Pagine

venerdì 6 gennaio 2012

Marcela Serrano. Il tempo di Blanca. Ai tempi di mia nonna non si buttava via niente. Nemmeno l’esperienza. Un bacio era una cosa rara nella vita di una persona, veniva custodito come un tesoro. Il dolore si conservava gelosamente per non dimenticarlo. E da quello si imparava. Adesso calze, dolori e baci, consumiamo tutto, rompiamo tutto, ci disfiamo di tutto.


E mentre mi salutava,
giurandomi che sarebbe tornato,
aggiunse: “mi rendi così felice”.
Per 30 giorni e più
mi sono ripetuta quella frase,
quelle sillabe
allacciate tra di loro da tanta saliva.
Mi rendi così felice.
Quattro parole.
Diciassette lettere.
L’immensità.
Marcela Serrano


Sapete cos'è che ammazza? Il silenzio.
È questo che ti ammazza. […]
Anni e anni di silenzio.
Dentro ti si forma una specie di nodo,
una matassa, e non c'è modo di sbrogliarla.
Diventa tutto buio.
Cerchi di non pensare alle cose chi ti fanno star male,
ma è uno sbaglio, perché cosi non impari.
Marcela Serrano


Per adesso rimango
nella mia torre di cristallo,
con la luce e il sole davanti,
in attesa che la vita
dica quel che deve dire.
L’importante è che,
quando lei – la vita –
verrà a cercarmi,
in qualunque posto io sia,
non mi trovi sconfitta.
Marcela Serrano


Non ci sono fortezze inespugnabili,
ma solo fortezze che non sono state sufficientemente assediate.
Marcela Serrano




Mi sono sorpresa a correggere i ricordi.
Marcela Serrano

Ricordare tutto significa afferrare ogni giorno un coltello affilato e tirarsi via strati di pelle.
Marcela Serrano

Solo quando il passato non può più ferirti, diventa davvero passato…
Marcela Serrano


Il valore degli esseri umani sta nella loro capacità di separarsi dagli altri,
di essere indipendenti, di appartenere a se stessi e non al branco.
Marcela Serrano


Mi nascondevo dietro quella maschera disegnata con le mie mani, indossavo gonne corte, ballavo davanti allo specchio e poi mi buttavo sul letto, immobile, come un bambola di pezza. A pezzi.
Marcela Serrano



Io non cerco la verità, ma l’immaginazione. Ho la certezza che sia finito il tempo della verità assoluta: adesso non ci credo più e non ne ho più bisogno. Invece la sete d’immaginazione aumenta continuamente, s’ingigantisce con la luce di ogni nuovo giorno in cui apro gli occhi. Certe volte, come Lewis Carrol, vorrei sapere di che colore è la fiamma di una candela quando è spenta.
Marcela Serrano


Una donna è la storia delle sue azioni e dei suoi pensieri,
di cellule e neuroni, di ferite e di entusiasmi, di amori e disamori.
Una donna è inevitabilmente la storia del suo ventre, dei semi che vi si fecondarono, o che non furono fecondati, o che smisero di esserlo, e del momento, irripetibile, in cui si trasforma in una dea.
Una donna è la storia di piccolezze, banalità, incombenze quotidiane, è la somma del non detto.
Una donna è sempre la storia di molti uomini.
Una donna è la storia del suo paese, della sua gente.
Ed è la storia delle sue radici e della sua origine, di tutte le donne che furono nutrite da altre che le precedettero affinché lei potesse nascere: una donna è la storia del suo sangue.
Marcela Serrano


Sei sveglio? Ascolta questi versi di T.S. Eliot:
Non smetteremo di esplorare,
e alla fine di tutto il nostro andare
ritorneremo al punto di partenza
per conoscerlo per la prima volta.
Marcela Serrano, Il giardino di Amelia



È vero, erano passati dieci anni ed eravamo ancora lì, tutte e quattro, sempre noi quattro.
Più grandi, più vecchie, più ferite, più sagge. E il lago, a farci da testimone.
Di cosa? Non lo so... Di tutto. Racconti, discussioni, lacrime, risa .
Marcela Serrano,  Noi che ci vogliamo così bene, 1991


Noi che ci vogliamo così bene.
Dicono che sono malata.
Non so bene perché mi trovi in questa clinica. 
Mi ci ha portato Magda quella notte, pensando che avessi tentato di suicidarmi. 
Ho provato a spiegarle, il giorno successivo, che quella non era la mia intenzione. 
Magda non capisce che ero soltanto stanca. Per questo ho perso conoscenza. 
Avrebbe potuto portarmi in un ospedale qualsiasi. Ma non mi credono. 
Dicono che la miscela di tranquillanti e alcol può essere letale. E che io lo sapevo.
Marcela Serrano, Noi che ci vogliamo così bene.


Ho passato tutta la sera a sentirvi lamentare degli uomini, come se realmente li detestaste.
E basta che ne entri uno solo, che subito cambiate atteggiamento. Come la mettiamo?
Marcela Serrano, Noi che ci vogliamo così bene


Non sono né bella né brutta, né alta né bassa, né grassa né magra.
I capelli non sono né scuri né chiari.
Il mio aspetto rispecchia profondamente il mio essere.
Né eccentrica né invisibile. Emana da me una sorta di equilibrio.
Maria direbbe che questo è maledettamente noioso.
Spero che il tempo la convinca del contrario.
La mia grande conquista è la serenità. E questo mi sembra già abbastanza.
Marcela Serrano, Noi che ci vogliamo così bene


Così adesso la mia vita non è più vita.
Com’è possibile? chiederete voi.
Com’è possibile me lo chiedo anch’io.
Ci sono ancora il giorno e la notte, il freddo e il caldo,
il cuore batte, i reni lavorano, i polmoni respirano,
le gambe sono capaci di camminare.
Ma l’allegria?
Dov’è finita l’allegria?
Marcela Serrano, Dieci donne


Qualcosa si era rotto dentro di lei e ormai era arrivata a un punto di non ritorno,
anche se sul momento nessuno se ne era accorto.
Marcela Serrano, Dieci donne


Mi sono affezionata all’inverno perché sento che è vero, non come l’estate che vola via e sembra così divertente e allegra ma non lo è, perché il sole è sempre di corsa e lascia tutti con l’amaro in bocca.
L’inverno non pretende di confortare, ma in fin dei conti sento che è consolante, perché una si raggomitola su se stessa e si protegge e osserva e riflette, e credo che soltanto in questa stagione si possa pensare per davvero.
Marcela Serrano, Dieci donne


Comunque se Dio ha dotato la gente di un po’ di elasticità,
se la sono accaparrata le donne.
Per gli uomini non ne è rimasta.
Non cambiano.
Marcela Serrano, Dieci donne



Più avanti la vita mi avrebbe regalato tanti cieli azzurri, ma quello fu l’unico paradiso.
Finché, mio malgrado, le sue porte si richiusero.
Lo sapete, no, se c’è una cosa che contraddistingue il paradiso,
è che a un certo punto smette di essere tale,
tutti ne veniamo scacciati, presto o tardi.
Marcela Serrano, I quaderni del pianto



Gli uomini si sentono minacciati dalla nostra indipendenza e questo provoca in loro il rifiuto, 
un senso di impotenza… così comincia un circolo vizioso dai risvolti decisamente drammatici.„
‟E a questo rifiuto maschile seguono il disorientamento e la paura femminili, è così?„
‟Il fatto è che le donne vivono questo allontanamento come un’aggressione, 
e la cosa non fa che allontanare ancora di più gli uomini.
Ti immagini il risultato? Le donne si chiudono sempre più in se stesse 
cercando di affermare il loro io… […] Morale, il risultato non può che essere il disamore...
Marcela Serrano, L’albergo delle donne tristi


Il tuo istinto più forte è quello di proteggerti, ma non hai la fermezza per rinunciare completamente all'amore: c'è qualcosa dentro di te che si sente ancora attratto dal pericolo. Insomma, Floreana, qual è la cosa peggiore che potrebbe capitarti? Non essere amata.
E’ proprio così grave?
Marcela Serrano, L’albergo delle donne tristi




Ai tempi di mia nonna non si buttava via niente. Nemmeno l’esperienza. Un bacio era una cosa rara nella vita di una persona, veniva custodito come un tesoro. Il dolore si conservava gelosamente per non dimenticarlo. E da quello si imparava. Adesso calze, dolori e baci, consumiamo tutto, rompiamo tutto, ci disfiamo di tutto.
Marcela Serrano, Il tempo di Blanca


Di mestiere papà fa il pensionato, ma anche l’avvocato difensore di oggetti.
Ha un capannone di roba usata, non butta via niente... dice che non è giusto chiamare vecchie le cose..perché vivranno più di noi. Se ce ne sbarazziamo e le sostituiamo troppo presto..soffrono. Quindi lui aggiusta e ripara e rimonta e riavvia. È l’unico in tutta la zona che cura biciclette pedalopatiche, radio afone, lavatrici asmatiche e caffettiere impotenti. Ha una borsa di attrezzi magica. Dice che l’uomo è stato creato padrone della Terra..ma gli manca una cosa fondamentale..una borsa di attrezzi per riaggiustarsi. Ah..sospira..se ci fosse un cacciavite per togliere le idee sbagliate e un martello per fissare le buone intenzioni..una chiave inglese per stringere per sempre l’amore e una sega per tagliare col passato! Ma questa attrezzeria non ce l’hanno data e dopo aver tentennato e scricchiolato, prima o poi ci romperemo..
Stefano Benni, Margherita Dolcevita


Si reciclava di tutto, compreso esperienze e ricordi

se riusciamo a disfarci del dolore, ben venga!!!!!!!!!!

autentica verità...ora tutto sembra acquistare un valore flebile veloce estremamente temporaneo come un fuoco di paglia...ma stà a noi, che abbiamo imparato dai nonni..dai genitori..trasmettere l'importanza anche della quotidianità, soffermarci su quanto ci accade e riflettere senza lasciarci, per forza, ingoiare dal vortice..





Le mamme professano un idealismo nascosto; non sempre conoscono Hegel, ma quella che mettono in pratica è un'autentica Filosofia dello Spirito. Ragionano secondo sillogismi e non importa che la premessa sia sbagliata, la conclusione ha sempre una logica e deve avere riscontro nella realtà.

In tutto il processo naturalmente il loro Io è presente e anche laddove subentri un elemento di disturbo, come può essere un'altra femmina, questa deve comunque rispecchiarle in profondità fino all'assimilazione. Quel che reale non è razionale ma relazionale, e i limiti della relazione sono stabiliti a priori dalle loro necessità. Qualcuno la chiama edipica questa cosa, in realtà affonda le radici nell'ontologia e nella constatazione di un perpetuo ruolo materno nella storia individuale.

E infatti le mamme rimarcano di continuo la loro presenza sottolineando l'assenza del padre; non c'è nichilismo nella visione di una madre e il nulla rimane fuori dalla porta. Non per niente le sentiamo ripetere: "Chi è?" e quando rispondiamo: "Nessuno" le irritiamo mettendo in crisi un sistema filosofico che non riesce ad assorbire il concetto di assenza, del vuoto, del niente.

Le mamme riempiono; sono meravigliosamente sazianti nei loro esercizi quotidiani.
Riempiono i mobili, le stanze, le case con oggetti inutili e di dubbio gusto; ma anche la gondola di Venezia a centrotavola rientra in quell'ordine di cose che conferma la presenza. E che da buone idealiste identificano con la loro. Non si tratta di feticismo per gli oggetti, ma di un bisogno ontologico: il soprammobile è e non può non essere, tertium non datur. La mia ad esempio conservava tutto e nulla valeva il mio desiderio di tornare alle cose stesse; aveva rivestito gli oggetti di un valore affettivo e non vedeva che quello. Io però sono un fenomenologo e devo avere avuto il rifiuto edipico; svuotare gli oggetti del contenuto culturale voleva dire svuotarli da quella presenza.
Cosa che mia madre percepiva inequivocabilmente; sospendevo il giudizio ma era subito pronta a intervenire con il suo. 
"La gondola è una schifezza". 
"Guardala bene, è bellissima".
E insistendo nella disputa aveva vinto lei; non tanto per inettitudine del sottoscritto alla diatriba filosofica con un domestico eleata in bigodini, ma perché i fenomenologi sono così, sospendono il giudizio e quando serve anche le parole. Perché con una madre non puoi dialogare, ti è concesso solo di deporre le armi della dialettica e rinvenire che quel che è reale è anche e sempre matriarcale.
Giancarlo Buonofiglio, gli ITAGLIANI: gentiluomini e mascalzoni



Fenomenologia del soprammobile!
Mia madre, classe '28, figlia di contadini, contadina lei stessa, non ha mai buttato niente.
Persino la cenere del camino: la metteva in un canestro ogni sera e il mattino seguente se la metteva sul capo e, a piedi, col passo leggero e sinuoso la portava in campagna e la versava ai piedi di un ulivo.
Ora conserva anche la carta dei regali insieme ai nastrini che luccicano e ci incarta la pagnotta del pane cotto a legna che compra per me ogni settimana perché ''lo pane de Roma 'n se pó magnà! ' .


Tina Russo
Ah, se si potesse conservare ( o recuperare?) il senso degli affetti racchiuso nelle cose, rispettandole (e rispettandoli) di più! Ora è tutto così " industrialmente fugace"...


Tina Russo:
Te piace 'o presepjo?
- No! Nun me piace! (Natale in casa Cupiello, il padre chiede ed il figlio risponde).



Lucia Porcelli
quando chiedevo a mia madre a cosa servisse quel soprammobile lei rispondeva che stava lì per bellezza ...mi piaceva tanto questa risposta perchè rivelava un amore materno per le cose da accudire e accarezzare quando si spolverano che contrastava con il senso crudo dell'utile a oltranza della nostra epoca efficiente. Gli oggetti simbolici che ci circondano ci ricordano la nostra appartenenza e sopravvivono al tempo che cambia restando lì come reduci di una guerra persa e spoglie sacre di una calda e tenera memoria.





Nessun commento:

Posta un commento