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lunedì 16 gennaio 2012

John Locke. Bene e male, ricompensa e punizione sono le uniche motivazioni per una creatura razionale: esse sono le redini e gli sproni medianti i quali il genere umano viene messo al lavoro e guidato

John Locke e l’Inghilterra rivoluzionaria.
Il 30 gennaio 1649, quando a Londra veniva decapitato il re Carlo I, John Locke aveva sedici anni.
I dieci anni precedenti erano stati agitati da una guerra civile che aveva contrapposto al re e a parte della nobiltà la fazione favorevole al parlamento, che rivendicava tra le sue ragioni il principio già di per sé rivoluzionario della rappresentanza del popolo inglese, nella quale si era distinto il puritano Oliver Cromwell a capo dei suoi “Ironsides”. Sconfitto nelle battaglie decisive, Carlo I veniva infine portato a Londra per essere giudicato; questo era l’evento politicamente più rilevante del parlamento, che lo condannò per la sua condotta alla pena capitale. Il suo regno era stato attraversato dal continuo conflitto proprio con l’organo legislativo, sciolto e delegittimato più volte, e dalle controversie religiose legate alle diverse confessioni. Era formato da anglicani, cattolici – più o meno malvisti a seconda del grado di vicinanza alla tradizione romana – e puritani, divisi in una moltitudine di sette.

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Questa situazione, almeno dal punto di vista del conflitto religioso, non cambiò sensibilmente dopo l’abolizione della Monarchia e la proclamazione della Repubblica capeggiata da Cromwell; dopo la morte di costui, avvenuta nel 1658, la tensione si acuì: il pensiero del primo Locke appare influenzato da queste vicende storiche, molto spesso sanguinarie e improntate al conflitto e al disordine civile, tanto che i “Due scritti sul magistrato civile”, del periodo immediatamente successivo alla parentesi repubblicana, tratteggiano la figura di un magistrato detentore di un potere forte ed esteso alle questioni religiose. Parallelamente Locke sviluppava una concezione che costituisse un antidoto al fanatismo e all’irrazionalismo, che erano alla base dei disordini civili vissuti durante tutta la giovinezza, cominciando a concentrare la sua attenzione sui temi dello stato di natura e della legge naturale universale.

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Nell’estate del 1666 Locke conosce Lord Ashley Cooper, futuro conte di Shaftesbury, impegnato nell’opposizione al nuovo re Carlo II; si trasferisce con lui a Londra, prendendo parte direttamente ai suoi affari politici. In questo nuovo ruolo, e di fronte alla politica autoritaria anche in campo religioso da parte del re, Locke rovesciò definitivamente la posizione espressa nei “Due scritti sul magistrato civile” e cominciò a sviluppare i temi della limitazione del potere politico e della tolleranza che costituiranno i cardini del suo pensiero maturo. Nel 1675 Locke lascia Londra, dove i rapporti tra Shaftesbury e il re erano peggiorati, e passa quattro anni in Francia, a Montpellier e poi a Parigi, rimanendo colpito dalla situazione di intolleranza nei confronti dei calvinisti imposta dalla politica assolutistica di Luigi XIV. Tornato a Londra nel 1679 deve nuovamente lasciare l’Inghilterra a causa dell’accusa di tradimento rivolta contro Shaftesbury, prossimo alla morte, e nel 1683 si trasferisce in Olanda, dove ha un’esperienza diretta di una realtà tollerante; stringe rapporti con intellettuali latitudinari e sviluppa ulteriormente la teoria politica che presenterà nei “Due Trattati sul Governo”.

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Quando nel 1685 muore il re Carlo II e gli succede il cattolico Giacomo II, in violazione dell’Atto di Esclusione che ne vietava l’ascesa al trono, la rivolta si fa prossima, ma non scoppia in una rivoluzione violenta: si ha invece quella che venne definita la “Gloriosa rivoluzione”, con la quale nel 1688 il trono viene consegnato a Guglielmo d’Orange, marito di Maria II Stuart, che arriva dall’Olanda e si insedia a Londra giurando di rispettare il parlamento e la dichiarazione dei diritti stilata dal parlamento stesso. La caratteristica fondamentale di questo evento è quindi l’instaurazione di una Monarchia per volontà del parlamento, rappresentante il popolo, e la formazione di un potere politico limitato dalla sua stessa struttura ed equilibrato nei poteri, temi che l’opera di Locke teorizza e giustifica razionalmente. Locke può così tornare a Londra e pubblicare i “Due Trattati” e altri scritti fondamentali elaborati negli anni precedenti.
L'Universale, 6 marzo 2017
http://www.luniversaleditore.it/2017/03/06/john-locke-linghilterra-rivoluzionaria/



Le nuove opinioni sono sempre sospette e vengono di solito contrastate, perché non sono diventate ancora comuni
John Locke


Bene e male, ricompensa e punizione sono le uniche motivazioni per una creatura razionale:
esse sono le redini e gli sproni medianti i quali il genere umano viene messo al lavoro e guidato.
John Locke


Le azioni degli uomini sono le migliori interpreti dei loro pensieri.


John Locke


Le leggi non vegliano sulla verità delle opinioni ma sulla sicurezza e l'integrità di ciascuno e dello Stato.
John Locke


«In un regno di pagani viene un gruppo di cristiani, piccolo e debole, privo di ogni cosa. 
Gli stranieri chiedono agli indigeni, da uomini a uomini, come si deve, gli aiuti per sopravvivere. Vengono loro concesse le cose necessarie, vengono assegnate delle sedi, i pagani e i cristiani diventano un popolo solo. La religione cristiana mette radici, si diffonde, ma non è ancora la più forte. Si coltivano ancora la pace, l’amicizia, la fiducia e si rispetta la giustizia. Ma alla fine i cristiani diventano più forti, perché vien fatto magistrato uno dei loro. Allora finalmente è tempo di rompere i patti, di violare i diritti, per cacciare l’idolatria, e questi buoni pagani, così scrupolosamente rispettosi del diritto, se non vogliono abbandonare i loro antichi riti e adottare quelli nuovi ed estranei, debbono vedersi privati della vita, dei beni e delle terre avite, anche se non peccano contro i buoni costumi e contro la legge civile. Dopo di che risulta apertamente a che cosa conduce il fanatismo per la Chiesa, quando è unito con il desiderio di predominio, e si dimostra con evidenza con quanta facilità la religione e la salvezza dell’anima servano da pretesto per l’ambizione e per le ruberie».
John Locke, Lettera sulla tolleranza


John Locke.
- Guerra: abbandono della ragione e uso ingiusto della forza -
“ In ogni guerra v’è di solito una complicazione di forza e danno: l’aggressore raramente trascura di danneggiare la proprietà di coloro contro cui in guerra usa la forza. È solo l’uso della forza, però, che mette un uomo in uno stato di guerra: sia che dia inizio all’offesa con la forza, sia che, avendo recato offesa in modo silenzioso e per mezzo della frode, si rifiuti di ripagarla, e con la forza la sostenga (che è la stessa cosa che averla fatta inizialmente con la forza), è l’uso ingiusto della forza che crea lo stato di guerra. Chi irrompe in casa mia e mi caccia con la forza fuori dalla porta e chi, essendo entrato pacificamente, con la forza mi tiene fuori, fanno in effetti la stessa cosa; supponendo di essere in uno stato in cui non c’è giudice comune sulla terra, al quale io possa appellarmi, e al quale entrambi siamo obbligati a sottometterci: perché di una tale situazione sto parlando qui. È l’uso ingiusto della forza, dunque, che mette un uomo in stato di guerra con un altro, e quindi colui che ne è colpevole mette in gioco la propria vita. Abbandonando la ragione, che è la legge che deve governare tra uomo e uomo, e usando la forza al modo delle bestie, egli diviene suscettibile di essere distrutto da colui contro cui usa la forza, come ogni bestia affamata, che è pericolosa per la sua esistenza.”
JOHN LOCKE (1634 – 1704), “Due trattati sul governo” (1689), a cura, introduzione e trad. di Brunella Casalini, Plus – Pisana Libraria Universitatis Studiorum – university press, Pisa 2007, ‘II trattato’, Capitolo XVI. ‘Sulla conquista’, 181., pp. 298 – 299.

“ Though in all war there be usually a complication of force and damage, and the aggressor seldom fails to harm the estate, when he uses force against the persons of those he makes war upon; yet it is the use of force only that puts a man into the state of war: for whether by force he begins the injury, or else having quietly, and by fraud, done the injury, he refuses to make reparation, and by force maintains it – which is the same thing, as at first to have done it by force – it is the unjust use of force that makes the war: for he that breaks open my house, and violently turns me out of doors; or having peaceably got in, by force keeps me out, does in effect the same thing; supposing we are in such a state, that we have no common judge on earth, whom I may appeal to, and to whom we are both obliged to submit – for of such I am now speaking – it is the unjust use of force then, that puts a man into the state of war with another; and thereby he that is guilty of it makes a forfeiture of his life: for quitting reason, which is the rule given between man and man, and using force, the way of beasts, he becomes liable to be destroyed by him he uses force against, as any savage ravenous beast, that is dangerous to his being.”
JOHN LOCKE, “Two treatises of government”, Introduction, note on the text by Thomas Ira Cook, Hafner, New York 1961 (I ed. 1947), ‘The Second Treatise of Civil Government’, Chapter XVI ‘Of Conquest’, 181., p. 214.


Il tuo azzurro è uguale al mio?
Il filosofo inglese John Locke, in Saggi sull'intelletto umano, formulò questo quesito:
"Come faccio a sapere che io vedo quello che tu vedi (quanto al colore) quando entrambi guardiamo un limpido cielo azzurro? Entrambi abbiamo appreso la parola azzurro da chi ci ha mostrato cose come il cielo limpido, quindi, l'uso che facciamo del termine che indica quel colore è lo stesso, anche se ciò che vediamo potrebbe essere differente!"




“La stessa legge della proprietà, per cui ogni uomo dovrebbe avere tanto quanto può usare, sarebbe ancora valida nel mondo, senza svantaggio per alcuno, dal momento che v’è terra sufficiente per il doppio della popolazione, se l’invenzione della moneta e il tacito accordo degli uomini a riconoscerle un valore, non avesse introdotto (per consenso) possessi più ampi e un diritto a essi.
Mostrerò con maggiore ampiezza come ciò sia avvenuto.”
John Locke



Il tuo azzurro è uguale al mio?
Il filosofo inglese John Locke (1632-1704), in Saggi sull'intelletto umano, formulò questo quesito: "Come faccio a sapere che io vedo quello che tu vedi (quanto al colore) quando entrambi guardiamo un limpido cielo azzurro? Entrambi abbiamo appreso la parola azzurro da chi ci ha mostrato cose come il cielo limpido, quindi, l'uso che facciamo del termine che indica quel colore è lo stesso, anche se ciò che vediamo potrebbe essere differente!"
Tratto da: Ubaldo Nicola, Sembra. ma non è. 60 esperienze filosofiche per imparare a dubitare.



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INDICE
Introduzione ai Two Treatises of Government ........................... 7
John Locke - Due trattati sul governo............................................. 57
Prefazione......................................................................................... 58
I Trattato .................................................................................................. 61
Cap. I. Introduzione........................................................................ 62
Cap. II. Del potere paterno e del potere regale .......................... 66
Cap. III. Del titolo di sovranità di Adamo per creazione ......... 74
Cap. IV. Del titolo di Adamo alla sovranità per donazione
(Genesi I,28)..................................................................................... 79
Cap. V. Del titolo di sovranità di Adamo in base alla
soggezione di Eva............................................................................ 96
Cap. VI. Del titolo di Adamo alla sovranità per paternità ........ 101
Cap. VII. Della paternità e della proprietà considerate
insieme come fonti della sovranità ............................................... 119
Cap. VIII. Del trasferimento del sovrano potere monarchico
di Adamo .......................................................................................... 124
Cap. IX. Della monarchia per eredità da Adamo....................... 127
Cap. X. Dell’erede del potere monarchico di Adamo ............... 141
Cap. XI. Chi è l’erede?.................................................................... 143
II trattato.................................................................................................. 187
Capitolo I.......................................................................................... 188
Cap. II. Dello stato di natura......................................................... 190
Cap. III. Dello stato di guerra ....................................................... 197
Cap. IV. Della schiavitù.................................................................. 201
Cap. V. Della proprietà................................................................... 204
Cap. VI. Del potere paterno .......................................................... 219
Cap. VII. Della società politica o civile........................................ 234
Cap. VIII. Dell’inizio delle società politiche ............................... 245
Cap. IX. Dei fini della società politica e del governo ................ 262
6
Cap. X. Sulle forme dello stato...................................................... 266
Cap. XI. L’ambito del potere legislativo...................................... 268
Cap. XII. Il potere legislativo, esecutivo e federativo dello
stato.................................................................................................... 276
Cap. XIII. La subordinazione dei poteri dello stato ...................... 279
Cap. XIV. La prerogativa............................................................... 286
Cap. XV. Del potere paterno, politico e dispotico, considerati
insieme............................................................................................... 292
Cap. XVI. Sulla conquista.............................................................. 295
Cap. XVII. L’usurpazione.............................................................. 307
Cap. XVIII. La tirannia .................................................................. 308
Cap. XIX. La dissoluzione del governo....................................... 315







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