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martedì 29 novembre 2011

Basaglia. La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d' essere.

«Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento.»
Franco Basaglia - 1964

Franco Basaglia nacque a Venezia l’11 marzo 1924.
Oggi lo ricordiamo come uno dei più importanti pionieri della psichiatria moderna.
Basaglia fondò un movimento chiamato Psichiatria Democratica, nel 1973, che prendeva spunto dalla corrente di pensiero dell'"antipsichiatria", già diffusa in Gran Bretagna dal 1968, dal sapore rivoluzionario rispetto a tutta la medicina psichiatrica degli anni precedenti. Applicò le sue idee durante la sua esperienza come direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia dove si dedicò alla trasformazione dei metodi di cura utilizzati fino a quel momento, eliminando l'elettroshock e promuovendo un nuovo tipo di approccio col malato: più vicino e attento allo scambio umano, al dialogo e sostegno morale, piuttosto che alla mera cura farmacologica e professionale. Dall'esperienza in quel manicomio scaturì l'idea per uno dei suoi più celebri libri:
"L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico" (1967).
E' considerato il fondatore della moderna concezione della salute mentale.
A lui si deve la Legge 180, detta "Legge Basaglia", che trasformò il vecchio ordinamento degli ospedali psichiatrici in Italia, promuovendo notevoli passi avanti nel trattamento del malato di mente, nella cura dei suoi disagi, e nel rispetto per la sua persona.
Morì a soli 56 anni, il 29 agosto del 1980, a causa di un tumore al cervello.





"Lo stato borghese tutela gli interessi della borghesia, gli altri - sani o malati che siano - sono "sempre" elementi di disturbo sociale, se non accettano le norme che sono fatte per la loro subordinazioneE' solo con la lotta che riescono a far valere i loro dirittiSmascherare nella pratica che la fabbrica è nociva alla salute, che l'ospedale produce malattia, che la scuola crea emarginati e analfabeti, che il manicomio produce pazzia, che le carceri producono delinquenti e che questa produzione «deteriore» è riservata alla classe subalterna, significa spezzare l'unità implicita nella delega data ai tecnici che hanno il compito di confermare, con le loro teorie scientifiche, che pazzi, malati, ritardati mentali, delinquenti sono ciò che sono "per natura", e che scienza e società non possono modificare processi connaturati nell'uomo."
Franco Basaglia, tratto da "Crimini di pace"


Il manicomio, il carcere, la scuola, le istituzioni che provvedono al controllo delle devianze, ecc, corrispondono al tipo di repressione adeguata al nostro livello di sviluppo socio-economico. Il resto – l'uso del nuovo linguaggio tecnico che non corrisponde alla realtà – è frutto di una importazione ideologica che, attraverso l'adeguamento formale alle nuove tecniche, prepara il terreno a quello che dovrebbe essere il nuovo tipo di controllo, necessario quando anche la nostra realtà economica sia modificata, secondo la logica del capitale. Per questo il nuovo linguaggio adottato ora dai tecnici – linguaggio altrove nato come risposta tecnica e economica insieme alla realtà socio-economica venuta maturando – si limita qui a coprire la vecchia, conservandone, sotto le nuove definizioni formali, la medesima natura, che solo un'azione pratica reale potrebbe rovesciare. Ma quanto più aumenta la distanza fra il linguaggio e la realtà, tanto più avrà bisogno di affidarsi alle parole e alla loro costitutiva ambiguità.
Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, LA MAGGIORANZA DEVIANTE – L'ideologia del controllo sociale totale, Einaudi 1971


Franco Basaglia - e con lui tutti coloro che hanno combattuto insieme la sua battaglia - ha il merito incontestabile di aver fatto cessare, o almeno di aver posto essenziali e decisive premesse per farlo cessare, uno scandalo umano e morale prima ancora che politico e sociale. La sua riforma, ma prima e più ancora tutto il suo lavoro clinico, pratico, teorico, saggistico, intellettuale, politico - ha posto fine, nei limiti del possibile, a tale iniquità; ha imposto a tutti di capire come il malato mentale non sia uno scarto dell'umanità, da segregare dalla società e dalla comunità umana, bensì una persona, che nella sua temporanea o cronica debolezza conserva - come ogni altra persona in ogni stadio e in ogni condizione, felice o infelice, armoniosa o degradata - piena dignità.
dalla prefazione di Claudio Magris a "Basaglia - una biografia" di Francesco Parmegiani e Michele Zanetti - 2007


"Il pensiero di Franco Basaglia continua ad essere vivo: non è solo il sistema a essere messo in causa, ma anche noi stessi. Noi possiamo cambiare noi stessi per modificare al meglio la realtà. C’è un diritto fondamentale che è alla base di tutti gli altri diritti, quello di occuparsi degli altri senza alcuna finalità finanziaria o di potere. È necessaria un’accoglienza migliore di 24 ore su 24 dei CSM, una relazione d’oggetto (in quanto sono gli oggetti che orientano la nostra conoscenza), creare un ambiente affettivo e stimolante. Noi attingiamo al pensiero di Freud che definì la salute mentale come qualcosa da amare e lavorare e di Sant’Anselmo, fondatore di un sistema del governo del territorio con la sottrazione al mercato di terreni e delle regole da rispettare (basate quasi tutte sull’onore e l’accoglienza di tutte le persone). Il budget di salute è proprio questo: una riconversione delle rette utilizzate oggi per la residenzialità verso invece investimenti produttivi di salute nella salute mentale e di sviluppo economico locale, vale a dire la valorizzazione di ciò che c’è senza aggravio di spesa pubblica".
Angelo Righetti




[...] Se certe persone venissero controllate di più! Lo sappiamo tutti che ci sono i periodi più difficili da superare, poi con questa miseria, certe persone non vedono una via d'uscita, ecco che scatta qualche cosa dentro e coinvolge il prossimo più vicino!!! Un'infermiera si accorge subito del cambiamento nella persona, anche se mente. Ma deve essere sempre lei a seguirlo; invece una volta ti viene una la volta dopo l'altra, secondo i turni !!!!!!!


Che cos'è se non esclusione e violenza quella che spinge i membri cosiddetti sani di una famiglia a convogliare sul più debole l'aggressività accumulata? Che cos'è se non violenza la forza che spinge una società ad escludere gli elementi che non stanno al suo gioco? Che cos'è se non esclusione e violenza la base su cui poggiano le istituzioni le cui regole sono stabilite allo scopo di distruggere ciò che resta di personale nel singolo, a salvaguardia del buon andamento dell'organizzazione generale?
Franco Basaglia, tratto da "Crisi istituzionale o crisi psichiatrica?"


La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.
Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla.
Il manicomio ha qui la sua ragion d' essere.
Franco Basaglia


IO HO DETTO CHE NON SO CHE COSA SIA LA FOLLIA. Può essere tutto o niente.
È UNA CONDIZIONE UMANA. IN NOI LA FOLLIA ESISTE ED È PRESENTE COME LO È LA RAGIONE. Il problema è che LA SOCIETÀ, PER DIRSI CIVILE, DOVREBBE ACCETTARE TANTO LA RAGIONE QUANTO LA FOLLIA. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. IL MANICOMIO HA LA SUA RAGIONE DI ESSERE, PERCHÉ FA DIVENTARE RAZIONALE L'IRRAZIONALE. QUANDO QUALCUNO È FOLLE ED ENTRA IN UN MANICOMIO, SMETTE DI ESSERE FOLLE PER TRASFORMARSI IN MALATO. Diventa razionale in quanto malato. IL PROBLEMA È COME SCIOGLIERE QUESTO NODO, SUPERARE LA FOLLIA ISTITUZIONALE e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita.
Franco Basaglia - da "Conferenze Brasiliane", 1979

Quando sono entrato per la prima volta in un carcere ero studente di medicina.
Lottavo contro il fascismo e sono stato incarcerato. Mi ricordo della situazione allucinante che mi sono trovato a vivere. Era l'ora in cui venivano portati fuori i buglioli dalle varie celle. C'era un odore terribile, un odore di morte. Tredici anni dopo la laurea sono diventato direttore di un manicomio e quando vi sono entrato per la prima volta ho avuto quella stessa sensazione. Non c'era un odore di merda, ma c'era come un odore simbolico di merda. Ho avuto la certezza che quella era un'istituzione completamente assurda, che serviva solo allo psichiatra che ci lavorava per avere lo stipendio a fine mese. A questa logica assurda e infame del manicomio noi abbiamo detto no.
Franco Basaglia

"Non è che noi prescindiamo dalla malattia ma riteniamo che per avere un rapporto con un individuo sia necessario impostarlo indipendentemente da quella che può essere l’etichetta che lo definisce. Io ho rapporto con un uomo non per il nome che porta ma per quello che è. Quindi nel momento in cui dico quest’individuo è schizofrenico (con tutto ciò che per ragioni culturali è implicito in questo termine) io mi rapporto con lui in modo particolare sapendo appunto che la schizofrenia è una malattia per la quale non c’è niente da fare(...). Per questo è necessario avvicinarsi a lui mettendo tra parentesi la malattia mentale"
Franco Basaglia, L'istituzione negata





Perché è solo in questo modo ch’è possibile cogliere nel rapporto col malato la reale problematicità della sua storia piuttosto che isolare e ricondurre i suoi sintomi ad "un ipotetico punto causale dato una volta per tutte" (Schizofrenia problemi sociali e Psichiatria Democratica.Equipe di Arezzo,1975). Grande, incompreso e tradito Basaglia!!!



Una favola orientale racconta di un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. 
Il serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là impose all'uomo la sua volontà, così da privarlo della libertà. L'uomo era alla mercé del serpente: non apparteneva più a se stesso. Finché un mattino l'uomo sentì che il serpente se n'era andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non saper cosa fare della sua libertà: "nel lungo periodo del dominio assoluto del serpente egli si era talmente abituato a sottomettere la sua propria volontà alla volontà di questo, i suoi propri desideri ai desideri di questo, i suoi propri impulsi agli impulsi di questo che aveva perso la capacità di desiderare, di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. In luogo della libertà aveva trovato il vuoto, perché la sua nuova essenza acquistata nella cattività se ne era andata insieme col serpente, e a lui non restava che riconquistare a poco a poco il precedente contenuto umano della sua vita". L'analogia di questa favola con la condizione istituzionale del malato mentale è addirittura sorprendente, dato che sembra la parabola fantastica dell'incorporazione da parte del malato di un nemico che lo distrugge, con gli stessi atti di prevaricazione e di forza con cui l'uomo della favola è stato dominato e distrutto dal serpente.
Franco Basaglia
Franca Ongaro



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