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mercoledì 27 settembre 2017

Eudosso. Durante il ritorno dal secondo viaggio in India, la flotta di Eudosso fu sospinta da un monsone a sud del golfo di Aden, tanto da inoltrarsi negli inesplorati mari lungo la costa dell'Africa. Raggiunta la costa somala a sud del Capo Guardafui, Eudosso trovò il relitto di una nave presso la riva e, attraccata la flotta, scese a terra in esplorazione. Il relitto presentava una scultura di prua in legno a forma di cavallo. Raggiunto l’Egitto, egli mostrò la scultura a degli armatori di navi mercantili, i quali gli riferirono che apparteneva alla prua di un’imbarcazione proveniente da Cadice. In questa città, continuarono nel loro racconto, le persone facoltose armavano delle grandi navi, mentre i poveri armavano piccole imbarcazioni chiamate hippoi, cioè cavalli, a motivo delle immagini scolpite sulla prua, con le quali si spingevano a pescare sulle coste mauritane fino all’altezza del fiume Lixus (la città di Lixus nel Marocco antico, ha preso il nome dall'omonimo fiume ed è stata considerata dalla mitografia greca e romana la sede di miti occidentali incentrati su Herakles - Hercules, quali il Giardino delle Esperidi, Anteo ed Atlante); l’hippos di cui Eudosso rinvenne la scultura si era perso andando a navigare oltre il Lixus, dunque in acque più meridionali, da dove non tornò più indietro. Eudosso, quindi, si convinse del fatto che era possibile navigare da Cadice fino all’Africa orientale e, sulla base di questo presupposto, programmò la sua prima spedizione atlantica.



Poco tempo fa abbiamo letto l'ipotesi di un archeologo sul fatto che il famoso Cavallo di Troia fosse in effetti un tipo di nave chiamata hippos.  [...]

Studiando i viaggi di Annone abbiamo visto che, in effetti, si trattava di navigazione lungo la costa, anche se la costa era quella dell'Africa.

Ma ci sono stati altri navigatori che non hanno avuto paura di affrontare le acque di un Oceano. 
Già il marsigliese Pitea, nei suoi viaggi a settentrione, aveva solcato acque oceaniche, anche se all'epoca aveva avuto poco credito da parte degli storici.

Ma con Eudosso ci troviamo di fronte alla certezza di un viaggio (e forse più) in mare aperto, anzi in pieno Oceano, l'Oceano Indiano.

E ci sono resoconti di storici che parlano di 80 navi romane ogni anno in partenza per l'India dall'Egitto, conquistato da Ottaviano.

E man mano che andiamo a verificare ci troviamo di fronte a navigatori fenici, greci, punici e romani che scorrazzavano senza timore non solo su un mare interno, diciamo così, come il Mediterraneo ma anche nelle acque ben più pericolose e sconosciute degli oceani.

Una delle critiche mosse al riguardo punta sul fatto che le navi per eccellenza, le navi da guerra, avevano bordi troppo bassi sul mare in caso di tempesta.

Ma chi si muoveva continuamente sui mari erano i mercanti; e le navi onerarie, proprio perché dovevano imbarcare merci, avevano bordi alti. Tutti questi viaggi sono stati affrontati su navi da carico e non su agili ma, al contempo, fragili navi da guerra.

Una delle testimonianze che abbiamo in materia di esplorazioni di matrice greca è quella relativa ai due viaggi nell'Oceano Indiano e, forse, altri due nell'Oceano Atlantico di Eudosso di Cizico.
Eudosso è stato un navigatore e geografo greco che esplorò il mare arabico per conto di Tolomeo VIII, re della dinastia tolemaica in Egitto, e di sua moglie Cleopatra.

La fonte è il geografo Strabone, il quale ha ritrovato la descrizione delle navigazioni oceaniche di Eudosso nell’opera di Posidonio.

Secondo Posidonio, il primo greco a esplorare l'Oceano Indiano fu proprio Eudosso di Cizico. Posidonio scrive che un naufrago, che affermava di essere indiano, fu salvato da alcuni marinai greci nel Mar Rosso e portato ad Alessandria, presso la corte di Tolomeo VIII. 
Il marinaio indiano propose al re, in cambio della libertà, di guidare i Greci alla volta dell'India.
Tolomeo allora designò come comandante Eudosso di Cizico, il quale compì due viaggi in India: nel primo (118 a.C.), fu guidato dal marinaio indiano; dopo il ritorno con a bordo carichi di preziose pietre, nel 116 a.C. intraprese un altro viaggio senza alcuna guida.
Strabone, che rappresenta la principale fonte sulla vita di Eudosso, è comunque scettico riguardo la veridicità di questi viaggi; le opinioni moderne a riguardo tendono comunque a considerarli possibili, dato che da questi anni in poi cominceranno i contatti con le popolazioni dell'India.
Verso la fine del secolo, Greci e Indiani erano soliti incontrarsi presso i porti arabici come quello di Aden (chiamato dai Greci Eudaemon).

Relativamente scarsi furono invece i tentativi di raggiungere direttamente l'India da parte dei Greci: la rotta era ritenuta ancora troppo lunga e pericolosa, e il viaggio costoso.
Al contrario gli Indiani sfruttavano i monsoni, venti che i Greci non conoscevano ancora.
Fu quando, secondo Posidonio, il naufrago indiano insegnò a Eudosso come sfruttare al meglio questi venti, che i Greci cominciarono ad apprendere il metodo per raggiungere l'India molto più velocemente. Per velocizzare i viaggi, infatti, si partiva ad ottobre, sfruttando il monsone di sud-ovest, e si tornava a novembre con il monsone di nord-ovest.

Ma ritorniamo a Eudosso. 
Durante il ritorno dal secondo viaggio in India, la flotta di Eudosso fu sospinta da un monsone a sud del golfo di Aden, tanto da inoltrarsi negli inesplorati mari lungo la costa dell'Africa.
Raggiunta la costa somala a sud del Capo Guardafui, Eudosso trovò il relitto di una nave presso la riva e, attraccata la flotta, scese a terra in esplorazione. 
Il relitto presentava una scultura di prua in legno a forma di cavallo.
Raggiunto l’Egitto, egli mostrò la scultura a degli armatori di navi mercantili, i quali gli riferirono che apparteneva alla prua di un’imbarcazione proveniente da Cadice.
In questa città, continuarono nel loro racconto, le persone facoltose armavano delle grandi navi, mentre i poveri armavano piccole imbarcazioni chiamate hippoi, cioè cavalli, a motivo delle immagini scolpite sulla prua, con le quali si spingevano a pescare sulle coste mauritane fino all’altezza del fiume Lixus (la città di Lixus nel Marocco antico, ha preso il nome dall'omonimo fiume ed è stata considerata dalla mitografia greca e romana la sede di miti occidentali incentrati su Herakles - Hercules, quali il Giardino delle Esperidi, Anteo ed Atlante); l’hippos di cui Eudosso rinvenne la scultura si era perso andando a navigare oltre il Lixus, dunque in acque più meridionali, da dove non tornò più indietro.

Eudosso, quindi, si convinse del fatto che era possibile navigare da Cadice fino all’Africa orientale e, sulla base di questo presupposto, programmò la sua prima spedizione atlantica.

La spedizione era composta da una nave e due grosse barche sulle quali riuscì a caricare non solo rifornimenti e provviste varie, ma anche medici, artigiani e musicisti.

Secondo Posidonio, Eudosso durante il suo viaggio incontrò una popolazione che sembrava parlasse la stessa lingua che aveva sentito: da qui concluse di aver compiuto l'obiettivo della sua spedizione; anche se resta comunque probabile il contrario, che cioè Eudosso non abbia nella realtà circumnavigato l'Africa.

Durante il ritorno dal viaggio in Africa, Eudosso vide un'isola boscosa e fertile (fatto che porta a non escludere che Eudosso abbia toccato l’arcipelago delle Canarie) e segnò con precisione la sua posizione.

I consiglieri del re Tolomeo IX (che era nel frattempo succeduto al padre), avendo paura che Eudosso potesse rivelare ai nemici le rotte da lui scoperte, organizzarono in segreto una nuova spedizione per abbandonare il geografo di Cizico su un'isola deserta. Eudosso però, venuto a conoscenza degli intenti del re, riparò in Iberia e da qui salpò alla volta della fertile isola che aveva notato durante il ritorno dal viaggio in Africa.

Le informazioni raccolte da Posidonio si fermano qui: 
"di ciò che accadde in seguito, ci sarà probabilmente qualche notizia a Cadice e in Iberia ".

Non si conosce nulla sulle sorti di quest'ultimo viaggio; è quindi possibile che Eudosso sia perito durante la fuga dall'Europa come è altrettanto possibile (e me lo auguro vivamente) che sia riuscito ad arrivare alla sua isola "felice" e abbia trascorso lì il resto della sua vita.

Ognuno di noi dovrebbe poter disporre di un'isola felice dove rifugiarsi quando la notte avanza.


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