Pagine

mercoledì 18 ottobre 2017

Congiura contro Federico II di Svevia. I principali congiurati erano sopravvissuti, tra cui Teobaldo di Francesco e Guglielmo di Sanseverino, i quali, stranamente, non avevano scelto il suicidio nonostante sapessero a quali atroci pene sarebbero stati sottoposti. E infatti ci furono mutilazioni, roghi, accecamenti, impiccagioni e annegamenti, con tanto di esibizioni pubbliche dei corpi martoriati.


Congiura contro Federico II di Svevia

Era il marzo del 1246 e Federico II del casato di Hohenstaufen si trovava nella Maremma grossetana, un territorio selvaggio che ben si addiceva alla sua grande passione per la caccia.
Si trovava lì da qualche mese: lo considerava un ottimo posto per trascorrere l'inverno.

Si sarebbe fermato ancora per qualche settimana, poi sarebbe tornato nel Regno di Sicilia. 
Ma il suo soggiorno in Toscana era destinato a finire prima del tempo.

Uno di quei giorni, infatti, arrivò nella sua residenza un emissario di suo genero Riccardo, conte di Caserta.

L'uomo portava con sé un documento in cui il conte scriveva che un gruppo di congiurati aveva ordito una trama ai danni di Federico e di suo figlio Enzo. Il piano prevedeva anche una sollevazione popolare in tutti i suoi possedimenti italiani.

Chi aveva informato Riccardo, probabilmente Giovanni da Presenzano, aveva però fatto sapere ai cospiratori che ormai erano stati scoperti. Nel suo dispaccio il conte di Caserta non mancava di riportare tutti i nomi dei congiurati.

Quando Federico II lesse l'elenco sgranò gli occhi per lo stupore. C'erano i suoi più cari amici, quelli che considerava dei fedelissimi, e poi c'erano personaggi di spicco che dovevano il loro potere esclusivamente a lui: Pandulfo Fasanella, Giacomo di Morra, Andrea Cicala, Ruggiero d'Amici, Teobaldo di Francesco, la famiglia Sanseverino al gran completo.

E anche Guglielmo da Caggiano, Riccardo di Montefusco, Giovanni Capece, Tommaso Saponara, Gisulfo de Mannia, Malgario Sorello e tanti altri. Ma soprattutto c'era Bernardo Orlando Rossi, suo segretario e cognato di papa Innocenzo IV. Bernardo veniva definito da Riccardo il vero promotore della cospirazione.

L'imperatore cercò di riprendersi dallo sconcerto. Doveva agire in fretta. Anche perché era sicuro che dietro quei nomi ci fosse qualcuno di molto più potente. Forse proprio Innocenzo IV, con cui era ormai ai ferri corti e che l'anno precedente lo aveva scomunicato con l'accusa di eresia.

D'altro canto, i rapporti tra Federico II e il papato non erano mai stati idilliaci nemmeno con i precedenti pontefici; forse per quel suo "strano" atteggiamento di tolleranza verso le altre professioni religiose, o forse perché la sua idea di Stato si fondava su una ben definita distinzione tra potere temporale e potere spirituale. O forse perché i territori imperiali rischiavano di schiacciare lo Stato della Chiesa.

In ogni caso, una volta saputo di essere stati scoperti, i congiurati avevano cominciato a scappare. Pandolfo di Fasanella e Giacomo di Morra avevano già preso la strada per Roma, avvalorando l'ipotesi di un coinvolgimento del pontefice. Gli altri si erano rifugiati nelle fortezze di Capaccio e Sala, nel salernitano. Federico II doveva ringraziare ancora una volta il genero Riccardo che aveva prontamente affrontato i ribelli costringendoli alla fuga.

Quando l'imperatore arrivò, i cospiratori che si erano chiusi nella roccaforte di Sala erano già stati stanati. Rimaneva la fortezza di Capaccio, dove si trovavano i principali capi della congiura. L'assedio iniziò ai primi di aprile, ma i ribelli dimostrarono subito di non avere alcuna intenzione di arrendersi. E poi speravano in un aiuto della popolazione e di Innocenzo IV.

Ma l'insurrezione popolare non era scoppiata nemmeno quando i congiurati avevano sparso la voce della morte di Federico II; figuriamoci ora. Per quanto concerne il papa, i cospiratori ricevettero solo una sua lettera di conforto che, oltretutto, fu intercettata dallo stesso Federico. Intanto l'assedio alla fortezza andava avanti, ma i rivoltosi non davano segni di cedimento.

Federico scelse allora l'astuzia. Decise di sabotare la cisterna che riforniva d'acqua il castello, svuotandola e lasciando gli insorti a morire di sete. L'afoso mese di luglio fece il resto. Quando i barricati, ormai stremati, si arresero, le truppe imperiali ne contarono circa centocinquanta. C'erano anche venti donne.

I principali congiurati erano sopravvissuti, tra cui Teobaldo di Francesco e Guglielmo di Sanseverino, i quali, stranamente, non avevano scelto il suicidio nonostante sapessero a quali atroci pene sarebbero stati sottoposti. E infatti ci furono mutilazioni, roghi, accecamenti, impiccagioni e annegamenti, con tanto di esibizioni pubbliche dei corpi martoriati.

Anche le famiglie dei condannati subirono delle severe punizioni, e furono molte le mogli che furono lasciate marcire in prigione. Non è facile stabilire con certezza l'esatto coinvolgimento della Santa Sede nella congiura. Alcuni storici sostengono che Innocenzo IV fu il vero promotore della trama attraverso il cognato Bernardo Orlando Rossi. Lo stesso Federico II, pur evitando di fare il nome del pontefice, si lasciò andare parecchie volte a trasparenti allusioni che puntavano il dito contro di lui.

Altri studiosi, invece, asseriscono che l'unica responsabilità attribuibile al papa è di non aver fatto nulla per evitare la rivolta, pur conoscendone la trama fin dai suoi esordi. Comunque sia, Federico II morì di morte naturale il 13 dicembre 1250. Mancavano tredici giorni al suo cinquantaseiesimo compleanno.

Nel suo testamento volle che venissero restituiti alla Chiesa tutti i beni che lui stesso aveva sottratto. Ma nonostante quest'ultimo gesto, quando papa Innocenzo IV venne a sapere della morte dell'imperatore dichiarò: "Si rallegrino il cielo e la terra!".

‎Alessandra Cortese‎ 



https://www.facebook.com/profile.php?id=100013599887289&hc_ref=ARQpgXHlOgEj67KJFcBNLpyxwKhWZeAiXgAkqtNEvtL_X7cn8cpIWgBP9mD6-c3Vqlg&fref=nf

Nessun commento:

Posta un commento