giovedì 8 dicembre 2011

Carmelo Bene. SIAMO, QUEL CHE CI MANCA. Da per sempre

L’umanesimo è la vergogna dell’Italia. Il Rinascimento è lo schifo, ha tutto il mio disprezzo, se paragonato al gotico medioevale. Questi Medici banchieri. Erano degli strozzini, usurai, tutti quelli della famiglia medicea. Hanno fornito dei papi. Gente che svendeva il Paese tra Carlo V e Francesco I. Facevano scempio dell’Italia, la “rigovernavano”. Ma la Storia non mi riguarda. Il tempo non esiste. Ci s’illude di parlare di eventi passati o di progresso. Ma è tutto già passato. Come le comete che vediamo tramontare: son già decadute migliaia di anni luce orsono. Perché non deve valere anche per il resto? La storia è questo canestro di scorie miserrime, casualissime, di un possibile già accaduto.


Di mia madre Amelia. Ne confezionò ben quattro di nomi, per mania di grandezza. tutti regali e tutti regolarmente registrati all’anagrafe. Carmelo, Pompilio, Realino e Antonio, che è forse quello che più mi si addice, questa disfatta di Azio, questa rotta senza Cleopatra. Carmelo è nome fin troppo lusinghiero, il nome di una grande montagna per un topolino, un bambino gracile come ero io. ma amelia non pensava alla montagna, così come non pensava a Numa Pompilio o a Marc’Antonio, ha infilato solo quattro santi e buonasera. Forse mio padre l’ha fermata, sennò avrebbe snocciolato giù un rosario intero.
Carmelo Bene, Vita di Carmelo Bene.



SS: Lei in una conferenza stampa ha detto che (legge) «La peggiore offesa che ha fatto il teatro nei confronti della donna è stata di mandarla in scena, non dico in senso di oltraggio, ma perché con la donna si sono introdotti la famiglia, le corna, gli amanti nell’armadio.». […] come pensa che la donna abbia introdotto queste cose, quando il teatro non è mai stato scritto da donne, almeno questo tipo di teatro a cui lei si riferisce, non ci sono registe donne e soprattutto le attrici non hanno potere decisionale ? CB: […] sto scrivendo un libro su questo, sul femminile come assenza […] Non accusavo la donna come il potere decisionale della donna…dicevo che l’avvento della donna sulla scena, dopo lo splendore della parentesi seicentesca elisabettiana, ha determinato il crollo definitivo del teatro. Questo lo sostenevo a proposito di un discorso sull’androgino. Laddove io sostenevo questo attaccavo anche la presenza del maschio sulla scena. Mi son sempre detto, considerato, una signora […] io penso che la peggiore offesa che si sia potuta arrecare alla donna è stata trascinarla in palcoscenico. In un palcoscenico della rappresentazione, in un palcoscenico dove si rappresenta la storia maschile, anzi supermaschia […] poi chi ha scritto per la donna ? Altri maschietti […] la donna si è sentita lusingata dal maggiore affronto. Io avrei preferito prostituta, ma attrice mai […] in quel contesto di teatro, nell’irrappresentabile, no! Cioè nella poesia, no. Ma in quel contesto di teatro così storicizzato, così vergognosamente dialettico.
“Acquario” del 1978. SS = Saviana Scalfi, CB = Carmelo Bene



Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l'arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi, l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso.
Carmelo Bene



Nietzsche è impazzito, ma se l'è meritato. Qui invece di pazzi ne abbiamo fin troppi che non se lo sono sudato, non se lo sono guadagnato. Questo è il discorso. E sono squallidi, mediocri. Come i nostri governanti, i vostri governanti.
Carmelo Bene


"E che cosa dovrei andarci a fare? L'arte non esiste più, è diventata una sottospecie del turismo di massa. In questo senso l'intuizione del ministero di Turismo e Spettacolo, che allora io chiamavo Spettacolo del turismo mancato, si è rivelata esatta. I teatri sono filodrammatiche di impiegati guidati da un facchino che ha letto qualche giornale in più. Tutti fermi al ruolo, alla rappresentazione, cose che attraverso di me sono state debellate tanti anni fa. Gli autori non esistono. Al pubblico si danno cose che già conosce. È tutto un ripetere, recitare, recensire, riscoprire. Ora per esempio si riscopre Eduardo, senza Eduardo, il che è impossibile. I suoi testi, le Filumene Marturano, sono ben poca cosa. La grandezza di Eduardo era altro".
Carmelo Bene


«Un cimitero di autori morti. Il cinema è nato come cattiva imitazione della letteratura. Io trovo che il tempo che uno dedica a vedere un film di Ejzenstejn sarebbe meglio usato per rileggere Puškin, perché si trova di più e meglio. Ejzenstejn è la brutta copia di certe cose di Puškin. Perché rifiutare di vedere il bello per vedere il distribuito, il contemporaneo? Joyce ha fatto in Ulisse il più grande esempio di montaggio, a cui nessuno era mai arrivato».
Carmelo Bene



Già la Storia!… Gli Oppressi e gli Oppressori… (“Kafka” – Deleuze-Guattari) … Burocrazia… La “Macchina“: non si sfugge al congegno della Macchina, non soltanto in catena di montaggio. Non si è mai fuori dalla Macchina nemmeno in solitudine, in amore, a tempo “libero,” in vacanza, ecc.: era questo il mio S.A.D.E. Servo-Padrone. E, tuttavia, soprattutto i più giovani non si “rassegnano” a considerare la propria età un’età dell’uomo (immaturità d’uno stadio d’ingranaggio). No, come se non bastasse, un demone borghese-antiborghese ne fa un partito. E’ un demone faustiano rovesciato: la Coscienza di Macchina. E allora? Eh!, ci sono i Problemi! Quali?, se “l’universo è l‘infinito della mia disattenzione” ( non so più chi l’abbia detto)?… E invece, no. Queste giovani anime (“brutte”?) si rammaricano perché emarginate. Da che? Dall’ingranaggio della Macchina stessa? Come dire?, è davvero l’autoemarginazione che hanno in dispregio, coincidendo questa posizione con la sola conquista (anche questa illusoria scelta) possibile, se “possibile” è solo al di là della storia… Se politica-attrice è solamente la variazione continua del mio stupore. Se davvero è impensabile morire di morte.
(Cfr. Carmelo Bene, Gilles Deleuze, Sovrapposizioni. 1979, 2002 Quodlibet, Macerata.)


Principio di individuazione: ci svegliamo la mattina, vorremmo suicidarci, poi ci bastano 2-3 caffè e via, si torna lì, ad ammazzare il tempo.
Carmelo Bene


Il corpo implora il ritorno all'inorganico. Nel frattempo non nega nulla ... 
E' tutta la vita che tolgo di scena il burattino, l'incubo d'un pezzo di legno che ci si ostina a voler farcire con carne marcia. Precipitare nell'umano -che parola schifosa- questa è la disavventura. Gli anatomisti gridano al miracolo quando parlano del corpo umano. Ma quale miracolo? Un'accozzaglia orrenda, inutilmente complicata, piena di imperfezioni e di cose che si guastano ... Me ne fotto di quel che mi riguarda. Malati gravi si è per definizione. 
Carmelo Bene


«Quando Pinocchio impara a leggere diventa un essere mediocre, perde il legno e con esso l’inorganico, l’infanzia e si avvia a diventare un bambino perbene, cioè un cittadino che può esprimersi solo attraverso l’ottusità dei proverbi. Alla fine Pinocchio insegnerà a leggere al padre analfabeta con l’arroganza che è propria della paternità; nessuno è padre a un altro, del resto. In questo ritroviamo la situazione della scuola, il paternalismo volgare della coscienza precetta del Grillo Parlante, della codifica del linguaggio che viene fuori da qualunque regime, qualsiasi esso sia»
Carmelo Bene


Si nasce per farsi fuori, no? Se prima non ti fanno fuori gli altri. È una coscienza di vita che si pone al di là del principio di piacere. In questo non c’è niente di strano. Anche i bambini, in Freud, sono felici nella propria infelicità. Buttano via il giocattolo per andarlo a recuperare. Lo buttano via, piangono e vanno a recuperarlo. Non bisogna tenere in malo conto la tristezza o il pessimismo. Io sono dalla parte del pessimismo. Col pessimismo si sono scongiurate e si sono costruite delle cose. L’ottimismo è funesto. L’ottimismo ha generato solo guerre, stragi e distruzioni.
Carmelo Bene


Si nasce e si muore soli, che è già un eccesso di compagnia
Carmelo Bene


Più che nato, sono stato abortito. Ecco, io mi considero a tutti gli effetti un aborto vivente. Quando sono nato? Ma il tempo non esiste. Non mi sento nato e non mi sento cristiano, tantomeno cattolico. Non festeggio, nè lutteggio i miei anniverasri. In quanto all'anagrafe, rifiuto categoricamente certificati e date, imputabili semmai a quello sfaccendato di Aloysius Lilius.
Un mascalzone patentato, medico e astronomo. Gregorio XIII gli commissionò nel 1582 la stesura del progetto da cui sortì quell'orrore metafisico che è il calendario gregoriano, riforma contabilmente più precisina del precedente calendario giuliano. Detesto qualunque calendario che si dica religioso ma è solo ritual-mondano-fantastico-ecclesiale. Vorrebbe sacralizzare il tempo e lo riduce a carnet festivaliero, che la mia persona estetica non può che disdegnare. Una convenzione che emana lezzo ontologico. Di sacro, ieratico, non ha proprio niente.
Preseguo da sempre lo smarrimento delle genti; la storia non mi riguarda. Il calendario è una muraglia cinese contro l'innocenza del divenire, che non dovrebbe ammettere certificazioni come la carta del tempo. La carta del tempo è un'invenzione delle culture agricole e io fui abortito in Magna Grecia, terra nomade per eccellenza.
Ha ragione Schopenhauer: il sospiro degli innamorati è in realtà la specie che vagisce. Non esiste la copula, è la specie che bussa. Quelli fottono, la specie batte, reclama il suo diritto a questo basso continuo da fognatura, che è la sorte dell'umano escremento. In qualche altra vita sarò Philippe le Bel e convocherò a Napoli Gregorio XIII per dargli due schiaffi. A lui e ad Aloysius. Tornando all'aborto che sono, dirò con Laforgue: "Mays nous y sommes / tenons-nous-y".
Carmelo Bene




È la morte che muore, noi non si muore. Non si muore più. La morte è impensabile. Tutta la vita è un agonia, e poi con le malattie dolorose, ecco: questi fastidi sì son appunto “fastidiosi”. Ma non la morte. La morte è lei che muore, non è il morir della vita, ma il morir della morte che è la vita, o il morir della morte in ciò che è questa povera nostra vita. Che nessuno ha chiesto, nessuno ha chiesto di essere nati. Là ci aspetta l’inorganico, l’inanimato, ci aspetta lì la vera pace e quiete, di cui non saremo mai a conoscenza. Morto per sempre, ecco, questo è importante. Questo morir per sempre, e non questa anticamera del morir la morte. “Muoia la morte”, è così che urlava il Tamerlano di Marlowe. È la morte che muore, non ci riguarda.
Carmelo Bene


La morte, l’amor-te, l’amor…la morte è la vita. Anzi il prenatale, già quando noi si è feto noi siam fetenti, nel senso che noi già abbiamo questo lezzo di morte. E quindi questa si chiama nascita, non è una nascita, è già una morte, è già un coma. La vita è un coma, un coma che inizia nelle acque maternali e poi segue fino alla morte della morte. Perché il morir è il morir della morte. È la morte che muore, noi non si muore. Non si muore più. La morte è impensabile. Tutta la vita è un agonia, e poi con le malattie dolorose, ecco: questi fastidi sì son appunto “fastidiosi”. Ma non la morte. La morte è lei che muore, non è il morir della vita, ma il morir della morte che è la vita, o il morir della morte in ciò che è questa povera nostra vita. Che nessuno ha chiesto, nessuno ha chiesto di essere nati. Là ci aspetta l’inorganico, l’inanimato, ci aspetta lì la vera pace e quiete, di cui non saremo mai a conoscenza. Morto per sempre, ecco, questo è importante. Questo morir per sempre, e non questa anticamera del morir la morte. “Muoia la morte”, è così che urlava il Tamerlano di Marlowe. È la morte che muore, non ci riguarda.
Carmelo Bene



Il calendario è una muraglia cinese contro l’innocenza del divenire che non dovrebbe ammettere certificazioni come la carta del tempo. La carta del tempo è un’invenzione delle culture agricole e io fui abortito in terra d’Otranto, terra nomade per eccellenza.”
Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di Carmelo Bene (Milano: Bompiani, 1998)


Si può solo dire nulla: destinazione e destino d'ogni discorso.
Ma solo questo nulla è proprio quel che si dice.
La verità del discorso intesa come esperienza stessa del suo errore.
Altro non resta che, in tutto abbandono, lasciarsi comprendere dal discorso senza appunto la nostra volontà di intenzione. "Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".  E Nietzsche mutuato non distinguo da Montale.
Carmelo Bene
da: "Quattro Momenti su Tutto il Nulla"


Se si vuole davvero cambiare qualcosa, bisogna cominciare a cambiare se stessi, andare contro se stessi fino in fondo. Il massimo impegno civile è l'auto-contestazione.
Carmelo Bene


La Democrazia è quel sistema che permette al popolo di prendere a calci il popolo su mandato del popolo
Carmelo Bene


La democrazia è demagogia nella definizione di Hobbes. Come nelle competizioni elettorali di Lewis Carroll, arrivare primi o ultimi è la stessa cosa. Il tema è solo uno, la poltrona. Votare questo o quello è del tutto indifferente. La gente, beata, crede di aver messo una croce su questo o su quello, ma la croce si mette solo su se stessi, sulla grazia che nulla accada e nulla si modifichi. Nelle aristocrazie il principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo popolo. In democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo. E’ la pratica certosina dell’autoinganno. Si dice che il trenta percento sia astensionismo. Nego, tutto è astensionismo. Sono comunque voti sprecati. Vanno a scongiurare che qualcosa accada, consegnano il voto a inetti. E’ lo zelo negligente delle masse. Nel loro ignoto lo fanno apposta ad eleggere governi impossibili dalle maggioranze molto risicate. Cesare Pavese diceva che quattro chiodi fanno una croce, ma quando i chiodi sono una serie infinita diventano zero. Si vota in tanti per non contare nulla.
Carmelo Bene, “Fatemi il funerale da vivo”



"Con Benigni siamo amici da anni. Lui è grande nel "buffo", ma lasciamo stare il "comico". I buffi sono concilianti, rallegrano la corte e le masse. Il comico che interessa a me è un'altra cosa. Cattiveria pura. Il ghigno del cadavere. Il comico è spesso involontario. Specialmente quando si sposa con il sublime." "La voce dell'opera si è fermata con la Callas, una perfezionista, nel senso che perfezionava i suoi difetti, come tutti i geni. Trovare e cestinare. Di questo si tratta." (...) In quanto al mio amico Vittorio Gassman, gli dissi una volta scherzando: "Non puoi accontentarti di essere il meglio del peggio, cioè il pessimo"" (...) "Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l'arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi, l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso." (...) "Nelle aristocrazie il principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo popolo. In democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo. E' la pratica certosina dell'autoinganno. Si dice che il trenta per cento sia astensionismo. Nego, tutto è astensionismo. Sono comunque voti sprecati." (...) "Io sono già dimenticato, meglio ancora ignorato, in vita. Mi hanno promesso a Otranto i funerali da vivo. Non c'è bisogno di consegnare un cadavere in pubblico per
meritare la dimenticanza."
Carmelo Bene, "L'Espresso" del 13.1.2000




Non si nasce per lavorare, spiegarsi, pensare:
non si nasce nemmeno a de-pensare perché anche questo è occuparsi del pensiero.
Non si nasce a gestire, all’agire-patire: ci è tutto inflitto dalle circostanze.
Carmelo Bene


«E’ qualcosa. Ma non basta. Gli studenti la devono smettere di fare gli studenti.
Quanti quarantenni frequentarono ancora gli atenei della penisola? Gli studenti di oggi sono brutti, vecchi e rozzi. Quarant’anni, gente con quattro lauree. Abitano ancora con i vecchi genitori, e la sera reclamano il brodo servito in tavola. Gli studenti devono imparare a farsi una loro rappresentazione del mondo. Perché non se ne stanno nei prati a far l’amore? Perché oltre ai compact e ai film porno non si scambiano anche i buoni libri. Perché non vanno a ubriacarsi con quel bel vino nero dei Castelli? No. Anche loro statalizzati, Cirini e Pomicini, anche loro intinti nel potere. Che la smettano con la Jervolino, che la smettano di prendersela con lo Stato, sono loro lo Stato. No, a bere non ci vanno. Piuttosto puliscono i cessi delle università oppure guardano la televisione»
Carmelo Bene



Il sonno mio - pure io dormiente -
non è sonno: è continuo un pensiero
ostinato
e gli occhi miei si chiudono
solo a guardarmi dentro.
Eppure io vivo. Ho l'aspetto la forma
il respiro degli uomini viventi.
Sapere è patire, sventura
è la scienza. Coloro che più sanno
più amaramente devono
piangere il vero fato:
l'albero della scienza non fu mai
l'albero della vita.
Carmelo Bene, "Manfred" - 1978



“Resuscita i morti?!… Resuscita i morti?… No no no no no, io non voglio che faccia questo, no no non voglio, glielo proibisco, no no glielo proibisco! Questo non lo può fare. Non gli permetto che si resuscitino i morti. Bisogna trovare quest’uomo e dirgli che io non gli permetto di resuscitare i morti. Dove si trova ora costui? Dov’è dovè?… Bisogna trovarlo subito… non importa… trovarlo subito e dirgli da parte mia che io gli proibisco che io gli proibisco di resuscitare i morti. Cambiare l’acqua in vino, guarire i lebbrosi, i ciechi: queste cose se vuole le può fare, non ho nulla in contrario, anzi trovo che guarire i lebbrosi sia una buona azione. Ma non gli permetto di resuscitare i morti. Sarebbe terribile se i morti rivivessero.”
Carmelo Bene (Erode) in Salomè




SIAMO, QUEL CHE CI MANCA. Da per sempre.
Carmelo Bene

Credo in Dio perchè non esiste:
sono in ginocchio davanti all'assenza.
Carmelo Bene


È sbagliato vedere nelle sue ultime prove segni di un’attenzione per la religiosità?
Il sentimento religioso mi attira più che mai ora perché non esiste più, soprattutto grazie alla Chiesa. Si prenda questo nauseante Giubileo. Hanno demolito ogni residuo di sentimento religioso di questo coma che è la vita, per celebrare un’altra festa del turismo di massa. Con l’applauso dei cosiddetti laici, i laidi e laici che hanno magnificato lo spirito di queste greggi turistiche in pellegrinaggio. Mentre ci sono politici, come quel Casini, che parlano di Dio come se fossero in confidenza. Col Giubileo il cattolicesimo ha confermato la sua inferiorità rispetto al protestantesimo, che non nega l’individuo e non ha bisogno di questo delirio di massa”.
C’è qualcuno o qualcosa che rimpiange dell’epoca dei suoi esordi, della vita culturale degli anni Sessanta e Settanta?
“Non ho fatto in tempo a conoscere Tommaso Landolfi, al quale i suoi amici, non molti, dicevano che io somigliassi. Mi capita di pensare a Pasolini, a proposito del quale ho evitato con cura di leggere le celebrazioni di queste settimane sulle gazzette. Eravamo amici, nonostante la differenza di età. Penso alla sua grandezza di antipoeta, di bestemmiatore di fede e speranza, di corruttore. Al suo autolesionismo, che non è masochismo ma autodistruzione. Le nostre brave sinistre non hanno mai voluto accettarlo in questa dimensione eppure basta sbirciare nel Salò. Moravia lo diceva: il poeta è cattivo. I poeti devono essere cattivissimi”.
(La Repubblica – 20 novembre 2000) Estratto dall'intervista di CURZIO MALTESE



A quattro anni servivo già le messe in latino e l’ho fatto fino a quattordici. C’è mancato pochissimo che diventassi santo. Avevo una passione per le immagini di Maria Vergine. In chiesa vezzeggiavo queste Madonne di cartapesta. Una sera sollevai la veste a una di loro e restai scioccato. C’era solo un traliccio di legno.
Carmelo Bene, Vita di Carmelo Bene.





V’è una nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento.
Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna.



«Come Giuseppe Desa da Copertino, che dopo mezza vita di insistenze a che gli fosse spedito a Osimo il ritratto della sua Madonna prediletta, accortosi d’un tratto della tentazione che tanta immagine avrebbe in lui prodotto, non lo volle più. Intravvide in quel dipinto la donna terrena, sottoterrena, e la seppellì dentro di sé […] Anch’io dimenticai quelle mie meravigliose madonne […] E, da buon settenne iconoclasta, seppellii in me la santità donnesca. Fu questa la mia prima crociata ai danni dell’immagine. Mi ritrovai a sette anni a sentirmi la Madonna».
Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna


Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna.
E` nel 1983 che Carmelo Bene cerca per la prima volta di ripercorrere a ritroso la sua multiforme vita, con la pubblicazione della provocatoria autobiografia ‘Sono apparso alla Madonna’. Il testo più che assumere le caratteristiche tipiche del journal intime, toni impulsivi e pochi inclini alla contrattazione, un uso strumentale della lingua finalizzato a lasciare una traccia prima di tutto, prende la forma di un canovaccio per un attore stravagante. Sono apparso alla Madonna pare scritto per essere letto ad alta voce, proclamato, ascoltato da un pubblico come allo stesso Carmelo Bene piaceva fare.Un canovaccio dunque, figlio dello sperimentalismo istrionico e provocatorio del suo autore alla ricerca di uno stile nuovo, identitario, che si discostasse dai canoni classici della lingua italiana. Carmelo Bene con un italiano ingarbugliato che rifiuta aprioristicamente di essere educato e imbrigliato traccia il ritratto dell’Italia – e dell’Europa – intellettuale degli anni ’60 e ’70. In questo disegno sgembo e allucinato rientrano i pomeriggi passati al bar a bere aranciate con  Albert Camus perché autorizzasse la messa in scena di Caligola, le cene con Elsa Morante e Eduardo De Filippo che accompagnano i primi successi teatrali, l’incontro con Dalì che sancisce una nuova visione dell’arte che sia in grado di trascendere la materialità e la carnalità umana.


Ai rapporti tra l’attore e il pittore spagnolo è dedicato un intero capitolo della prima autobiografia in cui è il ruolo dell’artista ad essere messo a giudizio:
 “Dalì mi raccomandava: “No, tu non puoi essere ancora un genio, l’ho visto nel tuo film… C’è ancora molta sofferenza…tu sei ancora un artista, io sono un genio.”Capisco oggi quanto avesse ragione Dalì, a presagire e a insegnarmi, in pieni anni ’70, il ‘genio’ come al di là della ‘sofferenza’.”
La genialità è concepita come la capacità di liberarsi dal feticcio del realismo, di superare la sofferenza per vedere a fermo ciglio cosa si estende oltre. Lasciarsi alla spalle tutto ciò che è umano e tentare di descrivere questa perdita presuppone uno sforzo prima di tutto linguistico. La lingua di Carmelo Bene è poliedrica, attoriale, priva della preoccupazione grammaticale e più attenta alla musicalità, al colore delle parole. Ed ecco che nel capitolo dedicato alla sua infanzia scopriamo che un’idea tanto radicale del linguaggio ha origine nei primi anni della sua vita quando leggeva ad alta voce i testi di Shakespeare pur non comprendendone il significato:
“V’era un’incomprensione testuale – più profonda e felice d’ogni ‘saperla lunga’ avvenire. Che Importava di Verdi, Tosti, Shakespeare? Nemmeno loro furono se stessi
La genialità intesa come possibilità di innalzarsi oltre le sofferenze e dimenticare l’uomo fino a detestarlo porta lo scrittore pugliese a maledire il momento  della nascita, atto creativo per eccellenza, e peccato originale in cui risiedono in nuce tutti i dolori. Sperare e pensare di non essere mai nati è la drammatica risposta a tutti i patimenti che porta l’attore a implorare Mi rivuoi, mamma? Dimmi che ci hai ripensato.
Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna


Parlare (al)la Madonna. Questa parentesi è l’abisso. Quanta pena deve farci un attore – il più dotato delirante de-genere – a ripensar l’equivoco del rivolgere il dire a, se il convito d’amore è amor del dire, se conversare è solo ascolto di colui che nomina. [...] E’ follia intrattenere la Madonna. Ella è quel nulla di che noi siamo. E se la voce la espropria, la figura, è perché noi preghiamo devotamente.La devozione è quell’affanno misero di che la nostra preghiera ansima e se ne muore. E, addolorata, trista conseguenza, la Madonna ci appare. Mortificata nel pettegolezzo, la nostra voce ha le sue visioni. E son queste visioni che il dire musicale riconverte nella implosione buia della voce, così che noi parliamo la Madonna. [...] Un boato salutava il termine della Lectura Dantis, d’entusiasmo (in)fondato. Non v’ha dubbi. Ero apparso alla Madonna.
Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna


(…) E di nuovo in chiesa. Quel parlar latino, rispondere latino deformato, anche lì miriadi di donne, il coro, «le voci bianche». Questo rituale mi avrebbe in seguito nauseato. Lo trovavo già allora un vilipendio alla religiosità. Il culto come oltraggio al dio assente mi avrebbe poi destinato a quella «rivoluzione» teatrale «copernicana», alla «sospensione del tragico», al rifiuto d’esser nella storia, in qualunque storia, anche e soprattutto in scena.
Carmelo Bene, da Sono apparso alla Madonna



C’ero già stato da bambino a Roma. Dai medici o all’ “Opera” con i miei. Roma come città men che mai eterna non m’interessava, non la vedevo proprio. Mai frequentate le borgate. Nelle chiese non entravo, come già ho detto m’era cresciuta una forma di ripugnanza per i riti clericali. Le rovine non m’incuriosivano. Che restino lì queste rovine sverniciate, senza stucchi, questo Colosseo che sembra un enorme molare cariato, perché non lo abbattono?, mi dicevo. Non m’interessa. Mai interessato. Sono un antiumanista in ogni senso. Aveva ragione Jarry. Anche se allora non l’avevo ancora letto. Bisogna rovinare le rovine. Mi dava fastidio questa Roma in macerie. Così la vedevo. Questi imbecilli di turisti che sciupano ettari di pellicola per fotografare ruderi, cose inerti.
Carmelo Bene



- Maurizio Costanzo: "Maestro, ci fermiamo un'attimo per una cosa vile: i consigli per gli acquisti."
- Carmelo Bene: "Vilissima, ve li sconsiglio."
- Maurizio Costanzo: "Va be', consigli per gli acquisti, lui li sconsiglia ma va bene così ... consigli per gli acquisti."
- Carmelo Bene: "Ma fate quello che volete tanto siete consigliati, siete acquistati, non è che acquistate. Acquistate un cazzo."
"Uno contro tutti" - Maurizio Costanzo Show (1995)




E v'è quella di ciò che sarebbe solo potuto essere ed invece è stato.


"Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l'arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi, l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso.”
Carmelo Bene.


Un grande artista si pone per quello che è, un pericolo pubblico, un criminale.
In questo senso, sono stato, sono un criminale. Ho sempre cercato il mio patibolo.
Il cemento delle teste vuote contro cui andarmi a disintegrarmi.
Carmelo Bene

Basta con questo "senso" della vita.
Basta con lo scopo della esistenza.
Basta con la vita.
Basta con i figli, basta con la famiglia, basta col lavoro, basta con lo stato.
Basta con la cultura, intesa come colonizzazione.
Basta con Gesù.
Basta con la libertà: sputate sui tribuni della libertà.
Basta con la politica, basta con la democrazia, la democrazia non è niente, è mera demagogia.
Basta con la fine! bisogna farla finita con la fine!
Carmelo Bene

E’ qualcosa. Ma non basta. Gli studenti la devono smettere di fare gli studenti. Quanti quarantenni frequentarono ancora gli atenei della penisola? Gli studenti di oggi sono brutti, vecchi e rozzi. Quarant’anni, gente con quattro lauree. Abitano ancora con i vecchi genitori, e la sera reclamano il brodo servito in tavola. Gli studenti devono imparare a farsi una loro rappresentazione del mondo. Perché non se ne stanno nei pratia far l’amore? Perché oltre ai compact e ai film porno non si scambiano anche i buoni libri. Perché non vanno a ubriacarsi con quel bel vino nero dei Castelli? No. Anche loro statalizzati, Cirini e Pomicini, anche loro intinti nel potere. Che la smettano con la Jervolino, che la smettano di prendersela con lo Stato, sono loro lo Stato. No, a bere non ci vanno. Piuttosto puliscono i cessi delle università oppure guardano la televisione
Carmelo Bene.


La COSCIENZA è la scoperta che NOI NON SIAMO, SIAMO UN DIVENIRE MA NON SIAMO UN ESSERE.
Carmelo Bene


Per non esistere bisogna deporre la volontà, intanto. La volontà non è mai buona.
La volontà è la coscienza, non la coscienza in se, noumeno Kantiano di coscienza, ma la coscienza civile, la coscienza di questa cosa, la coscienza di questa sedia, la conoscenza di questo posacenere, non c’è la coscienza. Non si deve far altro che essere incoscienti, cercare l’abbandono. Ma esso non si può nemmen trovarlo giacché quando noi siamo nell’abbandono non ce ne avvediamo, perché noi allora siamo l’abbandono, ma essendo l’abbandono non siamo più noi.
Carmelo Bene, delirio non-idea


"sospensione del tragico", al rifiuto di essere nella storia, anche e soprattutto in scena.
L'essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte. L'essermi alla fine liberato anche di me.


Arianna Filo:
 ‎...e cerchiamo da sempre i pezzi mancanti...
La ricerca continua. La mancanza pesa di meno.


È LA FOLLA COME FALLO, è l'errore di massa.
Non l'erranza. È FINITA QUELL'ERRANZA, il nomadismo, IL PENSIERO.
Dove c'è qualità si muore. Si tocca il filo rosso. Crepi. È CORTOCIRCUITO. 
Carmelo Bene


...Sono dalla parte di chi non è, di chi sente il disagio del non esserci, mi sento vicino all’immateriale, all’inorganico. La Storia non mi contempla io mi rifiuto di essere nella storia, scusatemi la mia incoscienza civile, non sono un barbaro né incivile, ma non sono un barbaro, non sono un incolto, non sono un incivile, sono un capolavoro. Attenzione qui non c’è più la vanità: Basta produrre capolavori, bisogna essere un capolavoro! Ma non è vanità, è il disfacimento del concetto di soggettoL’arte deve essere incomunicabile, deve solamente superare se stessa, una volta fuori di noi. Ma non posso che cercare di spiegare il mio disagio, non posso darmi appuntamenti con il realeNoi siamo tutti nel discorso ma noi che parliamo non stiamo parlando, il discorso non appartiene al parlato, io che sto parlando per questo non sono io.
Carmelo Bene



E se l’inferno mi storpiò la mente… il cielo mi deformi in proporzione…
Non ho nessun fratello, non somiglio a nessuno io, e la parola amore che dicono divina si stia con tutti quelli che son fatti l’uno per l’altro, io… io sono… un diverso…
Carmelo Bene

Io cito cose che potrebbero essere mie.
Solamente per ragioni di sintesi dico l’ha detto tizio;
così per confortarvi perché non sia sempre io a parlare.
Carmelo Bene


I giornalisti sono impermeabili a tutto. Arrivano sul cadavere caldo, sulla partita, a teatro, sul villaggio terremotato, e hanno già il pezzo incorporato. Il mondo frana sotto i loro piedi, s'inabissa davanti ai loro taccuini, e tutto quanto per loro è intercambiabile letame da tradurre in un preconfezionato compulsare di cazzate sulla tastiera. Cinici? No frigidi.”
Carmelo Bene


È ORA DI COMINCIARE A CAPIRE, a PRENDERE CONFIDENZA CON LE PAROLE.  Non dico con la Parola, non col Verbo, ma CON LE PAROLE; INVECE IL LINGUAGGIO VI FOTTE. VI TRAFORA. VI TRAPASSA E VOI NON VE NE ACCORGETE. Voi sputate su Einstein, voi sputate sul miglior Freud, sull'aldilà dei principi di piacere; VOI IMPUGNATE E APPLAUDITE L'OVVIO, ne avete fatto una minchia di questo OVVIO, in cambio della vostra. Ma io non vi sfido: non vi vedo!
Carmelo Bene

Antonio Belgioioso:
Carmelo Bene non è un genio. Carmelo Bene E' IL GENIO !


Io mi occupo (e - purtroppo o per fortuna - si occupano di me) solo dei significanti, i significati li lascio ai significati.
Carmelo Bene


"... Davanti al caminetto, sai, tra una caccia inglese e l'altra... il tepore... senti della gente che chiacchiera; poi a un certo momento t'accorgi se c'è uno davvero che parla... ma quando parla è parlato, non sta conversando, non vuole comunicare niente, non vuole esprimere niente. È la voce, che ha superato la parola, quindi il chiacchiericcio. In Mademoiselle de Maupin di Théophile Gautier c'è una frase divertente: "A volte, nei salotti parigini - chiosa, a un certo punto, l'autore - quando siedo, ahimè, col mio prossimo e qualcuno di esso apre bocca per sillabare non importa che, resto sorpreso, fulminato, come se il cane o il gatto prendessero d'improvviso la parola". Non è poi male questa considerazione, non ti sembra?"
"'l mal de' fiori". Conversazione con Carmelo Bene


Affondare la propria origine in terra d’Otranto è destinarsi un reale immaginario. E’ li appunto, nel primo di di un settembre io fui nato. Otranto. Da sempre magnifico religiosissimo bordello, casa di cultura tollerante confluenze islamiche, ebraiche, arabe, turche, cattoliche. Ne è testimone la stupenda cattedrale. Il suo favoloso mosaico figurante l’albero della vita, dell’anno 1100. Una tolleranza di si disparate correnti, come il trascolorare dello Ionio, non si è mai verificata in nessun’altra zona d’Italia.
Carmelo Bene



Non ti è mai andata troppo a genio la definizione di “artista pugliese”. Diciamo pure che la detesti.
Non scherziamo. Non esiste la Puglia, ci sono le Puglie. Nasco in terra d’Otranto, nel sud del sud dei santi. Mettere insieme Bari e Otranto sarebbe come dire che Milano e Roma siano la stessa cosa. Tutta la terra d’Otranto è fuor di sé. Se ne è andata chissà dove. È un rosso stupendo la terra d’Otranto. Più bello del rosso di Siena o di altre terre consimili. Lo usano molti pittori per la tempera. È una terra nomade, gira su se stessa. A vuoto.
Carmelo Bene




"Dallo spettacolo orale librettistico della versione shakespeariana all’esecuzione teatrale, protagonista onnivora è, come mai in precedenza, l’attorialità automatica del corpo fisiologicamente inteso, in che la voce sola (la differenziazione dei “ruoli” è variazione fonetica-umorale) è senza lingua; questo interno del corpo è fragorio (salivazione, peto, rutto, gorgoglio, etc.) amplificato dei resti della parola-suono masticata e vomitata, sbavata all’orlo della bocca. L’afasia di tanta orale umoristica, in questo intestimoniabile (s)concerto (… strepito e furia / che non vuol dire niente /) raddoppia l’aprassia d’un corpo, mummia velata e/o ricoperta di triplice armatura, che cieca brancola, nella cerca vana d’un orgasmo a svanire, tra gli espedienti dell’orrore (il terrore ridotto a fuoco fatuo) e dell’autospavento."
Carmelo Bene, Opere



Al contrario. Le bambine di Carroll rimandano a una perversione mentale. Morbosetta. Le mie erano perversioni reali, dunque inconfessabili, per quanto agite nel vuoto e nell’inconsistenza. Non come le lolite che a dieci anni vanno a letto con chi capita e non vedono l’ora di raccontarlo alle madri, spesso consenzienti. Detesto quelle lolite e Nabokov che le racconta. Porcheriole da mezzocalzettismo borghese. Mille volte davvero più grande di lui Leopardi (non gliene importava nulla della vera Nerina, bastava lasciarla nel suo altarino)… la mia infanzia. Ecco, la mia infanzia di allora era l’acme del porno. Vertici mai più raggiunti. Una confusione scema e beata. Si può essere confusi e non averne un’idea? Ecco, quella è l’infanzia.
Carmelo Bene, Vita di Carmelo Bene. Bompiani.


L’adolescenza è un’età deplorevole, del tutto insignificante. Diventi come invisibile. Una nullità punteggiata di foruncoli e rifiutata dal mondo intero. Nessuno ti chiama più con i vezzeggiativi dell’infanzia. Nessuno ti chiama più in assoluto. E, se proprio devono, ti appellano come il “figlio del tale” o di “tal altro”. Non puoi augurarti che un crescere immediato, non potendo tornare indietro. Un incubo, insomma […] La fine dell’adolescenza è un ritorno all’anagrafe e alla visibilità
Carmelo Bene



Mio padre dirigeva un’enorme fabbrica di tabacco (quasi mille operaie, tutte giovanissime).
I semi venivano dalla Bosnia-Erzegovina, il tabacco da noi lavorato e imballato finiva in America e uscivano fuori le Pall Mall, le Chesterfield e le Philip Morris soprattutto. Mia madre aiutava mio padre in fabbrica e io sono cresciuto in braccio a questa moltitudine di ragazze che mi palleggiavano ignude negli immensi spogliatoi. Da bambino ero già nella disfatta sardanapalica, tra queste mogli, tra queste concubine suicide, perché io così le vedevo. Mi hanno abortito lussurioso, questa è la verità. Più in là ci si specchia nei libri, ma a quell’età non se ne sa nulla. Negli gnostici ci sono due modi per punire il corpo, la castità totale dell’eremo e le flagellazioni o il libertinaggio sfrenato. È quest’ultimo che mi ha vissuto. Come rovescio della mia vocazione alla castità. Il corpo non chiede di meglio che di essere disindividuato. Nessun corpo ha voglia di gestire un corpo. Mi sono prodigato per anni tra una masturbazione e l’altra. Mi chiudevo a chiave in camera con le mie Nerine, giustificatissime assenti, proprio come il Leopardi, infaticabile in mancanza di peggio. Mia madre capiva sempre l’antifona e dalla cucina mi chiamava con ogni pretesto. “A tavola, è pronto!”. Le copule vennero molto dopo, in ritardo, non prima dei diciotto anni. Quanto basta per avere la conferma che il coito è un surrogato della masturbazione, non il contrario. Aveva ragione Groddeck.
Da allora in poi ho trattato tutti i non-rapporti di copula come infinita masturbazione. Mai stato un facchino del sesso, un atleta della prestazione (anche se fisicamente ho fatto uno scempio totale del mio corpo tra abusi ed eccessi di ogni tipo). Bisogna cercare d’istupidirsi non di fottere. “Fate voi, ma fate presto”, così dicevo tra me e me in quei letti sempre molto affollati. Quasi sempre da queste amazzoni del cazzo. Pensano che la perversione sia il kamasutra… E non l’uscir di strada, come diceva San Juan de la Cruz. Solo i grandi mistici e le grandi mistiche possono capire questo. Anche se non possono raccontarlo. Delle loro estasi non ne sanno mai niente. Non erano in casa.
Carmelo Bene



È abbastanza perverso scegliere un libro, non si può scegliere un libro.
Ecco, se proprio bisogna farlo, allora si sceglie un libro che abbia non solo determinato, ma cambiato magari una vita. Ebbene l’Ulisse di Joyce, avevo allora 22 anni, cambiò la mia vita completamente, radicalmente – da così a così. Poi nessun altro libro mi ha modificato la vita. Sì, tutti, in un certo senso… Kafka, chi non modifica Kafka? D’accordissimo, ma a me avvenne con l’Ulisse di Joyce. Joyce può cambiare una vita. A me cambiò una vita, ma ha cambiato la mia vita in teatro, ha cambiato la mia vita nella vita, ha cambiato le mie emozioni musicali (non musicistiche, ma musicali), ha cambiato tutti i miei concetti di timbrica, di ritmica, mi ha sconvolto il linguaggio – completamente, mi ha cambiato il cervello. Non mi par cosa da poco; credo che pochi autori possano far questo. In Joyce, per la prima volta, ci troviamo davanti a un pensiero dell’immediato, all’immediato pensiero; tanto che non pare scritto, pare sottratto alla scrittura stessa. Cioè non dice: “Tizio si svegliò una mattina e si trovò mutato in coleottero”; be’, lì c’è un altro gioco va bene, c’è un pensiero; ma, nell’Ulisse, quanto viene pensato è reso attraverso l’immediato e questo non lo ha nessun altro autore al mondo. L’Ulisse di Joyce si può proporre anche come il modo più straordinario, l’esempio più fulgido di cinema; ma quello sulla pagina, non il filmaccio che ne hanno ricavato. Non esiste un film, un criterio del montaggio di questa immediatezza. Il cinema passa sempre attraverso il “morto”, così come il dire passa sempre attraverso il “detto”, cioè il detto è il morto. Nell’Ulisse di Joyce non ci sono mai “pensieri”, “Pensò che…” No! tutti questi pensieri sono catapultati in balia di chissà quante combine di significanti.Quando parlo di Joyce che cambiò la mia vita, alludo soltanto al Joyce del Finnegan’s Wake e dell’Ulisse e a certe poesie giovanili, ma non certo al Dedalus oppure ai Dublinesi, perché questi ultimi titoli potrebbe averli scritti qualsiasi altro autore e lo stesso Joyce non mi avrebbe così modificato. L’applicazione dell’Ulisse si può fare a teatro, investe il linguaggio. È un linguaggio senza pensiero, senza pensiero pensato, in quanto questo pensiero è immediato.
Carmelo Bene




http://youtu.be/RTi0_ubMOQU






Carmelo Bene - Quattro momenti su tutto il nulla: 1) Il Linguaggio



gianluca d'avino:

AL DI LÀ DEL LINGUAGGIO NON V'È NULLA. tutto ciò di cui parliamo e tutto ciò che crediamo reale, dalle idee ai concetti, dalla storia al presente, dalla verità alle più svariate idee..TUTTO, PROPRIO TUTTO, VIVE ED ESISTE SOLO PER NOI ESSERI UMANI.  Tutto ciò che esprimiamo conta solo per noi stessi. Non esiste nulla di tutto ciò nella mera natura dell'essere. L'essere è il nulla.



bassanieco :

[…]  Le verità si assimilano, non si intendono.



italianStout:

Passeranno pure le teorie, ma le questioni saranno sempre le solite fintanto che, COME SOTTOLINEÒ WITTGENSTEIN,SI PENSA CHE VERBI QUALI "ESSERE" O "SPIRITO" FUNZIONINO COME "MANGIARE" O "BERE". L.W. non peccava di presunzione nell'affermare che è necessario costruire un muro laddove il linguaggio finisce comunque, dove sono le domande che non si possono più dare, non le risposte.



Lord Vivec :

gli autori che cita: Gilles Deleuze, Nietzsche, Focault... sarebbe un'inizio.



Giancarlo Petrella:

qui si colloca LA POSSIBILITÀ O MENO DELLA COMPRENSIONE di Hegel (e in genere degli idealisti quali Spinoza e Fichte)



Lord Vivec :

NON È UNA QUESTIONE DI COMPRENDERE, MA DI ACCETTARE. Io non accetto qualcosa che non esiste, sai com’è […] mi verrebbe da chiedere se questo "spirito" si può vedere, toccare, annusare, ascoltare o gustare, ma non vorrei sembrare provocatorio.



Lord Vivec :

ma come fanno a essere "datati"?! Spiegamelo

La verità esiste, ma non nella sfera del tempo (Jiddu Krishnamurti)



Giancarlo Petrella:

si legga Hegel, oppure il termine ZEITGEIST non vi indica nulla... purtroppo LO SPIRITO VIVE NEL 'TEMPO' (ALMENO CHE NON SI CREDA ALLA RELIGIONE... E ANCHE NELLA RELIGIONE "DIO SI MANIFESTA NELLA STORIA). Sono datati perché sono cose 'riformulate' nel linguaggio 'odierno' di CONCEZIONI DEI MEDIEVALI (PER I QUALI I DISCORSI NON HANNO UNA VALENZA ONTOLOGICA)



Lord Vivec:

intanto, già L'IDEA DI "SPIRITO" È DI PER SÈ AMPIAMENTE OPINABILE. Comunque, dal basso della mia relativa ignoranza sul tema posso solo dire che per quanto ne so, tutto ciò è "struttura" e non può che esserlo. E quindi PRIVO DI SENSO, VERITÀ CHE NON STANNO IN PIEDI DA SOLE, OGGI COME NEL MEDIOEVO

http://youtu.be/13Whxyr-dp4


Carmelo Bene. Miracolo, ho visto la Madonna...o guardo solo nel VUOTO CHE C'E' IN ME?
"Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna. Io sono un cretino che la Madonna non l'ha vista mai. Tutto consiste in questo, VEDERE la Madonna O NON VEDERLA. San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando. I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma. I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono come se un tale, avendo i piombi alle caviglie e volendo disfarsene, decide di tagliarsi i piedi e si trascina verso la salvezza, tra lo SCHERNO DEI GUARDIANI, fidenti a ragione dell'emorragia imminente che lo fermerà. Ma QUELLI CHE VEDONO NON VEDONO QUELLO CHE VEDONO, QUELLI CHE VOLANO SONO ESSI STESSI IL VOLO. CHI VOLA NON SI SAUN SIFFATTO MIRACOLO LI ANNIENTAPIÙ CHE VEDERE LA MADONNA, SONO LORO LA MADONNA CHE VEDONO. È l'estasi questa PARADOSSALE identità demenziale che SVUOTA L'ORANTE DEL SUO SOGGETTO E IN CAMBIO LO ILLUDE NELLA OGGETTIVAZIONE DI SÈ, DENTRO UN ALTRO OGGETTO. Tutto quanto è diverso, è Dio. Se vuoi stringere sei tu l'amplesso, quando baci la bocca sei tu. Divina è l'illusione. Questo è un santo. Così è di tutti i santi, fondamentalmente impreparati, anzi negati. Gli altari muovono verso di loro, macchinati dall'ebetismo della loro psicosi o da forze telluriche equilibranti - ma questo è escluso -. È COSÌ CHE UN SANTO PERDE SE STESSO, TRAMITE L'IDIOZIA INCONTROLLATA. UN ALTARE COMINCIA DOVE FINISCE LA MISURAESSERE SANTI È PERDERE IL CONTROLLO, RINUNCIARE AL PESO, E IL PESO È ORGANIZZARE LA PROPRIA DIMENSIONE. Dove è passata una strega passerà una fata. Se a frate Asino avessero regalato una mela metà verde e metà rossa, per metà avvelenata, lui che aveva le mani di burro, l'avrebbe perduta di mano. Lui non poteva perdersi o salvarsi, perchè senza intenzione, inettoChi non ha mai pensato alla morte è forse immortale. È così che si vede la Madonna. MA I CRETINI CHE VEDONO LA MADONNA, NON LA VEDONO, COME DUE OCCHI CHE FISSANO DUE OCCHI ATTRAVERSO UN MURO: UN MIRACOLO È LA TRASPARENZASACRAMENTO È QUESTA DEMENZA, perchè UNA FEDE ACCECANTE LI HA SBARRATI, QUESTI OCCHI, HA MUTATO GLI STRATI - ERANO DI PIETRA GLI STRATI - LI HA MUTATI IN VELI. E gli occhi hanno visto la vista. Uno sguardo. O L’UOMO È COSÌ CIECO, OPPURE DIO È OGGETTIVOI CRETINI CHE VEDONO, VEDONO IN UNA VISIONE SE STESSI, CON LE VARIANTI CHE LA FEDE APPORTA: SE VERMI, SI RIVEDONO FARFALLE, SE POZZANGHERE NUVOLE, SE MARE CIELO. E DAVANTI A QUESTO ALTER EGO SI INGINOCCHIANO COME DAVANTI A DIO. SI CONFESSANO A UN SECONDO PECCATO. DIVINO È TUTTO QUANTO HANNO INCONSCIAMENTE IMPARATO DI SÈ. HANNO VISTO LA MADONNA. SANTI. I CRETINI CHE NON HANNO VISTO LA MADONNA, HANNO ORRORE DI SÈ, CERCANO ALTROVE, NEL PROSSIMO, NELLE DONNE - IN CONVENEVOLI DEL QUOTIDIANO FATTI PREGHIERE - E QUESTO PORTA A MIRIADI DI ALTARI. PASSIONISTI DELLA COMUNICATIVA, NON PORTANO DIO AGLI ALTRI PER RICAVARE SE STESSI, MA SE STESSI AGLI ALTRI PER RICAVARE DIOL'UMILTÀ È CONDITIO PRIMAI NOSTRI CONTEMPORANEI SONO STUPIDI, MA PROSTRARSI AI PIEDI DEI PIÙ STUPIDI DI ESSI SIGNIFICA PREGARESI PREGA COSÌ OGGI. Come sempre. FREQUENTARE I PIÙ DOTATI NON VUOL DIRE ACCOSTARSI ALL'ASSOLUTO COMUNQUE. Essere più gentile dei gentili. Essere finalmente il più cretino. RELIGIONE È UNA PAROLA ANTICA. AL MOMENTO CHIAMIAMOLA EDUCAZIONE".


La morte, l’amor-te, l’amor…la morte è la vita. Anzi il prenatale, già quando noi si è feto noi siam fetenti, nel senso che noi già abbiamo questo lezzo di morte. E quindi questa si chiama nascita, non è una nascita, è già una morte, è già un coma. La vita è un coma, un coma che inizia nelle acque maternali e poi segue fino alla morte della morte. Perché il morir è il morir della morte. È la morte che muore, noi non si muore. Non si muore più. La morte è impensabile. Tutta la vita è un agonia, e poi con le malattie dolorose, ecco: questi fastidi sì son appunto “fastidiosi”. Ma non la morte. La morte è lei che muore, non è il morir della vita, ma il morir della morte che è la vita, o il morir della morte in ciò che è questa povera nostra vita. Che nessuno ha chiesto, nessuno ha chiesto di essere nati. Là ci aspetta l’inorganico, l’inanimato, ci aspetta lì la vera pace e quiete, di cui non saremo mai a conoscenza. Morto per sempre, ecco, questo è importante. Questo morir per sempre, e non questa anticamera del morir la morte. “Muoia la morte”, è così che urlava il Tamerlano di Marlowe. È la morte che muore, non ci riguarda. 
Carmelo Bene.



Siamo, quel che ci manca. Da per sempre
Carmelo Bene


È ora di cominciare a capire, a prendere confidenza con le parole. Non dico con la Parola, non col Verbo, ma con le parole; invece il linguaggio vi fotte. Vi trafora. Vi trapassa e voi non ve ne accorgete. Voi sputate su Einstein, voi sputate sul miglior Freud, sull'aldilà dei principi di piacere; voi impugnate e applaudite l'ovvio, ne avete fatto una minchia di questo ovvio, in cambio della vostra. Ma io non vi sfido: non vi vedo!
Carmelo Bene - Uno contro tutti, in 'Maurizio Costanzo Show' - 28 giugno 1994



Il mai nato...



Inarrivabile Carmelo. E quella puntata del MCS è la cosa più bella ed importante che abbia visto in tv negli ultimi 20 anni.



l'avevo inserito in un commento un po' di tempo fa....riguardo al significato della parola... [...] con il tempo e con l'assenza ho imparato ad assimilarlo a piccole dosi... oggi il depensamento....un pensiero già pensato fatto tuo per poi abbandonarlo per proseguire la ricerca e la conoscenza....grazie



 La mimesi continua rende tutto possibile e tutto si chiude in un sè che non trova mai modo di soddisfare la propria fame di comunicare. Noi possiamo solo essere a nostra volta consapevoli dell'esistenza di tali capacità, e quando ci accostiamo a chi le possiede, occorre guardare ciò che avviene con altri occhiali : gli occhiali dell'espressione artistica.   

"abbiamo riempito sempre delle grandi sale - per me più son piene più son vuote "


Le parole di Bene sono più che performance artistica. Se la sua apparizione da Costanzo è intesa come performance allora aveva ragione Bene stesso nel dire che la gente non può capire niente se va due ore a teatro alla sera tanto per svagarsi. In effetti il problema è sempre quello: 'na bevuta, 'na maggnata e domani tutti in fabbrica. La frase più importante di Bene nella serata secondo me fu: "La vita si comprende? No! E allora occupiamoci della vita, basta con il sociale". Semplice e profondo come concetto, anche se poi la conversazione andò in un'altra direzione. No? Una bella chiacchierata sulla vita. [...]  
la domanda che più ha messo in crisi Bene é stata la più semplice. "se lei non esiste perché si tinge i capelli?"
Ma la risposta è stata come al solito beniana, ergo ottima.  


Io ho trovato ottima solo la domanda anzi geniale, immensa. Per qualche ragione mi ricorda molto da vicino la frase di Jacques Prévert: "Una bestemmia vale più di mille libri di teologia"  


Carmelo Bene è il protagonista, e gli spettatori sono impotenti comparse nel suo spettacolo. Lui ne l'autore, lui ne dirige la scena, lui ne è il Dio.  


Qualcuno sa chi doveva esserci come ospite insieme a Carmelo Bene? A un certo punto dice che gli fa paura chi non è nella sedia vuota alla sua destra  

Ammetti il principio su cui si basa la tua fede: la paura, mista ad ignoranza. Io non riceverò un bel niente. Ero cattolico, poi sono guarito. E da quando sono guarito la strada è illuminata di sentieri felici dove è possibile convivere in pace con il prossimo senza il tuo amico immaginario. [...] Prova ad immaginare il tuo piatto preferito quando hai fame: improvvisamente la tua produzione salivare comincerà ad aumentare e comincerà a prendere il sapore della pietanza. Chiudendo gli occhi materializzerai il piatto e ne percepirai l'odore. Ecco cosa è capace di fare il cervello, in minima parte. Pensa cosa può produrre se associato all'isterismo religioso. Individui deliranti [...] Quel testo terribile dove si descrive un dio assassino, vendicativo e incazzoso che tu chiami bibbia, è stato rimaneggiato, tradotto, ritradotto, riscritto, modificato anche migliaia di anni dopo la sua prima stesura. Lo stesso per i vangeli. Attendibili, vero? [...] Non voglio sprecare la mia esistenza come voi a fare idolatria per guadagnarmi un posto in paradiso. Per quanto riguarda il tuo altissimo gesù, *probabilmente* è esistita come figura fisica, ma gli sono stati accollati gli onori del culto mitraico. [...] Non c'è bisogno di un dio per una coscienza morale e per dare all'esistenza un senso. Io non credo in alcun dio, mi sono distaccato da queste forme di superstizione non appena ho preso atto che la fede è il gradino più basso della conoscenza e la condizione degli ignoranti. [...] Ho impiegato anni a guarire dalla malattia e dalla superstizione. Ora ho riacquisito la libertà intellettuale e la mia vita è scevra da paure da antiche superstizioni.

http://youtu.be/y_jZjiF-JSA
  
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ZDwQOcRViLg

http://vimeo.com/74276110

Carmelo Bene. E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera
“ Non so se tra rocce il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.”
DINO CAMPANA, “La chimera”, da “Canti Orfici”, introduzione e note di Neuro Bonifazi, Garzanti, Milano 2009 (VII ed., I ed. 1989), ‘Notturni’, pp. 23 – 24.
Estratto del programma televisivo “Canti orfici” 1966. Regia: Carmelo Bene. Assistente alla regia: M. Lamagna. Montaggio: P. Centomani. Montaggio audio: E. Savinelli. Tecnico video: P. Murolo. Mixer video: C. Ciampa. Ottimizzazione: A. Loreto. Direttore di produzione: G. Pagano. Produzione: Nostra Signora S.r.l. e RAI - RAI 2. Centro di Produzione Tv, Napoli. Durata 62’33”.

Carmelo Bene (1937 - 2002), “La chimera” (1913) di Dino Campana (1885 - 1932), da “Canti orfici - Die Tragödie des letzten Germanen in Italien” (I ed. Tipografia Ravagli, Marradi 1914).




<< Era una giovinetta veramente d’una rara bellezza e che non era meno amabile di quel che fosse piena di giovialità. E maledetta sia l’ora in cui essa vide il pittore! innamorossi di lui e divenne infine sua sposa.

<< Egli, appassionato, studioso, austero, e che aveva già trovato nell’arte la sua fidanzata: ella una giovinetta non meno amabile che piena di gaiezza, tutta luce e sorrisi e colle pazzie in capo di una giovine gazzella; innamorata alla follia d’ogni cosa, e non odiando che l’arte, che ora la sua rivale; nulla temendo fuorché la tavolazza e i pennelli e gli altri odiosi istrumenti che la privavano dell’aspetto del suo adorato amante. Oh! fu una ben terribile cosa per questa poveretta quando essa udì il pittore manifestarle il desiderio di dipingere egli stesso la sua giovine sposa. Ma essa era umile ed obbediente, e posò quindi con dolcezza, durante ben lunghe settimane, nella tetra e più alta camera della torre, ove la luce pioveva sulla bianca tela solamente da un’apertura del soffitto. Ma egli, il pittore, metteva ogni sua gloria in quel lavoro, che progrediva di giorno in giorno, di ora in ora. Ed era un uomo appassionato e strano e pensieroso che si perdeva in fantasticherie; cosicché egli non voleva vedere come la luce che cadeva così lugubremente in quella torre isolata dissecava le fonti della salute ed ogni vigoria di spirito della sua amata, la quale deperiva visibilmente agli occhi di tutti, fuorché ai suoi. Ma essa sorrideva sempre, e sempre senza muover lamento, giacché s’accorgeva come il pittore (che già aveva una gran fama) provava un piacer vivo ed ardente nel suo compito e lavorava notte e giorno per ritrarre quella che l’amava tanto, nonostante che si facesse di giorno in giorno più debole e languente. E in verità, quanti contemplavano il ritratto parlavano a bassa voce della sua rassomiglianza, come di una superba meraviglia, e di una prova non meno grande della potenza del pittore, che del suo profondo amore per quella che egli dipingeva sì mirabilmente e in modo quasi prodigioso. – Ma a lungo andare, appressandosi il lavoro al suo compimento, niuno fu più ammesso nella torre; poiché il pittore, divenuto demente quasi dall’ardore della sua opera, staccava raramente gli occhi dalla tela nemmeno per guardare l’aspetto della sua amante. Ed egli non voleva vedere come i colori che stemprava sulla tela, erano tolti dalle guance di quella che era seduta e posava presso di lui. E quando furono trascorse lunghe settimane e non restava ormai che ben poco a fare, null’altro che un ultimo tocco alle labbra e un tratto all’occhio, lo spirito della giovine donna palpitò ancora un istante come l’ultimo guizzo della fiamma d’una lampada. E allora il tocco fu dato e il tratto fu posto, e per un momento il pittore si trattenne in estasi davanti il proprio quadro – quel quadro che egli stesso aveva dipinto; ma un momento appresso, mentre egli stava tuttora contemplando, prese a tremare, si fè pallido in viso e, come colpito di repentino spavento, gridando con voce possente: <<davvero che è la vita istessa!>> – egli si rivolse bruscamente per riguardare la sua amata; – essa era morta!
E.A.P. Carmelo Bene Capricci (Alice in Wonderland)









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