

METAFORA
La più gran conquista in assoluto è la padronanza della metafora. Si tratta di qualcosa che non può essere appresa dagli altri ed è anche un segno di genialità, giacché una buona metafora implica la percezione intuitiva delle somiglianze tra oggetti dissimili.
(Aristotele)
citato da Jeffrey Satinover ne "Il cervello quantico"


Verso la fine della "Poetica" Aristotele dice che il massimo é diventare maestro del metaforeggiare, il che non si impara da altri ed é segno di genialità, perché una buona metafora implica la percezione intuitiva della somiglianza fra dissimili.
Elémire Zolla, "Discesa all'Ade e resurrezione"


Aristotele, La comprensione attraverso gli entimemi.
“Noi apprendiamo soprattutto dalle metafore.
Quando infatti il poema chiama la vecchiaia «stoppia», realizza un apprendimento e una conoscenza attraverso il genere: entrambe le cose sono infatti sfiorite. Anche le similitudini dei poeti ottengono lo stesso effetto: se quindi esse sono buone, appaiono spiritose.
La similitudine è infatti, come abbiamo detto prima, una metafora che differisce perché vi è aggiunto qualcosa; perciò essa è meno piacevole, perché ha maggior lunghezza: essa non identifica i due termini, quindi la mente non esamina la relazione. Bisogna che tanto l’elocuzione quanto gli entimemi siano spiritosi, se vogliono renderci rapido l’apprendimento. Perciò neppure quelli ovvi tra gli entimemi hanno successo: intendo per ovvi quelli che sono evidenti a chiunque e non richiedono alcuna investigazione; e neppure quelli che sono detti in modo incomprensibile. Bensì quelli che noi comprendiamo mano a mano che vengono detti e purché non siano già noti prima, oppure quelli in cui la comprensione viene subito dopo: qui infatti vi è un processo simile all’apprendimento, mentre non vi è né nel caso dell’ovvietà, né in quello dell’incomprensibilità. Per quanto concerne il contenuto, questi sono dunque quelli degli entimemi che hanno successo.”
ARISROTELE (384 a.C. – 322 a.C.), “Retorica”, traduzione (1961, condotta, per il terzo libro, su ARISTOTELIS “Ars rhetorica”, Adolphus Roemer, B. G. Teubneri, Lipsiae 1898, qui sotto riportata) di Armando Plebe, in “Aristotele”, introduzione di Gabriele Giannantoni,2 voll., vol. II, Mondadori, Milano 2008 (I ed., su licenza di Laterza, Roma-Bari 1961), Libro terzo (Γ), 10, 1410 b, 10 – 25 (13-28), p. 957.


Il mio regno per una fiaba.
Scrive la Szymborska: I bambini amano essere spaventati dalle favole. Hanno un naturale bisogno di sperimentare emozioni forti. Andersen atterriva i bambini, ma nessuno di loro, una volta diventato grande, gliene ha mai voluto. ... Andersen aveva il coraggio di scrivere favole con un finale triste. Riteneva che non si debba cercare di essere buoni per un tornaconto ..., ma perché la cattiveria è frutto di un limite intellettuale ed emotivo, l'unica forma di miseria da cui tenersi alla larga. Ed è ridicola...


Prendete i bambini sul serio

Il mio regno per una fiaba

Tempo fa, mi trovai nella condizione di dover convincere una colta e raffinata scrittrice in merito all'opportunità di leggere le fiabe di Andersen ai nipotini. Lei dubitava: i bambini sono spensierati, lontani dai dolori e dalle vicissitudini della vita, perché far loro una lettura che può turbarli? E, pur essendo stata da bambina una appassionata lettrice di fiabe, concludeva che le fiabe di Andersen non sono adatte ai bambini di oggi. Per convincerla, le spedii in omaggio Letture facoltative (Adelphi 2006), la magnifica raccolta di recensioni che Wisława Szymborska ha dedicato ai “libri inutili” in cui le capitava di imbattersi – manuali, compendi, raccolte di consigli, libri divulgativi sugli argomenti più strani – fra i quali è annoverata la raccolta di fiabe di Hans Christian Andersen. Scrive la Szymborska:



La principessa sul pisello, illustrazione di Tom Seidmann-Freud, 1921

I bambini amano essere spaventati dalle favole. Hanno un naturale bisogno di sperimentare emozioni forti. Andersen atterriva i bambini, ma nessuno di loro, una volta diventato grande, gliene ha mai voluto. Le sue splendide favole sono piene di creature soprannaturali, senza contare gli animali parlanti e i secchi dal pronto eloquio. Non tutti i membri di questa confraternita sono cordiali e innocui. Il personaggio che ricorre con maggiore frequenza è la morte, figura implacabile che irrompe all'improvviso nel cuore della felicità, portandosi via i migliori, i più amati. Andersen prendeva i bambini sul serio. Non parlava loro soltanto della radiosa avventura della vita, ma anche di disgrazie, sventure e sconfitte non sempre meritate. Le sue favole, popolate di creature immaginarie, sono più realistiche di quintali di odierna letteratura per l'infanzia, così ansiosa di risultare verosimile da sfuggire gli incantesimi come la peste. Andersen aveva il coraggio di scrivere favole con un finale triste. Riteneva che non si debba cercare di essere buoni per un tornaconto (proprio quello che i raccontini moralistici di oggi si ostinano a divulgare, e che non sempre, in questo mondo, corrisponde a verità), ma perché la cattiveria è frutto di un limite intellettuale ed emotivo, l'unica forma di miseria da cui tenersi alla larga. Ed è ridicola, quant'è ridicola!

Se vi interessa, trovate qui l'intero brano.



Pollicina, illustrazione di Eleanor Vere Boyle 1872



L'usignolo, illustrazione di Kay Nielsen, 1924



I vestiti nuovi dell'imperatore, illustrazione di Harry Clarke, 1916

Come editore e autrice di libri per ragazzi, a questo atteggiamento degli adulti nei confronti delle fiabe sono abituata, e non da oggi. Figlia di genitori illuminati, negli anni Sessanta crebbi con i personaggi della Lindgren, della Anguissola e di Marcello Argilli, oltre che con le Favole al telefono di Rodari e la divulgazione di Laura Conti. I miei ritenevano le fiabe classiche e popolari inadeguate ai tempi: troppo cariche di sciagure, superstizioni e pregiudizi per educare delle bambine libere. I miei erano colti, avevano sicuri gusti culturali e letterari. Ma di fiabe capivano poco. L'unico libro di fiabe che a quei tempi ho avuto per le mani, a parte il bellissimo volume n. 2, Racconti e fiabe, di I quindici libri (collana che mia madre acquistò per sbaglio, suscitando il disappunto di mio padre) e alcune delle Fiabe sonoredi Fratelli Fabbri Editori, che ci facevano smaniare di delizia e terrore, fu un librone di fiabe nordiche che apparteneva a figli di amici ormai diventati grandi e che ci fu devoluto insieme a giocattoli e a qualche maglione. Era, per me, che pure vivevo in una casa piena di libri, di una bellezza inconcepibile. Una bellezza che lasciava interdetti e non trovava paragoni per formato, legatura, illustrazioni, storie. Non so che fine abbia fatto quel libro ed è strano che non lo sappia, perché gran parte dei libri che amavamo di più sono stati conservati e li ho tuttora con me. Per descrivere quel libro come mi apparve allora, riporto due brani. Il primo è tratto da I cigni selvatici (Topipittori 2008) di Andersen, questo:





La diligenza da dodici posti, illustrazione di Laura Barrett, 2013.



L'intrepido soldatino di stagno, illustrazione di Kay Nielsen, 1924



La regina della neve, illustrazione di Katharine Beverley ed Elizabeth Ellender, 1929

Poco dopo si fece buio, scese la notte, strada e sentieri scomparvero, Elisa si era smarrita. Ma non ebbe paura: si stese sul muschio morbido, appoggiò la testa a un tronco d’albero e prima d’addormentarsi recitò le preghiere della sera. C’era un grande silenzio, l’aria era tiepida e sull’erba e sul muschio attorno a lei splendevano come un fuoco verde centinaia di lucciole. Elisa sfiorò un ramo con la mano e ne cadde una pioggia di piccoli insetti, luminosa come una cometa.
Tutta la notte sognò i fratelli che, di nuovo bambini, giocavano e scrivevano con lo stilo di diamante sulla lavagna d’oro, mentre lei sfogliava il meraviglioso libro illustrato che era costato metà del reame. Sulla lavagna d’oro però i fratelli non tracciavano aste e zeri, come quando erano bambini, ma scrivevano le avventure eroiche che avevano vissuto e ciò che in quegli anni avevano fatto e visto. E anche le figure del libro erano vive: gli uccelli cantavano e le persone uscivano dal libro e parlavano con Elisa e i fratelli. Ma se voltava pagina tutti s’affrettavano a tornare al loro posto per non fare confusione.



Pollicina, silhouette di Kathë Reine



Il brutto anatroccolo, illustrazione di Theo van Hoytema, 1893

Il secondo è un passo di Walter Benjamin, appassionato collezionista di libri illustrati per bambini, tratto dal saggio Sbirciando nel libro per bambini (contenuto in Orbis pictus, Emme edizioni, 1981, oggi in Figure dell'infanzia, Raffaello Cortina Editore 2012), che parla proprio del libro illustrato di cui scrive Andersen nel brano che avete appena letto:

In una fiaba di Andersen compare un libro illustrato di valore pari «alla metà del regno». In esso tutto aveva vita. «Gli uccelli cantavano, gli uomini uscivano dalle pagine» per parlare con la principessina, «salvo a tornar dentro in gran fretta non appena lei voltava il foglio, perché non nascesse confusione fra le figure.» Con la stessa dolcezza e indeterminatezza che animano tante pagine anderseniane, anche questa piccola trovata non fa che rovesciare completamente il meccanismo di cui trattiamo.
Infatti non sono tanto le cose a farsi incontro – fuoriuscendo dalle pagine – al bambino fantasticamente alle prese con le immagini, ma è piuttosto il bambino stesso che – guardando – penetra in esse come nube che si appaga dello splendore cromatico dell'universo figurativo. Di fronte al suo libro illustrato egli realizza la tecnica del perfetto taoista: domina la cortina illusoria della superficie, e tra tessuti colorati e quinte variopinte, calca la scena dove vive la fiaba.

Il mio libro di fiabe nordiche apparteneva a entrambe queste categorie: libri dai quali il dentro trabocca e nei quali si penetra come in una nube, per calcare la scena della fiaba.





L'acciarino, illustrazioni di Heinrich Strub, 1956

Non credo esista periodo migliore dell'anno di questo, natalizio, per regalare un libro che possieda queste caratteristiche. Il perché lo spiega bene Selma Lagerlöf, astro della letteratura scandinava, in Il libro del Natale (Iperborea 2012), quando scrive:

Vedete, devo dire che c'è una tradizione a Mårbacka, che quando si va a dormire la Vigilia di Natale si ha il permesso di avvicinare un tavolino al letto, metterci sopra una candela, e poi leggere finché si vuole. Questa è la più grande di tutte le gioie di Natale. Non c'è niente di più bello che starsene lì sdraiati con un bel libro avuto in regalo, un libro nuovo che non si è ancora mai visto e che nessun altro in casa conosce, e sapere che si può leggere pagina dopo pagina finché si riesce a stare svegli. Ma cosa si fa la notte di Natale, se non si sono ricevuti libri?

Natale è il momento giusto perché bambini e fiabe si incontrino: perché in questa notte, ogni anno, uno di loro, nudo e poverissimo, diventa il re del mondo e re di immensa ricchezza gli si inchinano, portando doni preziosi; perché in questa notte gli animali parlano, esseri alati cantano, le stelle splendono sui tuguri e nel buio della vigilia i giocattoli si animano. Se questi fatti a qualcuno possono apparire sciocchezze, oppure se riesce a considerarli solo parte di un rituale religioso o di un'iconografia legata al folklore, provi a considerarli dal punto di vista del pensiero simbolico, che al contrario di quanto si crede, è uno strumento ad alta precisione, e traduce in immagini potentissime quello che accade nella realtà nelle nostre vite, nelle nostre giornate e nelle nostre menti.




La regina della neve, illustrazione di Kay Nielsen, 1924.



La sirenetta, illustrazione di Jennie Harbour, 1932

Non credo che i bambini oggi siano diversi da quelli di cento anni fa. Certo, sono diversi i contesti e le abitudini familiari, culturali e sociali. La ragione per cui spesso i bambini preferiscono altro ai libri (oltre al fatto che è legittimo avere gusti personali) è che hanno avuto a che fare con libri orrendi, messaggeri di forme di avvilente stupidità e bruttezza. Entrambe caratteristiche che, come si legge in tutte le fiabe, i bambini detestano. Dunque abbiate fiducia in loro e, soprattutto, se volete che amino i libri, regalategli libri che li stordiscano di emozioni e scoperte inattese e profonde.

Se perciò a Natale decidete di regalare fiabe, come consiglio a tutti, fate sì che queste siano contenute in volumi folgoranti. Così smaccatamente belli, scintillanti e generosi di splendore, in tutte le loro parti, così diversi da tutti gli altri libri, da inscriversi nel loro esperienza con lo stigma dell'eccezionalità. Avrete licenza di parlare di fallimento educativo solo dopo aver fatto questo esperimento. Oltretutto quand'anche falliste, vi troverete in biblioteca libri bellissimi che vi diletteranno più di tante novità editoriali prevedibili e noiose.



Rosaspina, illustrazioni di Harbert Leupin, 1948

I due libri di fiabe più belli usciti negli ultimi anni sono quelli che si devono al genio editoriale di Taschen, editore tedesco specializzato, come è noto, in magnifiche edizioni sull'immagine, che alla qualità, produttiva ed editoriale, associa prezzi contenuti: immagini di ogni genere, dall'arte, alla fotografia, all'illustrazione naturalistica e scientifica, alla moda, al design, all'architettura. Non poteva mancare in questa variegata produzione, l'illustrazione per l'infanzia. Realizzati da una curatrice d'eccezione, Noel Daniel, i volumi sono Le fiabe dei Fratelli Grimm (2012) e Le fiabe di Hans Christian Andersen (2013). Nel 2014 è uscito anche Fiabe d'inverno che propone una collettanea di albi illustrati vintage, e che ho recensito nel febbraio 2015 per Doppiozero e trovate qui.

Entrambi i volumi nascono con l'intento di offrire una selezione di fiabe accompagnata dalle immagini più belle tratte da edizioni del passato. Nel caso dei Grimm si tratta di quelle che vanno dagli anni Venti dell'Ottocento, attraverso l'epoca d'oro dell'illustrazione novecentesca, fino alla fine degli anni Quaranta. Una galleria di illustrazioni incredibili, selezionate dalla Daniel con finezza e competenza, esplorando la produzione internazionale. Le ventisette fiabe proposte, tratte dall'ultima edizione pubblicata dai Grimm nel 1857, mescolano titoli famosissimi, come Cenerentola o Biancaneve, a storie incantevoli, ma meno frequentate.



Cappuccetto rosso, silhouette di Kathë Reine



Cappuccetto rosso, illustrazioni di Divica Landrová, 1959


Il libro apre con una concisa, ma informata prefazione, che oltre a introdurre all'opera dei Grimm, spiega le ragioni e i criteri di questa edizione, dalla quale si apprende che i Grimm si resero conto del grande potenziale delle illustrazioni nella comprensione delle fiabe vedendo la prima traduzione in inglese della loro opera, edita fra il 1823 e il 1826, in due volumi, illustrata da George Cruikshank. Da quel momento decisero di editare le fiabe accompagnate da immagini. Le fiabe dei Grimm furono illustrate dai più importanti illustratori del mondo. Il miglioramento delle tecniche di stampa, nel corso del tempo, fece sì che queste edizioni diventassero visivamente sempre più ricche e smaglianti, acquisendo un'influenza determinante nel cambiamento che interessò la letteratura per ragazzi e la produzione di libri a loro destinati, nella quale le figure divennero fondamentali.

La cura grafica delle raccolte si deve all'art direction di Noel Daniel e Andy Disl che, pur sfoggiando spavaldamente tutte le caratteristiche delle edizioni di lusso – oro a bizzeffe, copertina in tela con impressioni in oro e immagine applicata, segnalibro a nastro – non cedono alla tentazione del kitsch, senza rinunciare a quella dell'incanto. Ogni fiaba è introdotta da una stringata e documentata introduzione. Tutte le immagini sono corredate da indicazioni iconografiche accurate, e alla fine del volume si trovano brevi, ma esaurienti biografie degli illustratori. Non pensiate che questi apparati tolgano alcunché alla godibilità del libro, facendone un ingombrante contenitore di informazioni inadeguate a lettori piccoli. Non è così. Le parti critiche, sapientemente distribuite fra indici, aperture di capitoli e appendici, si offrono come spazi supplementari per figure bellissime, dissimulando la loro dotta presenza, o, meglio, mostrandola solo a un lettore adulto. I bambini penseranno solo ad abbandonarsi a tanta sontuosa bellezza.





Rosaspina, illustrazioni di Harbert Leupin, 1948

Il volume dedicato ad Andersen presenta la medesima struttura e grafica, lo stesso formato e gli stessi apparati critici di quello dei Grimm. In una prefazione agile, ma esauriente e approfondita, oltre che di esemplare chiarezza ed eleganza, la Daniel traccia un ritratto dello scrittore danese, portando alla luce le ragioni che ne hanno fatto quello che probabilmente si può considerare il più grande narratore di fiabe di tutti i tempi. La biografia è ripercorsa intrecciando gli eventi della vita ai tratti salienti di quella poetica che dal patrimonio orale delle narrazioni popolari seppe distillare racconti di perfetta modernità dove le ombre dell'inconscio cominciano a tralucere. Le fiabe di Andersen, infatti, ambientate in mondi fantastici e narrate dal punto di vista di bambini e oggetti sono le antesignane dei moderni racconti per l'infanzia, da Alice in Wonderland a The Wizard of Oz fino ad arrivare a Gianni Rodari e a Roal Dahl. Anche nella vicenda letteraria ed editoriale di Andersen, come in quella dei Grimm, l'illustrazione ha un peso consistente, anche in considerazione del fatto che lo stesso scrittore fu un prolifico creatore di splendide silhouette, di cui realizzò centinaia di esemplari. Per i dettagli immaginifici di cui le sue storie erano intessute, Vincent van Gogh lo ritenne un talento rubato alle arti visive. Le edizioni da cui sono tratte le immagini proposte nel volume, frutto di una selezione impeccabile da parte della curatrice, sono in prevalenza datate ai primi vent'anni del Novecento, considerati l'età d'oro dell'illustrazione per ragazzi, ma vi sono anche illustrazioni ottocentesche e della seconda meta del Novecento, fino ad arrivare agli anni Ottanta.

Se è vero che le fiabe sono uno dei pochi generi letterari che possono attrarre contemporaneamente adulti e bambini, le raccolte di Taschen mettono insieme i due pubblici in modo magistrale, con grazia, sapienza e senza forzature. Potrebbe, dunque, essere questa un'occasione imperdibile per leggere insieme, pratica che i bambini, e si spera anche gli adulti, amano: a voce alta, con su un ginocchio un lettore piccolo, e sull'altro un libro grande. Un libro così ammaliante da far considerare l'ipotesi di cedere la metà del proprio reame per averlo.





http://www.doppiozero.com/materiali/babau/prendete-i-bambini-sul-serio

 


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