Pagine

lunedì 12 dicembre 2011

Socrate, Il Tafano degli ateniesi. Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle cose. In questo concetto si è anche visto uno dei principi fondamentali della pedagogia: la vera educazione è sempre auto-educazione. Ma cosa faceva partorire Socrate ai propri interlocutori? Il punto focale e la molla dell’intero processo è l’interrogativo definitorio simboleggiato dal ti èsti? ( = che cos’è?), ossia la richiesta di una definizione precisa di ciò di cui si sta parlando. Ai lunghi discorsi ammaliatori dei sofisti (le macrologie), Socrate contrappone dunque i discorsi brevi (le brachilogie). La domanda “che cos’è?” rivela dunque sia un lato negativo, indirizzato a mettere in crisi il dialogante e a spogliarlo delle sue presunte certezze, sia un lato positivo, teso a condurre l’interlocutore verso una definizione soddisfacente dell’argomento trattato.

Pensiero filosofico di Socrate, elaborato grazie al testo di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero: 
LE BASI DEL PENSIERO (Casa editrice: Paravia)

Socrate,
Il Tafano degli ateniesi


Socrate nacque ad Atene nel 470/469 a.C. e morì nel 399 a.C. in seguito a condanna per empietà (fu accusato di non credere agli Dei della Città e di corrompere i giovani, ma dietro tali accuse si nascondevano risentimenti di vario genere e manovre politiche).
Il padre, Sofronisco, era sculture e la madre, Fenarete, era levatrice ( = ostetrica). Socrate non fondò una scuola, come tutti gli altri filosofi, ma tenne il suo insegnamento in luoghi pubblici, come una sorta di predicatore laico, esercitando un fascino grandissimo non solo sui giovani, ma anche su uomini di tutte le età, e questo gli procacciò notevoli avversioni e inamicizie. Il filosofo si allontanò da Atene solo tre volte, per compiere il suo dovere di soldato, ma si tenne lontano dalla vita politica attiva. La sua vocazione, il compito al quale di dedicò e si mantenne fedele fino all’ultimo, fu la filosofia. Egli intese la ricerca filosofica come un esame incessante di se stesso e degli altri. La sua figura non aveva niente di convenzionale e la sua personalità aveva qualcosa di strano e di inquietante. Socrate aveva la straordinaria capacità di gettare il dubbio e l’inquietudine nell’animo di coloro che lo avvicinavano e, per questo, fu appellato: “Il Tafano degli Ateniesi.
Eppure quest’uomo, che ha dedicato alla filosofia l’intera esistenza ed è morto per essa, non ha scritto nulla. È questo indubbiamente il più grande paradosso della filosofia greca. Non può però trattarsi di un fatto casuale, infatti se Socrate non scrisse nulle, fu perchè riteneva che scrivendo, e quindi fissando alcuni concetti, si bloccasse il progredire della filosofia, da lui intesa come qualcosa in continuo mutamento, e anche perchè pensava che il suo messaggio fosse comunicabile attraverso la viva parola e il dialogo.
Il fatto che Socrate non abbia scritto nulle genera, tuttavia, delle grosse difficoltà per la ricostruzione del suo pensiero. Le uniche fonti che risaldono a Socrate ancora vivente sono quelle di Aristofane, che dipinge Socrate come un chiacchierone perdigiorno che infonde insegnamenti corruttori ai giovani dabbene, negando gli dei padri. Senofonte, invece, scrive le sue opere molto tempo dopo la morte del filosofo e ci presenta un Socrate per lo più moralista e predicatore. Platone, nei suoi dialoghi, ci offre invece la più suggestiva e amorosa presentazione del maestro, da cui è scaturita l’immagine tradizionale di Socrate. Aristotele, a sua volta, schematizza Socrate come “lo scopritore del concetto” e “il teorico della virtù come scienza”, ma, in fondo, non ci dice niente in più rispetto ai suoi colleghi. Per finire, i socratici minori ci danno poche notizie e per lo più tendono ad estremizzare qualche pensiero del maestro.
Per comprendere adeguatamente la figura di Socrate è indispensabile centrarne l’esatta collocazione storica e filosofica. Infatti il filosofo, pur prevenendo ad esiti diversi o quasi opposti a quelli dei sofisti, affonda le sue radici nel mondo culturale di quell’illuminismo Greco di cui i sofisti sono stati i maggiori rappresentanti. Ci sono, infatti, alcuni punti nel pensiero socratico che si legano a quello sofistico:

1. L’attenzione per l’uomo e il disintaresse per le indagini intorno al cosmo.
2. La tendenza a cercare nell’uomo i criteri del pensiero e dell’azione.
3. L’atteggiamento spegiudicato e la mentalità razionalistica anticonformistica antitradizionalistica, portata a mettere tutto in discussione e non accettare nulla se non attraverso il vaglio critico e la discussione.
4. L’inclinazione verso la dialettica ed il paradosso.

Vi sono però anche molti punti di contrapposizione tra i due pensieri:
1. Un più sofferto amore della verità ed il rifiuto di ridurre la filosfia a retorica o ad esibizionismo verbale fine a se stesso.
2. Il tentativo di andare oltre lo sterilerelativismo conoscitivo e morale in cui si era avviluppata la sofistica post-protagorea.

Tutto questo vuol dire che Socrate è indisolubilemte figlio e avversario della sofistica, e come tale deve essere studiato. Inoltre bisogna anche unire e separare la figura di Socrate con quella di Platone, accomunate da un’esigenza di un superamento del relativismo sofistico, ma divise dall’umanismo.
Sembra quasi certo che Socrate, in un primo periodo della sua vita, abbia seguito con interesse la ricerche dei naturalisti. Tuttavia, deluso da tali indagini, si convinse ben presto che alla mente umana sfuggono i perchè ultimi delle cose e che ad essa non è dato conoscere l’essere ed i principi del mondo.
Perciò Socrate, abbandonati gli studi cosmologici, cominciò ad intendere la filosofia come un’ indagine in cui l’uomo tenta di chiarire sè a se stesso. Per questo, Socrate fece suo il motto dell’oracolo delfico: “Conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione ultima del filosofare e la missione stessa del filosofo.
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è la conoscenza della propria ignoranza: sapiente è soltanto chi sa di non sapere. Questa affermazione denota un agnosticismo nei confronti delle ricerche cosmologiche, ma, se riferito all’uomo, assume il significato di una denuncia polemica di tutta quella categoria di individui che pretendono di saperla lunga sull’uomo. In altre parole, la coscienza socratica del non sapere non conduce ad un soffocamento della ricerca, ma si configura piuttosto come una fruttuosa scintilla capace di accendere il grande dialogo interumano della filosofia.
Per rendere l’uomo consapevole della sua ignoranza Socrate fa uso dell’ironia
Quest’arma consiste nel chiedere delucidazioni in certi ambiti fingendo di non sapere, per poi tempestare il proprio interlocutore di domande e, con l’aiuto del dubbio e la tecnica della confutazione, metterlo davanti all’esiguità e all’imprecisione delle sue conoscenze, spingendolo così alla ricerca della verità. Tutto questo non significa che Socrate voglia fare una specie di lavaggio del cervello e inculcare nella mente della gente una sua particolare dottrina, ma soltanto stimolare l’ascoltatore a cercarne una propria, già presente dentro di sè. Da ciò la celebre maieutica, o arte del far partorire, di cui parla Platone. Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle cose. In questo concetto si è anche visto uno dei principi fondamentali della pedagogia: la vera educazione è sempre auto-educazione.
Ma cosa faceva partorire Socrate ai propri interlocutori? 
Il punto focale e la molla dell’intero processo è l’interrogativo definitorio simboleggiato dal ti èsti? ( = che cos’è?), ossia la richiesta di una definizione precisa di ciò di cui si sta parlando. Ai lunghi discorsi ammaliatori dei sofisti (le macrologie), Socrate contrappone dunque i discorsi brevi (le brachilogie). La domanda “che cos’è?” rivela dunque sia un lato negativo, indirizzato a mettere in crisi il dialogante e a spogliarlo delle sue presunte certezze, sia un lato positivo, teso a condurre l’interlocutore verso una definizione soddisfacente dell’argomento trattato. Adesso siamo in grado di vedere Socrate come l’introduttore del concetto, come lo aveva definito Aristotele.

Tutto ciò ci permette di delineare in modo chiaro il rapporto fra Socrate e i sofisti e fra Socrate e Platone. Contro i primi Socrate ha sentito il bisogno di portare un po’ di ordine nel discorso interpersonale, prospettando la necessità di una precisazione dei concetti. Così, con questo filosofo, si inizia ad intravedere quella reazione al relativismo linguistico , conoscitivo e morale, caratteristico della peggio sofistica, che poi Platone porterà avanti. Tuttavia, Socrate, a differenza di platone ed Aristotele, ha lasciato il concetto e le definizioni allo stato esigenziale.

La tesi chiave della morale di Socrate è la virtù come ricerca e scienza. 
Socrate sostiene, in primo luogo, che la virtù non sia un dono gratuito, ma una faticosa conquista, in quanto l’essere-uomini è il frutto di un’arte che è la più difficile e la più importante di tutte. In secondo luogo, il filosofo ritiene che la virtù sia sempre una forma di sapere, ossia un prodotto della mente. Infatti, dal punto di vista socratico, per essere uomini nel modo migliore è indispensabile riflettere, cercare e ragionare. La vita come avventura disciplinata dalla ragione: ecco il senso profondo del razionalismo morale di Socrate e della sua affermazione della virtù come scienza. Socrate sostiene inoltre che è neccessario che tutti imparino bene anche il mestiere del vivere, ossia la scienza del bene e del male. Da questa considerazione Socrate trae alcune considerazioni di fondo.

In primo luogo la virtù è unica, in quanto tutto ciò che gli uomini chiamano le virtù sono soltanto modi di essere al plurale di quell’unica virtù al singolare che è la scienza del bene.
In secondo luogo, Socrate tende a far coincidere il campo delle virtù umane coni valori dell’interiorità e della ragione. Socrate opera così una rivoluzione nella tavola dei valori che non sono più quelli legati all’apparenza e all’esteriorità, ma bensì sono in rapporto con l’interiorità.

Tuttavia, la virtù socratica non è una negazione ascetica dell’esistenza, ma un suo potenziamento tramite la ragione. Di conseguenza Socrate non ha voluto uccidere la vita, come lo aveva accusato Nietzche, ma semplicemente porre all’uomo l’ordine della ragione.
In terzo luogo, la virtù di cui parla Socrate tende a risolversi nella politicità, poichè l’arte del saper vivere si identifica e concretizza nell’arte del saper vivere con gli altri e di andare alla ricerca del bene comune.

Dalla teoria della virtù come scienza derivano alcuni dei più celebri paradossi. 
Ad esempio quello secondo il quale nessuno pecca volontariamente e che fa il male, lo fa per ignoranza del bene. Un’altra massima interessante è quella che dice che è preferibile subire il male che commetterlo, infatti solo la virtù porterà l’uomo ad essere felice.
Socrate parla inoltre di un demone che lo consiglia in tutti i momenti decisivi della vita, invitandolo a seguire sempre la retta via. Questo demone è stato più volte interpretato come la voce della coscienza, il comando morale che risuona nell’intimità della persona ma, probabilmente, esso è molto di più: il demone è un concetto religioso, non semplicemente morale.

Socrate, inoltre, ammetteva gli dei solo visti come manifestazioni della divinità, a cui lui si appella, che ritiene garante dell’ordine del mondo e che considera come intelligenza e bene.
Davanti all’ingiusta condanna, Socrate, fedele ai suoi ideali e ai suoi principi, non cerca di scagionarsi o di scappare, ma accetta il suo destino e va in contro alla morte a testa alta e consapevole di star dando il buon esempio, non sottraendosi alla volontà della legge. Inoltre il filosofo pensa che, visto che non sappiamo cosa ci aspetta dopo la vita terrena, non possiamo affermare con certezza che la morte sia una punizione peggiore dell’esilio (opzione che gli era stata proposta e che lui aveva rifiutato.)

http://ilchicco.forumcommunity.net/?t=44926188

Nessun commento:

Posta un commento