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lunedì 23 marzo 2015

Mastro Titta, "er boja de Roma". Nella sua carriera dichiarò di aver ucciso 516 condannati, ma in realtà furono solo 514: uno venne impiccato e poi squartato dal suo assistente, l'altro venne fucilato. Quando non uccideva gente in giro per tutto lo Stato Pontificio, come ancora oggi fanno i decapitatori in Arabia Saudita spostandosi in base alla chiamata, aveva un'attività di venditore di ombrelli a Roma.

22 marzo 1796: prende servizio a soli 17 anni come boia pontificio Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, "er boja de Roma". Nella sua carriera dichiarò di aver ucciso 516 condannati, ma in realtà furono solo 514: uno venne impiccato e poi squartato dal suo assistente, l'altro venne fucilato.

Quando non uccideva gente in giro per tutto lo Stato Pontificio, come ancora oggi fanno i decapitatori in Arabia Saudita spostandosi in base alla chiamata, aveva un'attività di venditore di ombrelli a Roma. Pio IX, proclamato beato nel 2000 e famoso per l'efferatezza delle violenze che fece commettere sulla popolazione inerme di Perugia nel 1859, mandò in pensione Mastro Titta nel 1864… per sostituirlo con un altro boia.

Le esecuzioni capitali erano pubbliche e, talvolta, avevano lo scopo di ammonire ed educare la popolazione. Per esempio nel caso di una impiccagione con conseguente squartamento tramite cavalli, al posto di una semplice decapitazione. Non volendo sporcare con l'omicidio il lato buono di Roma, quello "papalino", di solito venivano eseguite sull'altra sponda del Tevere a Piazza del Popolo o a Campo de' Fiori.

Charles Dickens, di passaggio a Roma, assistette nel marzo del 1845 a una decapitazione pubblica di cui poi parlò nelle sue "Pictures from Italy", definendola "Uno spettacolo brutto, sudicio, trascurato, disgustoso; che altro non significava se non un macello, all’infuori del momentaneo interesse per l’unico disgraziato attore".
La pena di morte venne completamente rimossa dal Vaticano solo nel 2001, anche se in teoria era stata abrogata per tutti i reati a partire dal 1969.



"Inizia la storia di Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, in arte er boja de Roma. La fredda biografia ci riporta la nascita in quel di Senigallia nel 1779 e la morte a Roma nel 1869.
Tra l'inizio e la fine della propria vita si rese protagonista della morte di 514 persone: il 17 agosto 1864 il suo datore di lavoro, Pio IX, gli concesse la pensione con un vitalizio mensile di 30 scudi.Calcolando che in vita il suo stipendio si aggirava sui 15 scudi mensili, più alloggio e sussidio mensile di 5 scudi, e che la morte arrivò 5 anni dopo il pensionamento, possiamo affermare con tranquillità che le casse dello stato Pontificio non piansero per le sue prestazioni e il suo vitalizio.
Occorre ricordare che ad ogni esecuzione riceveva un pagamento simbolico determinato in un papetto: si trattava di una moneta d’argento usata nello Stato della Chiesa, del valore di 2 paoli o di 20 baiocchi.
Fu coniata dai regnanti papali nel periodo compreso tra Benedetto XIV e Pio IX. Il termine papetto si riferisce al fatto che sulla moneta vi era l’effigie del pontefice regnante. La sua carriera iniziò in tenera età il 22 marzo del 1796, a quell’epoca Bugatti aveva 17 anni.
La certezza del numero delle esecuzioni si può determinare con precisione, chirurgica direi, dal taccuino nel quale Mastro Titta registrava, con meticolosa precisione, le generalità delle vittime, il luogo e il genere dell’esecuzione. Non scordava di segnare il crimine commesso dal giustiziato per sua mano. La sua meticolosità contiene un piccolo errore: il Bugatti registrò 516, dimenticando che due persone, uno squartato dall’aiutante e l’altro fucilato, non perirono a causa delle sue prestazioni."


Attenti che Mastro Titta passa ponte!
Giovanni Battista Bugatti ( 1779-1869) che venne soprannominato dai romani Mastro Titta era noto anche come "il Boia di Roma" perché fu il più celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio: fu incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte il 22 marzo 1796 e fino al 1864 totalizzò 516 "servizi" tra suppliziati e giustiziati.
Le sue operazioni sono tutte diligentemente descritte nelle "Annotazioni", un elenco autografo che arriva fino al 17 agosto 1864, quando Papa Pio IX gli concesse la pensione con un vitalizio mensile di 30 scudi.
Mastro Titta viveva nel rione Borgo, al numero civico 2 di via del Campanile ed ufficialmente svolgeva il mestiere di venditore di ombrelli: era il mestiere-paravento di quello vero di “maestro di giustizie”, dal quale viene il soprannome di Mastro associato a Titta, diminutivo del suo nome; il soprannome, sfiorato dalla leggenda, diventò per antonomasia per i romani quello ufficiale del boia.
Aveva uno stipendio di 15 scudi al mese, l´alloggio gratuito e un sussidio mensile di 5 scudi, che venne poi convertito in una gratifica di 20 scudi a Natale, Pasqua e Ferragosto.
Naturalmente non era ben visto dai suoi concittadini, tanto che gli era vietato recarsi nel centro della città oltrepassando il fiume, per ragioni legate alla sua sicurezza personale (i romani crearono il detto "Boia nun passa Ponte", ossia "il boia non passa il ponte", cioè "ognuno se ne stia nel suo pezzo di mondo").
Ma poiché a Roma le esecuzioni capitali pubbliche, soprattutto quelle che dovevano essere un monito per il popolo, avvenivano nella parte centrale della città, cioè a Piazza del Popolo o a Campo de' Fiori o nella piazza del Velabro, tutte zone sull'altra sponda del Tevere, in eccezione al divieto il Bugatti doveva in ogni caso attraversare Ponte Sant'Angelo per andare a compiere i suoi servigi.
Questo fatto diede origine all'altro modo di dire romano "Mastro Titta passa ponte", per dire che era in programma per la giornata l'esecuzione di una sentenza di morte: prima di ogni esecuzione il boia si confessava e si comunicava, dopo indossava il suo tristemente famoso mantello rosso e si recava a compiere l'opera; a seconda della condanna mazzolava, impiccava, squartava o decapitava e spesso andava a svolgere la sua attività anche nelle province.
Nella Roma ottocentesca celebri viaggiatori come Lord Byron, Charles Dickens e Massimo D'Azeglio furono testimoni diretti delle esecuzioni effettuate da Mastro Titta e rimasero colpiti dalla crudezza delle scene di esecuzione capitale, alle quali però il popolino accorreva come ad uno spettacolo: spesso le finestre ed i balconi che s'affacciavano sul luogo dell'esecuzione venivano affittati a caro prezzo dai proprietari ai curiosi, e frequenti erano gli svenimenti tra le dame per l'orrore della scena.
Il mantello scarlatto che indossava durante le esecuzioni è tuttora conservato nel Museo Criminologico di Roma a Via del Gonfalone 29 (via Giulia), unitamente ad una forca e due ghigliottine utilizzate da Mastro Titta.

Nella foto, il mantello e gli attrezzi di Mastro Titta esposti al Museo Criminologico di Roma.


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