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lunedì 10 agosto 2015

Andy Warhol. Una Coca Cola è sempre una Coca Cola e non c’è quantità di denaro che possa farti comprare una Coca Cola più buona di quella che l’ultimo dei poveracci si sta bevendo sul marciapiede sotto casa tua. Tutte le Coca Cola sono sempre uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Lo sa Liz Taylor, lo sa il Presidente degli Stati Uniti, lo sa il barbone e lo sai anche tu


«Una Coca Cola è sempre una Coca Cola e non c’è quantità di denaro che possa farti comprare una Coca Cola più buona di quella che l’ultimo dei poveracci si sta bevendo sul marciapiede sotto casa tua. Tutte le Coca Cola sono sempre uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Lo sa Liz Taylor, lo sa il Presidente degli Stati Uniti, lo sa il barbone e lo sai anche tu». 
Andy Warhol

Coca Cola di Andy Warhol
Coca Cola di Andy Warhol


Questa frase, estrapolata da un’intervista a Andy Warhol, contiene i principali punti della poetica della Pop Art, nata tra Inghilterra e Stati Uniti intorno agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. 
I prodotti di massa ripresi come soggetti pittorici del movimento rappresentano una sorta di democrazia sociale, in quanto conosciuti e consumati da ogni strato della società. Da questo deriva la grande diffusione e il grande successo della Pop art.

In primo luogo l’espressione «Pop Art» è l’abbreviazione di «Popular Art» dove l’appellativo «popolare» non indica, come si potrebbe pensare, un’arte del o per il popolo, ma un’arte prodotta in serie. Rappresentando la massa e togliendo con questo ogni valore all’individualità, l’arte diviene più anonima possibile e, così, compresa dal maggior numero possibile di persone. Sono perciò ripresi gli oggetti commerciali della società, le immagini prodotte dal cinema o dalla televisione, le pubblicità e i nuovi idoli diffusi quotidianamente dai mass media.

In un mondo in piena espansione economica e dominato dal consumo, il consumo stesso si fa arte, respingendo le rappresentazioni dell’interiorità e delle emozioni individuali, nonché il carattere esclusivo dell’opera d’arte tanto rivendicati nelle avanguardie dei primi decenni del secolo. In un epoca di piena espansione industriale, anche l’arte si fa prodotto in serie di tutti quegli stimoli visivi che bombardano ogni giorno e in ogni luogo l’uomo contemporaneo.

Ogni immagine diventa un’icona. Non vi sono intenti dissacratori o ironici nelle opere di questi artisti, essi documentano semplicemente i cambiamenti dei valori che ritroviamo nella nuova città consumistica. Così, la riproduzione in serie di un oggetto di uso quotidiano, come le bottigliette di vetro di Coca Cola o i barattoli di zuppa di Warhol, ci fa capire come il mondo sia diventato quasi artificiale: oggetti industriali, pubblicitari e, quindi, materiali assumono più importanza rispetto ai valori veri e più spirituali.

Tra i principali interpreti troviamo Claes Oldenburg, che riproduceva in grande scala beni di quotidiano consumo come il classico hamburger americano accompagnato da ketchup e patatine fritte.

Roy Lichtenstein invece si ispirava al mondo dei fumetti, che considerava l’ultimo residuo di comunicazione scritta. Ingrandiva a dismisura piccoli particolari, che risultavano così sfocati, e utilizzava colori accesi e fortemente disomogenei, riprendendo le stampe a bassa qualità riprodotte in serie e vendute sottocosto come beni di consumo e non come opere d’arte.

Il principale esponente tuttavia fu Warhol che introdusse perfino un business della sua arte commercializzata dall’azienda «Andy Warhol Enterprises» da lui fondata. La sua tecnica consisteva nel riprodurre moltissime volte la stessa immagine riuscendo in questo modo a svuotarla di ogni significato. Oltre agli oggetti quotidiani di consumo adottava come soggetti anche eventi o personaggi storici quali Marilyn Monroe o Che Guevara, ma riprese anche grandi opere del passato come L’ultima cena di Leonardo che modificò sovrapponendo una serie di fasci colorati. L’obiettivo era piuttosto palese: consumare l’arte come qualsiasi altro prodotto commerciale.

In realtà, però, dietro ad un’apparente superficialità, ad un’apparente allegria data dai numerosi colori, si nasconde un velato messaggio di angoscia. Nella nuova società consumistica, infatti, l’uomo non è altro che un possibile compratore, martellato costantemente da migliaia di pubblicità aventi come scopo la vendita e il conseguente guadagno. Tuttavia, a causa del generale clima di positività e di ottimismo propri della società dell’epoca, questi messaggi pessimistici di provocazione e di allerta, non vennero immediatamente percepiti.


https://blogletteralmente.wordpress.com/2015/06/29/popart/





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