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sabato 19 gennaio 2013

Nelson Goodman. “Il modo di essere del mondo”. A volte i filosofi confondono le caratteristiche del discorso con le caratteristiche dell’oggetto del discorso. È difficile che si arrivi a sostenere che il mondo consiste di parole solo perché una sua descrizione vera consiste di parole; eppure talvolta si suppone che il mondo presenti la medesima struttura di una sua descrizione



Nelson Goodman. Linguomorfismo e misticismo.
A volte i filosofi confondono le caratteristiche del discorso con le caratteristiche dell’oggetto del discorso. È difficile che si arrivi a sostenere che il mondo consiste di parole solo perché una sua descrizione vera consiste di parole; eppure talvolta si suppone che il mondo presenti la medesima struttura di una sua descrizione. Questa tendenza può sfociare persino nel linguomorfismo qualora il mondo venga concepito come costituito da oggetti atomici corrispondenti a certi nomi propri e di fatti atomici corrispondenti a enunciati atomici. Ci imbattiamo in una vera e propria ‘reductio ad absurdum’, poi, quando qualche filosofo d’occasione afferma che una descrizione semplice risulterà adeguata soltanto se il mondo è semplice; o asserisce (e l’ho sentito dire in tutta serietà) che una descrizione coerente sarà una deformazione a meno che il mondo non sia anch’esso coerente. Secondo questa linea di pensiero presumo che, prima di descrivere il mondo in italiano [nel testo originale, qui sotto riportato: ‘in inglese’], dovremo stabilire se esso è scritto in italiano ed esaminarne molto attentamente la grafia.
È abbastanza ovvio che la lingua, la scrittura, la presentazione tipografica, la prolissità di una descrizione non riflettono alcuna caratteristica parallela del mondo. La coerenza è una caratteristica delle descrizioni, non del mondo: la domanda appropriata non è se il mondo sia coerente, ma se lo è la nostra spiegazione. E ciò che intendiamo con «semplicità» del mondo è soltanto la semplicità che riusciamo a ottenere nel descriverlo.
La confusione di cui ho parlato è relativamente evidente nel caso di enunciati isolati e, pertanto, relativamente meno pericolosa dell’errore di supporre che la struttura di una descrizione sistematica vera rispecchi la struttura del mondo. Poiché un sistema consta di termini o elementi di base o primitivi o di una gerarchia progressiva costruita a partire da questi, si potrebbe facilmente giungere a supporre che il mondo debba essere costituito di corrispondenti elementi atomici connessi in modo analogo. Nessuna teoria avanzata negli ultimi anni da eminenti filosofi sembra più ovviamente erronea della teoria raffigurativa del linguaggio. Eppure ancora si trovano acuti filosofi che ricorrono frettolosamente a una nozione di qualità o particella assolutamente semplice. E molti di coloro che non commettono l’errore di pensare che il mondo sia divisibile unicamente in elementi ultimi, pensano tuttavia che i ‘significati’ debbano essere analizzati mediante una scomposizione del genere, sottoscrivendo così l’assolutismo che si cela nella distinzione tra proposizioni analitiche e sintetiche.
[…]
Ciò che voglio discutere è una spiacevole sensazione che mi prende ogniqualvolta metto in guardia contro la confusione in questione. Mi par di sentire, infatti, l’anti-intellettualista, il mistico – il mio grane nemico – apostrofarmi più o meno così: «Certo, si tratta proprio do ciò che da tempo vado dicendo. Ogni descrizione non è che una misera caricatura. La scienza, il linguaggio, la percezione, la filosofia – nessuna di queste cose potrà mai darci un ritratto assolutamente fedele del mondo così come esso è. Tutte introducono delle astrazioni o convenzionalizzazioni di questo o di quell’altro tipo; tutte filtrano il mondo attraverso la mente, i concetti, i sensi, il linguaggio; e tutti questi strumenti di filtraggio deformano in qualche modo il mondo. Il punto non è che ciascuno dia soltanto una verità parziale, ma che ciascuno introduce proprie deformazioni. Non otteniamo mai, neanche parzialmente, un ritratto realmente fedele del modo di essere del mondo». 
Qui parla il bergsoniano, l’oscurantista, che mentre sembra ripetere le mie stesse parole, in realtà sta chiedendo: «Qual è la differenza fra noi? non possiamo essere amici?». 
[…]
Poiché il mistico è interessato al modo di essere del mondo e scopre che non v’è possibilità di esprimerlo o descriverlo, la sua risposta ultima alla domanda circa il modo di essere del mondo dovrà essere il silenzio, come egli stesso riconosce. Poiché io sono invece interessato ai modi di essere del mondo, la mia risposta consisterà nel costruire una o molteplici descrizioni. La risposta alla domanda «Qual è il modo di essere del mondo? Quali sono i modi di essere del mondo?» non è il silenzio, ma un continuo discorrere.”
NELSON GOODMAN (1906 – 1998), “Il modo di essere del mondo”, trad. di Antonio Rainone, in AA.VV., “Novecento filosofico e scientifico”, a cura di Antimo Negri, Marzorati, Milano, 1991, 5 voll., vol. II ‘Protagonisti’, 1. ‘Introduzione’, pp. 907 - 908; 5. ‘Il modo di essere del mondo’, p. 913.



“ Philosophers sometimes mistake feature of discourse for features of the subject of discourse. We seldom conclude that the world consists of words just because a true description of it does, but we sometimes suppose that the structure of the world is the same as the structure of the description. This tendency may even reach the point of linguomorphism when we conceive the world as comprised of atomic objects corresponding to atomic sentences. A ‘reductio ad absurdum’ blossoms when an occasional philosopher maintains that a simple description can be appropriate only if the world is simple; or asserts (and I have heard this said in all seriousness) that a coherent description will be a distortion unless the world happens to be coherent. According to this line of thinking, I suppose that before describing the world in English we ought to determine whether it is written in English, and that we ought to examine very carefully how the world is spelled.
Obviously enough the tongue, the spelling, the typography, the verbosity of a description reflect non parallel features in the world. Coherence is a characteristic of descriptions, not of the world: the significant question is not whether our account of it is. And what we call the simplicity of the world is merely the simplicity we are able to achieve in describing it.
But confusion of the sort I am speaking of relatively transparent at the level of isolated sentences, and so relatively less dangerous than the error of supposing that the structure of a veridical systematic description mirrors forth the structure of the world. Since a system has basic or primitive terms or elements and a graded hierarchy built out of these, we easily come to suppose that the world must consist of corresponding atomic elements put together in similar fashion. No theory advocated in recent years by first-rate philosophers seems more obviously wrong than the picture theory of language. Yet we still find acute philosophers resorting under pressure to a notion of absolutely simple qualities or particles. And most of those who avoid thinking of the world as uniquely divisible into absolute elements still commonly suppose that ‘meanings’ do resolve thus uniquely, and so accept the concealed absolutism involved in maintaining the distinct between analytic and synthetic propositions.
[…]
What I want to discuss is an uncomfortable feeling that come upon me whenever I warn against the confusion in question. I can hear the anti-intellectualistic, the mystic – my arch enemy – saying something like this: ‘Yes, that’s just what I’ve been telling you all along. All our descriptions are a sorry travesty. Science, language, perception, philosophy – none of these can ever be utterly faithful to the world as it is. All make abstractions or conventionalizations of one kind or another, all filter the world through the mind, trough concepts, trough the senses, through language; and all these filtering media in some way distort the world. It is not just that each introduces distortion of its own. We never achieve even in part a really faithful portrayal of the way the world is’.
Here speaks the Bergsonian, the obscurantist, seemingly repeating my own words and asking, in effect, ‘What’s the difference between us? Can’t we be friends?’.
[…]
Since the mystic is concerned with the way the world is and finds that the way cannot be expressed, his ultimate response to the question of the way the world is must, as he recognizes, be silence. Since I am concerned rather with the ways the world is, my response must be construct one or many descriptions. The answer to the question ‘What is the way the world is? What are the ways the world is?’ is not a shush, but a chatter.”
NELSON GOODMAN, “The Way the World Is” (This paper was read at Princeton University in November, 1955, and has since been read at Harvard and Brandeis Universities.), in ‘The Review of Metaphysics’, Philosophy Education Society Inc., Washington, Vol. 14, No. 1 (Sep., 1960), pp. 48 – 56, 1. ‘Introduction’, pp. 48 – 49; 5. ‘The Way the World Is’, p. 55. Rist. In NELSON GOODMAN, “Problems and Projects”, Bobbs-Merrill, Indianapolis & New York 1972, pp. 24 – 32.

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