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martedì 23 settembre 2014

Sisaia. Gli speleologi iniziarono a cercare un nome per lo scheletro. Il corredo funebre faceva pensare a una donna, per questo e per la vetustà evidente delle ossa, pensarono a una nonna, anzi una bisnonna, ed ecco la lingua nuorese venne loro in aiuto e per questo fu coniato il nome Bisaia cioè bis nonna. Infatti, in nuorese nonna si dice Iaia e bis nonna Bisaia. Le traduzioni degli antropologi che in seguito studiarono lo scheletro, fecero il resto. Bisaia diventò facilmente Sisaia con riferimenti al latino di Sexies Avia, antica progenitrice.





      Questa di "Sisaia” è la storia vera...

Questa di "Sisaia” è la storia vera...

      Prendo in prestito le parole di una vecchia e cara canzone di Fabrizio De André, perché desidero raccontare una storia che è quasi una favola. Una storia che risale a quasi quattromila anni fa e racconta di magia, di un'antica e colta civiltà, precedente quella nuragica. La storia dolorosa di una piccola e giovane donna, una guaritriceforse, una sacerdotessa, non si sa con certezza. Ma ecco la storia che si desume dalla sua semplice ma augusta sepoltura.

Ecco la storia di "Sisaia".
Tutto ebbe inizio una domenica mattina della primavera del 1961. Un gruppetto di appartenenti al Gruppo Grotte Nuorese, durante una passeggiata nella valle di Lanaittu, in località "Borrosca",sul sentiero del canyon di Doloverre, s’imbatté in un piccolo anfratto, quasi interamente coperto dalla vegetazione, ma non abbastanza da passare inosservato.
Lasciati gli zaini all'ingresso, prese cime e poca altra attrezzatura, s’incamminarono dentro la cavità. Pian piano gli occhi iniziarono a prendere confidenza con il buio e la luce fioca delle torce. Di primo acchito, la sensazione che gli speleologi provarono, fu quella di trovarsi in una grotta importante. Già la immaginavano connessa al sistema idrocarsico della sorgente di San Pantaleo, ma questa eccitazione durò poco: la grotta si rivelò certamente più piccola, giusto qualche decina di metri, e, esplorando il suo perimetro, questi ardimentosi, non trovarono alcun segno di proseguimento.
La grotta aveva due ingressi, posti a differenti altezze. Entrambi avevano uno sviluppo a budello che terminava, convergendo, dopo pochi metri, in uno slargo. Il tutto della dimensione di una domo de Janas.
Una grotta ricca di concrezioni iridescenti, ma poco più che un anfratto, dunque. La delusione fu grande. Mentre alcuni si avviavano all'uscita, un appartenente al gruppo, più determinato degli altri a trovare qualcosa, notò delle pietre poste, con apparente simmetria, proprio al centro della piccola sala ipogeica. Poteva essere un focolare recente, magari messo su da un pastore, sorpreso dal cattivo tempo. Ma avvicinandosi per verificare se ci fossero resti di pasto, o qualsiasi altra traccia che potesse far datare la cosa, questo esploratore si accorse che non si trattava di un focolare, ma di una tomba. Erano ossa coperte dalla polvere del tempo, non vecchi carboni, quelli che vedeva.
*" Astringhie pitzinnos... inoke bi sun' ossos de cristianu" (Avvicinatevi ragazzi, qui ci sono ossa umane) gridò.



Si trattava di una deposizione che solo più tardi si scoprì, essere davvero importante.
Al momento "sos pitzinnos" potevano vedere delle ossa molto vecchie, disposte con cura su un povero letto di semplici frasche; un corredo funerario scarso: dei tegamini di terracotta, dei punteruoli in osso e una piccola macina di pietra.
Gli speleologi iniziarono a cercare un nome per lo scheletro. Il corredo funebre faceva pensare a una donna, per questo e per la vetustà evidente delle ossa, pensarono a una nonna, anzi una bisnonna, ed ecco la lingua nuorese venne loro in aiuto e per questo fu coniato il nome Bisaia cioè bis nonna. Infatti, in nuorese nonna si dice Iaia e bis nonna Bisaia. Le traduzioni degli antropologi che in seguito studiarono lo scheletro, fecero il resto. Bisaia diventò facilmente Sisaia con riferimenti al latino di Sexies Avia, antica progenitrice.
Lo scheletro nei giorni seguenti, fu deposto in una teca, proprio così come era stato trovato, assieme al suo corredo, e poi fu chiamato a studiare le vetuste ossa, il prof. Germaná, eminente scienziato, paleoantropologo e medico legale e docente universitario.  Per la parte archeologica, lo studio fu assegnato alla prof.ssa Maria Luisa Ferrarese Ceruti, la più grande esperta di ceramiche del bacino del Mediterraneo, oggi scomparsa.
La tomba si rivelò della cultura "Bonnannaro" una cultura immediatamente precedente la cultura nuragica. I Bonnannaro erano genti dure, essenziali, dedite soprattutto alla guerra. Le loro ceramiche non erano decorate. Per questa ragione, la tomba della donna trovata nella grotta, era sempre più strana e inusuale. Tipiche di questa cultura erano le inumazioni collettive, per questo motivo, la deposizione singola di Sisaia, ha dell’eccezionale e suggerisce che la donna dovesse avere un ruolo molto importante in seno al suo clan .
Ma quello che vi era di più strano e inusuale, era proprio lo scheletro.
La cultura detta Bonnannaro è testimoniata sino al 1900 a.C.. E questa è pressappoco l'età di Sisaia.
Sisaia era una piccola donna, non più alta di un metro e cinquanta. Per i nostri canoni, non doveva essere molto bella: aveva una testa grande rispetto al torace, peraltro incurvato verso l'interno, fatto questo che doveva rendere la sua voce cavernosa e sgradevole. Uno scheletro minuto ma robusto, che presentava segni di fratture rinsaldate all'avambraccio sinistro, che oggi definiremo fratture da difesa, come se un corpo contundente le avesse rotto l'ulna, mentre lei cercava di difendersi. Una frattura alla spalla, rinsaldata ma che le doveva avere lasciato grosse difficoltà di movimento. Aveva evidenti ferite al bacino, lasciate da un tumore osseo che doveva darle dolori terribili, da seduta, come da distesa e in piedi.
Alle gambe i segni delle malformazioni dovute al rachitismo.



Ma quello che più di tutto l'ha resa famosa, è il cranio. Infatti, nel cranio ci sono le prove evidenti di una trapanazione con riposizione della rondella ossea. Trapanazione cui Sisaia è sopravvissuta, infatti, le ossa sono perfettamente rinsaldate.
Le trapanazioni craniche pare fossero frequenti nelle genti del neolitico, sia per scopi magici sia curativi. Ma pochissime mostrano segni di sopravvivenza. Questo è il motivo per cui Sisaia è così famosa. Inoltre, secondo il Prof. Franco Germaná, questo intervento è stato fatto di certo per scopi terapeutici. Lo dimostrerebbero dei solchi lasciati dagli strumenti, (forse un intervento di pulitura?) sulla rondella ossea, prima asportata e poi riposizionata in situ. Il cranio di Sisaia mostra evidenti spugnosità a livello frontale, cosa che ha fatto ritenere la povera donna affetta anche da una sinusite devastante. Si possono solo immaginare i mal di testa di cui doveva soffrire.
Ci troviamo dinanzi ad un mistero della storia. Parliamo di popolazioni precedenti il periodo nuragico. Dei nostri antichi predecessori, ci hanno raccontato che furono un popolo bellicoso, capaci di guardare in cagnesco il vicino di casa e di costruire delle torri (anche se torri pazzesche che sfidano, non solo il tempo ma anche le leggi di gravità). Ma capaci solo di questo? Per quanti di noi la nostra terra è sempre stata solo una terra di conquista, abitata da genti divise e ignoranti? Ma allora come si coniuga la precisione di questo intervento chirurgico, con l'unica curiosa attitudine di litigare con il vicino di nuraghe come passatempo?





Il dubbio di qualcosa di non detto comincia a serpeggiare con sempre maggiore frequenza.
Dubbio che è anche avvalorato dalla presenza di altri crani con tracce di trapanazione. Al museo di Antropologia dell’Università di Cagliari, fa bella mostra di se, un cranio che presenta ben due trapanazioni: il tipo d’intervento è differente, in questo, infatti, non c’è stata riposizione della rondella ossea estratta, anche se la prima trapanazione mostra segni di ricrescita ossea, quindi di sopravvivenza. La seconda, invece, deve essere stata letale per quell’essere umano.
E se i "detrattori esterofili", così io chiamo chi ridicolizza qualunque teoria che veda gli antichi sardi diversi da pastori ignoranti, avessero sempre sbagliato?
Lascio alle parole del prof. Germaná la descrizione dell'intervento, affinché sia chiaro il tipo di lavoro che è stato fatto sulla testa della povera Sisaia:
**<<L'analisi delle lesioni craniche connesse con l'intervento di trapanazione in vivo, la ricostruzione dell'atto operatorio in uno o più tempi [...] rende credibile l'ipotesi che [nella Sardegna dell'epoca] fossero presenti veri e propri chirurghi ricchi di esperienza e forse di metodo. Questi specialisti sapevano che non bisogna ledere la continuità della "dura madre" per non causare encefaliti certamente mortali; conoscevano in quali punti del cranio praticare la trapanazione e, quando durante l'intervento non potevano evitare vasi importanti (come l'arteria meningea media) ci lavoravano intorno senza interromperne la continuità [...] da un provetto chirurgo [...] dovete essere operata la donna di Sisaia>>.
Di certo Sisaia doveva essere una donna importante nella sua piccola comunità. Una sciamana, una sacerdotessa, una guaritrice, non sappiamo. Le teorie che vedono in Sisaia un personaggio importante per la vita del suo clan, sono avvalorate da quello che di certo sappiamo di lei: con una situazione clinica come la sua aveva continuo bisogno di assistenza.
La deposizione in una tomba singola, rivela un riguardo quasi regale per un popolo che inumava i suoi morti in tombe collettive. Infatti, questa deposizione ci racconta di rispetto, amore e gratitudine.
Sepolta a guardia della valle che fu teatro della sua vita. Come se il suo popolo la volesse ancora custode di quella terra così aspra.
E ora, vederla nella teca che il museo Archeologico di Nuoro le ha riservato, lontana dalla sua grotta, dalla sua valle, dai suoi boschi, mette tristezza, sa di solitudine e di cattività. Come sarebbe bello che Sisaia tornasse a custodire la sua valle, se tornasse in quel luogo dove era stata in quiete per 4000 anni!

NOTE:
* tratto da "Domina Lunae" - La grotta - sepoltura "Sisaia”.
** tratto da Giacobbe Manca, "La vita di Bisaia/Sisaia:4500 anni fa il primo autotrapianto in Sardegna.


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