Pagine

lunedì 4 agosto 2014

Irène Némirovsky. Non si perdona la propria infanzia. Un’infanzia infelice è come un’anima senza sepoltura, geme in eterno


«Non si perdona la propria infanzia.
Un’infanzia infelice è come un’anima senza sepoltura, geme in eterno».
Irène Némirovskiy



Alla fine,
tutte le passioni sono tragiche,
tutti i desideri maledetti,
perché si ottiene sempre
meno di quel che
si è sognato.
Irene Némirovsky


Siate terribilmente donna. 
Non vi accontentate mai di intuire, esigete di sapere.
Irène Némirovski


So di essere molto esigente, e quello che pretendo mi rende la vita difficile. Non sono mai soddisfatta né degli altri né di me stesso. L’amore lo concepisco unicamente come qualcosa di assoluto, e deve racchiudere in sè, perfette, la fedeltà, la comprensione, l’amicizia. Non immagino niente di diverso. Né lo accetterei.
Irène Némirovsky



Si parlavano bocca a bocca così da vicino che le loro labbra bevevano le parole ancor prima che fossero pronunciate, quando erano solo sospirate, appena formate, per metà parole, per metà baci. Erano felici
Irène Némirovsky



Sono andata avanti per anni senza vederti, quasi senza conoscerti, e tu eri mio esattamente come adesso. Io, che sono abituata ad aspettarmi il peggio, non ho paura di perderti. Puoi dimenticarmi, abbandonarmi, lasciarmi, sarai sempre e solo mio. Ti ho inventato io, amore mio. Sei molto più che il mio amante. Sei una mia creatura. E’ per questo che mi appartieni, quasi tuo malgrado.
Irène Némirovsky, I cani e i lupi


«E tu?».
«Io tornerò qui. O andrò altrove. Poco importa… E’ così facile sparire in questa città, quando nessuno si cura di te… Perché lui non verrà a cercarmi. E’ proprio questo che mi rende disperata. Mi ama, ma non verrà a cercarmi. E’ come quando hai la sincera intenzione di ucciderti, eppure, se ti levano l'arma, lasci fare senza opporre resistenza, perché in fondo hai paura della morte… E io, per lui, rappresento uno strappo, una seconda nascita, o una morte» concluse a voce più bassa.
Irène Némirovsky, I cani e i lupi


L'aveva amata con una tale passione!
Ma lei si era schermita, per pudore, canzonandolo…
certo, una dolce canzonatura, eppure…, diceva: La rosa dei giardini di Francia a volte pungeva con crudeltà le mani troppo bramose, troppo avide di coglierla.
Lui, però, poteva amare solo con passione, follia, totale abbandono… oppure smettere di amare.
Irène Némirovsky, I cani e i lupi

E poi era meglio non alimentare quel sogno - in cui la vita vera si mescolava alla costruzione mentale - che a poco a poco stava diventando inoffensivo. Crescendo se ne distaccava, come capita ad un libro letto e appassionatamente amato durante l'infanzia. Lo amiamo ancora, ma prima vi credevamo anche. Ora sappiamo che è solo poesia, invenzione, chimere, meno di niente… Ma Ada doveva fare attenzione a non riportare da quella stupida passeggiata davanti a una porta - che per lei sarebbe sempre rimasta chiusa - alcun dettaglio concreto: la forma di un viso, una voce, uno sguardo… Avrebbe rischiato di ricreare d'un tratto il sogno, di dargli lo spessore, l'evidenza, il sapore del reale.
Irène Némirovsky, I cani e i lupi


Quanto a Ada, era tutta occhi. Non si limitava a vedere quel che la circondava. 
Lo beveva, come un assetato si slancia verso l’acqua e la sorbisce senza riuscire a saziarsi, senza decidersi a posare il bicchiere; così, ogni colore, la forma di ogni oggetto, le facce di tutti quegli estranei sembravano penetrare in lei sino a un luogo profondo e segreto, nascosto nel suo cuore e di cui fino allora non aveva mai sospettato l’esistenza.
Irène Némirovsky, I cani e i lupi


Dipende dal fatto che mi basta intravedere certi visi per non scordarmeli mai più, e lo stesso vale per certe case, per certe scene. Loro sono indifferenti o volubili perché non hanno memoria.
Io, invece, non posso dimenticare. È una particolare maledizione: sono costretta a ricordarmi ogni tratto che, una volta, mi ha colpito, ogni parola che ho ascoltato, ogni istante di gioia o di pena.
Irène Némirovsky, I cani e i lupi







“So di essere molto esigente e quello che pretendo mi rende la vita difficile.
Non sono mai soddisfatta nè degli altri nè di me stessa.
L'amore io lo concepisco unicamente come qualcosa di assoluto e deve racchiudere in sè, perfette, la fedeltà, la comprensione, l'amicizia. Non immagino niente di diverso. Nè lo accetterei.”
Irène Némirovsky, Due.


Ma i giorni passavano, la vita passava, e il meglio non arrivava.
Quei domani continuamente attesi, e che continuamente, chissà perché, deludevano.
Irène Némirovsky, Due.



A volte parlavano tra loro con una certa intimità, ma sempre alla maniera capricciosa e frivola delle donne, che istintivamente tengono celati i pensieri più segreti, rivelandoli senza volerlo con una battuta scherzosa o un sospiro e nascondendo con discorsi leggeri un'esperienza amara che, come un pizzico d'incenso o sale, dava sapore alle loro parole vacue.
Irène Némirovsky, Jezabel


Un amore tenuto segreto a lungo, a lungo chiuso nel cuore, invecchiando diventa amaro
Irène Némirovsky, Jezabel


"Non avrebbe mai dimenticato quella breve stagione. Mai avrebbe ritrovato esattamente quel genere di piacere. Ci resta sempre in fondo al cuore il rimpianto di un'ora, di un'estate, di un fuggevole istante in cui la giovinezza si schiude come una gemma. Che terribile regalo la felicità, una felicità troppo completa, troppo insolente e che finisce, come tutto deve finire... "
Irène Némirovsky, Jezabel


La vita era mutevole, instabile, incerta. Niente durava.
Un torrente implacabile trascinava via gli esseri cari, le giornate serene, li portava lontano, li catturava per sempre. Un brivido di angoscia assaliva all'improvviso la bambina seduta in un angolo, sola, tranquilla, con un libro in mano; le sembrava di percepire tutta la solitudine che c'era nel mondo; la camera diventava ostile e terrificante; oltre il piccolo cerchio della lampada regnavano soltanto le tenebre, che avanzavano strisciando verso di lei. L'ombra l'assaliva e la soffocava, e lei la scostava a fatica, come chi nuota respinge l'acqua con le braccia tese. Un raggio di luce che filtrava sotto una porta le gelava il cuore. Scendeva la sera, e Mademoiselle Rose non c'era ancora… Non ci sarebbe stata mai più…
Irène Némirovsky, Il vino della solitudine.



“.. quelle domeniche solitarie cominciò a trovarle piene di un fascino malinconico”.
Irène Némirovsky, Il vino della solitudine.


Era nata vecchia, preoccupata, stanca, mentre quelli che la circondavano sprizzavano vitalitá da tutti i pori, traboccavano di bramosie. Ma la tristezza che l'abitava sembrava soprattutto profetica: più che piangere sul passato, si sarebbe detto che temesse il futuro.
Irène Némirovsky, Il vino della solitudine.


Ma Hélène amava lo studio e i libri, così come altri amano il vino, per il loro potere d’oblio.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Guardò le persone che le stavano intorno. Loro non la vedevano, ma erano anch'esse, per lei, irreali, lontane, quasi lontane nella nebbia, ombre effimere, inconsistenti, prive di sangue e di sostanza. Lei viveva lontana da loro, in disparte, in un mondo immaginario di cui era padrona e regina. Prese un mozzicone di matita che tenava sempre in fondo alla tasca, esitò un attimo, poi lo avvicinò al libro, piano piano, come un'arma carica.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Con quale diritto guarderai gli altri con disprezzo, se non sei più forte o migliore di loro?…
Ho passato la vita a combattere contro quel sangue odioso, ma è dentro di me. Scorre in me”, pensò sollevando un braccio sottile e ambrato, con le vene in trasparenza, “e se non imparo a vincermi, quel sangue acre e maledetto sarà il più forte…”
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine

[…] sono così imperfetta, così piena di rancore, così egoista così orgogliosa… Non ho umiltà, nel cuore, ma vorrei ardentemente essere migliore… A partire da oggi, lo prometto.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine



Farli soffrire, tutti e due, come loro hanno fatto soffrire me!... Non avevo chiesto di nascere, io!... Oh, avrei davvero preferito non essere nata... Ma non hanno pensato a me, questo è certo... Mi hanno scaraventata su questa terra, e mi hanno lasciato crescere!... Bé, non è abbastanza! Mettere al mondo dei figli e non dar loro un briciolo, un atomo di amore è un delitto!
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Non avrei mai lasciato mio padre”, rifletteva Hélène. “Ma è morto, è tranquillo, ora, e io sono libera, affrancata dalla mia casa, dalla mia infanzia, da mia madre, da tutto quello che odiavo, da tutto quello che mi pesava sul cuore. Ho respinto tutto e sono libera. Lavorerò. Sono giovane e in buona salute. Non ho paura della vita”,
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


- Il rombo del cannone... Il pericolo, qualsiasi cosa. ma vivere, vivere!.... Oppure, essere una figlia come le altre... Avere una madre come le altre!... No, è troppo tardi... Ho sedici anni, ma il mio cuore è intossicato, ormai... -
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Una volta Hélène entrò nella camera di sua madre. Le piaceva andarci. Provava la sensazione oscura di capirla meglio, così, di carpirle i suoi segreti. Cominciava a provare interesse per lei, per la sua vita misteriosa che adesso si svolgeva interamente fuori casa. Nutriva nei confronti di sua madre un odio strano che sembrava crescere con lei; che, come l'amore, aveva mille ragioni e nessuna.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Perdonare? E perché? I nome di che cosa? Sì, lo so, Dio ha detto che sarà solo Lui a proclamare il "giorno della vendetta...". Ah, pazienza, non sono una santa, non posso perdonarla! Aspetta, aspetta un po' e vedrai! Ti farò piangere come tu hai fatto piangere me! Non mi hai mai insegnato la bontà, il perdono! E' moto semplice: mi hai insegnato solo a temerti e a stare composta a tavola! Tutto mi sembra odioso, soffro, il mondo è cattivo! Aspetta, aspetta, cara mia! -


Sì, è strano, ma per la prima volta nella mia vita posso pensare a lei senza che il mio cuore frema o diventi pesante come una pietra… Ho perfino un po’ pietà di lei…
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Perché arriva un'età in cui la compassione che fino a quel momento abbiamo riservato solo ai bambini assume una forma diversa, un'età in cui scrutiamo i volti avvizziti dei "vecchi" e intuiamo che un giorno assomiglieremo a loro... E lì finisce la prima infanzia.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine



"Il tempo passava. Alcuni uomini entravano, altri uscivano.
Vide strani personaggi, donne anziane che reggevano una borsa con mani ancora malferme dal tanto oro che avevano maneggiato.
Non era il primo casinò che Hélène vedeva; uno dei suoi più lontani ricordi risaliva a quando aveva attraversato la sala giochi a Ostenda, dove a volte le monete d'oro rotolavano tra i piedi dei giocatori indifferenti. Ma, adesso, i suoi occhi sapevano vedere più in là del mondo visibile.
Guardava quelle donne imbellettate, impiastricciate di trucco, e pensava: 
«Chissà se hanno dei bambini... Se sono state giovani... E chissà se sono felici...».
Perché arriva un'età in cui la compassione che fino a quel momento abbiamo riservato solo ai bambini assume una forma diversa, un'età in cui scrutiamo i volti avvizziti dei «vecchi» e intuiamo che un giorno assomiglieremo a loro...
E lì finisce la prima infanzia."
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


Ascoltò il rumore del vento, e le parve di sentire nell'infuriare delle sue raffiche un ritmo profondo, solenne e gioioso come quello del mare. I suoni, dapprima acuti, rauchi e stridenti, si confondevano in una sorta di possente armonia. Hélène vi percepiva un ordine ancora confuso, come all'inizio di una sinfonia, quando l'orecchio, colto di sorpresa, afferra la traccia di un motivo, ma subito la perde, deluso la cerca e, all'improvviso, la ritrova, e allora sa, capisce che non gli sfuggirà più, che fa parte di un ordine diverso, più possente e più bello, e ascolta, rassicurato e fiducioso, la tempesta benefica dei suoni che lo investono.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


“[…]parlando, era obbligata a collocare le parole in frasi più semplici, più comuni e maldestre, e questo provocava nel suo modo di esprimersi una sorta di esitazione, un balbettio che irritava sua madre […]”
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine



"Non ho paura della vita" pensò. "Sono stati solo anni di apprendistato. Terribilmente duri, è vero, ma che mi hanno temprata, hanno rafforzato il mio coraggio e il mio orgoglio. E questo mi appartiene, è la mia ricchezza inalienabile. Sono sola, ma la mia solitudine è aspra e inebriante."
Ascoltò il rumore del vento, e le parve di sentire nell'infuriare delle sue raffiche un ritmo profondo, solenne e gioioso come quello del mare. I suoni, dapprima acuti, rauchi e stridenti, si confondevano in una sorta di possente armonia. Hélène vi percepiva un ordine ancora confuso, come all'inizio di una sinfonia, quando l'orecchio, colto di sorpresa, afferra la traccia di un motivo, ma subito la perde, deluso la cerca e, all'improvviso, la ritrova, e allora sa, capisce che non gli sfuggirà più, che fa parte di un ordine diverso, più possente e più bello, e ascolta, rassicurato e fiducioso, la tempesta benefica dei suoni che lo investono.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine


«Se non ci fosse la bambina, me ne andrei, ti lascerei immediatamente!».
Questo, perché il marito a volte si irritava nel trovare la casa in disordine, o nel vedere, sulla tavola, una nuova cappelliera da cui spuntava una piuma rosa, mentre l’arrosto era bruciato e la tovaglia bucata; ma Bella obiettava che non aveva mai sostenuto di essere una brava donna di casa, che la casa lei non l’amava e detestava occuparsene, e che solo le premeva il suo piacere. «Sono fatta così! Devi prendermi per come sono» dichiarava.
Boris Karol urlava, poi taceva, perché, a ogni lite, era come se il fardello del matrimonio, ricaricato faticosamente sulle spalle, di nuovo cadesse e rotolasse a terra, ed era più semplice portarlo con rassegnazione piuttosto che chinarsi a raccoglierlo ancora una volta.
Irène Némirovsky, Il vino della solitudine



Come li odiava quei pranzi!... Quanti pasti finiti in lacrime... Quando, più tardi, ripensava a quella stanza da pranzo polverosa e cupa, sentiva subito il sapore salato delle lacrime che le offuscavano la vista, scendevano lungo la faccia fin nel piatto mescolandosi al sapore dei cibi. Per molto tempo, la carne aveva avuto per lei un retrogusto di sale e il pane era intriso di amarezza.
La triste luce d'inverno captata attraverso il balcone entrava a malapena nella stanza da pranzo. Quei vecchi arazzi finti inchiodati al muro, quante volte li aveva contemplati velati da una coltre di lacrime trattenute per orgoglio, che le facevano diventare la voce rauca e tremula... Anche in seguito, quando, a distanza di anni, le capitava di ricordare quelle ore lontane della sua infanzia, sentiva immancabilmente riaffiorare dentro di sé le antiche lacrime.
«... Sta' dritta... Tieni chiusa la bocca... Ma guarda un po' che faccia da schiaffi ti viene con quella bocca aperta e il labbro che pende... Questa bambina mi diventa scema, giuro!... Sta' attenta, rovescerai il bicchiere! Ecco, cosa avevo detto?... Un bicchiere bell'e rotto... E adesso le lacrime, naturalmente, come al solito... Sì, evidentemente, la scusate sempre, voi!... Benissimo, perfetto, non mi occuperò più dell'educazione della signorina Hélène, che la signorina Hélène si comporti pure a tavola come una contadina, se così le garba, io non m'impiccio più di niente... Vuoi alzare la testa quando tua madre ti parla?... Vuoi guardarmi in faccia?... Ed è per questo, per questo che una si sacrifica, che rinuncia alla sua giovinezza, ai suoi anni migliori!...» diceva la signora Karol pensando con rancore a quella bambina che bisognava trascinarsi dietro per tutta l'Europa, perché, altrimenti, si poteva star sicuri che appena arrivata a Berlino un telegramma della nonna, che aveva perso la testa per un semplice raffreddore o un mal di gola – «Torna. Bambina ammalata» –, l'avrebbe costretta a ripetere di nuovo, ma in senso contrario, il tragitto compiuto con tanta gioia il giorno prima. La bambina... La bambina... Avevano sempre quelle parole in bocca, il marito, i genitori, gli amici:
«Dovete sacrificarvi per la vostra bambina... Pensa a tua figlia, Bella...».
Una figlia, un rimprovero vivente, un intralcio... Era ben curata... Che cos'altro le serviva? [...]
Il pranzo, intanto, si era concluso. Ma, per Hélène, il peggio doveva ancora arrivare: doveva andare a baciare quel volto odioso, bianco, e che sembrava sempre così freddo alle sue labbra brucianti, posare la bocca chiusa su quella guancia che avrebbe voluto lacerare con le unghie, dire anche magari: «Scusa, mamma...».
Hélène sentiva fremere dentro di sé, ferito a sangue, uno strano orgoglio, come se nel suo corpo di bimba fosse rinchiusa un'anima più vecchia, e quell'anima offesa soffriva.
«Allora? Non ti scusi neanche?... Oh, figlia mia, per quel che mi riguarda, fa' pure, non insisto... Le scuse che escono dalle labbra ma non dal cuore non mi interessano. Vattene».
Ma a volte la scena finiva inopinatamente con uno slancio capriccioso di amore materno che s'impadroniva di Bella. «Questa bambina... Non ho che lei, in fondo... Gli uomini sono così egoisti... Tra qualche anno diventeremo amiche, compagne...».
«Suvvia, Hélène,» proseguiva «non fare quella faccia... Non devi essere così permalosa... Ti ho sgridata, hai pianto, basta così, è tutto finito, dimenticato... Vieni a dare un bacio a tua madre...».
 [...] Hélène sentiva la voce, il riso di sua madre e il rumore degli speroni dell'ufficiale che l'accompagnava fino a casa. Con un certo piacere musicale, ascoltava quel tintinnio, quella fanfara d'argento che si allontanava, e poi si addormentava. A volte, risospinta dal sonno agli anni della sua prima infanzia, quando Mademoiselle Rose non c'era ancora e la domestica andava a bere in cucina, lasciandola sola in camera, si svegliava angosciata e chiamava:
«Mademoiselle Rose, siete qui?».
Un attimo dopo, nell'oscurità della camera apparivano una luce bianca, una lunga camicia da notte, molto ampia, una camiciola candida:
«Ma sì, sono qui».
«Datemi un po' d'acqua, per favore».
Hélène beveva, poi mormorava, assonnata, allontanando distrattamente il bicchiere, ma sapendo che mani attente lo avrebbero afferrato:
«Voi... mi volete bene, vero?».
«Sì. Dormi».
Niente baci: Hélène li detestava. Niente moine, né nei gesti, né nella voce: Hélène le disprezzava. Ma nelle tenebre che la circondavano aveva bisogno di sentire quella certezza, quella nota amichevole: «Sì. Dormi». Non chiedeva di più. Alitava sul cuscino, e nel punto così riscaldato posava la guancia con serenità e sprofondava in un dolce oblio.
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine, Pagina 38



Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine, Pagina 79.
Quando Hélène pensava ai nonni provava un senso di pietà che le pesava, che le pareva un po' vile. Si sforzò di volgere la mente altrove ma, suo malgrado, la loro immagine le si presentava di continuo alla memoria: li rivedeva correre a passettini rapidi e incerti lungo il marciapiede, mentre il treno si muoveva. La nonna piangeva, e questo non la rendeva diversa dal solito, povera donna; ma il vecchio Safronov gonfiava ancora il petto, si alzava sulla punta dei piedi, agitava il bastone, gridando con voce tremante:
«A presto! Verremo a trovarti a Pietroburgo! Di' alla mamma di invitarci, di non farci aspettare troppo».
«Aspetta e spera, povero nonno» mormorò Hélène. Era certa che il vecchio sapesse meglio di lei come sarebbero andate le cose. Non sospettava con quanta rabbia e quanto rimorso lui pensasse, rientrando nella loro casa vuota, seguito dalla moglie che gemeva e piangeva sommessamente:
«Tocca a me, adesso, tocca a me! Non ho fatto che correre avanti per la mia strada, trascurando tutto e tutti, inseguendo solo il mio piacere, il mio capriccio! Adesso sono vecchio, spompato, e sono io a restare indietro» pensava. Si era girato verso la moglie e per la prima volta nella vita si era degnato di aspettarla, sia pur borbottando con voce stizzosa e picchiando per terra col bastone:
«Su, sbrigati, lumaca!».
Irène Némirovskiy, Il vino della solitudine, Pagina 79.





Nessuno le voleva bene, nessuno al mondo
Ma non vedevano dunque -ciechi, imbecilli- che lei era mille volte più intelligente, più raffinata, più profonda di tutti loro, di tutta quella gente che osava educarla, istruirla.. […] Ah, come aveva riso di loro per tutta la sera! E loro, naturalmente, non si erano accorti di nulla…Poteva piangere o ridergli sotto gli occhi, non la degnavano di uno sguardo…[…].
Antoinette ricominciò a piangere, ma più piano, assaporando le lacrime che le scorrevano agli angoli della bocca e all'interno delle labbra; d'un tratto la invase uno strano piacere: per la prima volta in vita sua piangeva così, senza smorfie né sussulti, in silenzio, come una donna
In seguito avrebbe pianto per amore le stesse lacrime…Ascoltò a lungo i singhiozzi risuonarle nel petto come un'ondata profonda e bassa nel mare…La sua bocca bagnata di lacrime aveva un sapore salmastro…
Irène Nemirovsky, Il ballo

"Ah, mia povera figlia, mia povera piccola Antoinette. Tu sei felice, non sai ancora come il mondo è ingiusto, cattivo e ipocrita... questa gente che mi faceva grandi sorrisi, che mi invitava, ora mi disprezza, ride alle mie spalle perché non faccio parte del suo mondo... brutti cammelli... ma tu non puoi capire, povera figlia mia! e tuo padre! ecco, non ho che te!... La strinse tra le braccia. Il piccolo viso schiacciato contro le perle della sua collana, non la vide sorridere. Sei una buona figlia Antoinette... mentre una stava per spiccare il volo, l'altra sprofondava nell'ombra. Ma non lo sapevano. Eppure Antoinette ripeteva con dolcezza: - Povera mamma... "
Irène Nemirovsky, Il ballo


Era l'attimo, l'istante impercettibile in cui si incrociavano “sul cammino della vita”:
Una stava per spiccare il volo, l'altra per sprofondare nell'ombra. Ma non lo sapevano.
Irène Nemirovsky, Il ballo




L'Indomani, la signora Kampf non parlò ad Antoinette della scenata del giorno prima; ma per tutta la durata del pranzo, quasi si mise d'impegno a far notare alla figlia il suo cattivo umore con una serie di bruschi rimproveri in cui eccelleva quando era in collera. «Che stai sognando con quel labbro penzoloni? Chiudi la bocca, respira col naso. È davvero piacevole per dei genitori avere una figlia che se ne sta sempre tra le nuvole...  E allora? Fa' attenzione! Ma come stai mangiando? Hai macchiato la tovaglia, scommetto... Non sei capace di mangiare per bene alla tua età? E non tirar su con il naso, ti prego, figlia mia... Devi imparare ad ascoltare quando ti riprendo senza fare quella faccia... Non ti degni di rispondere? Ti sei mangiala la lingua? Ecco, anche le lacrime adesso», continuò, alzandosi e gettando il tovagliolo sul tavolo. «Guarda, preferisco andarmene che vedermi quel muso davanti, piccola sciocca». [...] Antoinette se ne stava immobile, le mani strette tra le ginocchia. Alle nove, Miss gurdò l'orologio. <<dobbiamo andare subito a letto, cara... Nel ripostiglio non sentirà la musica; dormirà bene>>. Dato che Antoinette non rispondeva, la Miss batté le mani ridendo. <<Su, si svegli, Antoinette, che le succede?>>. La accompagnò fino a un piccolo ripostiglio, mal illuminato, in cui erano sistemati alla bell'e meglio un letto di ferro e due sedie. Di fronte, dall'altro lato del cortile, si scorgevano le finestre del salone e della sala da pranzo che brillavano. <<Potrà vedere le persone che ballano da qui: non ci sono imposte, disse scherzando Miss Betty. [...]
Irène Nemirovsky, Il ballo, Capitolo 4






«Amare e non essere amato,
essere a letto e non dormire,
aspettare e non veder arrivare
sono tre cose che fanno morire.»
Così, più o meno, recita il proverbio."
Irène Némirovsky, Il malinteso



Senza far rumore gli aveva segnato i territori del cuore, ne aveva seguito i fiumi fino alla sorgente e li’ aveva piantato le sue bandiere, laggiu’ nelle zone inesplorate.
Irene Nemirosvky, Il Malinteso



Di fronte alla prospettiva di un pomeriggio solitario, Denise fu presa dal panico. Come spesso capita, alla sua ostinata speranza era subentrato, di punto in bianco, lo scoraggiamento: non aspettava più la telefonata promessa, o almeno non voleva più aspettarla. Mille volte aveva avuto la tentazione di scrivere, di andare a trovare Yves, di parlargli; ma una specie di paura irrazionale le impediva di disobbedirgli. Lo conosceva troppo bene.
Vedendo che lei lo assillava nonostante la sua richiesta di essere lasciato solo, era capace, pensava Denise, di troncare definitivamente la loro relazione. Tutto era possibile, con quel carattere ombroso e bizzarro... C'era una sola cosa da fare, Denise lo sapeva: assecondarlo, aspettando con pazienza che smaltisse il suo dispiacere, qualunque esso fosse, come una sbornia. Che differenza tra quel dolore maschile, che si placava con la solitudine, e il suo cuore innamorato!"
Irene Nemirosvky, Il Malinteso


L'amore che nasce dalla paura della solitudine è triste e forte come la morte.
Il suo desiderio di Yves, della sua presenza, delle sue parole, somigliava a una cupa follia.
Quando era lontana da lui, si torturava a immaginare che cosa facesse, dove fosse, con chi.
Quando riposava tra le sue braccia, l'angoscia del domani era così acuta che a poco a poco le avvelenava tutto il piacere. Abbandonata sul suo petto, riscaldata dalle sue carezze, non riusciva a distogliere la mente dall'ora - forse l'ultima! - che fuggiva così in fretta, troppo in fretta… A volte, appena suonavano le sette, si abbarbicava a Yves come se stesse annegando, talmente pallida e tremante da farlo preoccupare. E quando tentava di spiegargli il suo comportamento, lui le accarezzava la fronte come a una bambina malata e sospirava: “Povera piccola…”. Ma lui non capiva quel bisogno tutto femminile di sicurezza, quel desiderio ossessivo di averlo accanto e quella specie di paura di perderlo, come se, a parte lui, non esistesse nient'altro al mondo.
Irène Némirovsky, Il malinteso





Non so se gli esseri umani siano in grado di foggiare la propria vita, ma di certo ciò che un uomo ha vissuto finisce col trasformarlo: una vita calma e bella dà al viso un'aria amabile e composta, un dolce calore che forma una sorta di patina, simile a quella di un ritratto.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Prova a riflettere. Che genere di uomo lo farai diventare, se lo educhi nella paura?
Povera bambina mia, non possiamo vivere al posto dei nostri figli (anche se a volte ci accade di desiderarlo). Ciascuno deve vivere e soffrire per conto proprio. Il più grande favore che possiamo fare loro è tenerli all'oscuro della nostra esperienza.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


"Che farete dopo che me ne sarò andata?"
"Quello che faccio ogni sera"
"Cioè?"
""Beh chiuderò il cancello. Sprangherò le porte. Caricherò l'orologio.
Tirerò fuori le carte e giocherò qualche mano di solitario. Berrò un goccetto. Non penserò a niente. Andrò a letto. Non dormirò un granchè. Sognerò a occhi aperti. Rivedrò cose e persone del passato."
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Non so descrivere i piaceri che mi dà il mio rifugio. Mi godo le cose semplici,alla mia portata:
un buon pasto, un buon vino, questo taccuino su cui scribacchio, traendone una gioia beffarda e segreta. E più di ogni altra cosa, la divina solitudine.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Il fatto è che se sono io a uscire spontaneamente da casa mia e a mischiarmi con gli altri, accetto di mostrare un qualche interesse per esistenze estranee. Ma quando sono rintanato nel mio covo voglio stare in pace. E allora non venite a importunarmi con le vostre storie d'amore e i vostri rimorsi.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue

Noi siamo morti da 20 anni, perchè abbiamo cessato di amare: ecco la verità.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue

Benchè prevedere il futuro non sia possibile, credo che qualche volta sentimenti di straordinaria intensità ci siano annunciati con mesi, anni di anticipo da uno straordinario fremito del cuore.
Diversi anni prima di entrare nella mia vita, l'amore mi è passato sul cuore come un soffio.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Ricordo un gioco che mi piaceva fare da bambino, in spiaggia, e che prefigurava la mia intera esistenza: con l'alta marea, scavavo nella sabbia un piccolo fossato, e a un tratto il mare inondava il percorso che avevo tracciato, con una veemenza tale da distruggere al suo passaggio i miei castelli di ciottoli e le mie dighe di fango; abbatteva e devastava ogni cosa, quindi spariva, lasciandomi amareggiato e nell'impossibilità di lamentarmi, perché ero stato io stesso a invocare la catastrofe. Accade così con l'amore. Gli si fanno dei cenni di richiamo, gli si spiana la strada. E l'ondata, così diversa da come ce l'aspettavamo, amara e gelida, si abbatte sul nostro cuore.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


«Ma perché arrivi (intendo un amore autentico, onesto e sano) la cosa migliore è non pensarci troppo, non invocarlo. Altrimenti ci si inganna. Si mette la maschera dell'amore sul primo e più rozzo dei volti»
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


"Non sto parlando semplicemente delle esigenze della carne. E'più complicato di così.
La carne ci vuole poco a soddisfarla. È il cuore a essere insaziabile.
Il cuore che ha bisogno d'amare, di disperarsi, di ardere di un fuoco qualunque. Ecco ciò che volevamo: bruciare, lasciarsi consumare, divorare i nostri giorni come le fiamme divorano la foresta"
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue

Ecco: mi piacerebbe descriverla, e non ci riesco. E’ probabile che sin dal primo istante io l'abbia guardata troppo da vicino, come sempre avviene con le cose che si desiderano molto: sapreste dire che forma e colore ha il frutto che state addentando? Quando si ama una donna come io ho amato lei, si ha l'impressione di averla vista sin dal primo giorno alla distanza di un bacio
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Dal primo giorno che l'ho visto, dal primo giorno, avrebbe potuto fare di me quello che voleva.
Riuscite a crederci?
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Uno sconosciuto esuberante, alato e radioso che ci accende il sangue, ci devasta la vita e se ne va, svanisce. Ma io voglio farlo rivivere, quello sconosciuto.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Era come se qualcuno avesse fatto irruzione nella mia esistenza e vivesse al posto mio.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue


Hanno tutto ciò che occorre per essere felici: il lavoro e la giovinezza.
Irène Némirovsky, Il Calore del Sangue




Parigi aveva il suo profumo più dolce, quello degli ippocastani in fiore e dell’essenza mischiata a granelli di polvere che scricchiolano sotto i denti come grani di pepe.
Irène Némirovsky, Suite francese


Non una confessione, non un bacio, il silenzio poi dialoghi febbrili e appassionati, parlavano dei loro rispettivi paesi, delle famiglie, di musica, di libri, la strana felicità che li invadeva, quella fretta di svelare il proprio cuore l’uno all’altra, una fretta di amanti che è già un dono, il primo, il dono dell’anima che anticipa quello del corpo.
Irène Némirovsky, Suite Francese


La attirò a sé, e senza una parola l'abbracciò così stretta e con tanta forza che le sfuggì un piccolo grido di dolore.
Irène Némirovsky, Suite Francese

Per qualche breve momento era felice. La sua felicità non doveva subire limiti imposti dalla realtà.
Irène Némirovsky, Suite Francese


Non c’è niente da capire. Ci sono leggi che governano il mondo e che non sono né pro né contro di noi. Quando scoppia il temporale, non te la prendi con nessuno: le nuvole non ti conoscono.
Irène Némirovsky, Suite Francese 


«Sei strano, Maurice. Eppure li hai conosciuti questi personaggi di un cinismo assoluto, totalmente indifferenti, e malgrado ciò non sei infelice, intendo dire infelice nell'animo.
Mi sbaglio forse?»
«No».
«Ma allora, cos’è che ti conforta?»
«La certezza della mia libertà interiore» disse lui dopo aver riflettuto «questo bene prezioso, inalterabile, e che dipende solo da me perdere o conservare. La convinzione che le passioni spinte al parossismo come capita ora finiscono poi per placarsi. Che tutto ciò che ha un inizio avrà una fine. In poche parole, che le catastrofi passano e che bisogna cercare di non andarsene prima di loro, ecco tutto. Perciò, prima di tutto vivere: Primum vivere. Giorno per giorno. Resistere, attendere, sperare»
Irène Nemirovsky, Suite francese.


[…] un istinto che diceva loro che le guerre passano, che l'invasore poi se ne va, e che la vita, anche stravolta, anche mutilata, continua.
Irène Nemirovsky, Suite francese.

La musica mi riporta sempre a lui.
Irène Nemirovsky, Suite francese

Dicevano a se stessi che la ragione, persino il cuore potevano renderli nemici, ma che esisteva un accordo dei sensi che nulla avrebbe potuto infrangere, la muta complicità che lega in un comune desiderio l’uomo innamorato e donna concorde.
Irène Nemirovsky, Suite francese


Quando parlava in tedesco, specie con quel tono di comando, la sua voce assumeva una sonorità vibrante e metallica che procurava all’udito di Lucile un piacere simile a quello di un bacio un po’ brutale che finisce in un morso. Si portò piano le mani alle guance brucianti e disse a sé stessa: “Fermati! Allontana i tuoi pensieri da lui, sei su una china pericolosa…”.
Mosse qualche passo verso la porta.
Irène Nemirovsky, Suite francese





Come si sarebbero lasciati? Fra loro c'era tutto un mondo di sfumature ambigue, inespresse, qualcosa di fragile come un cristallo prezioso che una parola sarebbe bastata a spezzare.
Lui forse ne era consapevole, si fermò infatti con lei solamente per un breve momento. Si tolse il cappello, le prese le mani.
Prima di baciarle, appoggiò per un istante su di esse la gota, con un movimento dolce e imperioso insieme. Un tentativo di apporre su di lei, come un sigillo, il fuoco di un ricordo? […]
Lei non rispose. Guardandola vide che aveva gli occhi pieni di lacrime. […]
Lentamente, si strinsero la mano. Lei lo accompagnò sino alla scalinata esterne, dove lo aspettava l'attendente, tenendo il cavallo di Bruno per le redini.
Era tardi, ma nessuno pensava a dormire. Tutti volevano assistere alla partenza dei tedeschi. In quelle ultime ore, una sorta di melanconia, di umana dolcezza legava gli uni agli altri, vinti e vincitori.
Irène Némirovsky, Suite francese


«Signora, dopo la guerra ritornerò. Mi permetta di tornare. Tutti i nostri contrasti tra Francia e Germania saranno vecchi… dimenticati… per almeno quindici anni. Una sera suonerò alla sua porta. Lei mi aprirà e non mi riconoscerà perché sarò in abiti civili. Allora io dirò:“Sono… l'ufficiale tedesco… si ricorda? Ora c'è la pace, la felicità, la libertà. la porto via con me”. Partiremo insieme. Le farò visitare molti paesi. Io naturalmente sarò un compositore famoso, e lei sarà bella come adesso…»
Irène Némirovsky, Suite Francese (Suite Française)





Ha mai sentito parlare, signora, di quei cicloni che infuriano i mari del Sud? Se ho ben capito quello che ho letto, formano una specie di cerchio costellato di tempeste… tempeste lungo il centro immobile, tanto che un uccello o una farfalla che si trovassero nel cuore dell'uragano non ne soffrirebbero affatto, le loro ali non ne riporterebbero il minimo danno, mentre tutt'intorno si scatenerebbero le peggiori devastazioni. Guardi questa casa! guardi noi stessi mentre gustiamo il vino di Frontignan e biscottini e pensi a quello che sta succedendo nel mondo!
Irène Némirovsky, Suite Francese


E tutti compivano gli stessi gesti, pronunciavano le stesse parole.
Irène Némirovsky, Suite francese


Vogliono farci credere che siamo in un’epoca comunitaria in cui l’individuo deve soccombere affinché viva la società, e non vogliamo vedere che quella che soccombe è la società affinché vivano i tiranni.
Irène Némirovsky, Suite francese

[Irène Némirovsky nasce a Kiev, in Ucraina, nel 1903. Nel luglio del 1942 venne arrestata dai nazisti per via delle sue origini russo-israelite e deportata ad Auschwitz. Molti anni dopo, una delle sue figlie riapre quello che pensa essere un semplice quaderno di appunti della madre. Era riuscita a portarlo con sé durante la fuga dalle persecuzioni naziste: scopre invece che si tratta del manoscritto di un romanzo, Suite francese, che diventerà il capolavoro della scrittrice.]


Scritto in presa quasi diretta con gli avvenimenti narrati dei primi bombardamenti su Parigi, con la fuga precipitosa degli abitanti atterriti per l’arrivo dei tedeschi nella capitale francese nel giugno del 1940, la narrazione ci porta al centro di una storia tanto straordinaria quanto struggente. Il progetto iniziale della scrittrice era quello di ritmare le sue pagine nella struttura di una sinfonia per cui – apprendiamo dalle sue stesse note che appaiono in Appendice – avrebbe dovuto avere un andamento in cinque movimenti, ma noi possiamo leggerne solo i primi due, rammaricandoci della forzata “mutilazione”, perché la sfortunata autrice ebbe il drammatico destino di essere arrestata e poi deportata a Auschwitz.. [...] Madre di due figlie, conduce un’esistenza piacevole e agiata finché il destino non le riserva il fatale epilogo. Sarà dalle mani del padre, in seguito vittima della stessa fine, che le due piccole figlie riceveranno il manoscritto con le due prime parti del romanzo. Vivranno nascoste, affidate a una affezionatissima tata per tutto il periodo bellico. È stata molto toccante la testimonianza che ha reso per noi Denise, nel corso di una recente trasmissione radiofonica di Rai tre, dove intervistata da Sinibaldi, ha ricordato come lei e la sorellina avevano atteso il ritorno dei genitori, sperando di rivederli tra i sopravvissuti ai campi di sterminio, e come per molti anni non avevano avuto il coraggio di leggere quelle quattrocento pagine di un romanzo in cui verità e finzione si sposano in un inscindibile e commovente connubio.
La carrellata di personaggi parigini in fuga, descritti dall’autrice, spesso corrisponde a figure reali, veramente conosciuti anche dalle due bambine. Vedasi la famiglia borghese dei Péricand, paradigma della buona borghesia francese, squallidamente conformisti, ingessati nei loro pregiudizi, di cui lo sguardo disincantato dell’autrice ci regala ritratti di alta bravura, ridicolizzandone i limiti e le manie e i tic, in maniera indimenticabile. Così, dopo aver letto della parsimoniosa oculatezza della signora Péricand che imballa ogni cosa per la fuga da Parigi e porta scrupolosamente con sé i suoi beni materiali e i suoi figli e i suoi domestici e il suo spirito caritatevole sempre esibito, non possiamo non restare esilarati dalla sua non certo piccola dimenticanza del suocero disabile in carrozzella: 

Guardò ancora una volta tutto quello che era riuscita a portare con sé, ‘tutto quello che aveva salvato!’: i suoi figli la sua valigetta. Toccò i gioielli e il danaro nascosti sul petto. Sì, in quei terribili momenti aveva agito con fermezza, coraggio e sangue freddo, non aveva perso la testa… Non aveva perso… Non aveva … Improvvisamente gettò un grido strozzato (…) Abbiamo dimenticato mio suocero- disse la signora Péricand, scoppiando in lacrime”.

E scene del genere divertirebbero il miglior Dickens. E le pagine della fiumana ribollente dei parigini in fuga piacerebbero a Tolstoj, citato negli appunti dalla stessa scrittrice.
Ritratto indimenticabili anche quello dello scrittore Gabriel Corte, un esteta preoccupato dei suoi manoscritti che ha orrore della povertà, e quello della ballerina Arlette, disposta a qualsiasi compromesso, per la sua sopravvivenza, cinica ad oltranza. E come dimenticare i coniugi Michaud così saggi nella loro modestia e dolcezza, contrapposti all’arido banchiere? E i collezionisti di preziose porcellane, presi solo dal salvataggio dei loro oggetti? Anche l’episodio degli orfani che si rivoltano all’ingenuo prete diventando spietati aguzzini merita una lunga riflessione, proprio perché la “pietas” della Némirovsky spesso è a doppio taglio, colorandosi dell’ossimoro di note crudeli.
La massa di persone in movimento con i personaggi di cui sopra, intenti a porre in salvo soprattutto mobili, suppellettili e argenteria è contenuto nel primo movimento della “Suite française”, intitolato “Temporale di giugno”; in “Dolce” riappaiono di striscio i coniugi Michaud, forse gli unici capaci di mantenere il dignitoso calore della loro umanità. In questa seconda parte del romanzo, protagonista è soprattutto la storia d’amore tra la francese Lucile e il tenente tedesco che ha requisito la sua abitazione. Un rapporto che non ha implicazioni fisiche, fatto di un dolce sentimento, di un’intesa intellettuale e spirituale, un’affinità così coinvolgente da far dimenticare alla donna e a noi stessi che il tedesco è il nemico.
Resta vivo il rammarico dell’opera incompleta, dei tre tempi finali che l’autrice aveva progettato nei suoi appunti, così come aver visto premiato postumo il romanzo in Francia, ci ha riportato – per associazione d’idee – la malinconica immagine delle medaglie d’oro appese al petto degli orfani dei caduti in guerra.

Grazia Giordani
http://www.graziagiordani.it/recensioni/Suite%20francese%20di%20Irene%20N%E9mirovsky.htm


Suite francese è il titolo dei primi due “movimenti” di quello che avrebbe dovuto somigliare a un poema sinfonico, composto di cinque parti, di cui solo le prime due sono state completate. è il romanzo della riscoperta della Némirovsky che, dopo mezzo secolo di oblio, viene poi ripubblicata in oltre quaranta lingue. La figlia maggiore, Denise, aveva conservato il quaderno contenente il manoscritto, assieme ad altri scritti della madre, per cinquant’anni senza guardarlo, pensando che fosse un diario, troppo doloroso da leggere. Con sguardo lucido e persino distruttivo, Némirovsky tratteggia implacabile una grande civiltà in sfacelo. Il primo “movimento” difatti racconta in un grande affresco corale l’esodo di massa dei francesi che, all’arrivo delle truppe naziste, si spostano con tutto quanto, in un trasferimento di dimensioni bibliche. La seconda parte, invece, descrive i primi mesi dell’occupazione in una piccola città della campagna francese. I protagonisti sono due donne, la vedova Angellier e sua nuora, Lucile, e un ufficiale tedesco, Bruno von Frank. Tra il giovane ufficiale e la sconsolata Lucile scocca una scintilla che presto diventa amore: una vicenda emblematica dello stesso paese che finisce per accogliere i soldati tedeschi come uomini, “dimenticando” la loro natura di nemici.
http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/suite-francese/#descrizione






"David Golder" è un libro che gronda odio, soprattutto verso il denaro e tutto ciò che può essere trasformato in denaro, oggetti e sentimenti, e verso le forme infinite che il denaro può assumere. Oggi, non ci rendiamo conto di cosa sia stato il denaro nel diciannovesimo secolo, o nella prima parte del ventesimo: una fiamma ardentissima, una colata di sangue disseccata, sbarra d'oro sciolte e di nuovo pietrificate.Diventava eros, pensiero, sensazioni, sentimenti, fango, abisso, potere, violenza, furore, come nella Comèdie humaine... David Golder è un libro durissimo e secchissimo, che incide di continuo terribili ritratti, che in parte ricordano la memorialistica e la tradizione aforistica francese.
Irène Nemirovsky, David Golder





ho letto alcuni libri della Nemirovsky, e so anche la sua storia umana, la sofferenza e i rapporti difficili con sua madre. Questo libro, lo confesso, non sono ancora riuscita a prenderlo, proprio per questo odio a cui tu accenni.......lo leggerò........


“Il malinteso” di Irène Némirovsky
a cura: Luciana De Palma
Una donna ama per sedare i suoi tormenti e dolorosamente scopre quanto divergente dalla sua è stata la volontà dell’amante.
Ogni affare d’amore si basa su malintesi: aspettative, rinunce, illusioni, richieste, delusioni, parole, silenzi, bronci, riappacificazioni e poi le infinite attese che rendono la trama amorosa ingarbugliata e imprevedibili come foreste di mangrovie.

La felicità, nelle storie a due, è un finale così tanto bramato che spesso si finisce con il confonderla con l’ostinato desiderio di accaparrarsi tutto quello che ne ha anche solo la parvenza, anche solo un insignificante alone di affinità. Ed allora si mescolano e si tritano nello stesso pentolone la passione sfrenata, il desiderio, il sogno di realizzazione, la ricerca di una bellezza immortale, la frenesia dei gesti, l’ossessione per le risposte, la magia perduta da qualche parte, l’intenzione di selezionare e conservare solo tutto ciò che svetta in una luce di splendido idillio.

La protagonista del romanzo, Denise, è una giovane donna, moglie di un ricco uomo d’affari, che, in vacanza ad Hendaye, conosce Yves, affascinate trentenne, anche lui in villeggiatura. Denise, il cui matrimonio è scivolato sotto la ruota della routine, finendone irrimediabilmente calpestato, prova subito attrazione per Yves che, in quanto cliente dello stesso albergo, è da lei erroneamente ritenuto ricco come il marito. Yves corrisponde nel più meraviglioso dei modi ai suoi palpiti inizialmente sommessi; è attento, vivace, premuroso e appassionato. Denise quindi si concede la libertà di dare ossigeno a tutti i suoi sogni coltivati nella noia del suo matrimonio, può ravvivare la sua anima, facendole toccare quelle dolcezze passionali a cui da sempre aveva aspirato.

Denise ama con una viscerale smania di svelare tutta se stessa, con una fremente voglia di far esplodere tutto l’ardore che ha nutrito a lungo e che a lungo ha dovuto custodire con snervante insofferenza. La pigrizia può essere sostituita dalla frenesia di ardite bugie, la noia è vinta dall’irrefrenabile passione, i giorni sono riempiti di attese che Yves, durante la vacanza, non delude mai. Per Yves lei è come una splendida rivelazione, è l’apoteosi della bellezza e della gioia. I due si amano senza pudori e senza ripensamenti.

Finita la vacanza, si torna a Parigi, afosa, polverosa e banale. La storia clandestina continua, tra l’attrazione e il desiderio consueto. Ma ecco che un primo, velato e quasi insignificante segnale apre una debole crepa su una parete imbiancata troppo in fretta. Yves non è affatto ricco, lo era un tempo, poi le sventure della prima guerra mondiale hanno affossato economicamente la sua famiglia ed ora, per mantenersi, deve lavorare come impiegato. Denise ostinatamente persevera nell’ossessione di voler vedere realizzata la passione a cui tanto ambiva e che aveva fermamente creduto di aver afferrato in questa storia con Yves. La crepa si apre sempre di più, inesorabilmente. Gelosia, vanità, incomprensioni iniziano ad affondare la lama nella fessura che a poco a poco tra i due amanti si allarga a vista.

Denise vorrebbe da Yves ciò che lui non può darle, vorrebbe che fosse ciò che lui non può essere. La certezza di aver trovato un compagno d’anima, uno spirito affine, un amante devoto e sollecito non trova il corrispettivo in Yves che cercava nell’amore niente di più che una pacata tranquillità ed una serena pace. Yves non aveva vuoti da colmare, la sua anima non era lacerata dalla noia, i suoi giorni non sono stati, prima di incontrare Denise, oscurati da solitari vagheggiamenti né da tormentati sospiri. Yves ha le sue preoccupazioni economiche da dover affrontare, le sue paure sono quelle della sopravvivenza, le sue uniche voragini spirituali sono risolte quando, pur di restare accanto a Denise, rinuncia ad un lavoro più remunerativo.

E questo è tutto per ciò che riguarda la sua appassionata vitalità. Denise voleva altro, voleva spingersi verso la felicità e non accontentarsi della pace; voleva l’estasi che perdura a dispetto delle ore che passano, voleva il brio degli impeti mai sopiti. A poco a poco deve affrontare la verità: tutto è stato un malinteso; la comunione di intenti, di volontà, di aspirazioni, di visioni semplicemente non esistono. L’assillante ricerca con cui Denise ha fortemente esplorato tutto il territorio a lei circostante pur di non assistere alla fine della sua vita, alla fine dei suoi ardori, dei suoi slanci appassionati deve ad un certo punto avere termine. Non c’è corrispondenza tra le sue aspirazioni e ciò che Yves può darle. Egli neppure può giurare che ciò che prova per lei sia amore, l’amore che da lei si aspetta di ricevere. I silenzi sono orribili abissi in cui una storia d’amore precipita senza alcuna possibilità di salvezza.

Il linguaggio dell’autrice, forte e diretto, esplicito senza togliere mai le ombre del dolore e del dubbio afferrano il lettore in un vortice di lucidità spietata, mostrando, in ogni pagina, con chiarezza ed equilibrio l’inesauribile mancanza di reciprocità e di condivisione che a null’altro può condurre se non alla fine di un amore. [Denise] come una bambina alle prese con un problema che non capisce, si limitava a ripetere incessantemente: “Ecco, è finita … Io non lo sapevo che era quella, la felicità… Ed ora è finita…”.
http://www.ruvolive.it/rubriche/701/articoloDett.aspx


“Il malinteso” di Irène Némirovsky
…in piena fin de siècle, epoca d’oro in cui a Parigi c’erano ancora persone che potevano permettersi di non far niente, in cui si assecondava il capriccio con applicazione e il vizio con orgoglio, in cui per la maggior parte degli esseri umani la vita scorreva placida e incanalata come un ruscello del quale già alla sorgente è possibile intuire che avrà un corso tranquillo e una lunghezza più o meno prevedibile.
E’ il primo romanzo della Némirovsky, scritto quando la scrittrice era appena ventitreenne. Il giovane Yves è in vacanza a Hendaye, ultimo paese sulla costa basca francese prima del confine con la Spagna. Reduce della Prima guerra mondiale in Belgio, dove era stato ferito, è un modesto impiegato ma con un po’ di economie riesce a permettersi una volta l’anno una vacanza sopra le righe (…..uno stile di vita in cui il superfluo aveva la meglio del necessario), in virtù di un passato benestante, quando era bambino, prima dei rovesci economici della sua famiglia. E’ anche un discreto dongiovanni tanto che cambiava spesso donna – a suo giudizio, infatti, solo il primo bacio valeva qualcosa – e praticava a meraviglia quell’arte prettamente moderna che consiste nel ‘piantare le donne’, delle quali sapeva sbarazzarsi con eleganza.
Nel corso della sua vacanza solitaria si imbatte in spiaggia in Denise, una giovane signora, lasciata spesso sola in albergo con la figlioletta France dal marito, importante uomo d’affari.
Così com’era in quel momento, bruna e rosea, con un costume da bagno la cui stoffa leggera lasciava indovinare ogni curva del suo corpo, quella giovane donna apparteneva un po’ anche a lui, uno sconosciuto, al quale si mostrava nuda come a un amante.
In breve, tra i due sboccia l’amore, che continua al ritorno a casa dopo la vacanza, tanto più dopo che Yves ha scoperto che il marito della signora era suo vicino di letto durante la degenza in ospedale in Belgio, la qual cosa gli permette di frequentare liberamente la loro casa. A Parigi tuttavia la differenza di status sociale tra i due amanti diventa evidente e Yves, sempre in bolletta, ne soffre. Denise, ricca e volubile, assoluta padrona del proprio tempo libero e continuamente alla ricerca della felicità, cerca di supplire con la passione al progressivo e orgoglioso distacco di Yves.
Ma lui non capiva quel bisogno tutto femminile di sicurezza, quel desiderio ossessivo di averlo accanto e quella specie di paura di perderlo, come se, a parte lui, non esistesse nient’altro al mondo.
Niente da fare, Yves si rinchiude ancor più in se stesso, incapace di assaporare a fondo l’amore né di approfittare delle profferte economiche di Madame: “Con lei bisognerebbe essere psicologicamente sempre in smoking. E io, ahimè, non posso permettermelo…
Gli incontri clandestini, alle spalle dell’inconsapevole marito, si fanno sempre più radi e alla scadenza di un anno dall’inizio della storia, grazie ad un malinteso che lascio scoprire al lettore, la relazione ha termine.
Con un lieve rimpianto da parte di Yves: …..Era in momenti come quelli che capiva con chiarezza perché ci si sposa: per avere una presenza accanto, un fruscio di gonne intorno, qualcuno a cui raccontare cose insignificanti, qualcuno con cui prendersela senza motivo quando si è di malumore, qualcuno che c’è anche se si sta in silenzio.
Con la grande disperazione di Denise che non aveva ancora capito dove stava di casa la felicità: …Come una bambina alle prese con un problema che non capisce, si limitava a ripetere incessantemente: “Ecco, è finita…Io non lo sapevo che era quella la felicità, la felicità….E ora è finita….” Lettura per chi apprezza le relazioni tormentate e materiale da farci un film.
….nell’aria percepì di nuovo il profumo di cannella e di aranci in fiore portato dal vento andaluso. …tramonti brevi seguiti da notti spagnole che spingevano verso il mare tutti i profumi dell’Andalusia….Mi domando se è un veniale errore, una piccola licenza letteraria o se effettivamente, per qualche misterioso canale, i profumi dall’Andalusia attraversano la Spagna e giungono ai Paesi Baschi.
Irène Némirovsky è stata un grande personaggio, con un talento naturale per la scrittura. Ha lasciato decine di romanzi e racconti, alcuni dei quali pubblicati postumi. La sua stessa vita, conclusa drammaticamente ad Auschwitz, è stata un grande romanzo.
Riccardo Caldara's blog
http://www.riccardocaldara.net/?p=2101

IL MALINTESO - IRÈNE NÉMIROVSKY

Postato da Annalisa Bizzarri in Recensioni - A pesca di libri

Il malinteso
Irène Némirovsky
Traduzione di Marina Di Leo

Scritto a soli ventitré anni, Il malinteso è il primo libro di Irène Némirovsky, apparso in rivista nel 1926 e in volume solo tre anni dopo.
Tra Hendaye, piccolo centro balneare spagnolo, e Parigi nasce e si sviluppa la storia d’amore di Denise, ragazza aristocratica e viziata, sposata a un ricco uomo d’affari, e Yves, scapolo trentenne un tempo anch’egli ricco ma ora, sull’onda del disastro della Prima Guerra Mondiale, costretto a lavorare come impiegato per sopravvivere. Una storia passionale, travolgente anche se inquieta.

Denise, così coinvolta nella relazione, immobilizzata da continue ansie, non presta attenzione al tormento di Yves, alle sue difficoltà economiche: “Con lei” pensò Yves con insolita irritazione, “bisognerebbe essere sempre psicologicamente in smoking. E io ahimè non posso permettermelo…”. Yves, invece, sempre oppresso dalla sua condizione, spera di trovare nella sua amante la pace, la tranquillità, con cui evadere dalle angosce quotidiane. All’entusiasmo iniziale della vicenda d’amore, ambientata nel paesaggio marino, fresco e pulito di Hendaye, fa riscontro l’appiattimento nella vita quotidiana a Parigi, su cui cala un caldo soffocante. Anche la relazione clandestina dei due amanti sembra effettivamente soffocarli. Essi sperano, si illudono, si pongono domande, cercano risposte, ma alla fine resta l’incomprensione, l’incomunicabilità, la distanza, resa ancora più intollerabile dalla differenza sociale, dalla mancanza di una concreta disponibilità economica. Resta il dubbio su come sarebbe potuto essere, su come sarebbe potuta andare.

La Némirovsky non delude mai. Benchè sia stata scritta in giovane età, in questa prima opera già si riconosce lo stile unico della scrittrice. Essa esibisce una tecnica di scrittura che riapparirà nei suoi romanzi successivi con tema simile (come in Due e in I falò d’autunno), con la descrizione tutta aggettivale di atmosfere eleganti, con l’analisi rigorosa degli aspetti psicologici dei personaggi, calati in ambienti diversi, descritti con meticolosità e così strettamente legati alla loro psicologia.
http://www.librandum.it/il-malinteso-irene-nemirovsky



*********************************************************************************

E’ il 2004 quando le Edizioni Denoël pubblicano in Francia Suite francese, il romanzo incompiuto al quale Irene Nemirovsky stava lavorando prima che venisse arrestata e internata. Secondo un suo progetto, l’opera doveva comporsi di cinque parti, per la precisione sarebbe dovuta essere una sinfonia dall’andamento in cinque movimenti, ma la scrittrice riuscì a realizzarne solo due, dal titolo Tempesta in giugno e Dolce, delle successive sono pervenuti solo alcuni appunti dai quali si apprende che sarebbero state intitolate rispettivamente Prigionia, Battaglie e La Pace.

L’argomento trattato è quello dell’occupazione tedesca in Francia e, per la precisione, nella prima parte viene narrata la fuga di alcuni parigini dalla città attraverso una lucida descrizione delle singole reazioni dei numerosi personaggi di fronte ai tragici eventi dell’arrivo dei nemici, in particolare quelle della famiglia borghese Péricand. La narrazione è scandita da un ritmo lento, che permette al lettore di cogliere un crescendo di sentimenti di tristezza sulla condizione umana di fronte al flagello bellico. Non mancano, come in tutti i romanzi della scrittrice francese, le contraddittorietà dell’animo umano e dei rapporti interpersonali attraverso un’analisi obiettiva, dove a parlare sono i gesti e le scelte dei protagonisti stessi. Nella seconda parte è invece raccontata la relazione d’amore tra un soldato tedesco e una donna francese che non conosce la sorte del marito sul fronte.
La storia del manoscritto, giunto alle stampe così tardi, racchiude in sé un alone di nostalgia e di amarezza, nonché di drammaticità, se si considerano gli eventi di cui fu protagonista.

La bambina con la valigia.
Irene Nemirovsky ebbe due figlie, Denise ed  Élisabeth che quando rimasero senza madre avevano rispettivamente tredici e cinque anni. In seguito alla deportazione del padre furono consegnate ad amici fidati di famiglia, fino a che passarono sotto la tutela di Albin Michel e Robert Esmenard, editori delle opere materne, sino alla maggiore età. Gli anni che seguirono l’arresto dei genitori furono segnati da fughe continue dalla polizia francese e dalla Gestapo, le due bambine passarono da un nascondiglio all’altro, come cantine e un convitto di suore. Nei giorni della Liberazione le due sorelle aspetteranno, invano,  presso la Gare dell’Est, l’arrivo a casa dei sopravvissuti dei campi. Tutto quello che restava della loro famiglia era una valigia che, prima di essere arrestato, Michael Epstein aveva affidato alla figlia maggiore la quale, una volta adulta, troverà il coraggio di aprire scoprendo il quaderno degli appunti di Suite francese e che deciderà di ricopiare e di dare alle stampe nel 2004. Gli eventi che portarono alla pubblicazione del romanzo sono stati narrati nel testo edito da Adelphi, Sopravvivere e vivere, scritto dalla stessa Denise Epstein, mentre la sorella Élisabeth Gille ha pubblicato nel 1992 una biografia della madre, definita “sognata” dal titolo, Mirador. Irene Nemirowsky, mia madre, in prima persona e pubblicato in Italia dall’Editore Fazi.

Chi era Irene Nemirovsky.
Originaria della Russia, da dove fuggì con la sua famiglia a causa di una taglia che i Soviet misero sulla testa di suo padre Leonid Borisovitch Némirovsky, ricco banchiere, Irene Nemirovsky si trasferì in Francia, a Parigi. Si laureò alla Sorbonne nel 1924 e subito dopo cominciò a pubblicare i suoi primi romanzi. Il primo, “Il malinteso”, uscì nel 1926, lo stesso anno in cui sposò il banchiere Micheal Epstein, anch’egli ebreo di origini russe. La coppia condusse un’esistenza agiata, lontana dagli ambienti della ricca borghesia ebraica, con l’intento di prendere le distanze da un mondo che volevano dimenticare. Il successo letterario arrivò con il romanzo David Golder, pubblicato anonimo nel 1929 che narra la scalata sociale di un povero ebreo, ossessionato dal denaro, fino all’alta finanza. Seguirono altre pubblicazioni degne di nota, come Il vino della solitudine, Il signore delle anime, Come le mosche d’autunno, Jezabel, I cani e i lupi.
Nel 1939 la scrittrice si convertì al cattolicesimo e chiese più volte la cittadinanza francese, che però le venne sempre negata, così come non potette sottrarsi al tragico destino a cui andò incontro in quegli anni la sua popolazione di origine. Fu arrestata e deportata nel luglio del 1942 e inutili furono i tentativi del marito di riuscire a liberarla. Morirono entrambi ad Auschwitz a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra.

La figura della matrigna nelle sue opere.
Anna Margoulis (1887-1989), questo il nome della madre di  Irène Némirovsky, viene ricordata come una donna frivola, egoista e avida, che affidò sua figlia alle cure di una governante francese. La conflittualità del rapporto madre-figlia è un tema molto ricorrente nelle opere dell’autrice. Numerose sono le figure di madri interessate unicamente alla scalata sociale e al culto della bellezza, fino ad instaurare un legame di competizione con la propria figlia. Nel racconto Il ballo, Antoinette, ragazzina di quattordici anni, esplicita parole di odio e ripugnanza verso la madre

"Arricchiti volgari, ignoranti… Ah, come aveva riso di loro tutta la sera! E loro naturalmente non si erano accorti di nulla […]. Con che diritto la mandava a letto, la puniva, la ingiuriava? Ah, vorrei che morisse!"
Irène Némirovsky, Il ballo


sentimenti che la porteranno a meditare un’amara vendetta, simbolo del desiderio dell’allontanamento dalla figura materna, che segna il passaggio all’età adulta. Il romanzo più emblematico che mette in luce questo rapporto così conflittuale, resta Jezabel, il cui titolo prende il nome della madre crudele di Athalie, tragedia scritta da Racine, dove la protagonista, vive il dramma del passare degli anni come la più grande tragedia della sua via, nonostante abbia dovuto affrontare eventi drammatici come la morte della figlia. Gladys, questo il suo nome,  donna attraente dell’alta borghesia francese, processata per l’omicidio di un giovane amante, viene descritta dalla Nemirovsky come una dura priva di scrupoli e di pietà che fino ai diciott’anni era vissuta accanto ad una madre fredda, severa, una vecchia bambolina imbellettata e mezza matta, ora frivola, ora terrificante, che trascinava in ogni angolo della terra la sua noia, sua figlia, i suoi gatti persiani.

La protagonista appare dunque una vittima del proprio destino.
Figlia di una donna incapace di mostrare affetto, si rivela ella stessa una madre anaffettiva, votata al culto della bellezza e del denaro, tratti che contraddistinsero la stessa figura materna dell’autrice che, secondo quando scoperto alla sua morte, pare avesse conservato una copia di Jezabel.

Denise Epstein ricorda sua madre come una donna affettuosa che proteggeva le sue figlie dalle brutture del mondo, mentre della nonna sua sorella riporterà le parole da lei pronunciate quando si rifiutò di aprire la porta alle nipotine condotte da lei dalla governante alle quali erano state affidate dopo l’arresto di Micheal Epstein, «Esistono istituti per bambini bisognosi a cui rivolgersi».


Non puoi cambiare il tuo corpo, non puoi cambiare il tuo sangue, né il tuo desiderio d ricchezza, né il tuo desiderio di vendetta.
Irene Nemirovsky,Il signore delle anime


In Mirador la figlia Elizabeth scrive

Nella mia adolescenza ce l’avevo con lei per via della sua mancanza di coscienza politica. Non era scappata, sebbene avesse avuto la possibilità di farlo, e aveva messo mia sorella e me in pericolo. Siamo state arrestate e avremmo dovuto, a rigor di logica, finire come lei e come mio padre, ad Auschwitz. La sua cecità era criminale. Negli anni Trenta, persino nella sua opera, non era affatto colpita di quanto accadeva ai poveri ebrei dei quartieri popolari di Parigi. Mia madre tuttavia non era di destra: giustificava la Rivoluzione sovietica. Ma viveva in un mondo privilegiato senza capire cosa accadesse attorno a lei. Sembra che quando il poliziotto l’ha condotta alla prefettura per consegnarla ai tedeschi, nel 1942, le abbiano proposto di fuggire. E lei abbia risposto : “Non andrò due volte in esilio”.
http://www.leggeremania.it/2014/02/11/irene-nemirovsky-scrittrice/



Cinque straordinari romanzi brevi di Irène Némirovsky.
Kiev, Ucraina, 1903: in una famiglia di banchieri ebrei nacque Irène Némirovsky, che sarebbe diventata una delle più importanti scrittrici francofone del Novecento, malgrado la sua prematura morte.

Mentre il padre era concentrato nel lavoro e la madre su se stessa, Irène veniva educata dalle istitutrici. Dopo essere fuggiti dalla Russia bolscevica, i Némirovsky arrivarono in Francia dove lei cominciò a scrivere. Era giovanissima e le sue opere erano così mature che alcuni credettero che non fossero farina del suo sacco, ma che prestasse il nome ad un autore già affermato.

Il successo arrivò come una ventata d’aria fresca: nel 1929, dopo la pubblicazione di David Golder, la critica fu estasiata. Irène era però consapevole che la felicità stava finendo. Infatti tanto travolgente fu la fama quanto fu gelido il primo Statuto degli ebrei nell’ottobre del 1940, che le tolse la possibilità di pubblicare opere. I nazisti potevano proibirle di esporre un libro nella vetrina di un negozio, ma non sarebbero riusciti a strapparle la penna di mano, come dimostra una sua annotazione: «Sto scrivendo molto, immagino che saranno opere postume […]».
La Némirovsky venne deportata ad Auschwitz nel luglio del ’42 e vi morì un mese dopo.
Fu una delle figlie a pubblicare, svariati anni dopo, i suoi manoscritti. Forse lei non ne può godere, ma è certo che la seconda ondata di successo è arrivata, probabilmente più inebriante della prima: cinque dei suoi romanzi brevi ne spiegheranno il perché.

Il malinteso.
L’incapacità di rinunciare alle comodità della ricchezza.
Il malinteso, storia di un amore adultero. Irène Némirovsky è oggi conosciuta soprattutto grazie a Suite francese, ma, considerando la sua vasta produzione, può essere definita una regina del romanzo breve. Nel 1923 scrisse Il malinteso. L’autrice aveva all’epoca vent’anni, ma aveva già scelto uno dei suoi temi preferiti: l’insofferenza nei confronti di chi conduce una vita troppo agiata e pensa solo a soddisfare i propri capricci è evidente nella descrizione del personaggio di Denise.
Protagonista è qui l’amore adultero tra la già citata Denise, giovane donna sposata e madre di Francette, e lo scapolo Yves. I due si conoscono a Hendaye, in villeggiatura, ma il loro amore è all’inizio così intenso che la storia prosegue anche una volta tornati a Parigi. Il malinteso che dà il titolo all’opera sorge fin da subito, perché Denise vive sulle spalle del ricco marito e spera che Yves possa strapparla alla malinconia delle sue giornate vuote. La donna quindi non capisce che l’amante è in realtà povero e deve far fronte ai quotidiani ostacoli che la vita gli presenta.



Il ballo.
La vendetta segreta di Irène attraverso Antoinette.
Il rapporto madre-figlia in uno dei più famosi romanzi brevi di Irène Némirovsky, Il ballo.
L’ambiente sociale in cui l’autrice crebbe fu quello borghese, smodatamente ricco e infarcito di feste in cui la protagonista indiscussa era l’ipocrisia. Il ballo (1930) è un romanzo nel quale l’astio della scrittrice nei confronti degli artifici di questa realtà forzatamente costruita emerge grazie al ricorso ad un linguaggio forte e diretto, che descrive nei minimi particolari la preparazione di una serata all’insegna dello sfarzo e del divertimento.
La Némirovsky ne approfittò per esprimersi anche riguardo ad un’altra questione: la pessima opinione sulla madre traspare in modo evidente nella protagonista Antoinette che, per l’appunto, detesta la propria. Rosine Kampf è infatti priva di ogni istinto materno: l’affetto nei confronti di Antoinette è così scarso che preferisce farle trascorrere la serata in uno sgabuzzino anziché con gli ospiti. Tutti i suoi piani però sfumeranno, mandati a monte proprio dalla figlia, a cui Rosine aveva affidato il compito di spedire gli inviti.
Antoinette, dopo tante sopportazioni, aspetta il momento propizio in cui l’odiata madre non si trova nei paraggi per gettare gli inviti nel fiume. Ne consegna solo uno: quello per l’insegnante di musica, che sarà ovviamente l’unica ospite al tanto agognato ballo. La donna vedrà così sgretolarsi tutti i progetti di un avvenire prospero a braccetto con la gente “che conta”, mentre la figlia assisterà con indifferente crudeltà alla sua disperazione. La ragazza, imprigionata nella dimensione adolescenziale, è in realtà profondamente sola.



David Golder
La miseria della vita e la solitudine della morte.
David Golder, la storia di un uomo d'affari che deve affrontare la sua miseria.
David Golder (1930) spiana all’autrice la strada verso il successo. Per quanto Irène Némirovsky non rinunci mai a sparpagliare dettagli personali tra le pagine dei suoi scritti, in quest’opera i rimandi alla vita privata sono ancora più lampanti, a partire dalla corrispondenza tra il protagonista e il padre della scrittrice.
David Golder è un ricco uomo d’affari ebreo, la cui fortuna comincia dall’arrivo in Europa. Gli affari assorbono il suo tempo e prosciugano le sue energie, ma per il protagonista sono preferibili alla vita quotidiana. Questa fuga dalla realtà non può però protrarsi a lungo e un malore lo coglie sul treno per Biarritz. Lì stanno trascorrendo le vacanze la moglie e la figlia e, al suo arrivo, David Golder si scontra con i problemi che ha sempre voluto evitare, come l’amante della prima o il corteggiatore della seconda. L’uomo incassa i dispiaceri e il suo corpo reagisce con un altro malore.
L’insensibile moglie dissolve allora la nebbia che lo protegge dalla verità, spiattellandogli tutto ciò che Golder non ammette, compreso il fatto che Joyce non è figlia sua. Questo episodio rappresenta un punto di svolta: il protagonista si rilancia a capofitto negli affari, ora consapevole della propria miseria, con l’intenzione di aiutare la figlia sprofondata nell’abisso della povertà dopo il suo allontanamento. Per antitesi Golder morirà tra le braccia di un ebreo povero. Sembra quasi una profezia la frase che lui stesso aveva pronunciato all’inizio:
«Alla fine si crepa […] soli come cani, così come si è vissuti».



Jezabel.
Un Dorian Gray al femminile.
In Jezabel emerge lo spietato ritratto della madre di Irène Némirovsky.
Se in David Golder è riconoscibile la figura del padre, con il personaggio di Gladys in Jezabel (1936) Irène Némirovsky presenta ai suoi lettori la madre, attraverso un ritratto palesemente contorto dall’odio e dal rancore represso per anni. Dall’opera sembra che l’autrice la disprezzi tanto da esserne quasi ossessionata, finché non trova il coraggio di affrontare il peggiore dei suoi incubi e trasformarlo in un capolavoro.
Jezabel racconta la storia di una donna attraente e agghiacciante, che viene introdotta al lettore mentre è processata in tribunale con l’accusa di assassinio. Da questo momento la narrazione retrocede per dare spazio alla vita della donna. Gladys partecipa alle feste, si concede il lusso più sfrenato, è alla continua ricerca di attenzione e ha la capacità di manipolare gli uomini e di farli cadere ai suoi piedi con la rapidità di uno schiocco di dita. In questo mondo che le ruota intorno ha tanti complimenti da ricevere quanto poco è l’affetto da dare alle persone.
La donna non è tuttavia immune dai tormenti interiori: sente nella sua testa il ticchettio delle lancette dell’orologio della vecchiaia, come se il tempo scorresse nel letto di un fiume in piena pronto a travolgerla, impedendole così di essere eternamente giovane. Irène Némirovsky ha usato il personaggio di Gladys per mettere a nudo l’egocentrismo della madre, che è qui protagonista come oggetto sia di un’analisi psicologica, sia di un’inflessibile critica.



Il vino della solitudine.
Il dolore indelebile dell’infanzia e il desiderio di guardare avanti.
Il vino della solitudine, il più sincero dei romanzi brevi di Irène Némirovsky.
Irène Némirovsky voleva condividere indirettamente con qualcuno la sua triste infanzia.
Il peso della solitudine gravava su di lei annodandole lo stomaco, per questo l’unica soluzione era riversare le sue sofferenze in un manoscritto. Nacque così Il vino della solitudine (1935), in cui l’autrice si dipinge nel personaggio di Hélène.
La protagonista, ancora bambina, avverte il contrasto tra la mancanza di affetto da parte dei genitori e il loro tentativo di colmare quel vuoto con il denaro. I loro continui spostamenti alla ricerca del benessere economico spingono Hélène a trovare consolazione nelle coccole amorevoli della balia, che sostituisce la madre nelle preghiere della piccola. La bimba ha un carattere taciturno, ma osserva tutto con attenzione e percepisce l’infelicità intorno a sé: è come un gas nocivo che le si insinua nelle viscere e che non riuscirà mai a smaltire. Avverte anche sentimenti inconsueti per una persona della sua età, come l’istinto omicida che l’assale alla vista della madre.
Mentre negli altri romanzi la scrittrice tenta di nascondere la proiezione di se stessa, in questo i riferimenti sono trasparenti. Irène si racconta senza paura, raggiungendo una tranquillità che le permette di frenare Hélène dal vendicarsi nei confronti della donna che l’ha trascurata. Diventata ormai adulta e davanti alla madre consumata dalla vecchiaia, decide infatti di non assecondare l’istinto che la renderebbe a lei tanto simile. Accetta perciò l’eterna solitudine interiore, ma perlomeno consapevole di essere una persona migliore.

https://www.cinquecosebelle.it/cinque-straordinari-romanzi-brevi-di-irene-nemirovsky/







Nessun commento:

Posta un commento