Voi lasciate che crescano fin da ragazzi in condizioni tali da essere fatalmente destinati ad una vita criminale, poi li punite. In altre parole, punite quei ladri che voi stessi avete creato.
Mi sembra che dovunque vige la proprietà privata, dove misura di tutte le cose è la pecunia, sia alquanto difficile che mai si riesca ad attuare un regime politico basato sulla giustizia o sulla prosperità.
Tommaso Moro
Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere
Thomas More
Gli uomini, se qualcuno gli gioca un brutto tiro,
lo scrivono sul marmo,
ma se qualcuno gli fa un favore,
lo scrivono sulla sabbia
Tommaso Moro
Per un’utopia sostenibile. [...]
Thomas More fu decapitato nel 1535 perché si rifiutò di accettare l’Atto di supremazia del re sulla Chiesa in Inghilterra; la sua testa fu esposta per un mese sul London Bridge.
Un destino riservato a troppi utopisti, di cui More può essere considerato il fondatore moderno.
Come tutti sanno, scrisse un libro intitolato appunto Utopia:
e lo scrisse innanzitutto per criticare la società inglese, piena di violenze, contrasti civili e diseguaglianze sociali. Sull’isola da lui immaginata non c’è la proprietà privata, non c’è moneta, l’oro è usato per fare i vasi da notte, il lavoro è obbligatorio per tutti ma dura solo sei ore al giorno, e tutte le religioni sono ammesse.
Ma More fece un’altra invenzione geniale, la parola stessa utopia:
dal greco οὐ (“non”) e τόπος (“luogo”); “non-luogo” – ma anche un gioco con l’omofono eutopia, derivato dal greco εὖ (“buono” o “bene”) e τόπος (“luogo”). Data l’identica pronuncia, in inglese, di “utopia” ed “eutopia”, i significati si mescolano: nasce un luogo irraggiungibile e insieme ideale.
Il mondo romano era povero di sogni simili, con il suo duro realismo politico; il cristianesimo medievale produsse il messianismo e il millenarismo; ma fu solo l’umanesimo a partorire – con l’allargamento delle prospettive dovuto ai grandi viaggi, e l’incontro con l’Altro vagheggiato – una nuova utopia laica. Campanella, Bacone, Harrington, Swift e tanti altri: la modernità imparò in fretta a pensare altrimenti e proporre soluzioni radicali. Forse troppo?
Questa è l’obiezione che diversi pensatori hanno mosso all’utopismo: la sua propensione a rovesciarsi in un’ideologia intollerante. Se si sogna troppo in grande, se si ha già perfettamente chiaro dove si vuole arrivare, si finisce per costringere la realtà al sogno – e questo in genere porta a conseguenze terribili.
Ai piani generosi dell’utopia, Popper contrappone il riformismo:
invece di edificare la società ideale, preoccupiamoci di migliorare lentamente quella in cui viviamo.
La forma migliore dell’obiezione mi pare ancora quella espressa da Karl Popper e Isaiah Berlin.
Nel saggio Utopia e violenza, contenuto in Congetture e confutazioni, Popper argomenta così:
“Le mete utopistiche sono concepite per servire da fondamento all’azione e alla discussione di politiche razionali, e una tale azione sembra possibile solo se lo scopo è stabilito in modo definitivo. L’utopista dunque deve riuscire vincitore o vinto nei confronti dei rivali suoi simili che non condividono gli stessi ideali, non professando la medesima religione utopistica. Ma egli deve fare di più. Dev’essere molto severo nell’eliminare e soffocare tutte le posizioni eretiche rivali.”
A questi piani generosi ma che causano inevitabile violenza, Popper contrappone il riformismo: invece di edificare la società ideale, preoccupiamoci di migliorare lentamente quella in cui viviamo. In una frase: “Non permettere che i sogni di un mondo perfetto ti distolgano delle rivendicazioni degli uomini che soffrono qui e ora”.
Per quanto riguarda Berlin, è sufficiente leggere i primi due capitoli del suo celebre Il legno storto dell’umanità. Proprio come Popper – entrambi fanno parte della più alta tradizione liberale – Berlin difende un pluralismo di valori e la possibilità della correzione reciproca attraverso il dialogo razionale. Non è un metodo infallibile, ovvio. Spesso la ragione viene soffocata da pulsioni di ogni sorta, e altrettanto spesso finiamo per litigare senza giungere a nessun progresso.
Ma per Berlin c’è di peggio: pensare che le contraddizioni e i conflitti possano essere risolti “in un mondo perfetto in cui tutte le cose buone possono ricomporsi in un’armonia ideale”. Cercare una soluzione conclusiva ai problemi umani significa già porsi sulla strada di Stalin e Pol Pot.
Per evitare simili derive, di cui il Novecento ci ha ampiamente istruito, occorre in primo luogo un esercizio di umiltà e di disponibilità reciproca ad ammettere il torto. Per questo il titolo del libro di Berlin è tratto da una frase di Kant:
“Da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo,
non si può costruire nulla di perfettamente dritto”.
[...]
Giorgio Fontana è scrittore, sceneggiatore, giornalista nato a Saronno nel 1981, cresciuto a Caronno Pertusella, vive a Milano. Con Morte di un uomo felice (Sellerio) ha vinto il Premio Campiello 2014. Il suo ultimo romanzo è Un solo paradiso (Sellerio).
http://www.iltascabile.com/societa/utopia-sostenibile-bregman/
considerazione vera, anche oggi. Un altro grande Tommaso Moro che ligio alla legge, non si chinò neanche al suo re. Oggi inorridirebbe!
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