Pagine

domenica 22 gennaio 2012

Fëdor Dostoevskij. Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata

Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere,
ma anche nel sapere per che cosa si vive.
Fëdor Dostoevskij


Mi inventavo avventure, mi creavo una vita fittizia,
tanto per vivere in un mondo qualunque.
E tutto per via della noia; l’inerzia mi schiacciava.
Fëdor Dostoevskij


.
L'undici novembre 1821 nasce a Mosca Fëdor Dostoevskij, tra i più grandi romanzieri di tutti i tempi. Immenso e inestimabile il valore della sua eredità letteraria. Nella rappresentazione di un'umanità lacerata da pulsioni e passioni contraddittorie e insanabili, Dostoevskij è uno dei padri, forse il più lucido e ispirato, della sensibilità contemporanea.
Buon anniversario Maestro.



Chi non è russo non capisce due cose: che non tutti i russi amano Dostoevski quanto lo amano gli americani; e che la maggior parte dei russi che amano Dostoevski venerano in lui il mistico, non già l'artista. Era un profeta, un giornalista dalla lingua sciolta e un teatrante da strapazzo. Ammetto che alcune sue scene, alcune delle sue terribili, farsesche baruffe, sono divertentissime. Ma i suoi assassini dal cuore tenero e le sue prostitute dalla grande anima non si possono sopportare, nemmeno per un istante - il sottoscritto, in ogni caso, non li sopporta"
V. Nabokov, Intransigenze


22 dicembre 1849. A San Pietroburgo, un uomo aspetta sul patibolo di essere giustiziato quando giunge, all'improvviso, la notizia della cancellazione dell'esecuzione. Quell'uomo è uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi: Fëdor Michajlovič ‪Dostoevskij‬; condannato per aver frequentato il circolo di M. V. Petraševskij, propugnante un socialismo utopistico, viene mandato a passare quattro anni di lavori forzati in Siberia. Scriverà al fratello, un anno dopo la liberazione: "I quattro anni di ergastolo io li considero ora come un periodo in cui fui sepolto vivo. È stata una sofferenza inenarrabile, infinita, ché ogni ora, ogni minuto mi pesava sull'anima, come una pietra".



Il 23 aprile 1849, Fëdor Dostoevskij viene arrestato per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi. In novembre, viene emessa la sentenza di morte. Il 22 dicembre, Dostoevskij e gli altri condannati, sono portati sul luogo dell'esecuzione e solo allora, dopo la lettura pubblica della sentenza e davanti al plotone d'esecuzione (secondo una norma allora in uso), lo zar commuta la pena in lavori forzati. Dell'esperienza maturata durante la prigionia narrerà il romanzo autobiografico "Memorie dalla casa dei morti", ma gli istanti precedenti alla sospensione della pena capitale, istanti di cui Dostoevskij scriverà: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?", saranno un ricordo che accompagnerà l'autore per il resto della sua vita.



“Oggi, 22 dicembre, siamo stati condotti sulla piazza Semënov. Lì è stata letta a tutti noi la sentenza di condanna a morte, poi ci hanno fatto accostare alla croce, hanno spezzato le spade al di sopra delle nostre teste…io ero il sesto della fila…non mi restava da vivere più di un minuto. Mi sono ricordato di te, fratello, e di tutti i tuoi; nell’ultimo istante tu, soltanto tu occupavi la mia mente, e soltanto allora ho capito quanto ti amavo, fratello mio carissimo! …ci è stato letto il problema con cui Sua Maestà Imperiale ci donava la vita, quindi è stata data lettura delle condanne autentiche…la vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda all’esterno. Intorno a me ci saranno sempre degli uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, in qualsiasi sventura, non abbattersi e non perdersi d’animo, ecco in cosa sta la vita, in che cosa consiste il suo compito. Io mi sono reso conto di questo, e questa idea mi è entrata nella carne e nel sangue!...Non ho mai sentito ribollire dentro di me delle riserve così sane e abbondanti di vita spirituale come adesso. Ma il corpo riuscirà a resistere? Non lo so... Forse un giorno ci riabbracceremo e ricorderemo insieme il nostro giovane tempo, il tempo passato, dorato, ricorderemo la nostra giovinezza e le nostre speranze che in questo istante mi strappo dal cuore, insieme con il mio sangue, e seppellisco...Possibile che io non prenda più la penna in mano? Io penso che tra quattro anni questo sarà possibile. Ti manderò tutto ciò che scriverò, se pure scriverò qualcosa...Dio mio, quante immagini da me vissute e da me create sono destinate a perire e a spegnersi nella mia testa, oppure mi si scioglieranno nel sangue come un veleno! Sì, se non mi sarò possibile scrivere io perirò, sarebbe meglio venir condannato a quindici anni di carcere, ma con la possibilità di tenere la penna in mano...del resto oggi sono stato vicino alla morte, per tre quarti d’ora ho vissuto con l’idea di essere giunto agli ultimi istanti della vita, e adesso invece sono di nuovo vivo! Se qualcuno ha serbato un cattivo ricordo di me, se ho avuto a che dire con qualcuno o se ho destato una cattiva impressione in qualcuno, di’ a tutti che se ne dimentichino, se avrai occasione d’incontrarli. Nel mio animo non c’è traccia di rancore o di collera; in questo momento vorrei tanto amare e abbracciare almeno qualcuno dei miei antichi amici...quando mi volto indietro a guardare il passato e penso a tutto il tempo inutilmente sprecato, a tutto quello che ho perduto in traviamenti, in errori, nell’ozio, nell’incapacità di vivere, a quanto poco ho saputo apprezzarlo, a quante volte ho peccato contro il cuore e contro lo spirito, il cuore mi sanguina...e adesso, cambiando vita, io rinasco in una nuova forma. Fratello, ti giuro che non perderò la speranza e conserverò puro lo spirito e il cuore...è terribilmente doloroso spezzarsi in due, tagliare in due il proprio cuore. Addio! Addio! Ma io ti rivedrò, ne sono sicuro, lo spero: resta fedele a te stesso...”
Fëdor Dostoevskij, lettera al fratello



"C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. Io lo ascoltavo con vivo interesse, quando narrava delle sue impressioni di allora e gli facevo cento e cento domande. Di tutto si ricordava con una chiarezza straordinaria: non avrebbe mai dimenticato, diceva, un sol attimo di quei minuti. A venti passi dal luogo dell'esecuzione, circondato dai soldati e dal popolo, tre pali erano confitti in terra, poiché i condannati erano parecchi. Trassero i primi tre verso quei pali, li legarono, li vestirono dell'abito della morte, cioè di lunghi camici bianchi, calcarono loro sugli occhi dei berretti anche bianchi, affinché non vedessero i fucili; poi di fronte a ciascun palo si schierò un drappello di soldati. Il mio uomo era l'ottavo condannato, e quindi gli toccava essere legato al palo nella terza serie. Un prete, con in mano il crocefisso, li assisteva. Si arrivò così a cinque minuti prima del momento fatale, non più di cinque. Quei cinque minuti, diceva, gli erano sembrati interminabili, una enorme ricchezza. Gli pareva di vivere, in quel brevissimo intervallo, tante e tante vite e così lunghe, che non c'era da pensare all'imminenza della morte. E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?... che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione... Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante".
Fëdor Dostoevskij, L'idiota




contro il muro, il plotone d’esecuzione pronto. poi hanno sospeso la pena.
supponiamo che avessero fucilato Dostoevskij.
prima che scrivesse tutto quello che ha scritto.
suppongo che non sarebbe
cambiato niente,
non direttamente.
ci sono miliardi di uomini
che non l’hanno letto e mai
lo leggeranno
ma da giovane è lui che mi ha fatto
sopportare la fabbrica,
andare oltre le puttane,
sollevandomi al cielo
per depormi
in un posto
migliore.
anche mentre ero al bar
a ubriacarmi con altri
derelitti,
ero contento che avessero sospeso la pena a Dostoevskij,
lui ha sospeso la mia
mi ha consentito di vedere con chiarezza
le facce rancide
del mio mondo,
la morte che punta il dito.
ho tenuto duro
ubriacone immacolato
a braccetto
con i miei fratelli
nella notte ripugnante.
Charles Bukowski, Dostoevskij
9 febbraio 1881, muore a S. Pietroburgo Fëdor Dostoevsky, filosofo e scrittore..



L’idea del romanzo è una mia antica e prediletta idea, ma è talmente difficile che per un pezzo non me la son sentita di affrontarla, e se mi ci son risolto adesso ciò è dovuto senz’altro al fatto che mi son trovato in una situazione quasi disperata.
L’idea principale del romanzo è quella di rappresentare una natura pienamente bella.
Non c’è nulla di più difficile al mondo, e specialmente oggi. Tutti gli scrittori, non soltanto russi, ma anche tutti gli europei, che si sono accinti alla rappresentazione di un carattere bello e allo stesso tempo positivo, hanno sempre dovuto rinunciare. Giacché si tratta di un compito smisurato. Il bello è un ideale, e l’ideale – sia il nostro sia quello dell’Europa civilizzata – è ben lontano dall’esser stato elaborato. Al mondo c’è stato soltanto un personaggio bello e positivo, Cristo, tantoché l’apparizione di questo personaggio smisuratamente, incommensurabilmente bello costituisce naturalmente un miracolo senza fine. (Tutto il Vangelo di Giovanni è concepito in questo senso: egli trova tutto il miracolo nella sola incarnazione, nella sola apparizione del bello.) […] Tra tutti i personaggi umanamente belli della letteratura cristiana il più completo e perfetto è Don Chisciotte. Ma Don Chisciotte è bello unicamente perché allo stesso tempo è ridicolo […]. Nel lettore si determina un sentimento di compassione nei confronti del personaggio umanamente bello che viene deriso e che non è cosciente del proprio valore, e con ciò stesso viene provocato anche un sentimento di simpatia verso di lui.
Fëdor Dostoevsky, Lettere sulla creatività



"Cospargetelo di tutti i beni del mondo, sprofondatelo nella felicità finché non gli arrivi fin sopra la testa, così che non se ne veda più se non qualche bollicina sulla superficie della felicità, come fosse la superficie dell’acqua; dategli una tale tranquillità economica, che non gli rimanga proprio nient’altro da fare se non dormire, mangiare pasticcini e adoperarsi perché la storia universale non finisca: bene, anche così l’uomo, da quel bel tipo che è, e unicamente per ingratitudine, unicamente per farvi una pasquinata vi combinerà una qualche porcheria. Metterà a repentaglio perfino i suoi pasticcini, e a bella posta desidererà le più rovinose sciocchezze, la più antieconomica delle assurdità, all’unico scopo di poter mescolare a tutta questa positiva ragionevolezza il proprio rovinoso elemento fantastico."
(F. Dostoevskij)


"Da un essere umano, che cosa ci si può attendere? Lo si colmi di tutti i beni di questo mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, tanto che alla superficie della felicità salgano solo bollicine, come sul pelo dell’acqua; gli si dia di che vivere, al punto che non gli rimanga altro da fare che dormire, divorare dolci e pensare alla sopravvivenza dell’umanità; ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano vi giocherà un brutto tiro, per pura ingratitudine, solo per insultare. Egli metterà in gioco persino i dolci e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e fantastico elemento. Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità…”
Queste parole uscirono dalla penna dell’uomo che Friedrich Nietzsche considerava il più grande psicologo di tutti i tempi: Fëdor Mikhailovič Dostoevskij. E tuttavia esse esprimono, anche se in forma piacevole e convincente, ciò che la saggezza popolare conosce da sempre: nulla è più difficile da sopportare di una serie di giorni felici."
PAUL WATZLAWICK, Istruzioni per rendersi infelici



Poi accadde. Una sera, mentre la pioggia batteva sul tetto spiovente della cucina, un grande spirito scivolò per sempre nella mia vita. Reggevo il suo libro tra le mani e tremavo mentre mi parlava dell'uomo e del mondo, d'amore e di saggezza, di delitto e di castigo, e capii che non sarei mai più stato lo stesso. Il suo nome era Fëdor Michailovič Dostoevskij. Ne sapeva più lui di padri e figli di qualsiasi uomo al mondo, e così di fratelli e sorelle, di preti e mascalzoni, di colpa e di innocenza. Dostoevskij mi cambiò. L'idiota, I demoni, I fratelli Karamazov, Il giocatore. Mi rivoltò come un guanto. Capii che potevo respirare, potevo vedere orizzonti invisibili. L'odio per mio padre si sciolse. Amavo mio padre, povero disgraziato sofferente e perseguitato. Amavo anche mia madre, e tutta la mia famiglia. Era tempo di diventare uomo, di lasciare San Elmo e andarmene nel mondo. Volevo pensare e sentirmi come Dostoevskij. Volevo scrivere.
John Fante


Che cos'è un individuo? in che cosa consiste la sua identità? Tutti i romanzi cercano di dare una risposta a queste domande. E in effetti, cos'è che definisce un io? Quello che fa, le sue azioni? Ma l'azione sfugge al suo autore, rivoltandosi quasi sempre contro di lui. La sua vita intima, allora, i pensieri, le emozioni segrete? Ma un uomo è in grado di capire se stesso? I suoi pensieri segreti possono davvero fornire la chiave della sua identità? Oppure ciò che definisce l'uomo è la sua visione del mondo, le sue idee, la sua Weltanschauung? E' questa l'estetica di Dostoevskij: ciascuno dei suoi personaggi obbedisce a una originalissima ideologia personale in base alla quale agisce con logica inflessibile (...). Alla ricerca di un tale fondamento - una ricerca interminabile - Thomas Mann ha dato un contributo assai importante: noi crediamo di agire, egli afferma, crediamo di pensare, ma è un altro o sono altri ad agire e a pensare in noi: abitudini ancestrali, archetipi tramandati sotto forma di miti da una generazione all'altra; e sono questi archetipi, dotati di una immensa forza di attrazione, che dal fondo di quello che Mann definisce "il pozzo del passato" continuano a governarci.
Milan Kundera, I testamenti traditi



È un vero peccato che attualmente si cerchi di facilitar tutto ai fanciulli, non soltanto l'istruzione in ogni campo, qualsiasi apprendimento di nozioni, ma anche i giuochi e i divertimenti. Non appena il fanciullo comincia a balbettare le prime parole, subito ci si dà da fare per facilitargli lo sforzo. Tutta la pedagogia odierna non ha altra preoccupazione. Facilità non è sempre sviluppo, qualche volta significa anche regresso. Due o tre idee, due o tre impressioni più profondamente vissute nell'infanzia, con uno sforzo proprio (e, se volete, con propria sofferenza), avvieranno il fanciullo nella vita più profondamente che non la scuola più organizzata nel facilitare le cose, dove nulla è preciso, né bene né male, dove persino il vizio non è vizioso e le virtù non sono virtuose. […] Gioventù cattiva e indesiderabile... ma io sono sicuro che l'educazione troppo intenta a render tutto facile porta la colpa se la gioventù è oggi così, e Dio sa quanta ce n'è oggi da noi di questo genere!
Fëdor Dostoevsky, Diario di uno scrittore


Voglio far sapere al signor Spasowicz che in Siberia, all’ospedale, nelle camere dei detenuti, mi è capitato di vedere le schiene degli ergastolani subito dopo che erano stati puniti con i bastoni a punta, dopo che avevano ricevuto cinquecento, mille e duemila colpi in una sola. L’ho viste diecine di volte. Certe schiene, credetemi Signor Spasowicz erano gonfie quattro o cinque centimetri. […] Ora io vi domando, signor difensore: anche se i bastoni non rappresentano un pericolo alla vita e non cagionano il minimo danno, sia può mai dire che una punizione simile non sia dolorosa, e non si tratti di sevizie? Vi par mai possibile che la ragazzina non abbia sofferto durante quel quarto d’ora sotto le terribili verghe, gridando: “Papà!, Papà!”? Perché dunque negate le sue sofferenze, il suo martirio? […] Ma ho già detto sopra da che deriva una tale confusione; ripeto ancora: la questione è che il nostro codice penale, a quanto ha asserito il signor Spasowicz, è oscuro, incompetente e insufficiente per quanto riguarda il concetto e la definizione di ciò che si debba intendere per sevizie.
Fëdor Dostoevsky,  Diario di uno scrittore - Dnevnik pisatelja, pag. 300




«Proprio presso una palizzata c'era un tale in disparte e supplicava, dicendo: "Dammi mezza kopeka, signore, per l'amor di Cristo," e con voce tanto aspra, rozza, che mi ha scosso per un certo senso di paura, ma non ho dato la mezza kopeka: non l'avevo. Per di più alla gente ricca non piace che i poveri si lamentino ad alta voce della magra sorte: molestano, sono importuni. Sì, la povertà è sempre importuna: i gemiti degli affamati, certo, disturbano il sonno del ricco!»
Fëdor Dostoevskij, "Povera gente"


L'uomo è l'unico animale per il quale la sua stessa esistenza è un problema che deve risolvere.
Erich Fromm, Dalla parte dell'uomo


"L'uomo è un enigma che dev'essere risolto, e chi va alla ricerca della soluzione per tutta la vita non può dire di aver sprecato il proprio tempo; io mi dedico a questo enigma poiché voglio essere un uomo".
Fëdor Michajlovič Dostoevskij - Lettera del 16 Agosto 1839 al fratello Michaìl


Io sono sicuro di me. L'uomo è un mistero. Un mistero che bisogna risolvere, e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo, non dire che hai perso tempo; io studio questo mistero perché voglio essere un uomo.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij - Lettera del 16 Agosto 1839 al fratello Michaìl

Non frequentavo nessuno, evitavo persino di parlare con la gente e mi rannicchiavo sempre di più nel mio cantuccio. [...] Ora mi è perfettamente chiaro che ero io stesso, in conseguenza della mia vanità sconfinata - e dunque delle enormi pretese che ni ponevo - a osservarmi da me con una rabbiosa insoddisfazione, che giungeva per l'appunto fino alla ripugnanza; e appunto perciò nei miei pensieri attribuivo a tutti gli altri quel mio modo di osservarmi.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij


“Riesco abbastanza bene nello studio del ‘significato dell’uomo e della vita’; posso studiare i caratteri mediante la lettura degli scrittori in compagnia dei quali trascorro liberamente e gioiosamente la parte migliore della mia vita; non ti dirò più nulla su di me. Mi sento sicuro di me. L’uomo è un mistero. Un mistero che bisogna risolvere, e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo, non dire che hai perso tempo; io studio questo mistero perché voglio essere uomo
Fëdor Dostoevskij, Lettere sulla creatività



Fratello, io non mi sono abbattuto, non mi sono perso d'animo. La vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda all'esterno. Intorno a me ci saranno sempre degli uomini, ed essere uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, in qualsiasi sventura, non abbattersi e non perdersi d'animo, ecco in che cosa sta la vita, e in che cosa consiste il suo compito. Io mi sono reso conto di questo, e questa idea mi è entrata nella carne e nel sangue.
Fëdor Dostoevskij, Lettera al fratello Michaìl, 22 Dicembre 1849


La vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda all'esterno.
Intorno a me ci saranno sempre degli uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre,in qualsiasi sventura, non abbattersi e non perdersi d'animo, ecco in che cosa sta la vita, e in che cosa consiste il suo compito.
Io mi sono reso conto di questo, e questa idea mi è entrata nella carne e nel sangue. Si, è vero! Quella testa che creava, che viveva della vita superiore dell'arte, che aveva preso coscienza e si era abituata alle sublimi esigenze dello spirito, ebbene quella testa è già stata tagliata via dalle mie spalle. È rimasta la memoria e le immagini da me create, ma non ancora realizzate.
Queste immagini mi bruceranno come piaghe aperte, è vero!
Ma in me è rimasto il cuore, è rimasta quella stessa carne e sangue che può sempre amare e soffrire, desiderare e ricordare, e questa è ancora vita.
Fëdor Dostoevskij; Lettera al fratello dalla fortezza di Pietro e Paolo - 1849



Tutto è nella mani dell’uomo, e tutto esso si lascia portar via sotto il naso, solamente per vigliaccheria. Sarei curioso di sapere che cosa gli uomini temono più di tutto. Fare un passo nuovo, dire una parola propria, li spaventa al massimo grado.
Fëdor Dostoevskij


Non state a sofisticare maliziosamente; lasciatevi andare alla vita, così, senza stare a ragionare; non preoccupatevi, vi trarrà dritto alla riva e vi metterà in piedi. Lo so che non mi credete, ma, diamine, la vita vi trarrà in salvo.
Fedor Dostoevskij


Ma lo sapete, lo sapete voi che senza l'Inghilterra l'umanità potrebbe ancora vivere, senza la Germania pure, senza l'uomo russo potrebbe vivere e vivrebbe anche troppo bene; potrebbe vivere senza la scienza, senza il pane...; solo senza la bellezza non si potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe nulla da fare al mondo?
Fëdor Dostoevskij


Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri.”
Fëdor Dostoevskij, 11 novembre 1821 - 28 gennaio 1881


La tragedia e la satira sono sorelle e vanno di pari passo;
tutte e due prese insieme si chiamano verità.
Fëdor Dostoevskij



"Molto sulla Terra ci è celato, ma in cambio ci è stata donata la segreta, misteriosa sensazione del nostro vivo legame con un altro mondo, con un mondo celeste, superiore, e le radici dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti non sono qui, ma in quell'altrove. Ecco perchè i filosofi affermano che sulla Terra non si può afferrare l'essenza delle cose. Dio ha preso i semi di altri mondi, li ha seminati su questa Terra coltivando il suo giardino, e tutto ciò che poteva spuntare è spuntato, ma tutto quello che è stato coltivato vive ed è vivo solo grazie alla percezione del contatto con quei mondi misteriosi; se dentro di te questa sensazione si affievolirà o si annullerà, morrà anche ciò che in te era stato coltivato. Allora diventerai indifferente alla vita e prenderai persino ad odiarla"
Dostoevskij


Un essere che si abitua a tutto. Ecco, credo, la migliore definizione dell’uomo
Fëdor Dostoevskij


Però che pozzo si son saputi scavare! E ne approfittano! Come ne approfittano! E vi si sono abituati. Han pianto un poco, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco ch'è l'uomo.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij

“Essi sostengono che il mondo si stia unendo sempre di più, che si stia organizzando in una comunità fraterna, dal momento che accorcia le distanze e trasmette i pensieri nell’aria. Ahimè, non credete a questa unione fra gli uomini! Concependo la libertà come moltiplicazione e rapido soddisfacimento dei desideri, gli uomini distorcono la propria natura giacché generano in se stessi molti desideri e abitudini insensati e sciocchi, molte sventatissime fantasie. Vivono solo per invidiarsi l’un l’altro, per lussuria e ostentazione. Fare pranzi, viaggi, possedere carrozze, gradi e servi che li accudiscano – si considerano tutte necessità per le quali vale la pena di sacrificare persino la vita, l’onore, l’amore per il prossimo; e gli uomini sono pronti ad ammazzarsi se non riescono a soddisfare queste necessità.” 
Fëdor Dostoevskij


"Ricorda particolarmente che non puoi in alcun modo essere giudice. Giacché nessuno può essere su questa terra giudice d'un malfattore, se prima non abbia egli stesso acquistato coscienza che anche lui è altrettanto malfattore quanto quello che gli sta innanzi, e che lui per l'appunto, rispetto al delitto di colui che gli sta innanzi, è forse prima d'ogni altro colpevole. Quando abbia raggiunto questa comprensione, allora potrà anche essere giudice. Per quanto abbia tutta l'apparenza di una cosa assurda, questa non è che la verità. Infatti, se io stesso fossi stato giusto,
forse anche il malfattore che mi sta dinanzi non sarebbe tale".
Fëdor Dostoevskij



"Non ci si persuade del proprio buon senso chiudendo il prossimo in manicomio"
Fëdor Michajlovič Dostoevskij


Perché avremmo una mente se non per fare a modo nostro?
Fëdor Dostoevski

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.
Fëdor Dostoevskij


La civiltà ha reso l'uomo più sanguinario di quanto non lo fosse un tempo.
Fedor Dostoevskij


Dai la libertà all'uomo debole, ed egli stesso si legherà e te la riporterà.
Per il cuore debole la libertà non ha senso.
Fëdor Dostoevskij, L'affittacamere, 1847


Nel mondo attuale per libertà s'intende la licenza, mentre la vera libertà consiste in un calmo dominio di se stessi. La licenza conduce soltanto alla schiavitù.
Fëdor Dostoevskij, "La risoluzione russa del problema", in "Diario di uno scrittore", giugno 1886


"Penso che la principale, la più radicale necessità spirituale del popolo russo c'è necessità di sofferenza... Anche nella felicità sicuramente c'è una parte di sofferenza, altrimenti la felicità non è completa."
Fëdor Michajlovič Dostoevskij


La sofferenza e il dolore sono sempre obbligatori per una coscienza ampia e per un cuore profondo. Ho l’impressione che le persone autenticamente grandi debbano provare al mondo una grande tristezza...
Fëdor Dostoevskij, Delitto e Castigo


Un dolore autentico, indiscutibile, e' capace di rendere talvolta serio e forte, sia pure per poco tempo, anche un uomo fenomenalmente leggero; non solo, ma per un dolore vero, sincero, anche gli imbecilli son diventati qualche volta intelligenti, pure, bene inteso, per qualche tempo.
Fëdor Dostoevskij


Per un dolore vero, autentico, anche gli imbecilli sono diventati qualche volta intelligenti.
Questo sa fare il dolore.
Fëdor Dostoevskij

Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita,
amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita.
Fëdor Dostoevskij



Eh signori, che libertà sarà mai, quando si arriverà alla tabella e all'aritmetica, quando avrà corso soltanto il due più due quattro? Due più due farà quattro anche senza la mia libertà
Esiste mai una libertà del genere?
Fëdor Dostoevskij


Dunque l’uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico.
Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos?
Feodor Dostoevskij



Nei ricordi di ogni uomo ci sono certe cose che egli non svela a tutti, ma forse soltanto agli amici.
Ce ne sono altre che non svelerà neppure agli amici, ma forse solo a sé stesso, e comunque in gran segreto. Ma ve ne sono infine, di quelle che l'uomo ha paura di svelare perfino a sé stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere.
Fëdor Dostoevskij

L'uomo è infelice perché non sa di essere felice.
Soltanto per questo. Questo è tutto, tutto!
Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante.
Fëdor Dostoevskij


Sarcasmo: L'ultimo rifugio per le persone modeste e caste quando l'intimità della loro anima è stata invadentemente violata
Fëdor Dostoevskij


E la letteratura è una bella cosa, Varin’ka, una gran bella cosa. è una cosa profonda! 
Una cosa che fortifica il cuore della gente, che ammaestra (…)
La letteratura è un quadro, cioè in un certo qual modo è quadro e specchio;
passioni, espressioni, critica sottile, ammaestramento edificante, documento.
Fëdor Dostoevskij, da “Povera Gente”





Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita […] e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà.
Fëdor Dostoevskij, Quaderni e taccuini


Amare l'uomo come se stessi, secondo il comandamento di Cristo, non è possibile. [...] L'io è di ostacolo. Cristo soltanto poteva farlo, ma Cristo era l'ideale eterno sin dall'inizio dei tempi, quell'ideale al quale tende, e deve tendere per legge di natura, l'uomo. Invece, dopo la comparsa di Cristo come ideale dell'uomo incarnato, è diventato chiaro come il giorno che lo sviluppo supremo, l'evoluzione ultima della personalità deve appunto arrivare (nell'ultimo stadio dello sviluppo, nel momento stesso in cui il fine sia raggiunto), a far sì che l'uomo trovi, riconosca e con tutta la forza della sua natura si convinca che l'uso più elevato che egli può fare della propria personalità, della pienezza di sviluppo del proprio io, consiste quasi nell'annientare l' io stesso, nel consegnarlo a tutti e a ciascuno indivisibilmente e senza riserve. E questa è la massima felicità. [...] Questo appunto è il paradiso di Cristo. Tutta la storia, sia dell'umanità sia, in parte, di ciascuno singolarmente è soltanto evoluzione, lotta, perseguimento e conseguimento di questa meta.
Fëdor Dostoevskij, Quaderni e taccuini 1860-1881.



Ascoltate! Lo so che non serve a niente parlare: meglio dare l'esempio, meglio incominciare... io ho già incominciato... è dunque davvero possibile essere infelici? Che cosa significano il mio dolore e la mia disgrazia se sono in grado di essere felice? Sapete, non capisco come si possa passare accanto ad un albero e non essere felice di vederlo. Parlare con una persona e non essere felice di amarla! Oh, io non lo so esprimere... quante cose belle si incontrano ad ogni passo, cose così belle che anche l'uomo più abietto le apprezza? Guardate un bambino, guardate l'alba divina, guardate l'erba, come cresce, guardate negli occhi che vi guardano e vi amano...
Fëdor Dostoevskij





Uomo, non ti esaltare al di sopra degli animali: 
essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, contamini la terra.
Fëdor Michajlovic Dostoevskij



Amate gli animali: Dio ha donato loro i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. Non siate voi a turbarla, non li maltrattate, non privateli della loro gioia, non contrastate il pensiero divino. Uomo, non ti vantare di superiorità nei confronti degli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, insozzi la terra con la tua comparsa su di essa e lasci la tua orma putrida dietro di te; purtroppo questo è vero per quasi tutti noi.
Fëdor Dostoevskij




Il soffrire passa. L’aver sofferto non passa mai
Fëdor Michajlovič Dostoevskij 


Io vorrei farti dormire, ma come i personaggi delle favole, che dormono per svegliarsi solo il giorno in cui saranno felici. Ma succederà così anche a te. Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. QUELLO CHE PRIMA TI SEMBRAVA IMPOSSIBILE DIVENTERÀ SEMPLICE, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani.
Fëdor Dostoevskij





Quando si ha un grandissimo dolore, dopo i primi accessi più violenti, si vuole sempre dormire.
Si dice che i condannati a morte abbiano un sonno straordinariamente profondo durante l’ultima notte. Si, dev'essere proprio così, lo esige la natura stessa, altrimenti le forze non basterebbero.
Fëdor Dostoevskij - "La mite"




il sonno è uno dei primi sintomi della depressione...



Venuto a sapere la cosa il giorno stesso, parlai dolcemente, ma fermo e chiaro. 
Lei era seduta sul letto, e guardava in terra, battendo col suo piedino destro il tappeto (una sua maniera), un sorriso cattivo le sfiorava le labbra. Allora io, senza affatto alzare la voce, le dichiarai tranquillamente che il denaro era MIO, che avevo il diritto di guardar la vita coi MIEI occhi, e che quando l'avevo invitata a casa mia, non le avevo nascosto nulla.
Ella balzò all'improvviso, si scosse tutta, e - l'avreste creduto? - si mise a battere i piedi in terra: era una belva, e quello era un accesso, era una belva in un accesso. Io rimasi di sasso dallo stupore: mai mi sarei atteso una simile esplosione. Ma non mi smarrii, anzi non feci un movimento, e sempre calmo dichiarai che da quel momento non avrebbe più partecipato ai miei affari. Lei mi rise in faccia e uscì di casa.
Non aveva il diritto di uscir di casa. Senza di me in nessun luogo: tale era la condizione prima ancora che ci sposassimo. Verso sera ritornò; io, nemmeno una parola.
La Mite, di Fedor Dostoevskij, 1980 Tascabili Bompiani pagg.49-50.



Fëdor Dostoevskij si era interrogato già in precedenza sulle ragazze suicide, ma è nella scrittura del piccolo capolavoro "La mite" che si domanda:
"Gentili, buone, oneste dove andate, perché vi è tanto cara questa oscura e sorda tomba? Guardate, nel cielo splende il chiaro sole primaverile, sono fioriti gli alberi e voi siete stanche senza aver vissuto". Aveva in mente soprattutto una "tranquilla cucitrice", la Borisova, gettatasi dal sesto piano, tenendo tra le braccia un'icona.
"E' un suicidio mite, umile. Non c'erano stati neppure mormorii o rimproveri ... Dio non ha voluto ed è morta, dopo aver pregato, questa creatura mite ..." scrive.
Fedor Dostoevskij, Diario di uno scrittore



ma lei, La Mite, guarda con "severa meraviglia" lui, l'estraneo, egoista marito, e di quello sguardo egli, se lo comprendesse fino in fondo, dovrebbe avere terrore. Egli è stato giudicato e pesato dalla "Mite" ed è stato trovato "scarso". Il suicidio stabilisce per sempre la distanza incolmabile tra i due: lei è in pace, con Dio misericordioso, l'uomo rimane solo con i suoi demoni.





“Tutti gli scrittori, non soltanto i nostri, ma anche tutti quelli europei che hanno pensato di raffigurare un uomo positivamente bello, si sono sempre dati per vinti. Perché si tratta di un compito sconfinato. Il bello è l’ideale, e l’ideale, sia quello nostro, sia quello della civilizzata Europa, è ancora lungi dall’essere elaborato. Al mondo c’è una sola persona positivamente bella: Cristo, sì che l’apparizione di questa persona sconfinatamente, infinitamente bella è, naturalmente, già un miracolo infinito... Tra le persone belle della letteratura cristiana la più compiuta è Don Chisciotte. Ma egli è bello unicamente perché nello stesso tempo è ridicolo”
da F. M. Dostoevskij
Lettera del 1/13 gennaio 1868 alla nipote Sonja.



"Penso che il diavolo non esista ma che l'abbia creato l'uomo, a sua immagine e somiglianza." 
Fëdor Dostoevskij



Io non sono contrario a Cristo. Era una personalità umana in tutto e per tutto e se vivesse ai nostri tempi, si unirebbe certamente ai rivoluzionari e, forse, avrebbe anche un ruolo di spicco fra di loro… Non c’è dubbio su questo.
Fëdor Dostoevskij





Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, … un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!
Fëdor Dostoevskij. Diario di uno scrittore







Maria Isaeva (Foto: Ria Novosti)

Alla fine arrivò il momento: il marito di Maria Isaeva morì e il modesto scrittore, praticamente privo di mezzi di sussistenza, chiese apertamente a Maria Isaeva di diventare sua moglie. Ma il tardivo primo amore di Dostoevskij doveva superare ancora nuovi ostacoli: la donna lo mise alla prova. Maria Isaeva tormentò lo scrittore con delle lettere in cui chiedeva consigli su come chiedere a un uomo anziano e benestante di sposarla. Ma se Dostoevskij era abile al gioco, non lo era di certo in amore. Si sposarono ugualmente, ma per la donna Dostoevskij fu più un fratello, che un marito. I coniugi non potevano competere né da un punto di vista spirituale né fisico. Marc Slonim, uno dei più grandi filologi russi del XX secolo, scrisse nel suo libro "I tre amori di Dostoevskij”: Dostoevskij la amò per tutte le sensazioni che ella suscitò in lui, per tutto quello che lui ripose in questo amore, per tutto ciò che era ad esso collegato e per la sofferenza che questo causò. Fino all'ultimo giorno di vita di Maria (morta nel 1864 per il protrarsi di una malattia), a legare i due coniugi fu più la grande sofferenza reciproca che un vero e proprio sentimento d’amore.

Fu proprio Maria Isaeva a ispirare l'eroina del romanzo di Dostoevskij "Umiliati e offesi": Natasha, una donna martirizzata da un dolore insopportabile ma che allo stesso tempo amava con rassegnazione.



L’amore eterno
Dostoevskij incontrò la giovane universitaria Apollinaria Prokofyevna Suslova nel corso di una delle serate di letture pubbliche dello scrittore. Lui aveva 42 anni, lei 22. Appolinaria diede a Dostoevskij quello che mai gli diede Maria: i due condividevano i gusti letterari e la passione fisica.




Lei non era una donna mite e dolce, ma un’amazzone, seducente e temuta allo stesso tempo. Ma Dostoevskij non poteva dare ad Appolinaria ciò che lei avrebbe desiderato poiché lui era ancora sposato con Maria e il suo rapporto con la giovane Appolinaria era clandestino. A un certo punto, dopo una serie di tradimenti della Suslova, dopo la più lunga delle loro separazioni, durata due anni, Appolinaria non era più la ragazza giovane e inesperta, pronta a tornare sempre dallo scrittore.

Appolinaria disse freddamente allo scrittore che non lo avrebbe sposato. Se è vero che Appolinaria Suslova fu fonte di grande dolore nella vita di Dostoevskij, non si può negare che questa donna lasciò un’impronta eterna anima dello scrittore. “Trasaliva quando si faceva il nome di lei, mantenne una corrispondenza segreta con lei, di nascosto dalla giovane moglie, ripetute volte si riferiva a lei nei suoi scritti e fino alla morte portò i ricordi delle sue carezze e delle sue ferite. Egli rimase sempre, nel profondo del suo cuore, fedele alla sua ragazza seducente, crudele, sbagliata e tragica”, scrive Marc Slonim.

Appolinaria lasciò un segno profondo nella vita di Dostoevskij e praticamente in ognuna delle sue opere si trovano alcune caratteristiche di questo eterno amore. Qualcosa della Suslova lo troviamo nel personaggio eroico di Dunya ("Delitto e castigo"), qualcosa nell'appassionata ed eccentrica Nastasya Filippovna ("L’idiota"), qualcosa nell’orgogliosa e nervosa Lisa ("Demoni"). Appolinaria ispirò infine il personaggio di Polina, l'eroina principale del “Il giocatore".


I tre amori di Dostoevskij
L’amore fu per lui come i suoi romanzi: complesso, carico di tensione e di psicologia. E, proprio come nei suoi libri, Dostoevskij diede alle donne amate tutto sé stesso. Tuttavia fu sola una di loro a portare pace e armonia all'anima inquieta dello scrittore


L’amore felice
Anna Grigorievna Snitkina fu la stenografa che aiutò lo scrittore durante la stesura del romanzo "Il giocatore". Lo scrittore aveva 25 anni più di lei.



Lavorarono al romanzo a tal punto che dopo un paio di giorni dalla sua conclusione non riuscirono a immaginarsi l’uno senza l'altro e così nel 1867 Anna divenne la moglie di Dostoevskij. Ci si chiede quale significato abbia avuto per lo scrittore il romanzo “Il giocatore”: L’ eroina principale del romanzo è riconducibile all'amata Appolinaria, lo scrisse letteralmente sul letto di morte della moglie Maria e lo redasse con l’aiuto della stenografa e futura moglie, Anna.

Dopo il matrimonio con Anna, Dostoevskij sentì una necessità piuttosto pratica: aveva bisogno di costanza, di un terreno solido sotto i piedi. E inizialmente il loro matrimonio somigliò al rapporto di Dostoevskij con le sue ex amanti, ma poi Anna fece un passo che nessuna prima aveva osato fare: gli chiese di tenere unita la famiglia, cambiare l'atmosfera e andare all'estero. Un anno dopo il matrimonio nacque la seconda figlia, che lo scrittore amò sinceramente. Ma presto nella casa dei coniugi arrivò un grande dolore: la piccola Sonia morì. Più tardi ebbero altri tre figli. In 14 anni di matrimonio con Dostoevskij, Anna provò dolore e angoscia: la morte di due bambini, la gelosia del marito, la sua dipendenza dal gioco, ma non si lamentò mai del destino e fino all'ultimo giorno rimase una compagna fedele.

Probabilmente fu proprio perché Anna si rivelò l’unica donna ad accettare Dostoevskij così com’era, senza cercare di cambiarlo, che l’amore per questa ragazza fu il più felice e armonioso nella vita dello scrittore.


30 luglio 2015 VICTORIA DREY

http://it.rbth.com/2015/07/29/dostoevskij-e-quegli-amori-che-partorirono-libri_328249


Il demone di Dostoevskij.
Fëdor Dostoevskij soffriva di epilessia. 
Si racconta che abbia avuto il primo attacco l’8 giugno 1839, a diciott’anni, quando ricevette la notizia che il padre era stato ucciso dai propri contadini, esasperati dai suoi maltrattamenti. Non ci sono testimonianze serie al proposito, ma questo non impedì a Sigmund Freud di ricamarci sopra comunque, alla sua solita maniera, nel saggio Dostoevskij e il parricidio (1927).

Le prime crisi accertate di epilessia lo scrittore le ebbe in seguito al trauma di una finta fucilazione, alla quale fu sottoposto il 23 dicembre 1849. La pena capitale per sedizione era infatti stata commutata dallo zar nei lavori forzati, poi descritti nelle Memorie dalla casa dei morti (1862), ma la notizia venne comunicata ai condannati solo dopo una macabra messinscena, che lasciò un segno indelebile su molti di loro.

Nonostante la rimozione di Freud, che declassava l’epilessia di Dostoevskij a un sintomo isterico, la malattia era non solo fisiologica, ma ereditaria: l’aveva anche il figlio Aleksej, che ne morì a soli tre anni. Ma lo scrittore non viveva le crisi in maniera puramente negativa: al contrario, le paragonava a esperienze mistiche, e dichiarò che non le avrebbe scambiate per nessun’altra gioia al mondo.

Oltre che in questa prima malattia, organica, Dostoevskij sperimentò il doppio vincolo dell’esaltazione mista al dolore anche in una seconda malattia, psicologica: il vizio del gioco, al quale egli dedicò il romanzo Il giocatore (1866), e Freud la seconda parte del proprio saggio. 
In Dostoevskij mio marito (1916) la moglie Anna descrive con molta comprensione lo stress materiale che il gioco causava al marito e alla famiglia, ma anche lo stimolo intellettuale che egli sapeva trarre dall’indigenza e dalla sofferenza per scrivere le sue “opere malate”, come le definì Tolstoj.

D’altronde, la signora Dostoevskaja sapeva fin dagli inizi che razza di uomo il destino le aveva assegnato come compagno di vita. Era stata infatti assunta il 3 ottobre 1866 come stenografa per lo scrittore, che doveva immediatamente consegnare un nuovo romanzo a un editore che gli aveva anticipato dei soldi per pagare i debiti, ipotecando i diritti delle sue opere passate e future. Il 4 ottobre la ventenne ragazza entrò in servizio, alla fine del mese il libro era finito, nei primi giorni del 1867 era in libreria e il 15 febbraio i due erano già sposati.

Manco a dirlo, l’instant book era l’autobiografico Il giocatore. 
La storia si svolgeva in una fittizia Roulettenburg, ispirata alle reali Wiesbaden e Baden Baden: due città di terme e casinò, per il risanamento del corpo e la perdizione dell’anima del jet set ottocentesco. Il Dostoevskij scapolo c’era andato nell’autunno del 1863, dilapidando quasi tutto il suo patrimonio: ad accompagnarlo c’era allora la studentessa Apollinaria Suslova, che divenne la Polina del Giocatore (oltre che Katerina di Delitto e castigo, Nastasja dell’Idiota, Lizaveta dei Demoni e Grushenka dei Fratelli Karamazov).

Il Dostoevskij sposato tornò a Wiesbaden e Baden Baden con la moglie nell’estate del 1867, perdendo di nuovo alla grande, come racconta Leonid Cypkin in Estate a Baden Baden (1982). 
Il viaggio di nozze dello scrittore e della stenografa durò quattro anni, durante i quali lui scrisse due libri, L’idiota (1869) e I demoni (1871), e lei partorì due figlie, la prima morta a soli tre mesi. Ma, almeno stando ai ricordi della moglie, dopo la folle estate del 1867 Dostoevskij giocò solo sporadicamente, e smise del tutto quand’essi tornarono in Russia nel 1871.

Certo era destinato a indebitarsi, giocando, visto che credeva in un metodo infallibile per vincere: lo scrive lui nel Giocatore, e lo conferma la moglie nei ricordi, precisando entrambi che il metodo richiedeva però il possesso di un grosso capitale. Ma un ingegnere come Dostoesvkij, laureato nel 1843 alla Scuola Militare del Genio di San Pietroburgo, avrebbe dovuto sapere che “grosso” significa in realtà “illimitato”, e che nemmeno l’uomo più ricco del mondo ha un tale capitale a disposizione: figuriamoci un giocatore rimasto al verde, che cerca disperatamente di rifarsi delle perdite.

Il metodo è semplicemente la cosiddetta martingala
un termine introdotto in Francia nel Settecento, per indicare il tentativo di battere la fortuna in un gioco d’azzardo sfruttando le regole a proprio vantaggio. Ad esempio, poiché giocando “rouge e noir” alla roulette si vince il doppio della posta quando esce ciò su cui si è puntato, e si perde la posta altrimenti, il trucco consiste nel raddoppiare a ogni tiro la posta fino a quando si vince. Lo stesso succede giocando “manque e passe”, cioè la prima o la seconda metà dei numeri da 1 a 36. Naturalmente, in entrambi i casi si può essere sicuri di vincere solo avendo a disposizione un capitale e un tempo infiniti.

I giocatori del Giocatore giocano affannosamente entrambi i giochi, ma non possono evitare di notare che a volte esce anche lo zero. Le regole del casinò sono dunque truccate a favore del banco, perché le probabilità nel “rouge e noir”, così come nel “manque e passe”, non sono 18/36 ma 18/37 (e 18/38 con il doppio zero). In un gioco onesto la vincita dovrebbe essere un po’ più del doppio, perché la probabilità di vincere è un po’ meno di metà, e una strategia ideale di vincita dovrebbe prevedere un po’ più del raddoppio della posta a ogni tiro.

In ogni caso Aleksej, l’autobiografico protagonista del romanzo, ammette apertamente di non calcolare quando gioca, e a volte di non sapere nemmeno quanto vincerebbe. Ma spesso si abbandona alla tipica superstizione dei giocatori dei giochi d’azzardo: di credere, cioè, che la storia delle puntate precedenti abbia un effetto sul seguito, come accade appunto nei romanzi o nelle telenovelas. Nella realtà, invece, ogni puntata è una storia a sé stante, che segue le leggi della probabilità senza preoccuparsi di ciò che è già successo. Ad esempio, anche se uscisse il rosso cento volte di seguito, non per questo la probabilità che esca il nero la centounesima sarebbe maggiore di quanto è stata in ciascuna puntata precedente.

Si sa comunque che i giochi d’azzardo costituiscono una tassa sulla stupidità, e i protagonisti del Giocatore sono effettivamente uno più stupido dell’altro: primo fra tutti Aleksej, che sperpera la sua grossa vincita finale facendosi spennare a Parigi in poche settimane dalla escort Blanche. 
Ma almeno lui non ha rimorsi, a differenza dei protagonisti dei romanzi poliziesco-esistenzialisti di Dostoevskij, tanto sopravvalutati dalle piccole educande romantiche quanto sottovalutati dai grandi scrittori russi, da Tolstoj a Bunin a Nabokov.

Quest’ultimo, in particolare, insegnava a non prendere sul serio le opinioni espresse nei romanzi, meno che mai dai predicatori come Dostoevskij, e a concentrarsi sui fatti descritti. Avrebbe dunque apprezzato di sapere che vari indizi del Giocatore permettono di ricostruire i cambi delle varie monete europee citate nel romanzo.

Nel corso della vicenda il generale, la nonna e Aleksej cambiano infatti 120 rubli con 100 talleri, 4 federici e 3 fiorini, 13.000 fiorini con 8.000 rubli, 420 federici con 4.000 fiorini e 20 federici, e 25.000 fiorini con 50.000 franchi. Il sistema di quattro equazioni e cinque incognite permette di ricavare i cambi di quattro delle monete in funzione della quinta, scoprendo ad esempio che il fiorino valeva 2 franchi, il tallero 3,04 franchi, il rublo 3,25 franchi e il federico d’oro 20 franchi. Il che dimostra che persino in un romanzo di Dostoevskij a volte si può trovare almeno un fatto.

(Articolo uscito oggi sul cartaceo di Repubblica, in occasione del 150-esimo anniversario della pubblicazione del Giocatore)
http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2017/06/12/il-demone-di-dostoevskij/

Nessun commento:

Posta un commento