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mercoledì 23 novembre 2011

La teoria svedese dell'amore. La teoria dell’indipendenza e il mito dell’autosufficienza sono molto radicati nella cultura svedese e vengono espressi nella loro essenza nella “Teoria Svedese dell’amore” – da qui il titolo del docufilm - coniata dagli storici Lars Trägårdh e Henrik Berggren per definire ciò che più caratterizza la cultura scandinava quando si tratta di relazioni umane. Sostanzialmente, in questa teoria, si sostiene che l’amore autentico può esistere solo tra due persone che siano indipendenti l’una dall’altra, che non stiano insieme per fini materiali o per dipendenza economica, come invece succede spesso in società meno eque. L’idea, ci spiega Gandini, «da un punto di vista economico non fa una piega, anzi, ma nella sua estensione esistenziale può trasformarsi in un’ossessione all’autosufficienza. In una diffusa e radicata convinzione che le relazioni umane debbano in primo luogo basarsi sull’essere liberi gli uni dagli altri. Il rischio è evidente in Svezia come in molti paesi occidentali: la dilagante solitudine che, ad esempio, ha portato l’intellettuale inglese George Monbiot a definire la nostra epoca “L’era della solitudine”»

La teoria svedese dell’amore: Un Credo per l’individualità che rende infelici.

La teoria svedese dell'amore (The Swedish Theory of Love) è un film documentario del 2015 diretto da Erik Gandini, oggi distribuito nei cinema e trasmesso dalla Rai nel luglio del 2016.

Il documentario di cui parliamo, da non perdere, ci mostra lo status della società svedese, oggi all'apice di un diktat progressista. Racconta come, a partire dai primi anni settanta le politiche socialiste svedesi inaugurarono un modus operandi concreto per lo stato e i cittadini. L'imperativo, al limite dell'autoritarismo, dichiarava che tutti gli individui di una collettività evoluta dovevano rendersi indipendenti gli uni dagli altri. Ciò avrebbe permesso alla gente di abbandonare gli antiquati schemi di rapporti tra le persone che nella dipendenza economica delle relazioni di coppia e in quelle familiari, non potevano essere libere di decidere per sé e sviluppare la propria autonomia e individualità.

Oggi, Il sistema sociale svedese super efficiente, ricco di un benessere economico diffuso, è protetto in ogni suo aspetto dallo stato. La società è oggi composta da individui che vivono in piena autonomia. Ma dopo quattro decenni in cui si è realizzata l'indipendenza economica individuale ci si può accorgere che qualcosa forse non ha funzionato.

Il documentario è scioccante, è come fosse un esperimento antropologico in cui le contro indicazioni venute a galla, sono paradossali. L'inquietudine fa sorgere la questione che se la società svedese è la capofila della concretizzazione del pensiero della nostra modernità tecnologica occidentale, allora può rappresentare anche il nostro drammatico futuro.

Nel documentario scorrono immagini di una società di individui indipendenti, individui che nello sviluppo del proprio egoismo diventano pigri e tristi nell'anima. Si mostra come ad esempio le giovani donne desiderose di maternità non sono minimamente motivate ad avere dei rapporti con l'altro sesso.

Tramite una banca, il seme congelato che si ordina su internet e richiesto autonomamente dalle donne, può essere utilizzato per inseminarsi da sole, evitandosi la fatica di una relazione, di un rapporto sessuale e di doversi occupare otre che del figlio anche del padre del bambino.

In Svezia, come racconta il documentario, la relazione con l'altro è una fatica, e si evita accuratamente di avere relazioni di qualsiasi tipo. Le relazioni tra figli e genitori, cugini, parenti vicini e lontani, tra amici. Ognuno sta per sé in piena autonomia, non rischiando nulla, protetti dal vetro di un'interfaccia collegata ad internet. Nel documentario, Il novantenne sociologo polacco Zygmunt Bauam, sostiene come: "Oggi viviamo due livelli di vita differenti on line e off line. Connessi o non connessi. La vita on line è in gran parte priva di rischi, i rischi della vita. È molto semplice farsi degli amici in rete, non percepisci davvero la tua solitudine".


Ogni tanto però, dietro le porte chiuse degli appartamenti razionalisti, dentro infinite teorie di blocchi di cemento e case a schiera, qualcuno muore, e il cattivo odore spinge a fatica, anche dopo mesi o anni, qualche vicino di casa, a chiamare l'ufficio statale che si occupa della gente scomparsa senza che nessuno se ne accorga. Questo è possibile grazie ad un sistema automatizzato dei pagamenti, in cui gli utili derivanti da una pensione o da altri redditi, regolano tutte le spese attraverso le domiciliazioni bancarie. Non ci sarà mai un figlio o un parente anche lontano che ti verrà a cercare o a trovare. Nessuno si accorgerà più della tua "non esistenza in vita" perché tutto avviene attraverso un ufficio e internet.

A volte mi chiedo perché siamo cosi infelici con tutta questa abbondanza, tutti seguono la propria strada non c'è nulla che ci tenga uniti, se una persona si ammala e invecchia o semplicemente non ce la fa da solo, gli aiuti arrivano solo tramite i canali statali, non puoi piangere sulla spalla di qualcuno, devi fare una richiesta scritta, e inviarla via mail". Così dichiara un ufficiale giudiziario che si occupa di trovare le tracce all'interno degli appartamenti di chi muore da solo.

Lo straordinario documentario pone una questione tragica e fondamentale per l'uomo "transumano". Il progresso tecnologico, il benessere, e lo sviluppo della propria individualità avrebbe lo scopo di toglierci la fatica di dover passare il tempo ad esaudire i bisogni primari, come sono costretti a fare in africa, nei così detti paesi poveri non "civilizzati" in cui ci si deve occupare della salute, di trovare un riparo, dell'acqua pulita.
Ma la società svedese di oggi, ci dimostra che se non si hanno difficoltà, l'uomo non è stimolato ad evolversi in nessun modo, specialmente se, in uno schema di valori, si mette al primo posto la preoccupazione per sé stessi, la propria carriera, e la realizzazione personale.

"La sicurezza ci rende infelici" dichiara Zygmunt Bauam.
"Un paese senza fame senza povertà, senza persone, senza problemi, è un paese infelice.
Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemil
La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le sfide, bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio, sforzarsi. La felicità si raggiunge quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato. Si tratta dalla gioia derivante dal superamento delle difficoltà dalla lotta contro i problemi che vengono affrontati di petto e superati, e invece ci si sente persi se aumentano."

Il sociologo, continua il suo intervento dicendo:" (...) abbiamo tutto, tutto ciò che ci serve per evitare la fame, la povertà ma ciò che non abbiamo, quello che lo stato non può fornirci, è lo stare insieme agli altri. Stare con altre persone, far parte di un gruppo, le persone che sono abituate ad essere indipendenti hanno la difficoltà ad accettare la convivenza con altra gente. Siamo come privati della capacità di socializzare. Socializzare è molto stancante, ci vogliono molti sforzi, ci vuole attenzione, bisogna negoziare, rinegoziare, ridiscutere, concordare, ricreare. L'indipendenza ti priva delle capacità di fare tutto questo".

Una visione approfondita e cosciente della vita, ci spinge alla comprensione che è l'esperienza dei rapporti con i nostri simili a farci evolvere, è l'imparare ad amare dopo aver superato le forze contrarie, che ci rende felici. Il cammino dell'esperienza del cuore ci viene posto pieno di difficoltà dal flusso degli eventi che ci viene incontro, come fossimo salmoni che risalgono la corrente, funzionale questo allo sviluppo di forze che ci permettono di acquisire delle qualità nuove, nuove forze creative consapevoli e piene di amore. Senza contatto, senza rischio di nessuna relazione, l'uomo diventa pigro, egoista, il suo cuore si contrae, si gonfia di paura, si indebolisce e si ammala venendo meno l'autentico scopo della vita.

Diciamo che il paradosso della modernità è che l'autentica evoluzione dell'uomo passa per l'acquisizione della consapevolezza di essere uomo e delle proprie forze del cuore, non per le sue capacità di fare uso della tecnologia che gli rendono "comoda" la vita.

L'enorme forma-pensiero che domina la corsa alla modernità vuole toglierci l'umanità poiché ha il compito plausibilmente di contrastare l'autentica evoluzione umana probabilmente per renderla più cosciente attraverso i disastri delle conseguenze. La tecnologia e il benessere "sembrano" far progredire l'uomo solo in apparenza, poiché invece rimane in un limbo di promesse di una felicità illusoria mai raggiungibile. Solo il corretto uso della tecnologia ci può far guadagnare il tempo per stare insieme agli altri, e non sottrarlo, permetterci di avere relazioni autentiche ed esperienze autentiche per acquisire capacità di amare e per essere felici in modo autentico, questo costa uno sforzo.

Lo sviluppo umano è legato alla consapevolezza di essere e rimanere profondamente umani e di far crescere le proprie qualità, i propri talenti e le capacità umane di amore cosciente.
Forse è per questo che una piccola comunità in una foresta in Svezia alcuni giovani oggi ritrovano la comunicazione vera con i propri simili, Le parole commoventi di una giovane ragazza dagli occhi chiari e sorridenti testimoniano come è uscita dalla depressione: "(...) la vicinanza fisica tra gli elementi della comunità ci permette di sostenerci gli uni con gli altri, ha permesso di creare l'amore, di sperimentare l'amore, noi vogliamo amare e questa esperienza mi ha reso felice".
http://www.coscienzeinrete.net/arte/item/2786-la-teoria-svedese-dell-amore-un-credo-per-l-individualita-che-rende-infelici

https://vimeo.com/174398478

Erik Gandini, regista nato in Italia da padre italiano e madre svedese, racconta (in italiano) una storia che inizia in Svezia e finisce a Zygmunt Bauman, passando per l'Etiopia.
È noto che la società svedese è perfettamente organizzata, tanto da essere spesso presa a modello e simbolo delle più alte conquiste del progresso. Erik Gandini, in La teoria svedese dell’amore analizza con attenzione entomologica la società a cui oggi appartiene e nella sua ricerca scopre che la ricetta per lo stile di vita nordico era stata preparata a tavolino dall’illuminata elite politica, che in un manifesto pubblicato negli anni settanta dello scorso secolo aveva decretato l’indipendenza assoluta degli abitanti come necessità e obiettivo per l’intero popolo svedese. Indipendenza dei figli dai padri, delle mogli dai mariti, eccetera. Gli svedesi, capaci di accettare immediatamente le proposte ritenute giuste dalla maggioranza, si sono subito adeguati e da allora l’indipendenza del singolo è favorita a ogni livello sociale.
La teoria svedese dell’amore scava nella vera natura dello stile di vita svedese, esplorando i buchi neri di una società che ha creato il popolo più autonomo, costituendo una società perfettamente organizzata in cui tutti hanno le medesime opportunità per una esistenza indipendente.
Tra gli esiti di questa “autonomia istituzionalizzata”, in cui nessuno deve chiedere agli altri favori o aiuti, riducendo così al minimo i contatti fra gli individui, si ha che quasi metà della popolazione abita oggi in appartamenti singoli e sempre più donne scelgono di affrontare la maternità attraverso l’inseminazione artificiale.
Alcuni svedesi stanno cercando strade differenti: giovani formano comunità che vivono nei boschi, scegliendo le emozioni e gli affetti; un chirurgo di successo sposta l’attività in Etiopia dove ritrova il valore della vita comunitaria, risolvendo con incredibile creatività i problemi che nascono dalla mancanza di materiale sanitario. Il film è chiuso dalle parole illuminanti del sociologo Zygmunt Bauman che spiega perché una vita senza difficoltà non è necessariamente una vita felice.
Il film solleva una questione: “Perché una vita vissuta in tale sicurezza e tranquillità porta così spesso all’insoddisfazione?” Gandini allontana il punto di vista dall’oggetto di studio fino a paragonare lo stile di vita svedese, fatto di benessere e solitudine, con la vita in Africa, oppressa dalle privazioni ma ricca e vivace sul piano relazionale.
Dopo Videocracy, il film “pop” sul berlusconismo, Gitmo, sui prigionieri detenuti a Guantanamo, Surplus, sulla società consumistica, Gandini ci regala un altro film-saggio informatissimo, rigoroso, profondo e contemporaneamente scanzonato, libero e fortemente cinematografico. Il regista italo-svedese non smette di stupire, con brillante intelligenza, trovando prospettive sempre nuove e inattese per raccontare l’attualità, lontano dai cliché su cui i media non smettono di arenarsi.


Che cosa è successo alla Svezia? 
Era il paradiso del welfare, la meta di ogni sogno di liberazione. 
Hanno fatto il deserto e l'hanno chiamato "libertà".

La teoria svedese dell'amore
La teoria dell’indipendenza e il mito dell’autosufficienza sono molto radicati nella cultura svedese e vengono espressi nella loro essenza nella “Teoria Svedese dell’amore” – da qui il titolo del docufilm - coniata dagli storici Lars Trägårdh e Henrik Berggren per definire ciò che più caratterizza la cultura scandinava quando si tratta di relazioni umane. Sostanzialmente, in questa teoria, si sostiene che l’amore autentico può esistere solo tra due persone che siano indipendenti l’una dall’altra, che non stiano insieme per fini materiali o per dipendenza economica, come invece succede spesso in società meno eque. L’idea, ci spiega Gandini, «da un punto di vista economico non fa una piega, anzi, ma nella sua estensione esistenziale può trasformarsi in un’ossessione all’autosufficienza. In una diffusa e radicata convinzione che le relazioni umane debbano in primo luogo basarsi sull’essere liberi gli uni dagli altri. Il rischio è evidente in Svezia come in molti paesi occidentali: la dilagante solitudine che, ad esempio, ha portato l’intellettuale inglese George Monbiot a definire la nostra epoca “L’era della solitudine”»

L’importanza che ha l’autonomia e il valore che le viene dato dagli svedesi, ci spiega Gandini, «mi ha sempre affascinato. La Svezia è il paese più individualista del mondo ed è costruito per essere così, sembra quasi che il sistema dica: “Aiutamoci a liberarci gli uni dagli altri” ma così si genera anche un forte senso di solitudine

Il mio film è volutamente provocatorio, la mia prospettiva si focalizza sulle ombre che esistono nel sistema. Mi piace mettere in discussione le idee più indiscutibili e questo modello di società in Svezia è assolutamente intoccabile. L’obiettivo del film è insinuare un dubbio: se l’ossessione per l’autosufficienza e il mito dell’autonomia dell’individuo si rivelassero essere una strada a fondo chiuso, in Svezia come negli altri paesi occidentali, Italia compresa».

Nel suo ultimo documentario, in uscita nelle sale dal 22 ottobre, l'autore di "Videocracy" Erik Gandini racconta un Paese in cui l'isolamento è la forma primaria di vita.
A dispetto dei numeri - ma la realtà non è fatta di numeri - del recente Rapporto McKinsey, nel suo ultimo documentario Erik Gandini racconta un Paese in cui le persone vivono isolate, sempre più donne single scelgono la fecondazione artificiale e molti anziani muoiono da soli, dimenticati da tutti. E con 80 euro vi spediscono anche il kit per la fecondazione artificiale a domicilio.

«Nell'inverno del '72, un gruppo di politici ebbe una visione rivoluzionaria del futuro. Era giunto il momento di liberare le donne dagli uomini, gli anziani dai figli, gli adolescenti dai genitori». Venne scritto anche un manifesto, La famiglia del futuro. A volerlo, fu la sezione femminile del partito socialdemocratico allora guidato dal primo ministro Olof Palme. Che cosa prevedeva il documento? 

Ce lo spiega Erik Gandini, regista nato a Bergamo nel 1967, naturalizzato svedese, autore del rinomato Videocracy, che in Svezia vive e lavora. Lo spiega in un film molto importante: La teoria svedese dell'amore. Il lavoro di Gandini, distribuito da Lab80, sarà nelle sale cinematografiche italiane, in versione integrale, dal 22 settembre.

«Da fuori la Svezia sembra una terra promessa, un luogo perfetto dove poter vivere una vita migliore, una meta di arrivo per cui vale la pena correre grossi rischi», racconta la tua voce narrante, fuoricampo, in questo film. È davvero così?

Ho scelto di vivere in Svezia, proprio per tutte le cose per cui la Svezia è conosciuta. È un Paese che, diciamo, “funziona” bene. Molto bene, forse troppo. Diventa difficile, allora, fare una critica a questo Paese efficiente, dove tutti i dati sono positivi, dove la gente è felice, dove tutti sono accolti... L’economia, l’educazione, il rapporto etico fra cittadini e istituzioni: la Svezia offre di sé l’immagine di un Paese da prendere a modello di perfezione. Ma la cosa che mi interessa di più, da un punto di vista sociologico, cinematograficamente parlando, è un’altra. Quale?

Visto che la Svezia è rappresentata come «il Paese più bello, felice, tollerante del mondo» mi interessava provocare una torsione nello sguardo. Mi interessava osservare un risvolto di cui si parla molto poco. Un risvolto che ha a che fare con le relazioni umane e che, secondo me, la rende un case study e, al contempo, un laboratorio perfetto per guardare al futuro. Il film, se vuoi, è uno sguardo al futuro.

Che cosa vediamo, allora, in questo futuro letto attraverso il prisma Svedese?
Capiamo che se questa è la direzione di tutto l’Occidente, se questa è l’inevitabile conseguenza di uno stile di vita è giusto chiedersi, nella sua versione più aberrante, che cosa ne sarà di noi.

Potremmo definirlo un film a tesi?
Non essendo un giornalista, ma un filmaker posso permettermi di lavorare a tesi. Non devo, per forza di cose, tenermi a un’oggettività fredda, ma posso esprimere quello che penso. Il mio cinema è saggistico, personale, soggettivo.

L'era della solitudine.
Ci sono però dei dati di partenza incontrovertibili...
Proprio così, e questi dati spiegano che, in Svezia, non solo la metà della popolazione vive da sola, ma 1 su 4 muore da solo. Parliamo del 25% della popolazione anziana che muore senza avere vicino a sé nessun parente, né un figlio, né un figlia, né un nipote. Io mi interrogo su questi fatti. I fatti ci parlano di una società della solitudine. Se questo è il futuro, dobbiamo prepararci...

Alcuni anni fa, uscì un articolo di un giornalista e saggista inglese, George Monbiot, The age of loneliness is killing us... L’era della solitudine ci sta uccidendo...
Esattamente. Monbiot sviluppava la sua riflessione arrivando a un punto: la tensione cruciale della nostra epoca è verso la solitudine. La nostra è l’epoca della solitudine

Quest’articolo ha messo in moto un grande dibattito da cui ha preso spunto anche un serie della BBC. Anche in Inghilterra, non come in Svezia, ma il problema è sentito. Si tratta di una specie di epidemia che si sta diffondendo nei Paesi avanzati, con democrazie consolidate e dove il welfare state ha radici profonde o, addirittura, come in Inghilterra, dove il welfare state è nato.

La teoria svedese dell’amore tocca, al tempo stesso, radici e possibilità, genesi e possibili sviluppi della vita nel tempo di un welfare in declino, anche fuori dai confini prettamente svedesi della questione...
Proprio per questo sono contento che il film esca anche in Italia. Spero non diventi un esempio di esotismo al contrario, del tipo «guarda come sono fatti questi svedesi...». D’altronde, quando uscì Videocracy molti dissero «ma l’Italia non è così, non siamo così». Infatti, l’Italia non è così, è “anche” così. Si tratta di sguardi. Il film cerca di cogliere un tratto molto globale, ossia la deriva verso l’individualismo. Spesso, per etichettare questa deriva, si usa l’espressione “Generation Me Me Me”, la generazione “io, io, io”.

Ci sono tanti risvolti che, peraltro, i sociademocratici all’epoca non potevano prevedere.
La loro era infatti un’idea progressista e molto interessata a rompere il ruolo della donna come casalinga dipendente economicamente dal marito. Avevano l’idea che tutti dovessero avere un lavoro e che tutti diventassero molto presto indipendenti gli uni dagli altri. Questo spiega anche la riforma delle pensioni, che ha “liberato” gli anziani dal dover convivere con i propri figli. Si pensava che, tolte costrizione e necessità, la convivenza genitori-figli o figli-genitori anziani potesse rimettersi alla libera scelta...
In qualche modo, però, si è finiti per sovrapporre libertà ed emancipazione e l’autonomia ha assunto anche tratti regressivi... 

Quando la spinta all’autonomia diventa quasi autosufficiente e si trasforma in una tendenza nemica delle relazioni. Una tendenza che vede nelle relazioni qualcosa di limitante, quasi fossero una costrizione a priori, anziché essere le precondizioni del benessere e della libertà. È proprio questa torsione che ho voluto mettere a fuoco nel film. Ho cercato di lavorare con un linguaggio che fosse molto di immagini, che focalizzasse situazioni in grado di far riflettere di per sé. Ovviamente, l’idea di poter procreare senza essere in due è l’ultimo traguardo dell’autonomia...

Nel film è uno dei momenti più sconcertanti, sembra quasi fantascienza...
Invece è realtà. Ma se guardiamo la storia dell’umanità è la prima volta che possiamo sopravvivere senza, per forza, stare assieme. Questi fenomeni, come l’autoinseminazione, devono farci riflettere.

Autoinseminazione: istruzioni per l'uso.
Che diffusione ha l’autoinseminazione in Svezia?
Qui devo essere corretto: è ancora un fenomeno marginale, ma non per questo meno preoccupante. 
Ad aprile è passata una legge che permette alle donne di essere assistite dallo Stato per l’autofecondazione. Prima di aprile, questa pratica era assistita solo in Danimarca e c’era un grande flusso di persone verso Copenaghen...
Come si vede nel film...

Oggi, a farsi largo, è comunque l’idea che se una donna non ha trovato un compagno entro una certa età e comincia a diventare un po’ troppo tardi, allora può – mi si passi il termine – arrangiarsi da sola. Cosa che, per un uomo, è ovviamente impossibile.
In ogni caso, il direttore della Cryos, la più grande banca del seme al mondo, mi ha confermato che fino a 10 anni fa le donne single che ricorrevano ai suoi servizi per avere un figlio erano pochissime, mentre oggi sono la metà dei suoi clienti.

La tendenza reale è chiara, ma tu la mostri con uno sguardo umoristico... 
Tutto è un po’ umoristico nel film, spero si capisca. A me piace giocare sulla semplicità, sullo sguardo quasi naif. Se vedi la scatola con la provetta della Cryos, se la ordini e la ricevi a casa...
Questo ti fa sorridere, è umoristico..

Ma questo stesso movimento ti fa pensare. D’altronde, un’indagine giornalistica condotta alcuni anni fa rivelava che la frequenza di rapporti sessuali è diminuita del 24% dal 1997. Questa indagine giornalistica ha spinto il Ministero della Salute svedese ad avviare una indagini a livello nazionale proprio sulle abitudini sessuali dei cittadini...
Così come ti fa pensare – altra situazione che documenti nella Teoria svedese dell’amore – entrare in un appartamento dove è presente una persona morta da due anni... 
Spero sia un incubo per tutti. Se questo è il senso della vita, finire soli, senza che nessuno, nemmeno i figli, si accorgano della nostra morte, allora forse dobbiamo fermarci e ragionare a fondo su quello che sta accadendo alle nostre società.
L’utopia della famiglia diventa una distopia della solitudine... 

Qui in Svezia, il film è stato recepito come una provocazione, anche forte e spero efficace. Ma se vivi in un Paese dove l’idea dell’autosufficienza è tanto presente, pervasiva e dominante allora trovi anche comico lo sforzo di tutte quelle persone che si allenano a correre da sole, a non voler dipendere dagli altri... Io sono straniero per metà e percepisco con stupore quest’ossessione dell’autosufficienza. Perché vogliono imparare a vivere soli? In svedese c’è un’espressione, ensam är stark (“da soli si è più forti”)

Una delle critiche che mi sono state fatte è che la Svezia è uno dei primi dieci Paesi per quanto riguarda l’indice di soddisfazione sociale e felicità. Questa cosa, però, si scontra con un’altra evidenza: la Svezia è il terzo Paese in Europa per consumo di antidepressivi (il primo Paese è l’Islanda). Forse bisogna stare un po’ attenti agli “indici di felicità”, perché se li guardi di sghembo ti appare tutta un’altra realtà. Ogni Paese crea dei valori che diventano normali, qui la solitudine, l’autosufficienza spinta all’estremo sono diventati valori normali... Proprio questo genere di “normalità” mi preoccupa e quindi ho deciso di mostrarla con uno sguardo estraniante.

Estraniante e, pur partendo da una precisa tesi, non giudicante...
Se ascolti bene la mia voce narrante nella Teoria svedese dell’amore, ma anche in Videocracy, non dico mai “voi”, ma parlo di “noi”. Mi coinvolgo, sono coinvolto, come te, come tutti. Faccio parte, non ho voluto fare un attacco frontale di critica indignata. Lo sguardo “umoristico” è questo, metterci davanti allo specchio. Davanti allo specchio, può capitare di scoprirsi nudi...

Alla fine del film, Zygmunt Bauman usa una parola: noia
A chi piace, la noia? La noia non piace a nessuno. Allora, anziché mettere certi valori da un lato e altri valori dall’altro, ho cercato di lavorare attorno a ciò che ha reso la noia una tonalità emotiva particolarmente presente nelle nostre società.
Torniamo un attimo sul concetto di egoismo: la Svezia è un Paese con un forte senso di collettività e responsabilità, come è possibile stia accadendo tutto questo?

Il welfare state di per sé, ma anche le riforme pensionistiche e dell’assistenza hanno richiesto negli anni un forte senso di comunità. Come se ci fosse detti «aiutiamoci a liberarci l’uno dall’altro», ma lo si avesse detto in coro, con un grande consenso. Questa è un’attitudine molto forte che, in Svezia, coesiste con uno sforzo per massimizzare l’individualismo... È stato definito statsindividualism individualismo di stato perché è lo stato a finanziare e quindi garantire l'autonomia di ogni cittadino.
Un doppio movimento difficile da capire in Italia...

Anche perché qui, ad esempio negli anni del “berlusconismo”, l’individualismo era più del tipo “preoccupati di te, della tua famiglia e dei tuoi amici” e la comunità finisce lì. Una sorta di microcircolo. Sono due forme diverse, due risultati possibili della deriva individualista. In ogni caso, l’individuo esclude l’altro o gli altri da sé.

Quanto tempo hai lavorato al film?
Circa tre anni, ma non in continuità. Quando si fa un film del genere, si mettono assieme dei pezzi e, strada facendo, si è costruito.
Erik Gandini

http://www.vita.it/it/interview/2016/09/20/svezia-hanno-fatto-il-deserto-e-lhanno-chiamato-liberta/69/


un film di Erik Gandini
dall’autore di Videocracy
LA TEORIA SVEDESE DELL’AMORE
The Swedish Theory of Love
Svezia 2015, 90’ (col.)


Un viaggio nei buchi neri della società che ha creato gli individui più indipendenti al mondo e una riflessione sullo svuotamento delle relazioni con l’affermazione della “società degli individui” nel mondo occidentale

Con un contributo di Zygmunt Bauman
USCITA ITALIANA: GIOVEDÍ 22 SETTEMBRE 2016

SINOSSI
La Svezia, società organizzata per antonomasia, garantisce ai suoi cittadini la realizzazione totale della propria indipendenza, grazie ad un sistema pianificato a tavolino dalla politica negli anni Settanta. È così che si riducono al minimo contatti e interazioni: metà della popolazione vive sola, sempre più donne diventano madri single con l’inseminazione artificiale, il numero delle persone che muoiono in solitudine è in continuo aumento. Solitari donatori della banca del seme, aree residenziali deserte e morti dimenticati aprono interrogativi inquietanti sulla società più indipendente del mondo, in cui una delle poche attività condivise sembra essere quella della ricerca delle persone scomparse. Perché una vita sicura e protetta può rivelarsi tanto insoddisfacente? Alcuni svedesi cercano di resistere: gruppi di giovani si ritirano a vivere nella foresta per vivere emozioni e contatto fisico; un medico di successo si trasferisce in Etiopia dove ritrova il senso della comunità nonostante le condizioni sanitarie disastrate. Il sociologo anticonformista Zygmunt Bauman racconta perché una vita priva di problemi non è necessariamente una vita felice.


NOTE DI REGIA
L’importanza che ha l’autonomia e il valore che le viene dato dagli svedesi mi ha sempre affascinato. La Svezia è il paese più individualista del mondo ed è costruito per essere così, sembra quasi che il sistema dica: “Aiutamoci a liberarci gli uni dagli altrima così si genera anche un forte senso di solitudine. Il mio film è volutamente provocatorio, la mia prospettiva si focalizza sulle ombre che esistono nel sistema. Mi piace mettere in discussione le idee più indiscutibili e questo modello di società in Svezia è assolutamente intoccabile. L’obiettivo del film è insinuare un dubbio: se l’ossessione per l’autosufficienza e il mito dell’autonomia dell’individuo si rivelassero essere una strada a fondo chiuso, in Svezia come negli altri paesi occidentali, Italia compresa? E io mi ritengo soddisfatto: ho fatto partire
un dibattito che potrebbe portare a qualcosa di buono.
Erik Gandini


IL REGISTA
Erik Gandini è uno dei registi scandinavi più conosciuti e tra i più interessanti documentaristi europei. Nato e cresciuto in Italia, poi naturalizzato svedese, ha prodotto e diretto diversi film documentari acclamati a livello internazionale. Tra questi Sacrificio (Primo Premio IDFA – International Documentary Film Festival di Amterdam), Surplus (Primo Premio IDFA e Lupo d’Argento ad Amsterdam) e Videocracy, sull’impero mediatico e l’ascesa politica di Silvio Berlusconi, che è stato votato come miglior documentario al Toronto Film Festival dalla giuria della critica guidata da Indy Wire, oltre ad essere stato definito uno dei migliori documentari del 2010 da Peter Bradshaw, critico del quotidiano The Guardian.


SCHEDA DEL FILM
Regia: Erik Gandini
Sceneggiatura: Erik Gandini
Montaggio e musica: Johan Söderberg
Fotografia: Vania Tegamelli, Carl Nilsson, Fredrik Wenzel, Lukas Eisenhauer,
Kristian Bengtsson, Daniel Takacs
Sound design: Hans Møller
Graphic design: Knut A. Helgeland
Prodotto da: Erik Gandini, Juan Pablo Libossart
Produzione: Fasad AB
In coproduzione con: SVT (Malin Björkman-Widell), FILM VÄST (Sofie
Björklund), INDIE FILM (Carsten Aanonsen), Zentropa (Michael Olsen)
Con il sostegno di: SFI (Cecilia Lidin), DFI (Klara Grunning-Harris), NORDISK
FILM & TV FOND (Karolina Lidin), NFI (Ivar Kohn & Even G. Benestad, DR
(Mette Hoffman Meyer), YLE (Jenny Westergärd), NRK (Tore Tomter), MEDIA
Programme of the European Union
Durata: 90’
Paese: Svezia
Anno: 2015

INTERVISTA A ERIK GANDINI
Dopo Videocracy, con La teoria svedese dell’amore torni all’indagine della realtà, in particolare della società svedese di oggi. Come è nata l’idea di questo film?
Sentendomi sia svedese che italiano mi ha sempre interessato vedere le cose da una prospettiva “esterna”, quasi a livello sociologico. Ogni società si auto-crea delle regole che viste da fuori possono essere molto interessanti. L’importanza fondamentale che ha l’autonomia e il valore che le viene dato dagli svedesi, per esempio, mi ha sempre affascinato. La Svezia è unica: sin dagli anni ’70 del secolo scorso ha cercato di creare un paese dove l’individuo è libero. L’anziano non deve dipendere dai figli, il giovane si libera presto dalla dipendenza dai genitori, la donna non deve mai dipendere dall’uomo e viceversa. Il progetto politico per cui si è affermata questa visione della vita all’epoca della sua nascita aveva senso: c’erano i mezzi economici per realizzarlo e l’idea di base era corretta. Il welfare state nato in Gran Bretagna probabilmente ha trovato in Svezia la sua applicazione migliore. L’affermazione dell’individuo rappresenta un’idea moderna, però crea anche qualche problema. Il lato negativo del “sistema svedese” è che produce una perdita di appartenenza e della vita di gruppo, della comunità. E genera anche un forte senso di solitudine. Lo stesso sistema si sta diffondendo anche in Italia, dove però la debolezza dello Stato rende ancora la famiglia il primo garante economico.

La “teoria dell’indipendenza” svedese nasce da un preciso progetto politico negli anni Settanta.
Oggi la politica si interroga e agisce in qualche modo sul tema della solitudine “sociale”?
La teoria dell’indipendenza e il mito dell’autosufficienza sono molto radicati nella cultura svedese.
Sono espressi nella loro essenza nella “Teoria Svedese dell’amore”, coniata dagli storici Lars Trägårdh e Henrik Berggren per definire ciò che più caratterizza la cultura scandinava quando si tratta di relazioni umane. Sostanzialmente sostiene che l’amore autentico può esistere solo tra due persone che siano indipendenti l’una dall’altra, che non stiano insieme per fini materiali o per dipendenza economica, come invece succede spesso in società meno eque. L’idea da un punto di vista economico non fa una piega, anzi, ma nella sua estensione esistenziale può trasformarsi in un’ossessione all’autosufficienza. In una diffusa e radicata convinzione che le relazioni umane debbano in primo luogo basarsi sull’essere liberi gli uni dagli altri. Il rischio è evidente in Svezia come in molti paesi occidentali: la dilagante solitudine che, ad esempio, ha portato l’intellettuale inglese George Monbiot a definire la nostra epoca “L’era della solitudine”.

La Svezia, per fortuna, ha una forte tradizione di autocritica. Il mio film è finanziato dalla tv pubblica svedese, SVT, e dall’Istituto Cinematografico Svedese. È uscito nelle sale a gennaio e andrà in onda quest’autunno in tv. All’uscita al cinema ha sollevato un dibattito acceso sulla stampa che è andato avanti a colpi di interventi, articoli e inserti su radio e tv per diversi mesi e che ha diviso la critica. Ci sono stati tanti riscontri positivi, anche nell’ambiente politico. Il Comune di Trollhättan, vicino Göteborg, è  riuscito a unire l’intera giunta per un progetto municipale che vuole affrontare il problema della solitudine soprattutto fra gli anziani e mi ha invitato, con il film, ad inaugurare l’iniziativa.

La società perfetta non esiste. La mia unica idea di società perfetta è la società che non crede mai di esserlo, quella che si mette costantemente in discussione, anche nelle idee più fondamentali su cui si basa. (Una curiosità: secondo un indagine fatta di recente dal quotidiano Aftonbladet, la frequenza di rapporti sessuali in Svezia è diminuita del 24% dal 1996. Cifre talmente allarmanti che hanno portato il ministro della sanità ad annunciare un ambizioso progetto nazionale di indagine sulla vita sessuale degli svedesi.)

Che senso che può avere una riflessione come quella che tu proponi per il pubblico di altri paesi, primo fra tutti quello italiano, visto che il modello di “società degli individui” poco alla volta sembra faccia presa anche nelle società ancora familistiche come la nostra?

Il progetto di welfare state degli anni Settanta ha preso piede in molti paesi europei, anche se in Svezia è stato realizzato in modo più efficiente. Il manifesto socialdemocratico “La famiglia del futuro”, che fa parte della premessa del film, non aveva come obbiettivo la distruzione della famiglia ma al contrario quello di creare presupposti per una maggiore qualità dei rapporti familiari. Liberare le donne dai limiti di una vita da casalinga o di tutrice non retribuita di bambini e anziani. Liberare gli anziani, attraverso la riforma delle pensioni, dal dover convivere in situazioni di sovraffollamento domestico e di dipendenza dalla propria prole. Dare le possibilità ai giovani, attraverso un sistema di sussidi per lo studio, di emanciparsi, studiare, lavorare e crearsi una propria vita.

Chi aderì a questa idea non aveva cattive intenzioni e non poteva prevedere l’avvento di ciò che arrivò circa un decennio dopo: il neoliberismo degli anni ’80 e ’90 e la cultura individualista del 2000 fomentata dai mass media diffusa soprattutto tra i giovani, che oggi sono bombardati dal culto della celebrità e sono educati all’idea che la realizzazione personale sia l’aspirazione massima. Una patologia narcisista sta dilagando tra intere generazioni, sicuramente anche in Italia. Si può dire che il culto dell’autonomia personale si è sposato molto bene con queste tendenze creando un pericoloso cocktail.

Non è da escludere che la Svezia sarà la prima a rendersene conto e a formulare un nuovo manifesto per il futuro. Il film ha ricevuto critiche anche negative, in qualche modo ha sollevato una questione e alimentato il dibattito. Sono andato a toccare un “nervo” molto sensibile nella società svedese e perciò il film è stato molto chiacchierato e commentato, sia sulla stampa che sui social network. Ma questo è un bene, sarei rimasto male se fosse successo il contrario. Alla fine dei conti mi ritengo soddisfatto: ho fatto partire un dibattito che può portare soltanto a qualcosa di buono. Tante persone hanno preso coscienza del fatto che in Svezia esiste un problema sociale di solitudine e molti hanno cominciato a mettersi in discussione.

Come si inserisce questo film all’interno della tua produzione, anche dal punto di vista di stilistico?
La teoria svedese dell’amore ha avuto in Svezia riscontri simili a quelli che Videocracy ha avuto in Italia: “Questa non è l'Italia!” e “Questa non è la Svezia!”. Ho un’innata, incessante necessità di riflettere sulla realtà che mi circonda. Di mettere in discussione le idee anche più indiscutibili. Spero sempre che i miei film facciano discutere o perlomeno pensare, così come le tematiche che affronto fanno riflettere me. La teoria svedese dell’amore è stato visto come un esempio sia di giornalismo che di documentario creativo, due generi ormai lontani l’uno dall’altro. Se al giornalismo viene richiesto un approccio razionale e analitico, il documentario creativo gode dello sguardo soggettivo, personale ed emotivo dell’autore. Essendo il documentario l’espressione cinematografica più a basso costo, quindi più accessibile, è una grande garanzia di libertà di espressione e quindi di democrazia. Lo sguardo del film maker fa bene. Uno sguardo curioso, critico, provocatorio e nel mio caso sempre comunque affettuoso, di chi guarda sia da dentro che da fuori.
http://www.lab80.it/img/uploads/GANDINI_PB_TeoriaSvedese_Lab80_2016.pdf




non ho letto tutto ma un paio di cose: generalmente la vita comincia prima che da noi, depressione (tono dell'umore basso si dovrebbe dire) e suicidi hanno tra i fattori scatenanti la mancanza di luce. più a nord si va e maggiore è l'incidenza di quel fattore, per questo la sanità mette a disposizione dei solarium, in pratica sono ambienti molto luminosi in cui passare delle ore. credo che stiano meglio di noi da giovani e peggio dopo. ma io ci sono stato solo una decina di volte.




Nel film la Meglio Gioventu' ad un certo punto fra le immagini idealtipiche scelte per ricostruire una weltaschauung perduta appare la Svezia, si il mitico viaggio in Svezia prima di giungere a Capo Nord ...un'intera generazione andò a cercare l'amore in Svezia dove una fanciulla bionda, disinibita ed emancipata si offriva per iniziare al prodigio dell'amore. Tanto tempo è passato e quel mito diffusosi rapidamente in una Europa lacerata e confusa dalla guerra fredda si annacquava in rivoli dove l'immaginazione al potere tutto giustificava. Sempre quando un rito dimentica il suo mito d'origine e si ripete dimentico del senso che le diede anima diviene stereotipo. La bionda Svezia pure si è persa nella sua ricerca di libertà nel benessere fino a trasformare l'autonomia in solitudine, l'emancipazione in paura della contaminazione dell'altro e della relazione. Quanta differenza allora mi viene da pensare c'è tra la poesia di Gibran sull'amore e la nostra concezione dell'amore. Lo spazio che intercorre tra le due è la differenza tra l'Oriente e l'Occidente , tra una filosofia che tutto unisce e una che tutto separa ...da sempre ma oggi più che mai.
Una psicologa un giorno mi disse che gli attacchi di panico vengono quando noi stiamo mentendo a noi stessi e la nostra epoca è l'epoca della menzogna ....credere ad esempio che una autoinseminazione ci dia un figlio solo nostro è una menzogna che presto sfocerà in nevrosi.





Io credo che ogni popolo sia espressione di una cultura che venga da molto lontano e dentro di sé porti archetipi del passato dai quali non si può sfuggire... Gli scandinavi hanno avuto una urbanizzazione molto più recente rispetto ai popoli mediterranei, hanno lottato i un territorio in cui la natura è stata spesso avversa in un contesto di freddo e mancanza di luce solare che incide sulla psiche di un popolo.. La popolazione demograficamente ha avuto una distribuzione quantitativamente bassa su spazi immensi.. In cui la natura ha spesso fatto da padrona... E gli inverni freddi bui e rigidi hanno portato la gente a rinchiudersi... L'individualismo è la caratteristica di un popolo che nel suo DNA porta rinchiusa una solitudine atavica, ancestrale.. Non mi meraviglia che si viva con un progetto di vita che isoli e induca ad abbandonare i vecchi, la famiglia... I giovani del resto hanno vissuto sempre un'anticipazione dell'indipendenza dettata anche da programmi politici che ne incentivano l'allontanamento dal gruppo parentale... La socializzazione avviene in questi posti molto di più attraverso forme di associazionismo diverse dalla famiglia... Questa è perlomeno l'opinione che mi sono Fatta visitando la Scandinavia... Certo non sono vissuta per anni li quindi la mia è un'opinione falsata in parte.. Ma ho fatto dei viaggi attraverso scambi culturali ho mangiato vissuto respirato nelle loro case e ho dedotto che i semi della loro cultura sono profondamente diversi dai nostri... In tal senso interessante è la considerazione di Starobinski sul tema della condivisione e del dono di sé alla base di ogni forma di socializzazione e quindi alla forma di "Stato"..come ha scritto nel libro Azione e reazione. Via e avventura di coppia....


Elogio della condivisione. Incontro con Jean Starobinski.
[...] un’intervista fatta nel settembre 2002 per l’Unità al mio vecchio professore Jean Starobinski [...]  Lo incontrai a un convegno sul “dono”, Starobinski aveva da poco pubblicato Largesse, un libro sulla crudeltà del potere e l’esibizione della sua “prodigalità” (largesse, appunto), una specie di excursus sulle quotidiane “expo” alimentari del Potere. Così scrivevo nel pezzo:

“Largesse (dal latino largus, elargitio), ovvero liberalità, prodigalità (plurale: elargizioni). Il termine, non privo di ironia, designa quel dono “verticale” cui da sempre fanno uso le figure e le incarnazioni del Potere: cesari o imperatori, a volte mascherati da dea Fortuna, che “elargiscono” alla cieca a una folla demunita e osannante, indotta dal gesto di “larghezza” a guerre fratricide di poveri per contendersi qualche brandello di dono alimentare o pecuniario; mentre dall’alto, compiaciuti, i potenti osservano i tumulti da loro stessi indotti. Questo gesto, degenerazione dell’antica sparsio – dono sparpagliato e fluente come fiume, di cui la disseminazione di parole nel famoso Coup de dés di Mallarmé è caso particolare – fu già criticato e descritto nel De Beneficiis di Seneca, e variamente ripreso, tra gli altri, da Rousseau e da Baudelaire (le scene degli aristocratici che gettano pan di spezie ai poveri per godere del loro azzuffarsi). A pensarci, a quel gesto non sono estranee – e Starobinski non manca di richiamarne l’esempio – le corse ai buffet delle nostre occasioni mondane, o le nostre attuali lotterie”.

Non si potrebbe dire la stessa cosa dell’Expo? È lo stesso teatro della crudeltà – del potere.

E infatti proprio stamattina ho letto su Facebook due post sullo stesso tema, uno di Aldo Nove e uno di Sergio Zuccaro (non a caso poeti entrambi).

Il primo: “Non riesco a capire perché tutti gli esseri umani più sfortunati di noi e che circolano ora dentro e attorno alla stazione centrale di Milano alla ricerca di qualcosa da mangiare non vengano accolti tutti e immediatamente a Expo, il cui tema è giusto “Nutrire il pianeta”. Ma il pianeta da nutrire è evidentemente quello dei mafiosi che l’hanno costruita (si fa per dire, costruita: messa su alla bell’e meglio) e di chi può spendere 50 euro per vedere un luna-park a metà che si crede il centro del mondo ma è solo la più squallida fuffa mediatica degli ultimi anni”.

Il secondo: “Tenendo conto delle differenze, organizzare un’EXPO sull’alimentazione, con due terzi di mondo che spinge alle frontiere, è come esporre un’orata su un davanzale, con un esercito di gatti che vi si aggirano sotto”.


Jean Starobinski. Elogio della condivisione.
Che ne è oggi del dono, se il suo circolo virtuoso è da sempre un circolo vizioso, cioè economico, di debito e credito? Che ne è della gratuità, se anche l’evangelico “Sermone della montagna” (Matteo, 6), mentre raccomanda la segretezza del dare l’elemosina, non manca di ricordare che la ricompensa del Signore è condizionata ad essa? Da tempo al centro di indagini filosofiche, religiose e politiche, sulla scia di Marcel Mauss e Georges Bataille, decostruito più di recente da Jacques Derrida, sfogliato storicamente da Jean Starobinski (Largesse, tr. it. A piene mani. Dono fastoso e dono perverso, Einaudi 1995), il tema del dono e della gratuità è stato interrogato fino alle estreme conseguenze, compreso il suo stesso diritto di esistenza. L’etimologia suggerisce che alla radice di dono c’è dosis, che in latino è dose di veleno, come nel tedesco Gift che traduce entrambi. Alla fine del suo saggio, Starobinski, autore fra l’altro di Il rimedio nel male, ammetteva con onestà di accorgersi che tutte le interrogazioni fondamentali che il dono ci offre erano ancora lì davanti a noi, intatte. In altre studi recenti, il tema del dono si fonde con quello, di un’attualità bruciante, di ospitalità. Il dono è dell’ospite, ha scritto su queste pagine Sergio Givone. Anche “ospite” è parola ambivalente: il dono, si vedrà, è soprattutto condivisione

[...]  professore dell’Università di Ginevra nei primi anni ’80, quello più amato, Jean Starobinski.
[...] Storico eminente delle idee, specialista del XVII secolo e autore di una ventina di volumi (tra cui l’indimenticabile Jean-Jacques Rousseau. La trasparenza e l’ostacolo), di Starobinski non posso dimenticare l’effetto illuminante di due verbi giustapposti e fascinosi – “accusare e sedurre” – con cui egli spiegava la critica alla società condotta da Rousseau, paradigma di future critiche politiche, ma anche paradigma, insieme alla contestazione della cultura e dell’arte, dell’avanguardia del XX secolo.

Accusare e sedurre sembra essere il limite e la condanna di ogni movimento rivoluzionario che fa propria la ricetta dei convertitori – mi dice oggi Starobinski – che accusa e seduce per vedere riconosciuta l’adesione ad altri valori contrapposti, e mira a fare il vuoto nella coscienza dei propri destinatari”. Questa idea, nella nostra conversazione, ritma il tema della gratuità come resistenza culturale in un’epoca in cui la ragione pubblicitaria sembra assoggettare ogni linguaggio, rendendo gli uomini sempre più inconsapevoli, perduti e infelici. Una “resistenza” dovrebbe evitare, appunto, di ricadere nel tranello dell’accusa e della seduzione.
[...] L’ampiezza e l’inedito taglio delle sue ricerche (che precedono quelle di Michel Foucault) sono forse dovuti alla laurea in Medicina che egli conseguì prima di quella in Lettere. Il “metodo” di Starobinski è quello accennato in una lettera dal celebre filologo Eric Auerbach, “qualcosa come la storia di una parola o l’interpretazione di un passo”; ed è la stessa passione dell’esplorazione linguistica che il romanziere Balzac attribuì al suo eroe Louis Lambert, comporre un libro “raccontando la vita e le avventure di una parola”. Entrambi gli esempi sono evocati dallo stesso Starobinski nella prefazione al suo ultimo grande libro, Azione e reazione. Via e avventura di una coppia (Einaudi 2001). Dopo avere indagato parole come “malinconia”, “libertà”, “ragione”, “sogno”, “trasparenza”, “azione-reazione”, eccetera, alcuni anni fa Jean Starobinski compiva un viaggio semantico, tra storia dell’arte e letteratura, nell’universo del “dono”.

Il libro si chiamava Largesse (dal latino largus, elargitio), ovvero liberalità, prodigalità (plurale: elargizioni). Il termine, non privo di ironia, designa quel dono “verticale” cui da sempre fanno uso le figure e le incarnazioni del Potere: cesari o imperatori, a volte mascherati da dea Fortuna, che “elargiscono” alla cieca a una folla demunita e osannante, indotta dal gesto di “larghezza” a guerre fratricide di poveri per contendersi qualche brandello di dono alimentare o pecuniario; mentre dall’alto, compiaciuti, i potenti osservano i tumulti da loro stessi indotti. Questo gesto, degenerazione dell’antica sparsio – dono sparpagliato e fluente come fiume, di cui la disseminazione di parole nel famoso Coup de dés di Mallarmé è caso particolare – fu già criticato e descritto nel De Beneficiis di Seneca, e variamente ripreso, tra gli altri, da Rousseau e da Baudelaire (le scene degli aristocratici che gettano pan di spezie ai poveri per godere del loro azzuffarsi). A pensarci, a quel gesto non sono estranee – e Starobinski non manca di richiamarne l’esempio – le corse ai buffet delle nostre occasioni mondane, o le nostre attuali lotterie.

Oggi Starobinski ritorna sul tema del dono proponendo un elemento che si contrappone polarmente al dono verticale, e forse non è neppure un dono: la condivisione. È la comunità ciò di cui mi parla, il dono di sé che sta all’origine di ogni socialità, di ogni associazione degli umani, e quindi della forma “Stato”, come insegnano le teorizzazioni liberali a partire da John Locke.

Mi interessa la sovranità che si esprime nel dono inteso come gratuità e condivisione – dice Starobinski – opposta al dono perverso e fastoso. La carità, il dono di sé, opposta a quello che giunge dall’alto. È l’intesa umana ad instaurare la sovranità, una comunità, un’uguaglianza, in un postulato di similitudine e coesistenza.”

Dalla denuncia delle ambiguità insite nell’atto del donare – dal narcisismo sentimentale della carità all’estetizzazione della bontà, dall’imbroglio libertino al “dono nefasto” (mela di Eva o vaso di Pandora), o ancora il rovescio della medaglia connesso al dono, cioè la creazione di un obbligo (regalare si dice anche obbligare) – il viaggio semantico di Starobinski approda così alla nozione largamente politica di comunità. [...]

Mi parla del suo ultimo lavoro, il rifacimento di un’opera su Montesquieu la cui prima stesura risale al 1953, e che nella nuova forma vedrà presto la luce in italiano presso Einaudi. Montesquieu, è noto, è il filosofo che tra l’altro ci lasciò in eredità la tripartizione dei poteri nell’ordinamento repubblicano. “Di Montesquieu mi appassiona – dice Starobinski – la coraggiosa moderazione, la fermezza politica, il suo sistema di valori. La prima stesura di quest’opera uscì in anni influenzati dall’esistenzialismo. Resta un approfondimento dell’individuo Montesquieu, della sua struttura di pensiero, ma anche uno studio molto attuale su come riesca a conciliare il rispetto della varietà dei costumi e degli aspetti plurali della società con l’idea (già kantiana) che debba esserci una giustizia condivisa da tutti e una legge di natura; come conciliare, insomma, un certo relativismo culturale con l’esigenza del vero e del giusto…

Oggi la gratuità, dicevo, è una forma di resistenza culturale. Non siamo in vendita è il titolo di un pamphlet, firmato da un buon numero di intellettuali, distribuito la primavera scorsa dall’Unità. Starobinski annuisce, sa che in Italia vige una supremazia politica e linguistica di “pubblicitari”, e mi richiama in proposito un altro suo libro in uscita, quasi un pamphlet, dal titolo Eloquenza e libertà, che raccoglie saggi sul problema del persuadere e del sedurre. E aggiunge: “Tutti i beni essenziali di cui godiamo, le ricchezze che ci fanno vivere comodamente, frutto del lavoro degli uomini, e la facilità con cui dominiamo le oppressioni della natura, i capricci del tempo o ad esempio le epidemie – non bastano a dare un senso alla vita. Ciò che ci permette di dominare la natura, di difenderci, è solo una strumentazione. Ma limitarci alla strumentazione dissolve il senso dell’esistenza, che nasce e sboccia nell’universo della gratuità, non nel circuito commerciale ed economico. Occorre costruire o scoprire il senso, e questo non accade nel mondo dei mezzi, dei calcoli e dell’utile. Una società che moltiplica le seduzioni pubblicitarie e i divertissement, incoraggia l’assurdo, produce noia e genera violenza, come quella degli stadi e i loro slogan. Ricchezza e potenza della società del benessere rendono l’uomo estremamente fragile, al punto di non avere più un’esistenza sensata, una ragione. Occorre essere razionali: occorre organizzare il tempo, la durata, non solo gli istanti privilegiati, di godimento”.

La mia ultima domanda, mèmore dell’”accusare e sedurre”, è: si deve resistere a tutto questo?

“Sì, si deve resistere, ma alla virtù dell’affermazione va affiancata la virtù dell’accoglienza. Il rischio è una cultura centrata solo su se stessa, monocentrica. Occorre, tra le specie in via di estinzione, salvare soprattutto il passato. [...] La biografia di Starobinski, che a 82 anni continua a progettare libri (uno su Diderot, un altro su Baudelaire) è emblema di una reale condivisione: condivisione del sapere, invito alla conoscenza, al comprendere insieme.

(uscito su l’Unità, 4 settembre 2002)
http://www.beppesebaste.com/elogio-della-condivisione-incontro-con-jean-starobinski-e-lexpo/





Credo che la socialità sia una caratteristica propria dell’uomo. Attraverso le relazioni l’uomo apprende, si evolve, i bambini costruiscono la loro personalità, dalle relazioni primarie dipende addirittura la loro sopravvivenza. Quindi pensare che si possa essere completamente autosufficienti è , a parer mio, triste e sterile. Così come possono esserci legami molto forti e ugualmente patologici, se creano dipendenza affettiva e sottomissione e/o annullamento dell’altro. Per poter instaurare relazioni significative e apprezzare una “sana solitudine” che non è isolamento ma stare bene con se stessi, bisogna aver sperimentato l’autonomia e l’indipendenza. “È inutile cercare chi ti completi, nessuno completa nessuno, devi essere completo da solo per poter esser felice.” Erich Fromm.




grazie Ivano, molto interessante e, come viene detto in altri commenti, suscita molte riflessioni sul nostro tempo. Mi è venuto in mente un bel libro di Luigi Zoja, analista junghiano, il cui titolo è "La morte del prossimo"; come si evince dallo stesso titolo parla dell'amore che, complice anche la tecnologia, coltiviamo per il "distante", il non-prossimo. Mi pare che ci sia qualche nesso.




Sono convinta che l'approccio italiano alla sfera sentimentale, all'amore, all'educazione affettiva sia uno dei migliori. E' accogliente, caldo, maturo, appassionato....e io mi ci ritrovo. Noi non abbandoniamo gli anziani, noi non stiamo abbandonando i migranti, i rapporti interpersonali sono importanti, lo si vede....mentre tutto il resto dell'Europa fa scelte per me incomprensibili. Si alzano nuovi muri, nuove frontiere psicologiche.....in questo sono orgogliosa che l'Italia faccia diversamente. Purtroppo però non riusciamo ad andare oltre, non riusciamo a rendere reale e pratico questo approccio. Sembra che siamo capaci sono di fare il primo passaggio , non i successivi....Credo che non riuscirei a vivere in un altro Paese diverso dall'Italia, e tutti i giorni combatto per renderlo migliore.



Amanti della storia:
"La straordinaria storia del mercante veneziano Pietro Querini
Quando il commerciante e senatore Pietro Querini fece naufragio nelle fredde terre scandinave - nel 1432 - l'era dei Vichinghi si era ormai conclusa da diversi secoli.
Cristianizzata ed unita da regni ufficialmente riconosciuti dagli altri sovrani cristiani d'Europa, la Scandinavia era una terra per certi versi nettamente differente da quella raccontata dai primi esploratori che giunsero in queste zone, ma che conservava in parte ancora le antiche usanze.
Originariamente diretti nelle Fiandre (odierno Belgio) con un carico prezioso di 500 tonnellate di merce tra cui spezie, cotone e vino Malvasia, Querini e il suo equipaggio furono sorpresi da una tempesta che li condusse lontano dalla propria destinazione, sino a farli naufragare nelle fredde terre del nord.
Partito con più di 60 uomini di equipaggio sbarcò fortunosamente su un'isola deserta, situata vicino ad un piccolo insediamento di locali (Røst - Norvegia), con solo 16 uomini superstiti. Dopo esser sopravvissuto per alcuni giorni nutrendosi solo di patelle - piccoli molluschi - venne soccorso dalla popolazione locale che lo accolse, insieme a tutti i naufraghi, nelle proprie case.
Il viaggiatore ebbe stupende parole per i suoi salvatori: "Questi di detti scogli sono uomini purissimi e di bello aspetto, e così le donne sue, e tanta è la loro semplicità che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo: e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medeme dove dormivano mariti e moglie e le loro figliuole alloggiavamo ancora noi, e nel conspetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto; e avendo per costume di stufarsi il giovedì, si spogliavano a casa e nudissime per il trar d'un balestro andavano a trovar la stufa, mescolandosi con gl'uomini "
Dopo alcuni mesi di ospitalità, grazie alla quale poté osservare la brevissima durata della luce solare nei mesi invernali, riuscì a ripartire per Venezia in maggio, portando con sé l'idea dello "stoccafisso" da allora molto popolare in città. In una relazione al Senato, ancora oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, descrisse il suo viaggio e l'incontro con gli scandinavi".
Stefano B.

https://www.facebook.com/112850062095704/photos/a.151036451610398.24627.112850062095704/921004054613630/?type=3&hc_location=ufi




A che cosa serve l'uomo? In Svezia non serve a niente
di Marco Dotti

Era il paradiso del welfare, la meta di ogni sogno di liberazione.
Che cosa è successo alla Svezia?
Nel suo ultimo documentario, l'autore di Videocracy Erik Gandini racconta un Paese in cui le persone vivono isolate, sempre più donne single scelgono la fecondazione artificiale e molti anziani muoiono da soli, dimenticati da tutti. E con 80 euro vi spediscono anche il kit per la fecondazione artificiale a domicilio.

«Nell'inverno del '72, un gruppo di politici ebbe una visione rivoluzionaria del futuro. Era giunto il momento di liberare le donne dagli uomini, gli anziani dai figli, gli adolescenti dai genitori». Venne scritto anche un manifesto, La famiglia del futuro. A volerlo, fu la sezione femminile del partito socialdemocratico allora guidato dal primo ministro Olof Palme.

Che cosa prevedeva il documento? Ce lo spiega Erik Gandini, regista bergamasco autore di Videocracy, che in Svezia vive e lavora. Lo spiega in un documentario importante, di cui si è parlato poco o, comunque, non abbastanza in Italia: La teoria svedese dell'amore. Andato in onda nelle scorse settimane sulla Rai per Doc3. Il lavoro di Gandini sarà presto nelle sale cinematografiche, in versione integrale.

Ogni individuo dovrà essere considerato come autonomo, non come l'appendice di qualcun altro. È dunque necessario creare le condizioni economiche e sociali che ci renderanno finalmente individui indipendenti
Manifesto del Partito Socialdemocratico svedese, 1972

Olof Palme, pilastro della socialdemocrazia svedese, voleva modernizzare il Paese.
Riformò il sistema pensionistico, stabilì sussidi e forme di sostegno, edificò il paradiso del welfare attorno a un'idea non così scontata, quando si parla di Stato e diritti sociali: l'autonomia individuale. L'indipendenza degli individuio. L'indipendenza della donna dall'uomo, dei figli dai padri, della madri dai figli. In qualche modo, la distopia immaginata dal grande drammaturgo svedese August Strindberg nella riscrittura post-amletica del Padre, ma senza più ossessioni per la solitudine.

Oggi, in Svezia il 50% dei cittadini vive solo. Una vita senza l'altro e una morte che non è da meno: 1 cittadino su 4 muore in solitudine, abbandonato dai figli. È la teoria svedese dell'amore: un'idea talmente assoluta di indipendenza che porta a considerare che l'amore autentico può esistere solo tra estranei. O tra sconosciuti. O tra sé e sé: la relazione è un peso che sempre meno svedesi sembrano disposti a sopportare. Non serve. Nemmeno per avere figli.


Il manifesto "La famiglia del futuro"
In Svezia va per la maggiore la fecondazione fai da te. Una gran parte delle donne svedesi - svela Gandini - acquista sperma per corrispondenza. Lo fa dalla Cryos, una società danese fondata da Ole Schou. «La banca del seme più grande del mondo», alimentata da donatori che dichiarano di «volere il bene dell'umanità» e disponibile per tutti e per tutte le tasche. Lo sperma in Europa arriva con corriere espresso, conservato in ghiaccio secco e pronto all'uso (vengono fornite delle apposite fiale/siringhe fai da te). I tempi di consegna vanno da 1 a massimo 2 giorni.

Cyrios. Razza a scelta.
Il prezzo va da 63 euro per 1 fiala/siringa ai 12mila euro per il "donatore esclusivo".
Si possono poi consultare i dati ex post, con le fotografie dei bambini, il loro - testuale - «profilo di intelligenza emotiva e il campione vocale». Si può pure scegliere - anche qui: testuale - la razza: caucasica, africana, medio orientale. Più della metà dei clienti della Cryos sono donne single.

«Ho pensato che fosse meglio avere un figlio da sola, ed evitarmi la fatica di trovare un partner», dichiara una donna.

A 40 anni dal manifesto Familjen i framtiden - en socialistisk familjepolitik l'utopia svedese si è rivelata una desolante emancipazione regressiva. Si nasce soli, si vive soli, si muore soli. Come nota Gandini nel Docu-film: “Ognuno va per la propria strada ma non c'è nulla che li tenga insieme”. Quest’ultimo fenomeno è talmente aumentato negli ultimi anni che lo Stato svedese ha dovuto creare uffici appositi che si occupano di tutte le incombenze legali e burocratiche legate alla scoperta di un morto senza legami, nel disinteresse di figli e parenti.

http://www.vita.it/it/article/2016/08/05/a-che-cosa-serve-luomo-in-svezia-non-serve-a-niente/140360/


Sergio Stagnitta.
La teoria Svedese dell’amore


Ogni individuo dovrà essere considerato come autonomo, non come l'appendice di qualcun altro. È dunque necessario creare le condizioni economiche e sociali che ci renderanno finalmente individui indipendenti
Manifesto del Partito Socialdemocratico svedese, 1972

Il nuovo documentario di Erik Gandini (autore di Videocracy film che ha raccontato l’impero mediatico di Berlusconi), trasmesso pochi giorni fa sulla Rai, mi sembra la concretizzazione della società del futuro immaginata da Aldous Huxley nel suo profetico (appunto) libro “Il mondo nuovo”. È noto che Huxley, immaginando la società del futuro, sia partito proprio dall’annullamento della famiglia tradizionale, dei legami affettivi in generale e, soprattutto, dalla separazione della procreazione dalla relazione sessuale. Nel libro viene fuori un mondo nel quale tutto è organizzato intorno al proprio benessere personale, controllato da un potere centrale che gestisce le nascite e ne determina il modello educativo; un mondo nel quale le relazioni durature sono pericolose e altamente sconsigliate da Ford, il Dio di questa nuova società che ha come simbolo la "T" che ha rimpiazzato il segno della croce cristiana.

Nel documentario di Gandini, intitolato “La teoria svedese dell’amore”, viene descritta la società Svedese attuale frutto di un manifesto politico che nasce nel 1972 definito: "La famiglia del futuro". In questo manifesto si parte da un concetto di base: le difficoltà economiche non consentono agli individui di autodeterminarsi, di trovare pienamente la propria realizzazione nella vita. I teorici di questa visione hanno immaginato quindi di eliminare la dipendenza reciproca: una donna che non ha un proprio reddito non può separarsi dal marito quando sente di farlo, e quindi non può decidere liberamente chi amare. Lo stesso principio può essere applicato ai figli che, essendo legati economicamente ai genitori, rischiano di rimanere imbrigliati nella famiglia per lungo tempo, così come i genitori anziani con i figli che dovrebbero assisterli nella vecchiaia. Insomma questo manifesto prevedeva che all’origine di tutti i mali ci fosse la dipendenza reciproca. E così, per la logica del pensiero primitivo, hanno teorizzato che la fonte di ogni bene sarebbe stata l’indipendenza assoluta: nessuno deve dipendere dagli altri, tutte le scelte devono essere svincolate dalle relazioni.


Da questa idea sono nati i programmi di welfare per garantire ai cittadini svedesi un alto livello di benessere, con tutti i servizi a disposizione, un modello di stato efficiente e completamente votato al servizio del cittadino, dimenticandosi un aspetto però: ovvero che gli essere viventi tutti e, soprattutto gli esseri umani, hanno principalmente bisogno di relazioni.

Il documentario denuncia proprio gli effetti di queste politiche prive del concetto di relazione e di mutuo aiuto. Gli effetti di una società iper-individualistica vengono descritti nei diversi contesti e periodi di vita, una vera e propria analisi sociologica.

Il primo effetto di queste politiche è legato alla procreazione; così come aveva profetizzato Huxley, la procreazione può essere staccata completamente dalla relazione di coppia. In questo caso non si intende la procreazione di coppie omosessuali, che ovviamente hanno bisogno di utilizzare mezzi alternativi al rapporto sessuale. Ma anche di donne eterosessuali, che sentono il desiderio di avere un figlio, ma non vogliono l’impegno, la dipendenza, da un partner. Questo modello sociale consente di risolvere questo problema di dipendenza dall'altro in modo estremamente semplice. Basta collegarsi al sito di un’azienda che gestisce una banca del seme e scegliersi il partner “virtuale” più vicino alle proprie aspettative: razza, livello culturale, alcune clip audio per sentirne la voce e cosa pensa della vita, altezza, colore ecc. Si inserisce la carta di credito e un indirizzo di spedizione e dopo un giorno arriva un kit completo, sotto ghiaccio sintetico, con siringa e sperma prescelto e relative istruzione per l’autosomministrazione. Tutto in casa, semplice, veloce e corredato di orgasmo finale per produrre le giuste "vibrazioni".

Questo documentario denuncia non tanto l’idea di procreazione assistita, tecnologica o casalinga in quanto tale, ma l’idea che non serve una relazione per nascere, così come non serve una relazione per morire.

Lo stesso vale per i giovani che devono lasciare la famiglia prima possibile. Questo aspetto di per se non è tanto negativo, detto da un italiano che nelle ultime statistiche sa bene che i ragazzi nel nostro paese restano in casa oltre i 35 anni! Anche qui, come sempre, le idee sono giuste, è la scelta della cura che spesso, soprattutto quando ha la pretesa di felicità, può facilmente degenerare. E così come antidoto a questa assenza di relazione molti giovani si radunano nei boschi in cerca di un "vero" e "profondo" amore.

In Svezia, prosegue il documentario, esiste un’agenzia dedicata agli anziani soli, che non avendo mantenuto legami familiari forti, nella vecchiaia possono contare solo ed esclusivamente sull’assistenza statale. Un’operatrice di questa agenzia afferma: “Quando invecchi, in Svezia, non puoi piangere sulle spalle di qualcuno, se stai male devi compilare un modulo e ti risolvono il problema pratico.” E così molto spesso, quando gli anziani muoiono, non è possibile risalire ai figli o ai parenti più prossimi, anche semplicemente per l’eredità, che a volte finisce nella casse dello stato. Molte persone muoiono e il cadavere viene scoperto dopo diverso tempo. Addirittura una persona che si era suicidata è stata ritrovata in casa dopo due anni. Del resto con la formula del pagamento elettronico, basta impostare i pagamenti automatici di affitto, mutuo, bollette e altro e nessuno, vicini compresi, si chiederà dove sei se non ti vedono in giro da qualche anno

La stessa operatrice dopo aver scoperto un signore morto nel proprio appartamento, che usciva solo per comprare i beni di prima necessità e trascorreva il resto del suo tempo in casa da solo, ma con un ottimo conto in banca, afferma: “la lotta per l’indipendenza ci ha accecati. Che senso ha avere 100 mila euro in banca se poi non si è felici?"

Il documentario è un’analisi sociologica estremamente importante, non solo come denuncia del rischio di una società iperindividualistica, ma soprattutto perché, come ci insegna la psicologia, gli opposti spesso non sono altro che facce di una stessa medaglia. Una società dipendente non deve affrancarsi con il suo opposto: l’indipendenza assoluta, ma con formule che consentono di realizzarsi attraverso la relazione con l’altro. Del resto anche nella relazione di coppia, le coppie che funzionano di più non sono quelle che non hanno mai bisogno l’uno dell’altra ma le coppie che crescono e si autorealizzano senza soffocare e bloccare lo sviluppo dell’altro, una coppia che funziona cresce insieme.

La riflessione finale è affidata a Zygmunt Bauman (sociologo e filosofo polacco), autore dei famosissimi libri sulla società liquida: nella dialettica dipendenza/indipendenza introduce il concetto di interdipendenza, ovvero tutti noi abbiamo bisogno degli altri; è proprio lo scambio affettivo, relazionale, emotivo, la forza motrice del progresso; la felicità, continua Bauman, non sta nell’idea di non avere mai problemi, ma nel riuscire a risolverli.

In un mio precedente post – intitolato “Breve riflessione sulla felicità” - sempre per l’Espresso/Repubblica Blog ho scritto proprio di questo tema, qui trovate il link:
http://goo.gl/L8NJXh

A questo link trovate il documentario completo di Erik Gandini:
http://goo.gl/YsFYch

Per completare questa mia riflessione mi viene in mente che per immaginare una buona società del futuro basta osservare la natura, e allora diviene molto semplice comprendere che tutto in natura è interdipendente, dalla semplice molecola al movimento dell'intero universo, nessun elemento può funzionare senza essere in relazione con gli altri.

http://emozioni.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/08/06/la-teoria-svedese-dell%E2%80%99amore/



https://vimeo.com/174398478


La teoria svedese dell’amore, 
Nel 1972, la sezione femminile del partito socialdemocratico guidata dal primo ministro Olof Palme. ebbe una visione rivoluzionaria della societa’ svedese Venne scritto un manifesto: 

La famiglia del futuro” (Familjen i framtiden – en socialistisk familjepolitik) 
OGNI INDIVIDUO DOVRÀ ESSERE CONSIDERATO COME AUTONOMO, NON COME L’APPENDICE DI QUALCUN ALTRO. È DUNQUE NECESSARIO CREARE LE CONDIZIONI ECONOMICHE E SOCIALI CHE CI RENDERANNO FINALMENTE INDIVIDUI INDIPENDENTI 
 Manifesto del Partito Socialdemocratico svedese, 1972  

Erik Gandini, regista nato in Italia da padre italiano e madre svedese, racconta (in italiano) una storia che inizia in Svezia e finisce a Zygmunt Bauman, passando per l’Etiopia. È noto che la società svedese è perfettamente organizzata, tanto da essere spesso presa a modello e simbolo delle più alte conquiste del progresso. Erik Gandini, in La teoria svedese dell’amore analizza con attenzione entomologica la società a cui oggi appartiene e nella sua ricerca scopre che la ricetta per lo stile di vita nordico era stata preparata a tavolino dall’illuminata elite politica, che in un manifesto pubblicato negli anni settanta dello scorso secolo aveva decretato l’indipendenza assoluta degli abitanti come necessità e obiettivo per l’intero popolo svedese. Indipendenza dei figli dai padri, delle mogli dai mariti, eccetera. Gli svedesi, capaci di accettare immediatamente le proposte ritenute giuste dalla maggioranza, si sono subito adeguati e da allora l’indipendenza del singolo è favorita a ogni livello sociale. La teoria svedese dell’amore scava nella vera natura dello stile di vita svedese, esplorando i buchi neri di una società che ha creato il popolo più autonomo, costituendo una società perfettamente organizzata in cui tutti hanno le medesime opportunità per una esistenza indipendente. Tra gli esiti di questa “autonomia istituzionalizzata”, in cui nessuno deve chiedere agli altri favori o aiuti, riducendo così al minimo i contatti fra gli individui, si ha che quasi metà della popolazione abita oggi in appartamenti singoli e sempre più donne scelgono di affrontare la maternità attraverso l’inseminazione artificiale. Alcuni svedesi stanno cercando strade differenti: giovani formano comunità che vivono nei boschi, scegliendo le emozioni e gli affetti; un chirurgo di successo sposta l’attività in Etiopia dove ritrova il valore della vita comunitaria, risolvendo con incredibile creatività i problemi che nascono dalla mancanza di materiale sanitario. 

Il film è chiuso dalle parole illuminanti del sociologo Zygmunt Bauman che spiega perché una vita senza difficoltà non è necessariamente una vita felice. Il film solleva una questione: “Perché una vita vissuta in tale sicurezza e tranquillità porta così spesso all’insoddisfazione?” 

Gandini allontana il punto di vista dall’oggetto di studio fino a paragonare lo stile di vita svedese, fatto di benessere e solitudine, con la vita in Africa, oppressa dalle privazioni ma ricca e vivace sul piano relazionale

Dopo Videocracy, il film “pop” sul berlusconismo, Gitmo, sui prigionieri detenuti a Guantanamo, Surplus, sulla società consumistica, Gandini ci regala un altro film-saggio informatissimo, rigoroso, profondo e contemporaneamente scanzonato, libero e fortemente cinematografico. Il regista italo-svedese non smette di stupire, con brillante intelligenza, trovando prospettive sempre nuove e inattese per raccontare l’attualità, lontano dai cliché su cui i media non smettono di arenarsi.
https://www.aneddoticamagazine.com/la-teoria-svedese-dellamore/



La Svezia non è un Paese per bamboccioni
larep.it
Luciano Boarotto
La Svezia é una delle nazioni con stato sociale avanzatissimo, reddito di cittadinanza incluso

La Svezia. I giovani della grande potenza nordica escono presto di casa, studiano e non vogliono pesare sui loro genitori: per questo si indebitano con le banche ma riescono a ripagare in fretta.

Danilo Giannini
i giovani svedesi non s'indebitano con le banche ma con lo stato - il CSN è un organo statale e non s'indebitano per l'intera cifra una parte dei soldi che ricevono per gli studi sono un sussidio statale - in media uno studente percepisce circa 300€ mensili di sussidio e 700 di mutuo - i mutui vengono erogati a fronte dei risultati scolastici - i fuori corso si possono ritrovare senza mutuo... Il mutuo si comincia a restituire da subito dopo la conclusione del ciclo di studi in base al reddito e se sei disoccupato in base al sussidio - la Repubblica sta diventando un giornale di pettegolezzi e fatti anche male

Bruno G. Giusti
La banca che impresta i soldi è una banca Statale che è attiva solamente per fare prestiti agli studenti....oggi (almeno quì in Norvegia) gli interessi che si pagano sono 1,75%. La banca che impresta i soldi si chiama (qui in Norvegia) Statens Lånekassen e gli interessi da pagare sono 1,75%. Si inizia a pagare quando si inizia a lavorare e guadagnare.

Andrea Polimeno
In realtà è proprio questa la forza della Svezia:
fornire denaro ai giovani a tassi agevolati, cosa che in Italia non succede neanche alle famiglie o ai pensionati (anzi a quelli che vogliono andare in pensione ora si chiede di indebitarsi per avere la pensione, siamo alla follia!). Ma a quanto pare voi di Repubblica cercate di rigirare la frittata parlando di giovani indebitati, mentre invece io sarei lieto di indebitarmi ora a 22 anni sapendo di avere 40 anni per pagare il mio debito a un tasso del 3%, consentendo alla mia famiglia di uscire una sera al mese a mangiare fuori, perchè se non lo fanno è per pagarmi gli studi, visto che già hanno il loro mutuo da pagare. Bravi, continuate a invogliarci ad andarcene via da questo Paese!

Maurizio Di Donato
Lo stato da tutto [...], dalle case alle visite mediche, oltre a pagare il fisco non pagano nulla, i figli quando vanno a scuola devono comprare solo lo zaino, non come in Italia che si deve spendere 1000 euro tra libri trasporti ecc. Per dare tutte questo, ti inseriscono necessariamente al lavoro

Franco Scarpellini
in Svezia ti danno casa e stipendio se fai l'università e c'è una social security che non ti lascia solo e senza reddito anche se non lavori.

Riccardo Zandegiacomo
Con un sistema economico come quello svedese alle spalle, forse anche noi giovani italiani potremmo permetterci l'indipendenza intorno ai 20 anni. La loro mentalità è vero, è diversa e più responsabile della nostra, ma è anche più facile percorrere questa strada se si prende intorno ai 900 euro mensili solo perchè giovane svedese (fino ai 25-30 anni) e un'altra quota intorno ai 300-400€ che dipende dal percorso scolastico iniziato. (quasi)Tutti soldi che andranno poi ridati una volta iniziata la carriera lavorativa, ma averli come prestito in età adolescenziale garantisce sicuramente una libertà economica maggiore.
Noi però abbiamo il sole, ma questo è un altro discorso... Anche se non è poco!

Lucamaria Bacchereti
La scuola e l'assistenza sono gratuite così come gratuitamente trovi lavoro pagato in modo decente; hanno diritti e non privilegi e sono usciti dal sistema bancario internazionale...

Massimiliano Piretti
in svezia riesci ad avere una casa di proprietà pagando come fosse un affitto una specie di mutuo, ma il sistema è differente e molto più economico. Comunque quando diventano grandi questi "Bei ragazzi Svedesi" se ne fregano dei genitori e li mandano negli spizi.

Franko Gaspare
In Svezia lo stato investe nell'istruzione il 6% del PIL, contro il nostro misero 1,8, e i giovani durante il periodo degli studi non devono neanche comperarsi una matita. Ai giovani delle famiglie non abbienti che frequentano l'università viene dato alloggio gratis e ad alcuni, i più bisognosi, lo stato passa a loro un assegno di 800€ al mese per il proprio mantenimento.

Stefano Maggi
Il credito, questo sconosciuto in Italia. Chi ha l'età, chi ha svolto lavoro autonomo lo sa. Il credito, le banche, lo hanno destinato solo e sempre a chi aveva i soldi. Nessun credito a chi era disoccupato, studente, lavoratore autonomo nel qual caso chiedevano i redditi degli ultimi 3 anni e la firma di moglie e mamma e papà. Sentire oggi di svariati miliardi di crediti inesigibili e incagliati da parte delle banche non fa che un immenso piacere! Avete prestato soldi solo ad amici vostri che hanno rischiato soldi nostri e della Nazione. Spero che falliscano queste banche e spero che nessuno si fidi più ne di versare i soldi, ne di chiedere prestiti visto come vi comportate il giorno che decidete di chiederli indietro.

Claudio Heltai
Ovvio, non è tutto oro quello che luccica. La società svedese è anche una società molto edonista ed egoista e fenomeni come suicidi, uccisioni di figli piccoli, folli che uccidono con armi altri concittadini sono molto più diffusi rispetto all'Italia.

Marco Fiorentini
Poco più di quattro milioni di abitanti su un territorio grande tre volte e mezza l'Italia. 4/5 ore di luce durante l'inverno e solo al sud dov'e'concentrata la quasi totalità della popolazione. Avete mai provato a trascorrere una settimana in Svezia? Dal lunedì al venerdì pomeriggio massimo rigore e rispetto delle regole,alcune paradossali come le bici che negli attraversamenti hanno la precedenza sui pedoni e vi posso garantire che non si fermano. Poi arriva il weekend e vedi gente dai 13 ai 70 anni vagare ubriaca per strada dove girano solo i taxi. Vi è anche una forte componente di immigrazione dall'Iran e dalla Turchia con i quali per noi e' impossibile comunicare perché oltre alla loro lingua parlano poco e male solo lo svedese. Un paese dove devi crescere in fretta se non vuoi finire a fare il barbone

http://www.repubblica.it/economia/2016/07/17/news/svezia_bamboccioni-144066821/?ref=HRLV-4%3Fref%3Dfbpr&ch_id=sfbk&src_id=0001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk0001000

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