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venerdì 2 novembre 2018

Gimli, Nuova Islanda. gli Huldufolk (il Popolo Nascosto o Alfar—che significa "elfi") vivono in una dimensione parallela alla nostra. Sono tutti molto ben vestiti, sono comandati da una regina, amano il colore blu e vivono nelle rocce. Non all'interno di un ammasso roccioso, non sotto le rocce, ma nelle rocce

‘Islanda, lavoro e affitto in nero. Tra vichinghi, vita cara e squali all’ammoniaca’.
Riccardo, 35 anni, e Tamara, 39, di Macerata, fanno gli agricoltori in un villaggio a cento chilometri da Reykjavík. Isola delle buone abitudini? Secondo la loro esperienza, non proprio. 
"Oltre a consentire gli ogm, smaltiscono i pesticidi direttamente nelle fogne".

“Gli islandesi? In inverno li vedi in giro in maglietta e infradito. Si soffiano il naso senza fazzoletto, fuori dal finestrino dell’auto, ruttano e si mettono le dita nel naso in pubblico. Credono di essere dei vichinghi. Poi in estate con un po’ di sole si bruciano la pelle. Tutto l’anno bevono come spugne e in preda all’alcol diventano aggressivi. Birra e whisky li fanno in casa. Sono curiosi, a volte disponibili, per di più orgogliosi. Per gli scandinavi sono dei malavitosi”. 
Riccardo Mazzei, 35 anni, e Tamara Ricotta, 39, descrivono la loro personale visione dell’Islanda. Sono di Macerata e da aprile si sono trasferiti nell’isola. 
“Gli islandesi – dicono, descrivendo quanto hanno visto finora –  si vestono a cipolla. 
Doppio o triplo strato di pantaloni perché il vento dà fastidio. Ci possono essere oltre trenta gradi di escursione termica: dai 25 gradi sulla costa ai meno 12 a soli venti chilometri di distanza”. 
E il paesaggio, spesso considerato ricco di meraviglie naturali, per loro è fatto di “ghiaccio, neve, muschio, lichene e niente di più. Le stagioni di mezzo non ci sono. E l’estate dura un paio di settimane”. 

Cosa ci fanno Riccardo e Tamara tra gli islandesi? 
L’approdo è per caso. La fuga dall’Italia risale al novembre 2012. 
Prima destinazione: Danimarca. “Con la crisi avevamo perso tutto: lavoro, casa, macchina”. 
Si sono indebitati e il lavoro stagionale era la formula migliore per fare soldi in poco tempo. “Abbiamo lavorato in una fattoria con le mucche come volontari con vitto e alloggio spesato: almeno ci siamo garantiti un tetto per l’inverno. Scaduto il contratto, abbiamo risposto all’annuncio della serra in Islanda. Ci piace l’agricoltura, magari con vitto e alloggio incluso”. Per questo in Italia mandano il curriculum solo in Valle d’Aosta e in Trentino Alto Adige dove è più facile trovare soluzioni del genere. Ma, per ora, ancora niente da fare.

Oggi la coppia per sbarcare il lunario coltiva insalata, pomodori, cavoli, erbe e spezie. 
“Sono tutti geneticamente modificati, perché qui gli sono legali”, dicono. I due parlano poi della loro occupazione: “Il lavoro in serra è uno dei più disprezzati dalla gente del posto: troppe ore, salario basso, capi sbruffoni. Per questo lo rifilano agli stranieri”. Loro guadagnano circa 1200 euro a testa al mese. E dicono di essere benvisti dai locali perché hanno accettato di fare quel lavoro senza fare storie. Spiegano che se osano “baciarsi lungo la strada o al pub” vengono “fulminati con gli occhi o ripresi”. Nella loro esperienza, inoltre, la conoscenza della lingua risulta essere fondamentale per instaurare un rapporto con la popolazione locale (“finché non parli nella loro lingua non ti danno quello che gli chiedi, e neppure ti guardano”) e hanno riscontrato che gli islandesi “di solito evitano il contatto fisico, anche tra di loro, sono introversi e non vanno a trovarsi. Oppure, quando lo fanno, devono portarsi cibo e bibite da casa”.

Lei e il suo ragazzo condividono un appartamento con due polacchi, ventenni, nel villaggio di Laugaras, a 30 chilometri da Selfoss e cento da Reykjavík, la capitale. Per Tamara, però, è “alienante” vivere su un’isola di 103mila chilometri quadrati con poco più di 320 mila anime, soltanto cinque città e parecchi villaggi sperduti. I due, poi, non hanno l’auto. Gliela presta il datore di lavoro una volta alla settimana per andare al supermercato più vicino, a circa mezz’ora di distanza. Il costo della vita per la coppia è altissimo. “Per un pacchetto di sigarette spendi 8 euro e una bottiglia di vino costa almeno 10 euro”. Per il resto, in media, spendono il doppio o il triplo rispetto all’Italia. “Eccetto i biscotti – precisano -, che abbiamo trovato anche a un euro. Anche il pesce è caro, perché la maggior parte viene esportato e qui ne rimane pochissimo”. I due, inoltre, hanno constatato che “beveroni vitaminici e integratori sono molto diffusi”.

Nonostante abbiano lasciato l’Italia, per Tamara e Riccardo la vita in Islanda non è semplice. 
“Siamo in affitto senza contratto, paghiamo 280 euro al mese. In nove mesi ci hanno dato solo due buste paga, il resto sottobanco. Gli straordinari invece sono pagati a forfait”. E le tasse? “Un giorno – racconta Riccardo – ho chiesto al boss che fine avesse fatto la mia taxcard, la tessera su cui lui dovrebbe caricare il pagamento delle tasse. La reazione? Mi ha preso per le braccia e mi ha rispedito a lavorare”. Tra le mura di casa, proseguono, “gli islandesi coltivano l’erba da fumare” e “fanno tanti figli, minimo tre, massimo sette”. Poi, il capitolo cibo: “Mangiano pesce lesso, patate lesse, carne di cavallo, salumi locali, zuppe, testa di agnello bollita (esposte nei congelatori dei supermarket: metà o intera) o squalo lasciato marcire all’aria aperta. Si chiama hákarl e sa di ammoniaca, visto che qui lo squalo contiene un’alta percentuale di urea e sostanze tossiche”.


Per la coppia gli islandesi hanno molte abitudini che li avvicinano alla cultura statunitense. 
“Jeep e pick-up con le ruote alte un metro e 20, cibo pronto, tanti hot dog e la tv con attacco al satellite americano (loro hanno solo un canale nazionale)”. Dulcis in fundo, per i due ragazzi l’isola non è sinonimo di natura incontaminata e buone pratiche. “Oltre a consentire i cibi transgenici, smaltiscono i pesticidi direttamente nelle fogne – dice Tamara -. La nostra serra è fatiscente, come molte altre: vetri rotti e ovunque gatti, topi, uccelli che fanno i loro bisogni”. 
La storia però che non serve il gas per cucinare o riscaldare la casa perché ci sono le falde acquifere bollenti (oltre a quelle fredde) è verissima: “Girando il rubinetto al massimo del calore, l’acqua è di cento gradi. Se non stai attento, ti ustioni”


Nota della Redazione web:
Non era intenzione de ilfattoquotidiano.it e della giornalista autrice del pezzo offendere gli islandesi. Il nostro proposito era solo quella di raccontare un’esperienza – probabilmente negativa – di due italiani all’estero. Ringraziamo chi ci ha inviato precisazioni. Abbiamo provveduto a modificare nell’articolo alcune espressioni non virgolettate e da alcuni ritenute offensive.

di Chiara Daina 

Gabbo 
in pratica fanno al vita (in proporzione) degli immigrati da noi, tipo quelli che raccolgono i pomodori nelle piantagioni al sud o nei campi della pianura Padana...


Marco Gattafoni 
Viaggio molto. Non ho più incontrato un popolo più detestabile di quello islandese. 
Il concetto di buone maniere inesistente, la superficialità del bene voluttuario e il potere del denaro la loro religione. Da nessuna altra parte troverete tanta gente tesa ad autoincensarsi e ad esaltare le loro doti di forza, bellezza e ricchezza. Fondamentalmente sono tutti così. O almeno lo erano prima della crisi. A proposito, simpatica quella cosa di non pagare i propri debiti. Tipico loro. 
Sì, sembrano mafiosi del nord e le loro case sono sporche. Non invitano gente perché non vogliono far vedere in quale stato si sono ridotti a forza di comprare cianfrusaglie. Sono stato ospite di tre famiglie e la regola era sempre "invita chi vuoi basta che non sia islandese".
La loro nazione di riferimento, quella che ne influenza maggiormente la cultura, sono gli Stati Uniti, dai quali raccattano solo il peggio. Le mode, i vezzi, il cibo spazzatura, l'iperconsumismo, il disprezzo per i lacci verso chi intraprende senza però altrettanta attenzione per lo stato di diritto e la giustizia.
Qui mi fermo. Non voglio offendere tutti gli islandesi. 

Valentina 
vivo in islanda da poco piu` di un anno, non parlo islandese, e non ho mai avuto difficoltà con la lingua: tutti parlano inglese e anzi in alcune occasioni negli uffici si sono presi il disturbo di tradurmi tutti i documenti di cui avevo bisogno in inglese. I corsi di islandese sono gratuiti, finanziati dal ministero dell'istruzione. Sono una popolazione curiosa, diretti, un po' fatalisti e orgogliosi. Si` e` vero bevono, ma le scene scritte sopra sono ridicole, mai visto una rissa in un anno che sono qui (e forse i due non hanno mai avuto la sfortuna di arrivare di notte alla stazione termini, altro che far-west). La gente e` sempre disponibile ad aiutare, basta chiedere, funziona molto sul contatto personale, essendo una societa` molto piccola. Tra l'altro sono vissuta 8 anni in Svezia prima di trasferirmi qui, e che gli scandinavi vedano gli islandesi come malavitosi e` falso, sicuramente sono molto diversi culturalmente, ma ``malavitosi'' non c'entra proprio nulla. 

Hirni 
Ero in Islanda per lavoro una quindicina di anni fa. Devo dire che avevo visto una Islanda completamente diversa da quella descritta nell'articolo.
Reykjavík, è una città pulitissima, addirittura pescano il salmone dal fiume che attraversa la città (unica capitale al mondo dove sia possibile una cosa del genere)
Gran parte della popolazione va in piscina alla mattina prima di andare al lavoro.
La gente non si incontra? io invece sono stato invitato da diverse famiglie, avevano cucinato per me, all'entrata ci si toglie le scarpe e si mettono le pantofole. Non ho idea dove questi due siano andati a finire ma sicuramente non rispecchia la vera Islanda

Bruno Kessler 
2 volte in Islanda, nel 2008 e nel 2011 per 3 settimane ciascuna.
Ho incontrato solo:
persone che parlano inglese senza problemi;
simpatici con i turisti stranieri;
molta pulizia anche nelle case private che ho visto;
educati nel chiedere e nel rispondere;
interessati al resto del mondo;
fanno la differenziata;
sicuramente grandi bevitori e diretti nelle cose;
l'isola nel complesso non mi è affatto parsa sporca e tanto meno ostile 
Mi pare che questi 2 forse era meglio rimanessero a casa loro 
(meno male che il Trentino non li ha presi)





Riccardo Dettori
Lo squalo sa di ammoniaca ovunque, visto che (detto volgarmente) PISCIA attraverso la pelle e dunque la sua carne è permeata di urea

luca
l'Hakarl contiene ammoniaca prodotta dall'urea di cui si impregna la carne dello squalo dopo la sua morte attraverso una particolare reazione chimica. Strano ma vero. Quando sono andato in Islanda non ho osato assaggiarlo, ci vogliono stomaci troppo forti e il mio non lo e'

Adriano
Sullo hákarl avete scritto cose false. Non è "squalo" generico ma squalo groenlandese (Somniosus microcephalus). Viene fatto fermentare per eliminare urea e ossido trimetilamminico presenti in quantità tosscihe per l'uomo.
Molti Islandesi non lo hanno mai mangiato ne lo mangeranno mai.
Ah e no è che "li" (in Islanda) lo squalo contiene un’alta percentuale di urea e sostanze tossiche.. gli squali (TUTTI !) non hanno reni !

ghino di punta
L'hákarl oltre a non mangiarlo tutti gli islandesi, prima di essere essiccato viene preparato facendo fermentare alcune specie di squalo sotto la sabbia. Un'altra cosa che viene consumata è la bistecca di balena. L'acqua a cento gradi… esagerazione.

shintakezou
Il "top" quando si parla dell'hákarl («squalo lasciato marcire all’aria aperta. Si chiama hákarl e sa di ammoniaca, visto che qui lo squalo contiene un’alta percentuale di urea e sostanze tossiche»), piatto "antico" che pochissimi islandesi ancora mangiano: alle nuove generazioni fa schifo, e hanno pure ragione... L'ammoniaca e altre sostenze tossiche sono dovute al processo di putrefazione (cioè una frollatura un po' eccessiva, necessaria per rendere addentabile la dura carne di squalo), e non è che sono caratteristica degli squali di "lì"…



https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/31/in-islanda-lavoro-e-affitto-in-nero-tra-vichinghi-vita-cara-e-squali-allammoniaca/930995/


Islanda: la nostalgia delle foreste abbattute dai vichinghi.
Per un istante, proviamo a chiudere gli occhi e a condurre la nostra fantasia nella Scandinavia del IX secolo d.C. In molti sapranno delle potenti e feroci tribù vichinghe e del modo in cui per secoli queste hanno saccheggiato e conquistato le più svariate terre, fino a rendere il proprio destino e le proprie gesta centrali nella storia medievale europea.

Eppure, non tutti sanno che, per lungo tempo, le tribù vichinghe hanno vissuto un profondo periodo di crisi. La ragione? Le terre nordiche (all’epoca ben più fredde di adesso) erano scarsamente coltivabili, il che causava una importante carenza di cibo e la conseguente paura di una carestia nei popoli vichinghi e nei loro guerrieri.

A questo si aggiungevano le frequenti guerre civili generate dall’avidità e dalla scarsa lungimiranza dell’allora Re di Norvegia, Harald il chiaro. In altre parole, ben presto i popoli vichinghi maturarono l’idea di abbandonare la Scandinavia per terre più pacifiche e fertili. Certo, per loro sarebbe stato semplice tentare di colonizzare l’Irlanda o l’Inghilterra (cosa che, peraltro, sarebbe accaduta neppure due secoli dopo), ma quelle terre erano difese da potenti ed organizzati eserciti, contro i quali sarebbe stato necessario dar vita a una lunga e sanguinosa guerra. Fu per questa ragione che i vichinghi ebbero l’intuizione di recarsi su un’altra isola, più lontana e più piccola, ma pressoché disabitata. Un’isola esplorata per la prima volta soltanto 50 anni prima da alcuni monaci irlandesi, e che da allora era divenuta il luogo ideale per mistici ed eremiti. Un’isola dove le giornate erano incredibilmente lunghe nel mese di giugno ed incredibilmente brevi a dicembre, al punto che Dicuil, uno dei monaci che vi si era recato, aveva scritto: “In quel luogo l’oscurità regna d’inverno, mentre d’estate la luce è così intensa da permettere di afferrare le pulci sui vestiti. Un’isola, in ultimo, intorno alla quale aleggiava un enorme alone di mistero.


Nell’874, come previsto, i vichinghi approdarono in Islanda e, nel giro di pochi mesi, la colonizzarono. Secondo il Landnàma, uno dei più antichi manoscritti della storia nordica, in origine furono solo 435 gli uomini che invasero l’isola, stabilendosi principalmente nella zona settentrionale e sud-occidentale, dove vi era la maggior diffusione di coste. Col tempo, tuttavia, la presenza vichinga crebbe sempre di più: divenne necessario intensificare l’allevamento di pecore e di altri animali per ricavare il cibo ed il vestiario di cui il popolo aveva bisogno. Ben presto, inoltre, emerse un problema: in Islanda c’erano troppe foreste. Proprio così: se oggi siamo abituati a considerare quel territorio brullo e quasi integralmente privo di alberi, occorre ricordare che all’epoca ben il 40% del terreno islandese era ricoperto da boschi.

Ma non è tutto, perché per un popolo di navigatori come i vichinghi, in un’epoca in cui le imbarcazioni erano quasi integralmente costruite in legno, gli alberi rappresentavano una ghiotta fonte da cui ricavare questo prezioso tessuto vegetale. Ben presto, infatti, i vichinghi si resero conto che sarebbe stato sufficiente abbattere gli alberi per ottenere in poco tempo sia il legno di cui avevano bisogno che lo spazio necessario per far nascere i propri allevamenti. Un’occasione alla quale non seppero resistere…

Con gli anni, i vichinghi migrarono presso lidi più fertili, affrontarono grandi battaglie e ottennero gloriose vittorie, fino a quando l’ineluttabile peso della storia gravò anche sul loro popolo decretandone, di fatto, la fine. L’Islanda, viceversa, dopo i vichinghi conobbe la dominazione del Re di Norvegia prima e di quello di Danimarca poi; la piccola isola trascorse secoli bui e difficili prima di riuscire a ottenere la tanto agognata indipendenza nel 1944.

Nel susseguirsi degli eventi e delle epoche, di quella che era la vegetazione originaria non rimase neppure l’ombra. I vichinghi avevano distrutto tutto e nessuno, in seguito, fu in grado di rimediare ai loro danni. All’inizio degli anni ‘50, solamente l’1% del territorio era ricoperto da alberi; una cifra che, da allora ai giorni nostri, è cresciuta solamente di un ulteriore, insoddisfacente, punto percentuale.

Eppure, il governo islandese non sembra disposto ad abbattersi. Proprio negli ultimi giorni è stato annunciato un ambizioso progetto, il cui scopo è quello di riportare il patrimonio forestale ai livelli precedenti all’arrivo dei vichinghi: si desidera in altre parole, far tornare ad essere l’Islanda ciò che era dodici secoli or sono. I vantaggi di questa iniziativa? Molti, anzi moltissimi. Tralasciando l’effimera questione estetica e l’attrazione che un panorama naturale così suggestivo potrebbe generare in decine di migliaia di turisti, un’Islanda piena di boschi assorbirebbe gran parte dell’anidride carbonica, eviterebbe l’erosione territoriale e, infine, garantirebbe una maggiore prosperità alla fauna locale.

Naturalmente, il progetto è stato accolto con profondo entusiasmo dal popolo islandese e, più in generale, con grande ammirazione da parte del mondo ambientalista. Immediatamente, in molti hanno parlato del modello e della lungimiranza con cui il governo di Reykjavík sta proponendo una politica verde, innovativa e, per certi, versi perfino rivoluzionaria. Tutto ciò non è bastato a escludere le numerose complicazioni che, inevitabilmente, sono sorte intorno al programma. Oltre alla complessità di quest’ultimo, infatti, è necessario far notare che la betula pubescens, un albero autoctono fortemente diffuso in Islanda nel Medioevo, ad oggi non attecchisce più al terreno a causa delle differenze climatiche attestate rispetto al passato. Molto probabilmente, la sua presenza verrà sostituita da piante e da alberi differenti, come pini, larici e abeti rossi, i quali dovrebbero avere maggiori probabilità di crescere rigogliosamente in un habitat simile. La forestale islandese si è già messa al lavoro per importare direttamente dall’Alaska una serie di sementi selezionate con la massima cura e con la più rigorosa attenzione.

L’obiettivo è quello di far sì che entro il 2020 il 12% del territorio islandese sia ricoperto da boschi e foreste. Come detto, la strada sarà indubbiamente in salita. Ma, in fondo, cosa sarebbe il mondo se non avessimo il coraggio di sognare? Cosa sarebbe il mondo se non avessimo la forza di inseguire i modelli ambientali e culturali che in qualche modo la storia sembra imporci? Per quanto una sfida possa essere difficile, vale sempre la pena provare ad affrontarla… forse è proprio questo il messaggio che in questi giorni l’Islanda sta cercando di trasmettere al mondo intero.

Gianmatteo Ercolino

http://www.internationalwebpost.org/contents/Islanda:_la_nostalgia_delle_foreste_abbattute_dai_vichinghi_8959.html#.W9yyIZNKjIW



Cosa succede a Gimli, Nuova Islanda
Gli islandesi stanno invadendo la provincia di Manitoba. 
Quell'isola un tempo affascinante, ora ufficialmente sommersa dai debiti, sta perdendo i suoi abitanti a vista d'occhio: sono 100 anni ormai che si trasferiscono poco alla volta in Canada, e ora Manitoba ospita circa 88000 "goolies" (un termine offensivo per indicare i canadesi islandesi, probabilmente coniato dai loro rivali d'immigrazione, gli ucraini), il che è una cosa da pazzi perché sono praticamente un terzo dell'intera popolazione islandese.

Gimli è una cittadina a nord di Winnipeg ed è più che altro nota per essere un luogo di mare, un bel posto in cui fare una gita di un giorno e dove visitare i migliori resti archeologici manitobiani. Circondata dai contadini conservatori di Manitoba, Gimli spunta fuori come un pollice bianco nella mano di un nero. È un territorio vichingo e i suoi abitanti sono ben orgogliosi di questa reputazione. Ma per conoscere meglio questa stramba sottocultura della pianura canadese, una cultura di cui sono un fiero rappresentate, bisogna sapere qualcosa in più della madre patria: l'Islanda.

Gimli è diventata Nyia Iceland (Nuova Islanda) nel 1875 quando gli islandesi, menandosela per il loro livello di alfabetizzazione, si sono messi veramente a discutere se era il caso di mollare tutti i figli per i libri nel momento in cui avrebbero dovuto far fagotto e andarsene dalla loro isola in bancarotta.

L'Islanda è famosa per la sua cucina di carni dure e torte di San Valentino a strati, per le sue tendenze secchione, la mitologia scandinava e le saghe islandesi. Nonostante ci sia una Chiesa Luterana Nazionale d'Islanda, la maggior parte degli islandesi si considera membro di Ásatrúarfélagið (l'associazione di Asatru), che in sostanza significa, con le parole del regista locale Guy Maddin, "una massa di pagani che singhiozza senza sosta".
Le tradizioni e i credi pagani sono onnipresenti nella cultura islandese

Le leggende dell'oltretomba sono state tramandate di generazione in generazione, soprattutto grazie a donne come Elva Simundsson. Perfetta islandese e cittadina di Gimli, dopo avermi riscaldato con una tazza di caffè mi ha raccontato, senza un accenno di umorismo, le storie della popolazione degli Huldufolk nell'area della Nuova Islanda.

Cose che ho saputo da Elva: 
gli Huldufolk (il Popolo Nascosto o Alfar—che significa "elfi") vivono in una dimensione parallela alla nostra. Sono tutti molto ben vestiti, sono comandati da una regina, amano il colore blu e vivono nelle rocce. Non all'interno di un ammasso roccioso, non sotto le rocce, ma nelle rocce. Quando le ho chiesto se li aveva mai visti di persona, mi ha risposto, "No, ma questo non significa che non esistano—questo non è l'unico mondo esistente anche se noi siamo così arroganti da credere il contrario.

Gli Huldufolk non costituiscono solo una forte componente della cultura islandese, influenzano anche fortemente le scelte nel campo delle infrastrutture islandesi. Non sarebbe carino gettare fiumi di cemento su un villaggio di gente invisibile, no?

Indagando ulteriormente sulla faccenda del Popolo Nascosto, mi è stato detto di andare alla "scuola normale" di Gimli per saperne di più. Ora ospita gli uffici del comune, ma un tempo era una scuola elementare e anche casa di alcuni Huldufolk che emigrarono con i primi coloni. Celebrità locali come Snorri e Sneibjorn volevano abitare su quel terreno e tentarono di demolire l'edificio, quindi tolsero un primo mattone dal centro della struttura (sperando che crollasse tutto). Ma non andò così, e Snorri e Sneibjorn pensarono che gli elfi stavano tenendo in piedi la scuola. Ora, gente invisibile che vive sotto gli edifici tenendo in ostaggio dei bambini, è tendenzialmente uno scenario da incubo, ma non a Gimli! Invece di rimettere a posto il mattone o piantarla di credere negli elfi, hanno lasciato il buco del mattone mancante, considerandolo come un promemoria perenne dell'esistenza degli Huldufolk, anche se non si vedono.

Questa è Bryna Thoren, una carinissima cittadina islandese di Gimli. 
Con una faccia serissima (starsene per i fatti propri è un tratto comune degli islandesi), stava portando il pesce locale, l'hardfiskur (si pronuncia harthfiskur) alla sua Amma (nonna). Hardfiskur è un pesce bianco essiccato che si può apprezzare al meglio ricoperto di burro. Lo si trova come snack in ogni drogheria del paese, compresa la nuova e sfavillante (ed unica catena) Sobey's.

Sullo sfondo si vede il monumento del villaggio, la statua di un vichingo alta 15 metri, una delle mete favorite dei turisti. I ragazzini locali si riuniscono qui a bere il Brennevin, un economico liquore islandese che sa di benzina e riunisce le masse ubriache di Manitoba.

Fare due passi al gelo nei pressi del lago melmoso non è l'unica soluzione di vita notturna che si può scegliere a Gimli. Di sabato sera la maggior parte della popolazione si ritrova al The Viking, l'unico locale simil-discoteca che c'è in città e che attira una grande varietà di clienti, da contadini a mamme single di mezza età.

L'ultimo sabato sera hanno suonato al The Viking queste quattro celebrità locali, The Paps ("Four talented Gimli High School girls in love with rock n roll like woah," dice il loro MySpace). La rudezza del loro nome—prima si chiamavano The Papsmears—non calza perfettamente il loro sound indie rock mainstream, ma sono l'unico gruppo di Gimli, quindi si beccano tutti i concerti che vogliono.

Loro sono Marianne Johansson e Evan Finney. Sono i proprietari e gestori del Gimli Hotel, altrimenti conosciuti "the Oldie." Camminare tra gli abitanti di Gimli, tutti biondi e con gli occhi azzurri, può sembrare come farsi un giro sul trenino degli orrori ed è facile vedere questi due come le pecore nere del paese. La loro stanza degli alcolici era una meta obbligata, all'interno dell'albergo, per aperitivi e porno-hardocore. Si sono sbarazzati del porno ma servono ancora un ottimo borscht. "Siamo il posto più antico della città e siamo qui da più tempo di tutti!" dice Finney. Gli interni non sono mai cambiati, e i tavoli sono tuttora ricoperti con la moquette.

Gimli ospita ogni anno lo Islendingadagurinn, un festival tradizionale islandese e secondo festival etnico del Nord America. In quei giorni la città impazzisce. Il weekend è stracolmo di gare e manifestazioni varie; gli eventi più attesi comprendono i tornei di Frisnock, i villaggi vichinghi e una grande festa. È anche l'occasione in cui incoronano la Fjalkona, la Signorina della Montagna. La donna eletta deve essere molto attiva nella comunità ed essere capace di colmare il vuoto tra gli islandesi e gli abitanti della Manitoba di origine islandese. Indossa un complicato costume tradizionale, carico di simboli islandesi: la corona appuntita rappresenta il ghiaccio, il cappotto verde rappresenta i campi dell'Islanda, e il colletto di pelo bianco e nero rappresenta le montagne. Due ragazze l'accompagnano ad un trono su cui siede per assistere ad una cerimonia eseguita dal Consolato Islandese. Credere che delle persone vivano nelle rocce... è così medievale. Immagino che non ci siano tante opzioni per starci dentro quando vivi in una prateria desolata che nessun altro ha voluto.

https://www.vice.com/it/article/znjv9y/cosa-succede-a-gimli-nuova-islanda






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