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lunedì 25 giugno 2012

Lenau. poesia di ‘I tre zingari’: O che, sono io forse al mondo per attuare delle idee? Per contribuire con il sacrificio del mio io a incarnare il concetto di ‘Stato’, o a dar corpo all’idea di famiglia ammogliandomi e procreando figli? Che importa a me di tale missione? Io vivo tanto poco per una vocazione, quanto il fiore per il profumo



Max Stirner.  La storia è proprietà del singolo.
“Ma che il singolo sia per sé solo una storia del mondo e che il rimanente delle storia universale sia cosa sua, è concetto che oltrepassa l’idea cristiana
  • Per il cristiano la storia rappresenta qualcosa di superiore all’individuo, perché essa è la storia di Cristo, ossia ‘dell’uomo’ per eccellenza; 
  • per l’egoista invece non ha valore che la storia propria, perché egli non intende svolgere l’idea dell’umanità, non i progetti divini, non le intenzioni della provvidenza, non la libertà. Egli non vede in se stesso uno strumento dell’idea, un vaso divino; egli non riconosce a sé prefissa alcuna missione; egli non ritiene di esistere per contribuire allo sviluppo della società umana; egli vive per sé senza curarsi se per l’umanità sia un bene o un male.
Se non temessi di essere frainteso, facendo credere che io intenda lodare lo ‘stato di natura’, vorrei ricordare qui la poesia di Lenau, ‘I tre zingari’:
"O che, sono io forse al mondo per attuare delle idee? Per contribuire con il sacrificio del mio io a incarnare il concetto di ‘Stato’, o a dar corpo all’idea di famiglia ammogliandomi e procreando figli? Che importa a me di tale missione? Io vivo tanto poco per una vocazione, quanto il fiore per il profumo". 
L’ideale ‘dell’uomo’ non si attuerà se non quando si sarà invertita la tesi del concetto cristiano. Io, l’ ‘Unico’, sono l’uomo. La questione ‘che cos’è l’uomo?’ si muta così nella questione ‘chi è l’uomo?’ Nel ‘che cosa’ si cercava il concetto; nel ‘chi’ la questione è senz’altro risolta, perché la risposta è data da quello stesso che interroga. La risposta a quella domanda viene da sé.
Si dice a proposito di Dio: <Non v’ha nome che valga a definirti>. La stessa cosa è dell’ ‘Io’; nessun ‘concetto’ può esprimerlo, nessuna parola definirlo adeguatamente. E si dice ancora di Dio, che egli è perfetto e che perciò non gli incombe alcuna missione che miri alla perfezione. Ebbene, la stessa cosa si deve pur dire dell’ ‘Io’.
Padrone della mia forza sono ‘io’, nel momento in cui acquisto consapevolezza di essere ‘unico’. Nell’ ‘unico’ il possessore si dissolve nel nulla creatore, dal quale è nato. Qualunque essere superiore a me, sia Dio o l’uomo, impallidisce al sole di questa mia coscienza di essere l’ ‘Unico’. ‘Se in me stesso, nell’Unico’, io faccio convergere la mia causa, essa diventa proprietà del singolo da cui tutto si crea e che ogni cosa e se stesso consuma; io potrò dire: Io ho riposto la mia causa nel nulla.”
MAX STIRNER (1806 – 1856), “ L’Unico e la sua proprietà.”, presentazione di L. Michelini, trad.it. di Costantina Fiorini, Demetra, Bussolengo (VR) 1996, Parte Seconda – ‘Io’, ‘LUnico’, pp. 413 – 414.

Photo: Max Stirner.  
- La storia è proprietà del singolo -
“ Ma che il singolo sia per sé solo una storia del mondo e che il rimanente delle storia universale sia cosa sua, è concetto che oltrepassa l’idea cristiana. Per il cristiano la storia rappresenta qualcosa di superiore all’individuo, perché essa è la storia di Cristo, ossia ‘dell’uomo’ per eccellenza; per l’egoista invece non  ha valore che la  storia propria, perché egli non intende svolgere l’idea dell’umanità, non i progetti divini, non le intenzioni della provvidenza, non la libertà. Egli non vede in se stesso uno strumento dell’idea, un vaso divino; egli non riconosce a sé prefissa alcuna missione; egli non ritiene di esistere per contribuire allo sviluppo della società umana; egli vive per sé senza curarsi se per l’umanità sia un bene o un male.
Se non temessi di essere frainteso, facendo credere che io intenda lodare lo  ‘stato di natura’, vorrei ricordare qui  la poesia di Lenau, ‘I tre zingari’. O che, sono io forse al mondo per attuare delle idee? Per contribuire con il sacrificio del mio io a incarnare il concetto di  ‘Stato’, o a dar corpo all’idea di famiglia ammogliandomi e procreando figli? Che importa a me di tale missione? Io vivo  tanto poco per una vocazione, quanto il fiore per il profumo. 
L’ideale ‘dell’uomo’ non si attuerà se non quando si sarà invertita la tesi del concetto cristiano. Io, l’ ‘Unico’, sono l’uomo. La questione ‘che cos’è l’uomo?’ si muta così nella questione ‘chi è l’uomo?’ Nel  ‘che cosa’  si cercava il concetto; nel  ‘chi’  la questione è senz’altro risolta, perché la risposta è data da quello stesso che interroga. La risposta a quella domanda viene da sé.
Si dice a proposito di Dio: <Non v’ha nome che valga a definirti>. La stessa cosa è dell’ ‘Io’; nessun  ‘concetto’  può esprimerlo, nessuna parola definirlo adeguatamente. E si dice ancora di Dio, che egli è perfetto e che perciò non gli incombe alcuna missione che miri alla perfezione. Ebbene, la stessa cosa si deve pur dire dell’  ‘Io’.
Padrone della mia forza sono  ‘io’, nel momento in cui acquisto consapevolezza di essere  ‘unico’. Nell’ ‘unico’  il possessore si dissolve nel nulla creatore, dal quale è nato. Qualunque essere superiore a me, sia Dio o l’uomo, impallidisce al sole di questa mia coscienza di essere l’ ‘Unico’. ‘Se in me stesso, nell’Unico’, io faccio convergere la mia causa, essa diventa proprietà del singolo da cui tutto si crea e che ogni cosa e se stesso consuma; io potrò dire:
Io ho riposto la mia causa nel nulla.”
MAX STIRNER (1806 – 1856), “ L’Unico e la sua proprietà.”, presentazione di L. Michelini, trad.it. di Costantina Fiorini, Demetra, Bussolengo (VR) 1996, Parte Seconda – ‘Io’, ‘LUnico’, pp. 413 – 414.

“ Dass der Einzelne für sich eine Weltgeschichte ist und an der übrigen Weltgeschichte sein Eigentum besitzt, das geht übers Christliche hinaus. Dem Christen ist die Weltgeschichte das Höhere, weil sie die Geschichte Christi oder <des Menschen> ist; dem Egoisten hat nur seine Geschichte Wert, weil er nur sich entwickeln will, nicht die Menschheits-Idee, nicht den Plan Gottes, nicht die Absichten der Vorsehung, nicht die Freiheit u. dgl. Er sieht sich nicht für ein Werkzeug der Idee oder ein Gefäss Gottes an, er erkennt keinen Beruf an, er wähnt nicht, zur Fortentwicklung der Menschheit dazusein und sein Scherflein dazu beitragen zu müssen, sondern er lebt sich aus, unbesorgt darum, wie gut oder schlecht die Menschheit dabei fahre. Liesse es nicht das Missverständnis zu, als sollte ein Naturzustand gepriesen werden, so könnte man an Lenaus <Drei Zigeuner> erinnern. - Was, bin Ich dazu in der Welt, um Ideen zu realisieren? Um etwa zur Verwirklichung der Idee <Staat> durch mein Bürgertum das Meinige zu tun, oder durch die Ehe, als Ehegatte und Vater, die Idee der Familie zu einem Dasein zu bringen? Was ficht Mich ein solcher Beruf an! Ich lebe so wenig nach einem Berufe, als die Blume nach einem Berufe wächst und duftet. 
Das Ideal <der Mensch> ist realisiert, wenn die christliche Anschauung umschlägt in den Satz: <Ich, dieser Einzige, bin der Mensch>. Die Begriffsfrage: <was ist der Mensch?> - hat sich dann in die persönliche umgesetzt: <wer ist der Mensch?> Bei <was> suchte man den Begriff, um ihn zu realisieren; bei <wer> ist's überhaupt keine Frage mehr, sondern die Antwort im Fragenden gleich persönlich vorhanden: die Frage beantwortet sich von selbst. 
Man sagt von Gott: <Namen nennen Dich nicht>. Das gilt von Mir: kein Begriff drückt Mich aus, nichts, was man als mein Wesen angibt, erschöpft Mich; es sind nur Namen. Gleichfalls sagt man von Gott, er sei vollkommen und habe keinen Beruf, nach Vollkommenheit zu streben. Auch das gilt allein von Mir. 
Eigner bin Ich meiner Gewalt, und Ich bin es dann, wenn Ich Mich als Einzigen weiss. Im Einzigen kehrt selbst der Eigner in sein schöpferisches Nichts zurück, aus welchem er geboren wird. Jedes höhere Wesen über Mir, sei es Gott, sei es der Mensch, schwächt das Gefühl meiner Einzigkeit und erbleicht erst vor der Sonne dieses Bewusstseins. Stell' Ich auf Mich, den Einzigen, meine Sache, dann steht sie auf dem Vergänglichen, dem sterblichen Schöpfer seiner, der sich selbst verzehrt, und  Ich darf sagen: 
Ich hab' mein' Sach' auf Nichts gestellt.” 
MAX STIRNER, “Der Einzige und sein Eigenthum” (Otto Wigand, Leipzig 1845),  Reclam, Leipzig 1972, Zweite Abteilung: ‘Ich’, III ‘Der Einzige’, Seiten  411 - 412.

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