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lunedì 24 novembre 2014

Henri de Toulouse-Lautrec. Ho cercato di esprimere il vero, non l'ideale. Forse è un errore, perchè non so risparmiare i difetti, anzi mi diverto a scoprirli in divertenti caricature, a farli risaltare, a metterli in evidenza






Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901)
<<Affetto da una sorta di nanismo, colpito dalla sifilide, alcolizzato, cinico e mondano, Toulouse Lautrec ha concentrato nella sua breve esistenza tutti gli standard romantici dell’artista antiborghese e trasgressivo; di qui la nascita di uno stereotipo che si è spesso sovrapposto alla reale comprensione della sua vicenda biografica e pittorica. Stereotipo che, del resto, l’artista stesso ha contribuito a creare non solo prediligendo soggetti che si prestavano a suscitare scandalo, ma anche non mancando di assumere posizioni che alimentassero la leggenda. In realtà, la sua vita non fu sempre così movimentata e la sua opera fu certamente ben più complessa e articolata di quanto i riduttivi clichés tramandati hanno fatto supporre: le prostitute, le artiste del varietà, non sono, infatti, che uno degli aspetti di una ricerca che si mosse sempre su diversi piani paralleli e caratterizzata da continue sperimentazioni, sul fronte tecnico come su quello iconografico, non mancando, nel corso della sua carriera, riconoscimenti da parte del pubblico e della critica>>
 (ilsassonellostagno.wordpress.com)


<<Ho cercato di esprimere il vero, non l'ideale. Forse è un errore, perchè non so risparmiare i difetti, anzi mi diverto a scoprirli in divertenti caricature, a farli risaltare, a metterli in evidenza>>
Henri de Toulouse-Lautrec




Alessandro Terra De Lucia

Ho sentito dire che Degas fosse spietato con Lautrec e non mancava occasione di deriderlo anche davanti agli altri, insomma era un uomo "cattivo" per certi versi, mentre Lautrec e Van Gogh si volevano molto bene. 
Questo credo che sia più vero perchè quando un pittore ti dipinge mentre dipingi o mentre sei seduto a un tavolo di profilo, vuol dire che prova affetto per te. 
Van Gogh, Lautrec e Gauguin amici per affetto, per specie animale e per destino


"At the Circus Work in the Ring" 1899
Henri de Toulouse-Lautrec, Albi, 24 novembre 1864







venerdì 14 novembre 2014

La leadership situazionale e le fasi di evoluzione del Team... Esistono diversi studi sulla leadership (a partire dalle ricerche eseguite negli USA da R.Lippit, R.White, le teorie di Fiedler, fino ad arrivare agli studi condotti da Hersey e Blanchard che hanno portato allo sviluppo della leadership situazionale) che hanno evidenziato come i gruppi di lavoro tendano ad attraversare una serie di fasi caratteristiche lungo il percorso che va dalla prima costituzione del gruppo al raggiungimento degli obiettivi prefissati e che prescindono dai motivi per cui il gruppo è stato costituito. La conoscenza delle fasi e delle loro caratteristiche consente al leader di scegliere lo stile di leadership da adottare nello sviluppo del progetto.

La leadership situazionale e le fasi di evoluzione del Team...

Esistono diversi studi sulla leadership (a partire dalle ricerche eseguite negli USA da R.Lippit, R.White, le teorie di Fiedler, fino ad arrivare agli studi condotti da Hersey e Blanchard che hanno portato allo sviluppo della leadership situazionale) che hanno evidenziato come i gruppi di lavoro tendano ad attraversare una serie di fasi caratteristiche lungo il percorso che va dalla prima costituzione del gruppo al raggiungimento degli obiettivi prefissati e che prescindono dai motivi per cui il gruppo è stato costituito

La conoscenza delle fasi e delle loro caratteristiche consente al leader di scegliere lo stile di leadership da adottare nello sviluppo del progetto.

Lo schema in figura 1, strutturato da Hersey e Blanchard, illustra il percorso che in genere attraversa un team di lavoro ed evidenzia gli andamenti relativi alla produttività, al morale ed al coinvolgimento dei partecipanti.

Per ogni fase vengono sintetizzati gli elementi che la caratterizzano ed i comportamenti del leader ad essa maggiormente funzionali, in relazione al livello di maturità progressivamente raggiunto.

FASE 1: Orientamento
Nella fase di ORIENTAMENTO i membri del team sono disposti ad impegnarsi e ad imparare
•dimostrano ansia mista ad interesse verso il lavoro che si accingono a svolgere
•mostrano entusiasmo e disponibilità al coinvolgimento, ma spesso le aspettative (positive) che hanno non risultano omogenee e del tutto rispondenti alla realtà (soprattutto nelle fasi iniziali in cui obiettivi e modalità di azione non sono sempre chiari al 100%)
•hanno bisogno di capire e condividere gli obiettivi, il loro ruolo e quello del leader, come dovranno lavorare, da dove iniziare
•non sono ben consapevoli degli ostacoli che possono esserci e che spesso vengono per questo motivo sottostimati.
In questa fase il leader deve utilizzare uno stile di leadership (“prescrivere”) che espliciti nel miglior modo possibile gli obiettivi, cercando di generare “la visione” cioè mostrare al team il risultato da raggiungere; deve evidenziare i limiti di tempo e le risorse a disposizione definendo ruoli e responsabilità del team (elevate direttive, elevato sostegno).
E’ utile, in questa fase, dar modo ai membri del team di conoscersi non solo dal punto di vista dei ruoli organizzativi, ma soprattutto per quelle che sono le loro aspettative, competenze e talenti.

FASE 2: Insoddisfazione
Dopo aver iniziato il lavoro, i partecipanti del team sperimentano inevitabilmente una certa discrepanza fra le aspettative iniziali e la realtà della situazione; sono questi i momenti in cui emergono problemi e criticità non del tutto preventivabili e pertanto non prese in considerazione nelle fasi di lavoro iniziali.
Se nella fase precedente gli aspetti positivi erano sovrastimati rispetto a quelli negativi e di rischio, in questa fase le dinamiche si invertono; le persone credono di non avere sufficienti conoscenze o capacità, il grado di coinvolgimento tende a diminuire e il compito appare più difficile o meno interessante di come lo si era immaginato.
Allora nascono sentimenti di incompetenza, confusione, frustrazione, accompagnati da atteggiamenti e reazioni negative nei confronti del leader e di altri membri del team, ci si sente insoddisfatti della dipendenza dal leader, nasce la competizione per il potere e l'attenzione.
Tutto questo può generare un crollo del morale e di conseguenza dell'impegno.
E’ il momento in cui è necessario che il leader diventi coach!
E’ la fase più critica da gestire, dato che ci si gioca la possibilità di portare a termine il progetto e l’insorgere di complicazioni che possono anche tradursi nel fallimento del progetto stesso.
In questa fase il leader deve adottare uno stile di leadership (vendere) di elevato sostegno (conservando però la componente direttiva per evitare di generare insicurezza) per riprendere e far condividere la “visione” e far recuperare la fiducia nel lavoro svolto e nel team; deve concentrarsi sulle risorse e non sui limiti, sulle opportunità future piuttosto che sugli errori passati. 
Il rapporto “fiduciario” con i componenti del team, la facilitazione del supporto reciproco tra le persone (supporto), la fermezza ed il rigore nel perseguire gli obiettivi (stile direttivo), sono comportamenti particolarmente efficaci in questa fase, determinante sia per lo sviluppo del progetto che per il consolidamento del team di lavoro.

FASE 3: Risoluzione
Se opportunamente guidato dal leader, il gruppo può superare la fase di insoddisfazione. I partecipanti superano le discrepanze fra aspettative iniziali e realtà attraverso una ridefinizione di obiettivi e compiti, in modo da renderli più accessibili.
Il modo di lavorare insieme inizia a diventare più chiaro e aumenta gradualmen¬te la competenza riguardo al compito, si comincia a parlare un linguaggio comune prescindendo dall’area di appartenenza.
La conflittualità nei confronti del leader e degli altri partecipanti diminuisce e cominciano a nascere sentimenti di reciproco rispetto, fiducia, armonia e coesione ed il clima in generale migliora.
I partecipanti cominciano a condividere la responsabilità delle decisioni, cercano di evitare conflitti, non esprimendo i dissensi, per paura di alterare l'atmosfera positiva che si sta creando: questo fatto può ritardare lo sviluppo del gruppo e renderlo incapace di prendere decisioni importanti
Nonostante i buoni passi avanti rispetto alla fase di insoddisfazione, i partecipanti sono ancora indecisi sulla capacità del gruppo e possono ancora attraversare crisi di fiducia e motivazione ed il loro impegno risulta quindi variabile
In questa fase il leader deve utilizzare uno stile (coinvolgere e supportare) che faciliti il rafforzamento della coesione all’interno del team, valorizzando il contributo del singolo e le relazioni interpersonali.
E’ quindi sempre presente nella supervisione del progetto, ma diminuisce il peso della componente direttiva, lasciando maggior autonomia alle persone.
E’ pronto, nel caso si verifichino situazioni particolarmente difficili, a far in modo che il gruppo non tenda a regredire alle fasi precedenti, adeguando lo stile di leadership, ma, consapevole della maggior maturità delle persone, lascia via via sempre più libertà d’azione e di decisione ai propri collaboratori (buon sostegno e scarse direttive).

FASE 4: Produzione
A questo punto il team è compatto ed ha maturato dei processi gestionali e comunicativi che gli garantiscono di progredire efficacemente verso il conseguimento dell’obiettivo; se il lavoro fin qui svolto e le relazioni maturate sono buone è possibile addirittura che i risultati superino le aspettative.
I partecipanti in questa fase si ritrovano con una buona propensione a partecipare alle attività di gruppo, si rileva una collaborazione attiva fra i membri.
Si percepisce forza e compattezza all’interno del gruppo e un senso di fiducia condivisa nella possibilità di raggiungere gli obiettivi assegnati.
La leadership è di “accettazione e sostegno” dell’atteggiamento positivo nel gruppo, supportando e condividendo strumenti e metodologie necessari alla concretizzazione del processo decisionale.
Lo stile di leadership partecipativo (delegare) in questa fase è caratterizzato dalla forte responsabilizzazione dei collaboratori nelle attività in corso, dato che il gruppo ha dimostrato di avere raggiunto un alto livello di maturità. In qualche modo il leader può defilarsi ed “osservare” quello che succede, intervenendo solo in caso di imprevisti (scarso sostegno, scarse direttive).

FASE 5: Conclusione
Quando il lavoro del gruppo si avvia alla conclusione, i partecipanti possono provare due tipi di sentimenti molto differenti.
A volte provano un senso di abbandono e tristezza per la fine del compito e lo scioglimento del team (questi stati d'animo sono mascherati con lo scherzo, disertando le riunioni, proponendo ulteriori approfondimenti o esprimendo insoddisfazione): il leader deve fare molta attenzione perché in questo caso l'impegno del gruppo tende a calare.
Nella maggior parte dei casi prevalgono forti sentimenti positivi riguardo l'imminente raggiungimento dell'obiettivo: il leader in questo caso vede l'impegno del gruppo crescere e concentrarsi verso il raggiungimento degli obiettivi.
Le fasi appena illustrate hanno lo scopo di evidenziare processi caratteristici nello sviluppo dei team e pertanto aiutano ad anticiparli e gestirli prontamente in modo efficace. 
Affinché il leader sia in grado di esprimere lo stile di leadership più efficace è indispensabile che sappia valutare il livello di evoluzione del team nel corso del progetto e, in particolare, il livello di maturità dei componenti del gruppo.
Nel caso di gruppi (o persone) che manifestano un basso livello di maturità e che necessitano pertanto di linee guida chiare e rigorose il leader dovrà adottare uno stile di leadership più direttivo; nel caso, invece, di gruppi che esprimono un altro grado di maturità, il leader dovrà adottare uno stile più supportivo, per valorizzare al meglio le competenze e le aspirazioni già presenti nei membri del team.



TEAM BUILDING:LA FUNZIONE DEL LEADER...
- L'importanza di un leader all'interno del gruppo di lavoro -

Team building: cosa deve fare il capo? In tutti i gruppi di lavoro possiamo riconoscere facilmente un capo o perché è un leader naturale oppure perché gli è stata affidata la responsabilità del team. Ma quali sono i compiti che deve svolgere un leader per fare del vero team building? Possiamo riassumerli in tre funzioni principali: facilitatore psicologico e materiale: convoca i partecipanti agli incontri del gruppo, indica gli obiettivi, identifica i compiti di ognuno, prepara i documenti di supporto, incoraggia la partecipazione di tutti, mantiene monitorati i progressi del gruppo, ecc. regolatore dei rapporti con l'esterno: gestisce il tempo a disposizione per fare un lavoro, risolve eventuali controversie, diventa il canale privilegiato per i rapporti del gruppo con l'esterno, ecc. gestore dei risultati: controlla i risultati ottenuti, li sintetizza per presentarli all'esterno, condivide le informazioni scaturite con tutte le parti interessate, ecc. Le tipologie di leader Il comportamento dei membri di un gruppo dipende moltissimo dall'atteggiamento del leader che li guida ed è fondamentale se vogliamo imparare a fare team building. La leadership del responsabile di un gruppo si può ricondurre a tre tendenze principali: il capo che accentra il potere: concentra tutti i poteri su di sé, prende decisioni, determina i compiti di ogni membro, impone le metodologie di lavoro, valuta i risultati ottenuti, critica apertamente, ecc. Si rende garante del lavoro svolto che continua come ha stabilito anche quando lui è assente. Membri di un team di questo genere si riconoscono facilmente perché svolgono il lavoro senza alcun piacere e perché fanno in modo che all'interno del gruppo si creino contrasti e divisioni. E' uno stile di leadership che alla lunga non paga, crea ostilità verso il capo e non aiuta i membri del gruppo a socializzare. I partecipanti a gruppi di lavoro come quello descritto si dividono in due categorie: chi aggredisce e sfida apertamente la leadership chi diventa apatico e si disinteressa completamente del lavoro il leader democratico: presenta al team gli obiettivi ed elenca le possibili alternative in modo da avviare una discussione costruttiva con il gruppo per prendere le decisioni insieme. La divisione del lavoro tra i membri del team avviene in modo abbastanza spontaneo ma il leader fa in modo che le capacità e la predisposizione di ognuno vengano opportunamente incanalate. Gli interventi del capo e dei membri del gruppo sono oggettivi e concentrati sul compito da svolgere. Tutti partecipano in maniera attiva ai lavori. Tendenzialmente, chi lavora in un team di questo tipo si sente abbastanza soddisfatto e cerca di dare il massimo in termini di efficienza il capo che delega : prende le decisioni più importanti all'inizio del lavoro ma poi delega la gestione del gruppo ai membri che lo compongono. Non risulta determinato nel seguire gli sviluppi del lavoro, non aiuta il team quando è in difficoltà, non fornisce né le risorse né le informazioni necessarie a rendere indipendenti i membri del team. Il gruppo, dopo aver sperimentato e goduto di un'estrema libertà, finisce per trovarsi in netta difficoltà: non riesce a comunicare in maniera organica con l'esterno, svolge i suoi compiti in maniera disordinata, non raggiunge l'unanimità nelle decisioni e non riesce a trovare una sintesi nel lavoro svolto. Questo stile di leadership può piacere a molti perché lascia grande libertà ma non funziona nei gruppi di lavoro dove deve esserci una figura in grado di prendere le decisioni quando il team non riesce ad uscire da una posizione di stallo -
Dalle descrizioni, vi accorgete facilmente che il gruppo di lavoro migliore si rivela quello guidato dal leader democratico perché svolge il lavoro in modo più efficiente e perché ha partecipanti decisamente più soddisfatti. Tuttavia, questo modello non è affatto il più seguito perché per metterlo in pratica occorrono fattori che spesso mancano: un leader capace e con conoscenze di team building un leader organizzato ed empatico, attento anche agli stati d'animo degli altri membri del gruppo un leader capace di fare un passo indietro per lasciare spazio ai membri del gruppo, in modo da far loro esprimere tutto il potenziale che hanno.



martedì 11 novembre 2014

Tasso. Gerusalemme Liberata‬. Torquato Tasso terminò la Gerusalemme Liberata nel 1575, ma preoccupato da eccessivi scrupoli religiosi, assalito dal dubbio di essere incorso in qualche eresia, sottopose la sua opera al giudizio del tribunale delI'Inquisizione. Nonostante l'assoluzione, ‪Tasso‬ rimase scosso dai dubbi e rimaneggiò di continuo il suo poema.



‪Gerusalemme Liberata‬ è il capolavoro di ‪Torquato Tasso‬.

Torquato Tasso terminò la Gerusalemme Liberata nel 1575, ma preoccupato da eccessivi scrupoli religiosi, assalito dal dubbio di essere incorso in qualche eresia, sottopose la sua opera al giudizio del tribunale delI'Inquisizione. Nonostante l'assoluzione, ‪Tasso‬ rimase scosso dai dubbi e rimaneggiò di continuo il suo poema.



"Ma perché istinto è de l'umane genti
che ciò che più si vieta uom più desia"
Torquato Tasso


desiderare ciò che è vietato, problema d ogni uomo fino ad ora nato, cadere nella tentazione, trappola architettata dall'ingannatore?
La trappola a centri concentrici ecco cosi la immagino, la trappola dai sette cerchi i quali tutti noi scavalchiamo uno dopo l'altro fino a trovare il nostro quello più congeniale cercando di raggiungere il più piccino al centro ma il più difficile da arrivare poiché la tecnica di legarsi all'albero maestro che funzionò per Ulisse qui non vale.




lunedì 10 novembre 2014

Come è stato possibile Hitler? Abbiamo l’impressione di conoscere tutto di Hitler. Si conosce soprattutto la sua carriera dopo il suo arrivo al potere nel 1933. Ma tutto ciò che lo precede, e che è pertanto fondamentale se si vuol comprendere la complessità del personaggio e rispondere alla domanda: Come è stato possibile Hitler? Per Hitler niente era predestinato per diventare un giorno il Führer, il dittatore della Germania. È nelle trincee della guerra del 1914-1918 che l’artista mancato e solitario scopre la sua missione: salvare la Germania. Ma per la maggioranza dei tedeschi, Hitler non è che una persona istruita e irrilevante. La grande svolta, è la crisi economica del 1929. Per paura del caos, i tedeschi votano in massicciamente per lui. La dittatura nazista estende la sua ombra spietata sul paese. Hitler sostiene di volere la pace, ma prepara la guerra.


Come è stato possibile Hitler?


Abbiamo l’impressione di conoscere tutto di Hitler. Si conosce soprattutto la sua carriera dopo il suo arrivo al potere nel 1933. Ma tutto ciò che lo precede, e che è pertanto fondamentale se si vuol comprendere la complessità del personaggio e rispondere alla domanda: Come è stato possibile Hitler?
Per Hitler niente era predestinato per diventare un giorno il Führer, il dittatore della Germania. È nelle trincee della guerra del 1914-1918 che l’artista mancato e solitario scopre la sua missione: salvare la Germania. Ma per la maggioranza dei tedeschi, Hitler non è che una persona istruita e irrilevante.
La grande svolta, è la crisi economica del 1929. Per paura del caos, i tedeschi votano in massicciamente per lui. La dittatura nazista estende la sua ombra spietata sul paese. Hitler sostiene di volere la pace, ma prepara la guerra.

Hitler: la minaccia
Nel 1924 Hitler scrisse nel suo libro Mein Kampf: «Uno stato che rifiuta la contaminazione delle razze, un giorno comanderà il mondo». E ancora: «La prima guerra mondiale è stato il momento più invidiabile e il più sublime della mia vita».
Caporale, è decorato della “croce di ferro” che sempre porterà. Diventato nazionalista, partecipa alla prima guerra mondiale. Nel novembre 1918, ferito, viene portato a Berlino. Quando si riprende, viene a conoscenza dell’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II, della fine della monarchia, della creazione della repubblica e della firma dell’armistizio.
Una sua ossessione: «L’aquila tedesca è stata pugnalata dagli ebrei». Scrisse nel Mein Kampf: «Se all’inizio e nel corso della guerra, si fossero mandati in una sola volta 15.000 di questi ebrei corruttori del popolo sotto i gas asfissianti, il sacrificio di milioni di uomini non sarebbe stato inutile».
Già nel 1916, le gerarchie militari ultranazionaliste avevano ordinato un censimento dei militari ebrei sospettati di non essere dei patrioti. L’antisemitismo è già diffuso; gli ebrei, sia quelli poveri nei ghetti sia quelli borghesi “assimilati” sono i capri espiatori di tutte le crisi. In Russia all’inizio del XX secolo gli ebrei furono vittime di massacri, i progrom. Molti si erano rifugiati in Germania.
Una grande domanda: Hitler era anche lui un ebreo? Uno dei segreti meglio tenuti nascosti dal suo regime fu quello di non poter provare il contrario. Hitler non conobbe uno dei suoi nonni. Suo padre era figlio di padre ignoto. La nonna aveva sposato un mugnaio chiamato Johan Hitler che aveva riconosciuto il bambino e gli aveva dato il suo nome. Una legge nazista stabiliva che per avere «la protezione del sangue» (legge imposta a tutti i tedeschi) occorreva dimostrare che i quattro nonni non erano ebrei. Così Hitler non ha mai potuto dimostrare di non essere ebreo
Adolf Hitler nacque il 20 aprile 1889 in una famiglia cattolica, in quello che era l’impero d’Austria, a Branan sull’Inn, un piccolo paese al confine con l’impero tedesco. Suo padre, vedovo, si era sposato con una cugina molto più giovane di lui: un matrimonio tra consanguinei, Klara Hitler Alois Hitler.
A otto anni, scolaro modello, Hitler serve la messa in un monastero. Ammira il senso della missione dei monaci. All’ingresso del monastero, sul frontone, vi era una strana croce che prefigura la croce uncinata che diventerà il simbolo nazista. Hitler ricorderà questo simbolo del monastero come il segno della sua predestinazione.
Questa croce uncinata, in India, è un millenario simbolo benefico del movimento perpetuo dell’umanità, trasformato dai nazisti in simbolo del popolo ariano, mito della razza pura di biondi dagli occhi azzurri ai quali Hitler aggiungerà l’elmetto e la mistica di una razza superiore: «Noi siamo determinati a far crescere una nuova razza».
Suo padre voleva che diventasse un funzionario. Nel 1908, diciannovene, alla morte della madre, parte per Vienna: sogna di entrare all’Accademia di Belle Arti. Grazie ad una sua piccola eredità può condurre vita d’artista e di bohemien. Vienna era allora un centro culturale d’Europa. Hitler scopre questo mondo di aristocratici e di borghesi cui si contrappongono le bandiere rosse dei socialisti. Scopre le molteplici comunità che popolano la capitale dell’impero, tra cui anche quella degli ebrei. Egli più tardi dirà: «Quelli mi sembrarono l’incarnazione della profanazione razziale». Si presenta al concorso di Belle Arti, ma viene respinto. Segue un periodo difficile: vive in un pensionato di uomini, copiando e vendendo cartoline per i turisti. I soldi gli servono per andare a teatro e ascoltare Wagner che lo manda in uno stato di trance. Hitler sogna di diventare uno di quegli eroi della leggenda tedesca. Una delle sue opere preferite è Rienzi, in cui un giovane guerriero riceve la missione di salvare il suo popolo.
Hitler ha venticinque anni quando il 2 agosto 1914 c’è la mobilitazione e la dichiarazione di guerra.
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Fugge dall’Austria per non fare il servizio militare e va in Germania, a Monaco, portato dall’ondata di follia nazionalista che trascina gli Europei.
Hitler è entusiasta della dichiarazione di guerra: ci sono delle immagini che lo ritraggono tra la folla; queste appariranno durante la campagna elettorale del 1932 e saranno diffuse più volte durante il nazismo, anche se gli avversari sosterranno che si tratti di un fotomontaggio.
Partecipa alla guerra. Dopo quattro anni torna a Monaco con il suo reggimento, in una Germania in piena rivoluzione. Hitler ha trent’anni. Inizia un periodo determinante per lui. Vuole rimanere nell’esercito che ormai garantisce l’ordine e la stabilità del nuovo regime del presidente socialista Friedrich Ebert. La giovane repubblica deve fronteggiare dei rivoluzionari marxisti, gli Spartachisti, che tentano di impadronirsi del potere, come i bolscevichi aveva fatto due anni prima.
L’esercito schiaccia la rivolta aiutato dai volontari nazionalisti, i Corpi franchi, vivaio del futuro partito nazista. Nell’esercito Hitler è zelante. Diventa un agente provocatore, informatore della polizia. Denuncia alcuni dei suoi camerati sospettati di essere dei rossi. Le sue convinzioni lo mettono in luce davanti a degli ufficiali che combattono le idee comuniste. Incaricano Hitler di una missione: rieducare politicamente i soldati e i prigionieri rimpatriati. I suoi superiori scrivono nel loro rapporto: «È un tribuno nato. Il suo fanatismo, il suo stile populista attirano l’attenzione e inducono a pensare come lui». Hitler disse: «Fu in quei momenti che capii che sapevo parlare». Apprenderà poi l’arte di mettersi in scena e di dominare il suo pubblico.
Nel 1919 denuncia l’onta del trattato di Versailles.
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Versailles, 29 giugno 1919: dopo i negoziati, i vincitori, la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti imposero alla Germania delle condizioni di pace molto dure, come se fosse la sola responsabile dell’immensa carneficina. Il trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919, condannava la Germania al pagamento di enormi indennizzi e di riparazioni che andranno a pesare sulla sua economia e saranno le cause principali della contestazione tedesca. La Germania perde il 13% del suo territorio e 1/10 della sua popolazione. L’Alsazia e la Lorena ritornano alla Francia e tutta la riva sinistra del Reno è smilitarizzata. La cosa peggiore è la separazione della Prussia orientale dal resto del Paese, per ricreare la Polonia del XVIII secolo e consentirle l’accesso al mare. Questo corridoio di Danzica sarà la causa scatenante della II guerra mondiale.
I tedeschi si sentono umiliati. Sottomarini, corazzate e aerei sono distrutti. L’esercito tedesco è ridotto a 100.000 uomini. Hitler è smobilitato. Partecipa alle manifestazioni della DAP, il partito dei lavoratori tedeschi, a cui si era iscritto, dal 1919, per ordine l’esercito tedesco, come un infiltrato.  Diventa un agitatore politico a tempo pieno.
Mentre la Baviera è governata dall’estrema destra, il potere a Berlino è nelle mani del centro- sinistra e porta il nome di Repubblica di Weimar, dal nome della città dove è stata votata la nuova Costituzione.
Hitler, diventato bavarese, fustiga i criminali di novembre, cioè coloro che hanno firmato l’armistizio e l’onta del trattato di Versailles. Le sue idee sono condivise dall’esercito e dagli ex combattenti che si riuniscono nei grandi caffè di Monaco, dove Hitler fa il suo ingresso, il 13 agosto 1920, con una conferenza dal titolo: «Perché noi siamo antisemiti?». Hitler, al di là del suo odio viscerale per gli ebrei, comprende che l’antisemitismo è il mezzo migliore per attrarre i nazionalisti.
Nel luglio del 1921 diventa il capo del suo gruppo di nazionalisti, che gli procurano un’auto, segno della sua importanza. Allora cambia il nome del partito: associa i due termini nazionale e socialismo per incrementare le adesioni e per dimostrare il suo anticapitalismo. Il DAP diventa il NSDAP, il partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, che sarà abbreviato in “nazi”. In un locale di un caffè di Monaco, disegna il simbolo del partito. Scriverà nel Mein Kampf: «Dopo innumerevoli tentativi, scelsi una bandiera rossa per dimostrare la dimensione sociale del nostro movimento, con un cerchio bianco per simbolizzare il nazionalismo e la croce uncinata simbolo dell’ariano, eterno antisemita». Per proteggere le sue riunioni crea le SA, le Sezioni d’assalto, una piccola milizia a cui procura delle divise come quelle degli ex doganieri austroungarici.
Il suo radicalismo fa aumentare di dieci volte in un anno i suoi membri: da 2.000 a 20.000, grazie al sostegno di un gruppo razzista, la società di Thulé, dal nome di un leggendario regno nordico. I suoi membri finanziano un giornale con fondi di dubbia origine. “L’osservatore razziale”, è questo il nome del giornale, diventa l’organo del partito nazista; il suo direttore è Alfred Rosemberg, membro della società di Thulé, che si proclama il teorico dell’antisemitismo. Confuso e sovente delirante sarà uno dei grandi ispiratori della Shoah. Un altro ex membro della società di Thulé, allora studente, è Rudolph Hesse che diventerà segretario di Hitler e uno dei più servili e fanatici complici. A questi si unirà un eroe della Grande Guerra, Hermann Goering, uno dei più celebri piloti di aerei tedeschi. Diventerà il numero due del regime e uno degli istigatori dei campi di concentramento. 
L’11 gennaio 1923, per il rifiuto a pagare i danni di guerra imposti dal trattato di Versailles, i tedeschi assistono, come ipnotizzati, all’entrata sul loro territorio di soldati francesi e belgi che occupano la Ruhr, regione mineraria e siderurgica. Francesi e belgi esigono di essere pagati direttamente con il carbone. Il governo di Berlino ordina una resistenza passiva, uno sciopero dei ferrovieri e minatori, che i francesi intendono rimpiazzare. Non c’è più carbone per i tedeschi e la situazione diventa particolarmente tesa.
Il 10 marzo 1923, un ufficiale francese, il tenente Colpin, viene assassinato. La sua salma attraversa la città e gli ufficiali francesi schiaffeggiano i tedeschi che non si tolgono il cappello. Questo episodio e quello dei quindici operai della Krupp, uccisi dai francesi il 31 marzo, saranno utilizzati dalla propaganda nazista, come l’esecuzione di un sabotatore, diventato un martire per il giornale nazista. Soldati di origine africana dell’esercito francese sono implicati in stupri: Hitler farà sterilizzare i meticci nati da queste unioni poi si vendicherà crudelmente nel 1940.
Hitler denuncia la debolezza dello Stato che consente ai francesi di trattare la Germania come una colonia. I tedeschi patiscono il freddo e la fame: tentano di rubare del carbone ai francesi. La Repubblica di Weimar è costretta a importare del carbone e a pagare i suoi scioperanti. La banca centrale deve stampare banconote a getto continuo. Il marco si deprezza in modo esagerato. In questa situazione di inflazione e di disoccupazione, l’estrema destra bavarese si mobilita, con alla sua testa il generale Lundendorff. Grazie a questo generale Hitler è riuscito a riunire tutti gli ex combattenti e vuol tentare un colpo di Stato, un putsch. Marciare su Monaco, poi su Berlino. Hitler disse: «Le nostre genti sono sottomesse a tali pressioni economiche che, se non agiamo, passeranno con i comunisti». I nazisti si procurarono delle armi grazie alla complicità dei militari, ma l’esercito e la polizia rimasero fedeli al governo.
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 9 novembre 1923. A Monaco, per Hitler tutto è perso. Ma Lundendorff ha la stravagante illusione di riuscire a trascinare la popolazione: fa, perciò, avanzare le sue truppe verso gli sbarramenti della polizia. I due campi si fronteggiano con Hitler al centro con il suo impermeabile bianco: un fotomontaggio nazista destinato a costruire la leggenda del coraggio di Hitler. In realtà si proteggeva dietro la sua guardia del corpo che rimase ucciso da un colpo di fucile, perché la polizia sparò, ponendo fine al putsch. Dieci anni dopo, quando Hitler si sarà impadronito del potere, istituirà, ogni 9 novembre, una cerimonia funebre alla memoria dei quattordici militanti nazisti uccisi durante il putsch. I loro nomi sono scanditi e i giovani gridano: «Presente». Hitler ha fatto costruire a Monaco un mausoleo dove i tedeschi hanno l’obbligo di sfilare salutando con il braccio teso coloro che vengono definiti da Hitler «i martiri di novembre». Continuando l’esaltazione del mito del putsch, Hitler inventerà un’altra grande cerimonia nazista, la bandiera di sangue. Ogni anno al congresso di Norimberga, mette in contatto, con delle mimiche feroci, le reliquie sacre, la bandiera del putsch macchiata di sangue, con gli stendardi delle nuove unità del partito come per consacrarle. Queste celebrazioni, quasi mistiche, fanno parte della scienza nazista della menzogna. In realtà Hitler aveva preparato male il suo putsch. Si era rivelato impulsivo e ne aveva ignorato le conseguenze. Queste scenografie nascondono un fiasco che metterà fine all’avventura nazista: il putsch è fallito, Hitler arrestato e il partito nazionalsocialista messo fuori legge.
Un grande scrittore austriaco, Stefan Zweig, scrisse: «Così, nell’anno 1923, sparirono le croci uncinate, le truppe d’assalto e il nome di Hitler ritornò nell’oblio».
Tre mesi dopo l’arresto di Hitler, a Monaco si apre il processo sul putsch.
2 febbraio 1924: Hitler è accusato di alto tradimento e della morte di quattro poliziotti. È passibile della pena di morte. Lundendorff, che non è stato nemmeno incarcerato, arriva al processo su un’auto di lusso con i suoi avvocati. È subito rimesso in libertà per rispetto al suo «glorioso passato» e perché gode di appoggi influenti. Sarà assolto.
Hitler, che voleva suicidarsi, comprende che il tribunale non gli è ostile; ritrova i suoi talenti di oratore e si lancia in invettive contro il governo e contro gli ebrei. Questo processo diventa una tribuna insperata, davanti a dei giudici sempre più compiacenti e ad un pubblico sempre più numeroso. Il verdetto è logicamente meno pesante di quello che Hitler avrebbe potuto temere. È condannato a cinque anni di prigione e incarcerato in una cella relativamente confortevole, che dà sulla campagna. Le condizioni di detenzione sono simili a quelle di un hotel perché può ricevere in qualsiasi momento dei simpatizzanti nazisti.
hitler-prigione.jpgHitler può ricevere tutti i giornali che desidera e inizia persino la lettura di opere di Marx. Rudolf Hesse, condannato a quindici mesi per la sua partecipazione putsch, occupa la cella vicina.
Il ritorno di Hitler diventa una necessità per i partiti di destra. Dei complici, all’esterno, intraprendono una procedura per la liberazione anticipata. Hitler sa che uscirà presto e sente la necessità di manifestare la sua visione del mondo e i suoi principi politici. Detta il suo libro a Rudolf Hesse, che lo batte su una macchina per scrivere di un banchiere e su della carta di Winifred Wagner, la nuora del compositore adulato da Hitler, che è razzista come Wagner e ammira il suo grande amico Adolf. Il testo del libro, raffazzonato, è riscritto da alcuni giornalisti nazisti; Hitler lo vuole intitolare «quattro anni e mezzo di lotta contro la menzogna, la stupidità e la vigliaccheria». Questo titolo, troppo lungo, viene cambiato in Mein Kampf, La mia battaglia. Il libro, che i nazisti vogliono considerare come la nuova Bibbia, conferma la concezione del mondo di Hitler. Nel libro, scritto come le sacre scritture e rilegato come i grandi manoscritti del medioevo, Hitler delira sulla lotta della razza superiore, quella dell’ariano biondo germanico, sulla conquista dello spazio vitale, sullo sradicamento del comunismo o sull’annientamento della Francia, per non parlare degli ebrei, che per Hitler non appartengono alla specie umana. Molti sono coloro che giudicano il libro demenziale, ma, all’epoca, sarebbe stato opportuno leggerlo e prenderlo seriamente perché è all’origine di 50 milioni di morti.
Hitler esce da prigione il 20 dicembre 1924, liberato per buona condotta. Immagina di essere l’erede dei grandi fondatori della Germania come Bismarck. Disse: «Il mio soggiorno in prigione mi ha dato una fiducia, una convinzione e un ottimismo che niente poteva più distruggere.
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Il Mein Kampf è un fiasco. Venderà solamente ventimila copie del primo volume.
Hitler passa molto tempo in un villaggio della Baviera, dove affitta un piccolo chalet, a Berchtesgarden. Conosce una giovane e bella serva, Maria Reiter, di sedici anni, con la quale ha una relazione. Lei si vuole sposare ma lui rifiuta. Le propone di essere un’amante segreta, come ad altre donne, per non ostacolare la sua missione. Lei lo lascia. Scrive il secondo volume delMein Kampf, dedicato al suo progetto di espansione dello spazio vitale verso la Russia. Il libro conoscerà una media diffusione fino alla presa del potere nel 1933. Dopo, il Mein Kampf sarà quasi obbligatorio. Lo Stato lo offrirà ai giovani che si sposano. Non averlo nella biblioteca di casa può essere motivo di denuncia da parte di una collaboratrice familiare; Sarà distribuito dalle acciaierie Krupp agli operai più meritevoli. Il Mein Kampf si venderà in un modo o nell’altro in più di 80 milioni do copie e sarà tradotto in tutte le lingue. I diritti d’autore raggiungeranno cifre astronomiche e renderanno Hitler molto ricco.
Il 27 febbraio 1925, Hitler ritorna alla politica nella sala del caffè dove aveva lanciato il putsch, riaffermando di essere il capo dei nazisti. È allora che si verificherà un avvenimento che gli potrà essere utile. L’incarnazione della nuova democrazia tedesca, il primo presidente della repubblica di Weimar, il socialista Ebert muore, all’età di 57 anni, di un’appendicite malcurata. È un dolore sentito dai tedeschi perché il suo governo era riuscito a controllare l’inflazione e il paese si stava riprendendo. I tedeschi devono eleggere un nuovo presidente e vedono il ritorno delle croci uncinate per la campagna elettorale. L’interdizione del partito è stata tolta perché giudicato non più dannoso. Il candidato dell’estrema destra unita, che è ancora Ludendorff, ottiene appena l’1% dei voti. La sconfitta di Ludendorff, auspicata da Hitler per sbarazzarsi del suo rivale per il quale finge di battersi, rivela il suo fiuto politico. Hitler dice: «Gli abbiamo dato il colpo di grazia».
È l’altro grande capo del 1914-18, il maresciallo Von Hindenburg che viene eletto. Giovane ufficiale nel 1870, ha assistito alla proclamazione dell’impero tedesco a Versailles. Rassicura l’esercito, unisce i conservatori preoccupando la sinistra e l’Europa. Hitler rimane in secondo piano.
Il partito nazista si estende in tutto il paese, fino a contare circa 170.000 aderenti. Hitler ha fatto delle SA un vero esercito privato. Sono molto giovani, ma questi paramilitari sono dei bruti, dei fanatici, degli assassini. La loro nuova uniforme di color marrone li fa soprannominare le “camicie brune”, imitazione delle camicie nere della “marcia su Roma”, qualche anno prima. Un altro segno copiato da Mussolini è il saluto romano, il braccio teso accompagnato da un grido che per Hitler sarà: “Heil Hitler”, “Salute a Hitler”.
L’uniforme delle SA è stata disegnata e fabbricata da un’equipe di stilisti tedeschi, che disegneranno anche quelle nere delle SS e della gioventù hitleriana. I fondi sono frutto della generosità degli aderenti e dei simpatizzanti del fascismo, come il magnate della siderurgia Fritz Thyssen, le cui acciaierie sono pronte a forgiare nuovi cannoni, e uno dei più grandi costruttori di automobili, Henry Ford. L’antisemita Henry Ford, aiuta generosamente il partito nazista, donandogli tutti i guadagni delle vendite in Germania. In più Ford, a ogni compleanno di Hitler, gli fa un dono personale di 50.000 dollari, una bella somma per quell’epoca. Ford sarà il primo straniero decorato dai nazisti dell’Ordine della Grande Aquila tedesca.
1927: una grande riunione del partito per lanciare grandi operazioni di propaganda per galvanizzare l’esercito. Lo stendardo nazista proclama «Germania svegliati».
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Dal 1927 Hitler sceglie Norimberga quale bastione nazista e centro storico medievale, scenografia storica wagneriana che esalta i legami con i guerrieri germanici del medioevo. Hitler la definisce la sua capitale ideologica. Hitler vuole dimostrare la sottomissione del partito al Führer, al capo. Questo culto della personalità sarà ben curato dal fotografo ufficiale di Hitler, Heinrich Hoffman, che realizzerà una serie di foto per mostrare il lato umano del grande uomo e sedurre l’elettorale femminile, tale e quale se lo immaginano i nazisti. Nello studio del fotografo a Monaco, Hitler studia tutti i movimenti degli attori delle opere wagneriane per poi utilizzarle nei raduni nazisti. Hitler disse: «La massa delle donne è stupida. Ciò che la rende stabile è l’emozione e l’odio». L’odio è quello che seminano in tutta la Germania le SA, a cominciare nei quartieri ebrei delle grandi città. In questa società ancora pacifica, Stefan Zweig vede nascere la violenza. Egli scrisse: «Era il metodo fascista ma alla tedesca, esercitato con una precisione militare». Al suono di fischietto, le SA saltavano dai camion con la rapidità di un fulmine, colpivano con i manganelli e al suo di un altro fischietto balzavano sui camion e ripartivano com’erano venuti». Ma l’intimidazione e il terrore danno magri risultati.
Alle elezioni legislative del 1928 i nazisti non ottengono che il 2,6% dei voti, meno di un milione di voti; i comunisti tre volte di più; i centristi 4 milioni e i socialisti 10 milioni di voti.
Al Reichstag, la Camera dei deputati di Berlino, questi 2,6% di elettori tedeschi, soprattutto delle campagne, hanno consentito l’entrata di 12 deputati nazisti. Ciò fa impressione perché sono quasi tutti in uniforme delle SA. Tra loro, Herman Goering. Ferito al basso ventre durante il putsch, è ingrassato parecchio e ha una dipendenza alla morfina. Un’altra grande entrata: Joseph Goebbels, che corrisponde alla definizione di Nietzsche del secolo precedente: «Il fanatismo è la sola forma di volontà che può essere instillata ai deboli e ai timidi». Goebbels è lontano dall’essere un grande biondo ariano. È piccolo, zoppica e il suo piede lo fa soffrire dall’infanzia di un complesso d’inferiorità. Ma la sua intelligenza compensa questo handicap. È un rivoltoso contro la società, tentato dal marxismo prima del grande incontro della sua vita con Adolf Hitler. Tutto diventa luminoso per lui. Gli editori ebrei gli hanno impedito di diventare scrittore rifiutando i suoi manoscritti e questi sono i comunisti che seminano il caos. Egli dice: «Noi entriamo nel Reichstag come il lupo entra nell’ovile». Nessuno degli altri deputati, né il pubblico se ne rendono conto. Ciò che pensano, il giornale Frankfurter Zeitung lo scrisse allora: «Hitler non ha né pensiero né riflessione. È un folle pericoloso, ma se è arrivato là è perché ha avuto l’ideologia della guerra e l’ha interpretata in modo primitivo come se si fosse all’epoca delle invasioni barbariche, alla caduta dell’impero romano». La Germania non si preoccupa. Ci vorrà una grande catastrofe perché Hitler avesse un minimo avvenire. Lo storico Ian Kershaw scrisse: «Senza la Grande Depressione, senza la crisi del 1929, senza la disintegrazione dei partiti liberali e conservatori, Hitler sarebbe rimasto un visionario ai margini della vita politica». Ma Hitler non abbandonerà niente. «Noi continueremo la nostra battaglia».

Il Führer
 Quando Hitler sarà il dittatore della Germania, applicherà quello che ha scritto nel Mein Kampf: «Una razza più forte spazzerà via le razze deboli perché la corsa finale verso la vita li annienterà per lasciare il posto ai forti».
Come ha fatto Hitler a impadronirsi del potere e a diventare Führer? 
Norimberga 1929
Al congresso del partito nazista comincia quello che il drammaturgo Bertold Brecht chiama “la resistibile ascesa” di Adolf Hitler.
Una nuova crisi economica partita dagli Stati Uniti d’America devasta il mondo e soprattutto la Germania.
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Ottobre 1929.
Le fabbriche chiudono una dietro l’altra e il numero dei disoccupati raggiunge i sei milioni. Disperati, molti si volgono ai nazisti e verso i comunisti, che anche loro hanno le proprie truppe paramilitari in divisa.
Comunisti e nazisti si scontreranno in tutte le elezioni che seguono. Hitler provoca i disordini e pretende di essere il solo a poterlo fermare. Questo vero ricatto si rivela efficace.
Hitler riunisce i commercianti e i piccoli proprietari denunciando “la peste rossa”, i marxisti egalitari che spaventano i contadini. Il risultato è incredibile.
Settembre 1930: cento deputati nazisti sono eletti al Parlamento, il Reichstag.
Hitler è a capo della seconda formazione politica del paese, dopo i socialisti. Ciò non preoccupa i dirigenti che disprezzano Hitler. Stefan Zweig: «Per loro il potere è sempre stato riservato ai baroni, ai principi e a chi ha una cultura universitaria. Niente ha tanto accecato gli intellettuali tedeschi che l’orgoglio della cultura». Hitler invece continua la sua ascesa.
Ottobre 1931. In un anno Hitler s’impone alla estrema destra tedesca. Le federazioni degli ex combattenti, che hanno 500.000 aderenti, si dovranno sottomettere. 
Dietro questa postura dominatrice, Hitler nasconde un terribile segreto. Uno scandalo da cui non è riuscito a rimettersi. Delle voci circolano. Vive un dramma personale. Una passione per la sua nipote, Geli Ranbal, di ventitré anni. Egli l’ha amata in un modo irrazionale, possessivo. Lei si toglie la vita. Viveva con lui nel suo appartamento di Monaco. Aveva confidato a un amico: «Mio zio è un mostro. Nessuno immagina quello che esige da me». Aveva voluto lasciarlo. È morta.
Una campagna di stampa si scatena contro di lui, accusandolo di deviazioni sessuali e di aver fatto uccider Gali. Hitler, molto depresso, minaccia a sua volta di suicidarsi. Il suo entourage si preoccupa e decide di reagire. Il suo fotografo, Heinrich Hoffman, gli aveva presentato una segretaria. Rassomiglia a Geli. Si chiama Eva Braun. Ha diciannove anni. È già disinvolta. Farà l’affare. È sedotta dalla popolarità del capo del partito nazista. Hitler la fa diventare la sua amante segreta. Si proclama celibe, sposato alla Germania, per sedurre l’elettorato femminile.
Le donne in Germania hanno già il diritto di voto grazie al movimento femminista.
Eva Braun è una sportiva, sogna di diventare attrice a Hollywood. Dopo il suo incontro, Hitler ritrova il suo fiuto di animale politico. Nel 1932, quando si annuncia la fine del mandato del presidente della repubblica Hindenburg, Hitler si candida alla sua successione. Dieci anni dopo il suo tentativo di putsch e la prigione, Hitler potrebbe diventare presidente della Germania. I tedeschi scoprono dei manifesti impressionanti. Il capo della propaganda nazista, Goebbels, inventa una campagna elettorale ultramoderna con un aereo: la prima in Europa. Il più grande aereo commerciale è messo a disposizione dal direttore della compagnia aerea Lufthansa che non rifiuta questa possibilità di farsi pubblicità. Hitler con un casco di cuoio fa un giro di cento città della Germania dove può misurare la sua popolarità. Il suo pilota, Hans Baur, testimonia: «Abbiamo volato con tutte le condizioni di tempo; nessuna riunione è stata annullata. Le persone hanno incominciato a perdere la loro paura per l’aereo». E termina: «Hitler ha contribuito allo sviluppo del traffico aereo». Goebbels inventa lo slogan: «Il Führer sopra la Germania».
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Crea il mito di Hitler, salvatore supremo, con il suo sorvolare accuratamente filmato e proiettato in tutto il paese. Ma Goebbels non è così tranquillo. La campagna elettorale costa caro e gli industriali non si fidano ancora delle violenze di Hitler. I nazisti devono far pagare l’equivalente di un euro a chi vuole vedere Hitler. Questi non rifiutano. Al contrario. Uno spettatore, Von Spaum, racconta questa esperienza: «Improvvisamente ho sentito gli occhi di Hitler su di me e ne sono rimasto colpito per tutta la vita».
4 aprile 1932
Una settimana prima delle elezioni presidenziali Hitler raduna centomila berlinesi, stanchi dei partiti tradizionali che si dimostrano incapaci di far fronte alla crisi. Tra la folla Jutta Rüdiger, vent’anni: «La disoccupazione ci aveva fatto sprofondare in uno stato terribile. Si pensava che solamente Hitler ci avrebbe fatto uscire da questa miseria. Nessuno parla delle decine di migliaia di persone che ogni anno si tolgono la vita con il gas perché stanno male».
Grazie al suo discorso pseudo sociale, Hitler è un serio candidato alla presidenza. Allora la stampa si scatena. A destra, Hitler è presentato come il prototipo dell’avventuriero politico. A sinistra gli insulti sono più personali. Hitler viene definito effeminato, truffatore semi pazzo, ciarlatano vanitoso, falso duro dal frustino di pelle di rinoceronte.
Il presidente uscente, il maresciallo Hindenburg, reazionario e monarchico, ha tuttavia il sostegno della sinistra.
Il 10 aprile 1932, il verdetto: Hitler non sarà presidente. Tredici milioni di tedeschi hanno votato per lui, un terzo dell’elettorato. È una cifra enorme ma non è sufficiente. Hindenburg, rieletto grazie ai voti dei socialisti, tuttavia non vuole più dipendere da loro. Ciò causa nuove elezioni.
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E Hitler continua la sua “resistibile ascesa”. Riparte la campagna elettorale. Pronuncia cinque discorsi al giorno. Il suo entourage è sbalordito. È drogato dalla tribuna e dalla violenza. «I nostri avversari dicono che noi siamo, ed io in particolare, intolleranti e odiosi. E ci rimproverano di rifiutare la cooperazione con altri partiti. E bene, questi signori hanno ragione, noi siamo intolleranti. Il mi sono prefissato un obiettivo: sopprimere tutti i partiti».
Per Hitler il primo partito da sconfiggere è quello comunista. Le SA sono incaricate di questo compito. Sono quattrocentomila che si autofinanziano pagando le loro uniformi e il loro equipaggiamento. Uno di loro, Wolf Teubert, lavora in una pasticceria di Amburgo. Può velocemente raggiungere la sua coorte motorizzata. Dice: «Io non penso che a rischiare la mia vita per la Germania. L’umiliazione di Versailles ha fatto di me un appassionato difensore di Hitler». Egli ha la solidarietà, il cameratismo e la fierezza di avere un’uniforme. «Noi che eravamo troppo giovani per combattere nella Grande Guerra, noi approfittiamo dell’esperienza degli anziani». Goebbels ha fatto di loro un idolo. Un piccolo mascalzone berlinese, Horst Wessel, era stato promosso capo della Squadre d’Assalto: ucciso dai comunisti un anno prima, è diventato il martire del nazismo. Ai suoi funerali grandiosi, il capo della propaganda Goebbels, ha paragonato il suo sacrificio a quello di Cristo. Ha fatto filmare il suo funerale per mostrare che il nazismo è una devozione come il cristianesimo. Poi ha fatto diffondere una musica, ispirata come a un poema delle SA, per farla diventare l’inno del partito, il “Horst Wessel Lied”. Il canto “Horst Wessel” è il credo della violenza. «Presto la bandiera di Hitler sventolerà in tutte le strade; Presto la schiavitù non ci sarà più. I nostri camerati uccisi dal Fronte Rosso marciano ancora con noi».
Il Fronte Rosso erano le milizie comuniste, che si distinguevano perché indossavano un berretto da operaio e la casacca alla russa. Anche i loro militanti avevano un canto di battaglia: «Sinistra, sinistra, sinistra, suoniamo i tamburi, diamo un colpo potente al nemico, mettiamo la dinamite sotto il sedere della borghesia, minacciamo i fascisti che avanzano all’orizzonte. Proletari armatevi. Fronte Rosso, Fronte Rosso».
Luglio 1932: l’estate di sangue della campagna elettorale.
Le SA con la complicità della polizia affrontano i comunisti in veri combattimenti per le strade. I comunisti hanno 100 morti e 1000 feriti. Molti tedeschi, sfiniti per l’impotenza dello Stato, approvano le violenze naziste. In base ai risultati delle elezioni, 230 sono i deputati nazisti. Hitler è ormai il capo del primo partito politico del paese. Per la prima volta il potere è alla sua portata. Rapidamente, però l’euforia lascia il posto alla delusione: il presidente Hindenburg rifiuta di nominarlo cancelliere, capo del governo. Hindenburg dice a Hitler: «Davanti a Dio, alla mia coscienza e alla patria non posso dare il potere a un partito così intollerante come il vostro». Hindenburg gli propone di entrare in un governo ma Hitler, che non si considera come un politico ordinario alla ricerca di un posto ministeriale, vuole tutto il potere per fondare uno Stato totalitario.
In qualche settimana, Goebbels, a capo dell’enorme numero di parlamentari nazisti, riuscì a paralizzare il gioco democratico: nessuna maggioranza si poté formare. Goebbels annuncia: «Occorre sciogliere quest’assemblea che non rispecchia più la volontà del nostro popolo».
Si tengono nuove elezioni: le terze in un anno. Avranno luogo nel mese di novembre. Hitler pensa di approfittarne ancora: «Ho avuto la forza e la tenacia di trasformare le migliaia di aderenti degli inizi in quattordici milioni di elettori, ora ne otterrò venti milioni e poi trenta».
Novembre 1932: i risultati sono molto deludenti. Circondato dalla sua guardia personale, Hitler rimugina sulla sua sconfitta: ha perso due milioni di elettori e quaranta deputati.
Goebbels legge con amarezza la stampa mondiale. Il Daily Herald di Londra scrive: «L’hitlerismo, come forza politica, è morto». Il quotidiano francese Le Populaire, diretto da un grande nome del socialismo, Léon Blum, titola «La fine di Hitler». No, tre mesi dopo, Hindenburg, nell’impossibilità di formare una maggioranza, finisce per designare Hitler cancelliere.
Uno studente berlinese Sebastian Haffner scrive: «Apprendo la notizia, sono agghiacciato dal terrore. Sento l’odore del sangue e del fango. Percepisco un pericolo, come una grossa zampa sporca di un predatore che mette i suoi artigli sul mio volto».
Per arrivare là, il lupo diventa un agnello. Hitler ha rassicurato Hindenburg domandando solo due ministeri per i nazisti: gli Interni per un poliziotto di Monaco, Wilhelm Ftick, e Hermann Goering per controllare la polizia, due posti chiave.
30 gennaio 1933. Nomina, ai posti più importanti, un conservatore, Franz Von Papen, che è già stato cancelliere e l’uomo forte della estrema destra, Alfred Hugenberg, ministro dell’economia e dell’agricoltura, un temperamento autoritario e aggressivo. Hitler chiama il suo gabinetto “Governo di unione nazionale” perché non abbia l’aria di un governo nazista, ma di una coalizione nazionalista. Von Papen si sbaglia dicendo a Hugenberg: «Hitler è un nostro uomo». L’altro risponde: «Noi lo inquadreremo».
La sera stessa del 30 gennaio 1933, Goebbels organizza a Berlino, come in tutte le grandi città, una fiaccolata che vuole grandiosa, con i caschi d’acciaio, le SS, e soprattutto le SA. Goebbels dichiara che sono un milione a sfilare. Ma l’addetto militare inglese li stima in meno di 15.000 che Goebbels fa girare intorno per quattro ore. Passano sotto le finestre di Hindenburg, 85 anni, che crede di ritornare ai tempi di Verdun nel 1916 e dice al suo aiutante di campo: «I nostri uomini sfilano bene. Hanno fatto molti prigionieri». Hitler, alla Cancelleria, riceve degli omaggi deliranti. Un insegnante di Berlino, Luise Solmiz, dice: «Era un’ubriacatura senza vino – e aggiunge – ho sentito delle grida “Morte agli ebrei” e “Il sangue degli ebrei sgorgherà sotto i coltelli”».
Il 10 febbraio 1933 al Palazzo dello Sport di Berlino, Hitler pronuncia il suo primo discorso da Cancelliere. Qual è il piano di Hitler: il potere assoluto, ma a tappe. Al Parlamento siedono ancora 200 deputati socialisti e comunisti. La prima decisione di Hitler è di sciogliere l’assemblea e indire nuove elezioni. Nel suo discorso radiodiffuso chiama tutti gli elettori a votare per lui, anche quelli di sinistra: «Sono convinto che verrà l’ora per quei milioni di persone che ci maledicono, di entrare nei nostri ranghi e di salvare quello che noi abbiamo ottenuto con tanta fatica, questo nuovo Reich tedesco, quello della grandezza, dell’onore e della forza». Tuttavia, anche con questo discorso conciliante, Hitler continua ad agire di nascosto. Ma Goebbels precisa, tornando ai fondamentali per l’elettorato nazista di base: l’antisemitismo e la violenza: «Se i giornali ebrei credono di poterci spaventare con delle minacce larvate, attenzione a loro. La nostra pazienza ha dei limiti; un giorno si chiuderà il becco a questi sporchi mentitori ebrei. I membri del partito e delle SA possono stare tranquilli. La fine del terrore rosso è più vicino di quanto immaginate».
Due settimane dopo, a Berlino, durante la notte il grande edificio del Reichstag, il Parlamento tedesco, brucia. Di questo simbolo della democrazia tedesca non resta più niente.
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10 febbraio 1933: l’inchiesta condotta dalla polizia agli ordini di Goering, incrimina un comunista olandese Marinus Van der Lubbe, 24 anni, sospettato per un passato da piromane. Rapidamente dichiarato colpevole, sarà decapitato. A chi porta profitto il crimine? Ai nazisti. Hitler e Goering agitano lo spettro del complotto dei Rossi; Goering fa arrestare 4000 comunisti e i loro capi. Ma il partito comunista non è ancora messo fuori legge. Hitler vuol dare un’apparenza di legalità per le elezioni legislative che devono dar fiducia al suo potere. I tedeschi, benché stanchi delle campagne elettorali e dei disordini, vanno a votare in tutto il paese. Le SA si impegnano, come dicono i nazisti, a prevenire tutti gli attentati dei comunisti e a proteggere la popolazione. Le SA sono più di un milione, armati; per il loro statuto, sono come degli ausiliari della polizia. In tutta la Germania, si posizionano davanti alle sedi dei partiti di sinistra e dei sindacati. Vogliono ancora seminare la violenza mente Hitler mostra di gestire responsabilmente il voto elettorale, per continuare ad assicurare un Hindenburg affaticato. Goering, con fare minaccioso, seduto sulla sua poltrona gotica e impugnando il suo pugnale, dà la sua versione menzoniera dei risultati elettorali: «Il 5 marzo 1933 significa un’immensa vittoria per un uomo e per un movimento. Il vincitore è Adolf Hitler e il movimento è il nazionalsocialismo. E i due non sono che un tutt’uno con il popolo e il Reich!».
Hitler e la sua coalizione, in realtà, raggiungono appena la maggioranza. Nonostante la sua propaganda e le intimidazioni della SA, Hitler non è riuscito a impedire ai comunisti di ottenere il 12% dei voti. Allora Hitler getta la maschera ed entra nell’illegalità con la complicità del suo governo. Fa arrestare i deputati comunisti e li manda nei campi di concentramento di Oranienburg, vicino a Berlino, e di Dachau, che sono allestiti dai nazisti. Sono i primi dei sedici campi aperti nel solo anno 1933. Il numero dei detenuti politici passa a 100.000 nel primo mese del regime. Lo studente comunista Klaus Bastian racconta: «Le guardie li frustano, li immergono nell’acqua gelida, li minacciano di morte, di giorno e di notte». I nazisti sostengono, al contrario, che questi parlamentari, questi funzionari e questi sindacalisti vengono rieducati. L’ombra malefica della dittatura si estende su tutta la Germania. Essendo stato bruciato il Reichstag, Hitler riunisce il Parlamento all’Opéra Royal, circondato dalle SA, per chiedere i pieni poteri.
20 marzo 1933. Nel Parlamento non ci sono più deputati comunisti; i 94 socialisti ancora presenti avranno il coraggio di votare contro Hitler. Saranno anche loro arrestati, imprigionati o costretti all’esilio. 441 deputati, dall’estrema destra al centro cattolico, ascoltano uno scaltro discorso di Hitler destinato a imbrogliare. Promette tutto, come sempre, la fine della disoccupazione, la salvezza dei contadini, il rispetto dei diritti e soprattutto la pace. L’assemblea si suicida votando i pieni poteri a Hitler per quattro anni. Il presidente Hindenburg non potrà più opporsi alle decisioni del Cancelliere. Sotto gli evviva, la democrazia in Germania muore.
Che Hitler, un uomo che ha consolidato il suo potere con l’antisemitismo, possa dirigere uno dei paesi più industrializzati del mondo è sentito come una minaccia universale.
New York. Nel mondo intero le manifestazioni contro Hitler denunciano la sua barbarie, il suo oscurantismo e proclamano che «il giudaismo sopravviverà all’hitlerismo». Tutti gridano al boicottaggio mondiale dei prodotti tedeschi. Hitler, per dissuaderli, ordina una giornata di boicottaggio dei negozi ebrei in Germania. È l’inizio della persecuzione. Edwin Landau, proprietario di un grande supermercato della Prussia orientale, prima di emigrare con tutta la sua famiglia in Palestina, scrive: «In poco tempo è avvenuta in me una trasformazione. Questo paese e questo popolo che avevo amato e stimato fino ad ora sono diventati miei nemici. Non ero più tedesco e non dovevo più esserlo. Mi vergognavo di essere appartenuto a questo popolo, della fiducia che avevo accordato a tante persone che si rivelavano essere miei nemici».
L’antisemitismo ha contagiato le università. Il nazismo ha istigato gli animi contro la cultura moderna e ha imposto un’ideologia settaria e intollerante che spinge gli studenti a bruciare essi stessi dei libri. Con l’aiuto degli studenti, inquadrati dalle SA, in tutta la Germania vengono raccolte dalle biblioteche, dalle librerie e presso gli editori, tutte le opere che corrispondono a quello che Hitler ha definito di «spirito antitedesco». Sulla lista nera nazista vi sono i libri di Karl Marx, Sigmund Freud, Stefan Zweig, e più di trecento autori, soprattutto ebrei. 12.000 titoli sono condannati: centinaia di migliaia di libri devono essere bruciati. E le SA preparano il rogo. A Berlino, in piazza dell’Opéra, Goebbels pronuncia il discorso radiodiffuso che apre la “messa nera” di questo incendio di libri di stampo medioevale: «Cari studenti e studentesse di Germania, l’epoca dell’intellettualismo ebreo è passata. L’essere tedesco del futuro non sarà più un essere da libro ma un essere di volontà».
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10 maggio 1933. Una giovane berlinese, Dorothea Gunther, che assiste al rogo dei libri e al rituale nazista, testimonia: «Le SA e gli studenti gridavano il titolo del libro e il nome dell’autore e urlando “che era ebreo, pacifista, femminista o semplicemente moderno”, pronunciavano la sentenza “noi ti consegniamo al fuoco”. Sono rimasta ammutolita e offesa perché quegli studenti avevano letto e discusso molte di quelle opere che andavano in fumo».
Léon Blum scrisse: «In Germania, sarebbe stato necessario che i comunisti e i socialisti lottassero insieme». Ma i socialisti non avevano voluto. Per i comunisti, Mosca impartiva gli ordini: «Niente alleanze con i socialisti, i socialisti traditori». Le consegne suicide di Stalin hanno aiutato Hitler.
Hitler soppresse i sindacati e il 21 luglio 1933 mise fuori legge il partito socialista.
«SA e SS, Heil. Una grande epoca si apre davanti a noi – pronuncia in un discorso Hitler – La Germania finalmente si è svegliata. Noi abbiamo conquistato il potere. Ora dobbiamo conquistare il popolo tedesco».
Estate 1933. Il popolo tedesco può andare in vacanza. Il partito nazista è ormai il partito unico. I suoi slogan antisemiti non interessano troppo la gente. La sorte dei loro compatrioti di origine ebrea li interessa poco. Sono appena 500.000 mila, meno dell’1% della popolazione. La metà di questi ebrei tedeschi riuscirà a emigrare.
Gerda Blachmann testimonia: «Abbiamo potuto imbarcarci a condizione di lasciare tutti i nostri beni». Gli ebrei più poveri resteranno bloccati in Germania. Saranno deportati nei ghetti dell’Est e poi sterminati nei lager. Gli oppositori del regime fuggiranno come e dove potranno: soprattutto in Francia, dove saranno ripresi in seguito alla guerra e riconsegnati ai nazisti. Molti di loro che non partiranno per tempo e che vorranno resistere, saranno catturati e uccisi nei lager.
La grande maggioranza dei tedeschi si adatta alla dittatura. Alcuni cominceranno ad alzare ogni mattina la bandiera nazista a croci uncinate, diventata l’emblema ufficiale della Germania. Gli altri, una volta messo il bavaglio alla stampa, non potranno che leggere i giornali nazisti. Le bambine impareranno il saluto nazista, i bambini entreranno nella “gioventù hitleriana”, che svilupperà molto bene in loro l’aggressività. A scuola l’insegnante farà imparare ai ragazzi a maneggiare le armi. Nell’insegnamento della matematica, utilizzerà degli esempi del tipo: «Quanto costa in un anno allo Stato un alunno? Un handicappato 1.800 marchi, un alunno medio 320 marchi e un alunno brillante solo 125 marchi». Conclusione: la società non può sopravvivere se non quando i suoi cittadini sono geneticamente sani.
La figlia maggiore di ogni famiglia entrerà nella BDM, la Lega delle giovani tedesche e diventerà una brava sposa che avrà molti piccoli soldati, che si faranno uccidere a dieci anni negli ultimi combattimenti a Berlino, alla fine della seconda guerra mondiale. Ma i tedeschi non lo sapevano ancora in questa estate del 1933. Hitler non è interamente il capo supremo: deve ancora anestetizzare il popolo tedesco con la propaganda.
30 agosto 1933: primo congresso del partito nazista dopo la conquista del potere. Tra i partecipanti Rudolph Hesse, uno dei redattori della legge antiebraica, Goebbels che ha reso grande il Ministero della propaganda, Herman Goering, che ha fatto rinascere l’aviazione tedesca, Ernst Röhm, il capo dell’orda di fanatici che sono le SA. Röhm, che aveva partecipato al putsch del 1923 sarà accusato di tradimento. Le SA sono ormai due milioni, una forza che fa concorrenza all’esercito. Hitler, per avere il sostegno dei militari, deve metterli in riga ed elimina Röhm. Tutto inizia nell’estate del 1934 quando Hitler si reca a Venezia per incontrare Mussolini: è il 16 giugno 1934. Hitler è impressionato dal suo grande modello. Cerca l’accordo con Mussolini per il suo progetto di annessione dell’Austria. Mussolini rifiuta: non vuole la presenza tedesca alle sue frontiere. Mussolini disse: «Questo tipo mi sembra un monaco chiacchierone». Mussolini gli mostra la sua flotta, mentre Hitler non ha una marina. Hitler torna a Berlino mortificato. Comprende che fino a quando non avrà ricostituito la sua forza militare non potrà fare niente.
Hitler si reca alle manovre dell’esercito tedesco, piccolo in seguito al trattato di Versailles, ridotto a 100.000 uomini ma molto addestrato. Hitler sa che per fare una guerra occorrono dei generali, degli ammiragli, degli strateghi degli specialisti competenti. Ha promesso all’esercito di non rispettare il trattato di Versailles, di ridargli i suoi effettivi e il suo armamento. Ma i generali vogliono di più: vogliono la testa di Röhm e delle SA, più importanti per il loro numero dell’esercito. Röhm viene criticato per la sua mania di grandezza: fa ombra a Hitler. Goebbels disse: «È un bolscevico camuffato». Sono complici da più di quindici anni ma Hitler ha deciso di eliminare Röhm accusandolo di preparare un colpo di Stato. Hitler designa i boia: Himmler, capo delle SS, Heydrich, capo della Gestapo, Sepp Dietrich, un ex garzone macellaio divenuto capo della guardia di protezione del Führer. Tra il 30 giugno e il 2 luglio 1934, quella che Hitler chiamerà «la notte dei lunghi coltelli», le SS uccidono Röhm e 85 possibili oppositori o testimoni ingombranti del passato di Hitler. Dopo la fine di Röhm, le SA perdono tutta la loro influenza e sono ridotte a servizio d’ordine. L’esercito è soddisfatto, come gli industriali che temevano quando sentivano Röhm dire: «La rivoluzione nazionale socialista non è ancora terminata». Sepp Dietrich è promosso generale delle SS. Quando la regista Leni Riefensthal gira “Il Trionfo della Volontà” sul congresso del partito nazista del 1934, solo le uniformi nere delle SS sfilano. Ormai in alto nella piramide del potere Hitler è solo.
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Un mese dopo “la notte dei lunghi coltelli” l’ultimo presidente della repubblica, il maresciallo Hindenburg, muore all’età di 87 anni. La democrazia è morta e sepolta da lungo tempo. La dittatura continua la sua marcia implacabile. Hitler diventa il capo delle Forze armate. Il suo potere è totale. E tutti i soldati giurano fedeltà «al Führer nostro capo e del popolo tedesco, Adolf Hitler».
Luglio 1935. Hitler si reca al festival di Bayreuth per ascoltare Wagner, il suo musicista preferito. La nuora del compositore, Winifred Wagner, che l’ha sostenuto fin dal suo così difficile debutto, lo riceve ora come capo della Germania. Hitler può valutare il cammino percorso; ha realizzato il sogno assurdo della sua gioventù: diventare Rienzi, il suo eroe wagneriano preferito che si sacrifica per il suo popolo in adorazione davanti a lui. S’imbarca come Sigfrido, sul mare del Nord verso le sue chimere, accompagnato da coloro che l’hanno creato e che non possono più domare, colui che è diventato il golem, la creatura della Bibbia fatta di argilla e che accecherà gli umani con la sua potenza infernale.
Hitler si appropria dei successi della repubblica di Weimar, come le famose autostrade, che diventeranno le vetrine del regime nazista.
Germania sinagoga distrutta
Hitler si batte per promulgare le leggi razziali di Norimberga. Brucerà le sinagoghe nei grandi pogrom della “Notte dei cristalli”, preludio della “soluzione finale”. Si prepara a violare il trattato di Versailles rioccupando le zone smilitarizzate del 1919. Quando Francia e Inghilterra non reagiranno, la loro debolezza porterà Mussolini a riavvicinarsi a Hitler, lasciandolo annettere l’Austria per compiere la sua “missione”, riunire la Germania e i popoli che parlano il tedesco. Interverrà nella insanguinata guerra di Spagna, lanciando i suoi bombardieri, uccidendo la popolazione di Guernica e assicurando la vittoria ai fascisti di Franco sui repubblicani della Spagna.
Sogna il suo grande esercito, come quello di Napoleone. Marcerà verso Mosca, proclamando sempre che vuole la pace. «Noi vogliamo essere un solo e unico Reich, e voi dovete prepararvi. Noi vogliamo che il popolo diventi ubbidiente, e siete voi che dovete trascinarlo. Noi vogliamo che questo popolo diventi pacifico ma anche coraggioso, e siete voi che dovete essere pacifici!».
La Germania, trascinata dai discorsi e dalle manifestazioni grandiose, perderà i contatti con la realtà.
Quando la Germania sarà pronta, Hitler, feroce ed ostinato, la trascinerà, e il mondo intero con lei, in una lunga notte popolata di fantasmi di cinquanta milioni di morti.

Bibliografia:
Apocalypse Hitler Dvd

http://anpi-lissone.over-blog.com/article-come-e-stato-possibile-hitler-101300280.html#