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sabato 20 settembre 2014

Le osterie da Niccolò V a Trilussa ( di Claudio Rendina) "Una volta era il tempo delle osterie, originariamente con la lettera "h" nell'insegna, e le frequentavano i popolani per passare il tempo in bevute di vino, scandite da morra, giochi di carte e passatelle, a chi ne scolava di più, immancabilmente finite a coltellate. Dalle 1.022 del 1450, sotto Niccolò V, quando si celebrò l'Anno Santo, calarono a 712 nel 1854, fino ad essere sostituite da trattorie o ristoranti, e oggi più caratteristicamente dalle pizzerie. Emblematiche di certi locali erano le "misure" del vino, ora una rarità, e solo mantenute in qualche pizzeria. A cominciare dalla più piccola: 1/10 di litro detto "sospiro" o sottovoce (così chiamato perché o si sospirava nel richiederlo - in quanto molto piccolo - o ci si vergognava di non poter disporre di maggior denaro); 1/5 di litro, chirichetto; 1/4 di litro, quartino o mezza fojetta (un tempo detta anche baggiarola); 1/2 litro, foglietta o fojetta; 1 litro, tubo o tubbo; 2 litri, er barzilai (dall'onorevole Salvatore Barzilai che, nelle campagne elettorali, offriva il vino in simili recipienti). Ma molte osterie sono rimaste famose per personaggi storici, anche se scomparse. A metà dell'Ottocento, nei pressi di ponte Milvio, sulla via Flaminia una funzionava da stazione di sosta delle carrozze; qui viaggiatori e cocchiere per consuetudine bevevano il cosiddetto "bicchiere della staffa". Fu chiamata Melafumo perché un giorno si trovò a passare a queste parti Pio IX, di fronte al quale l'oste non si scompose minimamente, restando a fumare la sua pipa seduto sull'uscio. Stupito da un simile atteggiamento, uno del seguito l'apostrofò risentito e, facendogli notare la presenza del papa, gli chiese: «Che fai?», «Io?», rispose, «Me la fumo!». Lungo la via Salaria c'era la Filomarino: qui, il 18 settembre del 1870, il generale Raffaele Cadorna, comandante della spedizione di Roma, piantò il quartier generale. Una parete era completamente coperta di firme dei clienti e dei molti patrioti che passavano da quelle parti, e a caratteri cubitali si leggeva: «Qui fu il primo arrivo d'Italia». Garibaldi lasciò l'autografo e il suo apprezzamento alla cucina dell'oste sottoscrivendo la frase: «Filomarino, i tuoi maccheroni sono i migliori di tutta Europa, Giuseppe Garibaldi». E l'eroe dei due mondi ha legato il suo nome anche a Scarpone, al Gianicolo, con giardino ancora esistente come ristorante: qui infatti sembra che il generale, impegnato a Roma nella lotta contro i francesi nel 1849, venisse ogni tanto a riposarsi, legando il cavallo ad un eucaliptus e sedendosi su un grosso masso all'ombra delle fronde. Ma l'osteria è famosa anche perché cantata da musicisti e poeti: Cesare Pascucci la incluse nella scenografia dell'operetta 'Na vignata da Scarpone, ripresa poi da Ettore Petrolini, che la rappresentò con il nome L'ottobrata; Trilussa v'immaginò il pranzo conciliatore tra romani e sabini nel poemetto Il ratto delle Sabine. Numerose le osterie frequentate dagli artisti; così alla Dogana, in via della Dogana Vecchia, andava l'architetto Antonio da Sangallo il Giovane, che mandava il conto all'amministrazione della chiesa di San Luigi dei Francesi. Il Moro alla Maddalena era frequentata da Caravaggio, con tanto di liti e coltellate, la Gensola a Trastevere da Bertel Thorvaldsen e dai pittori danesi, come si può vedere nel quadro di Ditlev Blunck. Ancora esistente, ma divenuto ristorante, Romolo, «nel giardino di Raffaello e della Fornarina» a via di Porta Settimiana 8, dove appunto l'artista si innamorò. Poi vennero le pizzerie e, tra le tante, è storica a largo dei Lombardi la Capricciosa, che prende nome dal tipo di pizza così chiamata e qui inventata nel 1937; aveva il tavolo fisso Giorgio de Chirico con i suoi Cavalli. Ora ci s'incontrano i politici, ma il locale vantava ancora fino alla sua morte un artista come assiduo frequentatore: Edolo Masci con le sue Conchiglie."






TEMPO DI VENDEMMIA E DI VINO: dal barzilai al sospiro.

Le osterie da Niccolò V a Trilussa ( di Claudio Rendina)

"Una volta era il tempo delle osterie, originariamente con la lettera "h" nell'insegna, e le frequentavano i popolani per passare il tempo in bevute di vino, scandite da morra, giochi di carte e passatelle, a chi ne scolava di più, immancabilmente finite a coltellate. Dalle 1.022 del 1450, sotto Niccolò V, quando si celebrò l'Anno Santo, calarono a 712 nel 1854, fino ad essere sostituite da trattorie o ristoranti, e oggi più caratteristicamente dalle pizzerie. Emblematiche di certi locali erano le "misure" del vino, ora una rarità, e solo mantenute in qualche pizzeria. A cominciare dalla più piccola: 1/10 di litro detto "sospiro" o sottovoce (così chiamato perché o si sospirava nel richiederlo - in quanto molto piccolo - o ci si vergognava di non poter disporre di maggior denaro); 1/5 di litro, chirichetto; 1/4 di litro, quartino o mezza fojetta (un tempo detta anche baggiarola); 1/2 litro, foglietta o fojetta; 1 litro, tubo o tubbo; 2 litri, er barzilai (dall'onorevole Salvatore Barzilai che, nelle campagne elettorali, offriva il vino in simili recipienti). Ma molte osterie sono rimaste famose per personaggi storici, anche se scomparse. A metà dell'Ottocento, nei pressi di ponte Milvio, sulla via Flaminia una funzionava da stazione di sosta delle carrozze; qui viaggiatori e cocchiere per consuetudine bevevano il cosiddetto "bicchiere della staffa". Fu chiamata Melafumo perché un giorno si trovò a passare a queste parti Pio IX, di fronte al quale l'oste non si scompose minimamente, restando a fumare la sua pipa seduto sull'uscio. Stupito da un simile atteggiamento, uno del seguito l'apostrofò risentito e, facendogli notare la presenza del papa, gli chiese: «Che fai?», «Io?», rispose, «Me la fumo!». Lungo la via Salaria c'era la Filomarino: qui, il 18 settembre del 1870, il generale Raffaele Cadorna, comandante della spedizione di Roma, piantò il quartier generale. Una parete era completamente coperta di firme dei clienti e dei molti patrioti che passavano da quelle parti, e a caratteri cubitali si leggeva: «Qui fu il primo arrivo d'Italia». Garibaldi lasciò l'autografo e il suo apprezzamento alla cucina dell'oste sottoscrivendo la frase: «Filomarino, i tuoi maccheroni sono i migliori di tutta Europa, Giuseppe Garibaldi». E l'eroe dei due mondi ha legato il suo nome anche a Scarpone, al Gianicolo, con giardino ancora esistente come ristorante: qui infatti sembra che il generale, impegnato a Roma nella lotta contro i francesi nel 1849, venisse ogni tanto a riposarsi, legando il cavallo ad un eucaliptus e sedendosi su un grosso masso all'ombra delle fronde. Ma l'osteria è famosa anche perché cantata da musicisti e poeti: Cesare Pascucci la incluse nella scenografia dell'operetta 'Na vignata da Scarpone, ripresa poi da Ettore Petrolini, che la rappresentò con il nome L'ottobrata; Trilussa v'immaginò il pranzo conciliatore tra romani e sabini nel poemetto Il ratto delle Sabine. Numerose le osterie frequentate dagli artisti; così alla Dogana, in via della Dogana Vecchia, andava l'architetto Antonio da Sangallo il Giovane, che mandava il conto all'amministrazione della chiesa di San Luigi dei Francesi. Il Moro alla Maddalena era frequentata da Caravaggio, con tanto di liti e coltellate, la Gensola a Trastevere da Bertel Thorvaldsen e dai pittori danesi, come si può vedere nel quadro di Ditlev Blunck. Ancora esistente, ma divenuto ristorante, Romolo, «nel giardino di Raffaello e della Fornarina» a via di Porta Settimiana 8, dove appunto l'artista si innamorò. Poi vennero le pizzerie e, tra le tante, è storica a largo dei Lombardi la Capricciosa, che prende nome dal tipo di pizza così chiamata e qui inventata nel 1937; aveva il tavolo fisso Giorgio de Chirico con i suoi Cavalli. Ora ci s'incontrano i politici, ma il locale vantava ancora fino alla sua morte un artista come assiduo frequentatore: Edolo Masci con le sue Conchiglie."









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