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mercoledì 21 dicembre 2011

Dal Libro Rosso di Jung alla modernità. LA DEPRESSIONE CREATIVA.“Andare all’inferno significa diventare inferno noi stessi”. Così scrive Carl Gustav Jung in una delle pagine del Liber Novus o Libro Rosso, quell’immenso diario, tenuto a lungo segreto, in cui l’analista affida a parole e immagini i sogni e i demoni che animano la sua sofferta autoanalisi. E’ la fine del 1912 e sebbene la vita privata e professionale del medico sia in vertiginosa ascesa, dentro l’uomo vive una drammatica crisi esistenziale, acuita dal divorzio ideologico con Freud, crisi che sprofonderà Jung nella delirante ricerca della propria anima. Orfano di miti e mete, Jung si affida coraggiosamente agli assalti del proprio inconscio, sostenuto dal convincimento di obbedire a una volontà superiore, con la consapevolezza che la voce dell’inconscio potrà distruggerlo ma anche salvarlo. E così sarà. Jung – Giano bifronte, serio professionista di giorno e sognatore delirante di notte – affronta i propri abissi racchiudendoli in questo caleidoscopico libro, fiume impetuoso e lutulento dal sapore apocalittico. E rinasce. Che significato ha, oggi, dopo un secolo di silenzio, leggere il Liber Novus? La depressione creativa, di Moretti & Vitali, raccoglie le voci di alcuni tra i più autorevoli analisti e studiosi junghiani. Concertate da Ferruccio Vigna, le voci degli autori convengono sull’estrema importanza del Libro Rosso, almeno su tre piani: artistico, umano e metodologico. Dal punto di vista artistico, o estetico, il Libro Rosso aleggia tra letteratura, arte, preghiera e magia. Si abbevera di Nietsche, Musil e Voltaire, eppure è un’opera assolutamente unica. E’ un’opera aperta, come direbbe Umberto Eco, e come tale può essere una gemma di quel filone letterario che esalta la crisi dell’Io, mettendolo angosciosamente a confronto con i suoi Doppi, Multipli e Ombre. Ogni pagina resuscita la giungla di demoni, centauri, ninfe, satiri e dèi che Jung incontra prendendone le distanze, in un’ubriacatura di mitologico incanto. E’ un libro che ammalia ed emoziona attraverso pitture sognanti e miniature calligrafiche che con la loro potente simbologia elevano al sublime. Sul piano umano, il Libro Rosso è il travaglio della ricerca interiore: rappresenta la morte e la rinascita psichica di un uomo vista dal suo interno, nel suo agitato divenire. L’insegnamento umano che Jung riceve e dona, è la dolorosa necessità di affrontare in solitudine la propria vita per arrivare all’individuazione di Sé, accettando l’irrazionale per ricongiungersi armonicamente con la propria anima. Non ci sono mappe, non esistono punti cardinali, il viaggio interiore è individuale, vergine, e la rotta può essere conosciuta solo percorrendola. Da qui il significato metodologico del Libro Rosso e la sua rilevanza nella pratica clinica oggi. E’ un tesoro prezioso che documenta la nascita del sistema psicoanalitico junghiano. Qui vengono concepiti i concetti di archetipo, di inconscio collettivo, d’immaginazione attiva e di processo di individuazione. Ma non solo. L’anziano Filemone, lo psicagogo delle visioni di Jung, gli insegna cosa significhi entrare in contatto con le sensazioni più profonde dell’altro. Insegna a Jung – e ad ogni analista, indipendentemente dalla scuola d’appartenenza – cosa succede all’interno della stanza d’analisi. Analista e paziente s’inoltrano insieme in uno stato di comune incoscienza, in cui l’analista si lascia invadere dal mondo interno del paziente per favorire la sua individuazione, per permettergli di rinascere nella sua interezza. In questo senso, il Libro Rosso ha un significato straordinariamente moderno dal valore etico, oltre che storico e culturale. In un tempo in cui l’Anima sembra essere sconsacrata, il Libro Rosso rivela come la psicoterapia non sia solo una pratica circoscritta alla cura della malattia ma anche uno strumento per lo sviluppo superiore della personalità. L’affascinante inferno, la depressione creativa di queste pagine, è il prototipo del processo d’individuazione, un processo accessibile a chiunque. Il Libro Rosso è, dunque, il libro della Rivelazione e della Rinascita spiritual e. Ciò che ha permesso a Jung di affermare: “Una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta.”

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Il processo di individuazione di Carl Gustav Jung

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Esistono tre punti di partenza diversi dai quali possiamo pensare all'evoluzione e allo sviluppo della nostra coscienza.
Il primo è l'uomo primitivo, che viveva immerso nella natura, era guidato dalla pura istintività e non aveva conoscenza delle cause oggettive che creavano gli effetti che percepiva coi sensi, di fronte ai quali provava stupore o paura.
Il secondo è il neonato, che non distingue sè stesso dalla madre e dal mondo che lo circonda. Anch'egli, come il primitivo, vive di istinti e di percezioni sensoriali, ma non conosce nulla del mondo in cui vive.
Il terzo è la persona completamente folle, colui che vive in un mondo totalmente diverso da quello reale, un mondo tutto suo, dove immagini, fantasmi, allucinazioni, si mescolano, si sovrappongono e si frantumano senza logica.
In queste tre situazioni la vita è percepita come caos primordiale, puro inconscio totalmente indistinto, impossibilità di tracciare con certezza confini, di conoscere e delimitare le forme della realtà nelle loro reciproche diversità.

La nostra consapevolezza (di noi, degli altri, delle cose del mondo) la possiamo pensare come il frutto di un percorso che inizia dalla completa inconsceità e giunge fino alla piena coscienza attraverso acquisizioni graduali, e ciò vale sia per il genere umano nel suo complesso, sia per i singoli individui.
Il nostro grado di consapevolezza di noi e del mondo può essere diverso da persona a persona e normalmente cresce col passare degli anni.
La coscienza di sè è insieme una grazia e il risultato di una serie di fatiche; la si acquista a caro prezzo, perchè è necessario distinguersi dal caos primordiale, dall'identificazione con tutti gli altri esseri umani e ciò comporta un vissuto di separazione, di diversità a volte duro da accettare.
Occorre riconoscere i propri confini, le proprie potenzialità, i propri limiti, sapere cosa ci piace e cosa non ci piace, cosa desideriamo veramente e cosa detestiamo, cosa ci nutre e ci fa crescere e cosa ci danneggia o ci fa solamente perdere tempo.
D'altra parte, quanto più uno è consapevole della propria identità, tanto più facilmente può trovare il giusto posto nella collettività e riuscire a essere parte vitale e creativa di una comunità.

Questo percorso graduale dall'inconscietà alla consapevolezza di sè, che Carl Gustav Jung definì processo di individuazione, può avvenire in modo naturale se non sopravvengono esperienze di vita che lo contrastano e tendono ad impedirlo.
In alcuni di questi casi, il lavoro introspettivo su di sè e sui propri sogni può aiutare ad integrare nella propria coscienza parti autentiche di noi delle quali siamo inconsapevoli oltre a riconoscere e depotenziare quelle forze negative che abbiamo introiettato e che tendono a crearci delle difficoltà nel nostro rapporto con la vita.
http://lapoesiadellapsiche.blogspot.com/2012/01/il-processo-di-individuazione-di-cg.html



"Mai l'umanità ha mancato di immagini potenti, che portavano protezione contro la paurosa realtà delle profondità psichiche; le forme dell'inconscio furono sempre espresse mediante immagini protettrici (es. i dogmi religiosi) e in tal modo ricacciate nello spazio fuori di sè. Una volta scossa l'autorità della Chiesa questi contenitori sono crollati. Il loro significato si è perduto, o forse non era...
mai stato conosciuto, forse sono stati i protestanti ad accorgersi che nessuno aveva la più pallida idea del significato della nascita verginale, della divinità di Cristo, o delle complessità delle Trinità?
Si direbbe che queste immagini siano soltanto esistite, e che la loro esistenza sia stata semplicemente accettata, senza dubbi e senza riflessione.
E' per questo che di tanto in tanto muoiono gli dei: ad un tratto si scopre che non significano niente, che sono dei di pietra fatti dall'uomo.
In realtà l'uomo ha scoperto una cosa sola: che alle proprie immagini non ha riflettuto affatto.
E quando comincia a riflettervi lo fa con l'aiuto di ciò che egli chiama 'ragione', ma che in realtà non è altro che la somma delle sue prevenzioni e delle sue miopie.
La coscienza illuminata non accetta questo vuoto e cerca altrove quel che in Europa è andato perduto.
Si va alla ricerca delle immagini operanti che calmano l'inquietudine del cuore e dell'intelletto, e si trovano i tesori d'Oriente. Gli occidentali hanno scoperto che i simboli della loro tradizione non gli dicevano più nulla mentre gli dei stranieri avevano ancora del mana cui attingere.
Il nuovo è stato accettato con la stessa inconsapevolezza con cui il vecchio era stato rigettato.
A mio avviso sarebbe meglio non far nostri simboli coltivati da altre culture come fossero abiti nuovi, ma cucire da noi stessi il nostro abito.
Sono convinto che questo crescente impoverimento di simboli ha un significato; che questa evoluzione ha una sua intima coerenza. Si è perso ciò che non aveva nesso coerente con la coscienza nel suo processo evolutivo.
Dobbiamo riconoscere la nostra povertà spirituale.
Tornare alla fredda luce della coscienza dove la nudità del mondo si allarga fino alle stelle.
Il nostro intelletto ha compiuto cose gigantesche, ma nel contempo la nostra dimora spirituale è crollata. Sappiamo che il nostro sguardo errerà attraverso la morta vacuità di distese incommensurabili.
E infine esauriamo la saggezza di tutti i tempi e di tutti i popoli, e troviamo che tutto quel che vi è di più costoso e di più prezioso è già stato detto molto tempo fa con parole più belle. L'intelletto cerca di impossessarsi dello spazio spirituale, ma non può, perchè esso è strumento dell'uomo, non è creatore di mondi spirituali.
La povertà spirituale vissuta con consapevolezza conduce infine alle profondità psichiche dell'Anima. All'acqua viva di cui parlava Gesù.
Dal contatto con tale indefinibile essenza si può cominciare un percorso di individuazione che porta l'Essere al Vero Sè, senza inganni e subdole consolazioni. Si trova infine individuazione nel mare dell'inconscio collettivo che dà forma ad ogni umana coscienza.
Carl Gustav Jung. Gli archetipi dell'inconscio collettivo


Se per miracolo tutte le stelle del cielo venissero spazzate via da un momento all'altro, noi continueremmo a vederle per quattro anni ancora (...) Perciò noi viviamo sempre in tempi in cui cose che sono state esistono ancora.(...) Il nostro inconscio, però, è in qualche modo in anticipo rispetto ai nostri occhi e ha una qualche nozione delle cose che saranno, poiché è dal passato più remoto che viene creato il futuro
Seminari su Lo Zarathustra di Nietzsche vol. 1 - C.G. Jung



I silenzi inattesi che calano nel bel mezzo di una conversazione vi riportano subito all'essenziale, vi rivelano tutto ciò che l'uomo ha perduto inventando la parola.
Emil Cioran

Quando la cura comincia a diventare MONOTONA e subentrano le ripetizioni, così che secondo un giudizio imparziale si è arrivati ad una STASI, o quando appaiono contenuti mitologici, archetipici, allora è tempo di abbandonare il trattamento analitico-riduttivo e di trattare i simboli anagogicamente o sinteticamente, ciò che equivale al PROCEDIMENTO DIALETTICO e all’INDIVIDUAZIONE. [...] Con l’inizio del TRATTAMENTO SINTETICO È OPPORTUNO DISTANZIARE LE SEDUTE [...], PERCHÉ IL PAZIENTE DEVE IMPARARE A TROVARE DA SÉ LA SUA STRADA. STASI E DISORIENTAMENTO si producono spesso quando IL NOSTRO MODO DI VIVERE È DIVENUTO UNILATERALE. Allora può manifestarsi un’IMPROVVISA PERDITA DELLA COSIDDETTA ‘LIBIDO’: OGNI ATTIVITÀ SVOLTA FINO A QUEL MOMENTO PERDE D’INTERESSE, DI SIGNIFICATO; DI COLPO I SUOI SCOPI NON SONO PIÙ DESIDERABILI
Quel che ho da dire comincia là dove ha inizio questo sviluppo e fine la cura. Il mio contributo al problema della terapia si limita, come si vede, ai CASI NEI QUALI IL TRATTAMENTO RAZIONALE [NEL SENSO DEL RENDERE ‘NORMALE’ E ‘RAGIONEVOLE’ IL PAZIENTE NON CONSEGUE UN RISULTATO SODDISFACENTE. [...] CIRCA UN TERZO DEI MIEI CASI NON SOFFRE DI UNA NEVROSI CLINICAMENTE DETERMINABILE, BENSÌ DEL FATTO DI NON TROVARE SENSO E SCOPO ALLA VITA.
Carl Gustav Jung

"L’unica cosa che ci rifiutiamo di ammettere è di essere in balia di «forze» che non siano riducibili al nostro controllo. Il motto «Volere è potere» è la superstizione dell’uomo moderno. Eppure l’uomo contemporaneo, pur di mantener viva questa fede, paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione. Egli resta cieco al fatto che, pur con tutta la sua razionalità e la sua efficienza, «forze» non controllabili lo tengono ancora in loro balia. I suoi dèi e i suoi demoni non sono affatto scomparsi: hanno solo cambiato nome. Essi lo tengono in uno stato d’agitazione incessante attraverso vaghe apprensioni, complicazioni psicologiche, un bisogno insaziabile di pillole, di alcool, di tabacco, di cibo e soprattutto imponendogli un pesante fardello di nevrosi. All’uomo piace credere di essere padrone della propria anima. Ma nella misura in cui egli si dimostra incapace di controllare i propri stati d’animo e le proprie emozioni, o di prendere coscienza degli infiniti modi segreti in cui i fattori inconsci arrivano a insinuarsi nei suoi propositi e nelle sue decisioni, egli non è affatto padrone di se stesso. Questi fattori inconsci debbono la loro esistenza all’autonomia degli archetipi. L’uomo moderno cerca di evitare di prendere coscienza di questa spaccatura della sua personalità istituendo un sistema di compartimenti stagni. Certi aspetti della sua vita esteriore e del suo comportamento sono mantenuti, per così dire, in zone separate e non sono mai messi a confronto fra di loro". C.G. Jung da "L’uomo e i suoi simboli" Carl Gustav Jung e l'individuazione.


"Il concetto di individuazione ha nella nostra psicologia una parte tutt’altro che trascurabile. L’individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale. 
La necessità dell’individuazione è una necessità naturale, in quanto che impedire l’individuazione, mercé il tentativo di stabilire delle norme ispirate prevalentemente o addirittura esclusivamente a criteri collettivi, significa pregiudicare l’attività vitale dell’individuo. L’individualità è però già data fisicamente e fisiologicamente e si esprime analogamente anche nel suo aspetto psicologico. Ostacolare in modo sostanziale l’individualità comporta perciò una deformazione artificiosa.
È senz’altro chiaro che un gruppo sociale il quale sia costituito da individui deformi non può essere un’istituzione sana e, a lungo andare, vitale, giacché soltanto la società che è in grado di serbare la propria coesione interna e i propri valori collettivi assieme alla massima possibile libertà del singolo può contare su di una vitalità duratura. Per il fatto stesso che l’individuo non è soltanto un essere singolo, ma presuppone anche dei rapporti collettivi per poter esistere, il processo di individuazione non porta all’isolamento, bensí a una coesione collettiva piú intensa e piú generale.
Il processo psicologico dell’individuazione è strettamente connesso con la cosiddetta funzione trascendente, in quanto mediante questa funzione vengono date quelle linee di sviluppo individuali che non potrebbero mai essere raggiunte per la via già tracciata da norme collettive.
L’individuazione non può essere in alcun caso l’unico obiettivo dell’educazione psicologica. Prima di potersi proporre come scopo l’individuazione, occorre raggiungere la meta educativa dell’adattamento al minimo di norme collettive necessario per l’esistenza: una pianta che debba essere portata alla massima possibile fioritura delle sue peculiarità deve anzitutto poter crescere nel terreno in cui è piantata.
L’individuazione è sempre piú o meno in contrasto con le norme collettive, giacché essa è separazione e differenziazione dalla generalità e sviluppo del particolare; non però di una particolarità cercata, bensí di una particolarità già a priori fondata nella disposizione naturale. L’opposizione alle norme collettive è però soltanto apparente, in quanto, a ben guardare, il punto di vista individuale non è orientato in senso opposto alle norme collettive, ma solo in senso diverso. La via individuale può anche non essere affatto in contrasto con la norma collettiva giacché l’antitesi di quest’ultima non potrebbe essere altro che una norma opposta. 
Ma la via individuale non è appunto mai una norma. Una norma nasce dall’insieme delle vie individuali e ha ragione di esistere e possiede una sua efficacia animatrice solo quando genericamente sussistono vie individuali che di tanto in tanto vogliano seguire il suo orientamento. Una norma che abbia validità assoluta non serve a nulla. Un vero conflitto con le norme collettive si ha solo quando una via individuale viene elevata a norma, il che è poi la vera intenzione dell’individualismo estremo. Questa intenzione è naturalmente patologica e del tutto avversa alla vita.
Pertanto essa non ha nulla a che fare con l’individuazione, la quale, deviando dalla via consueta per imboccare una individuale, ha bisogno proprio per questo della norma per orientarsi di fronte alla società e per effettuare la coesione fra gli individui entro la società, coesione che è una necessità vitale. L’individuazione porta perciò a un apprezzamento spontaneo delle norme collettive; invece la norma diventa sempre piú superflua in un orientamento esclusivamente collettivo della vita, e con ciò la vera moralità va in rovina. Quanto piú l’uomo è sottoposto a norme collettive, tanto maggiore è la sua immoralità individuale. L’individuazione coincide con l’evoluzione della coscienza dall’originario stato d’identità; l’individuazione rappresenta quindi un ampliamento della sfera della coscienza e della vita psicologica cosciente".
Carl Gustav Jung






LA DEPRESSIONE CREATIVA



...il Libro Rosso ha un significato straordinariamente moderno dal valore etico, oltre che storico e culturale. In un tempo in cui l’ANIMA sembra essere sconsacrata, il Libro Rosso rivela come la psicoterapia non sia solo una pratica circoscritta alla CURA DELLA MALATTIA ma anche uno strumento per lo SVILUPPO SUPERIORE DELLA PERSONALITA'. L’affascinante inferno, la depressione creativa di queste pagine, è il prototipo del PROCESSO D'INDIVIDUAZIONE, un processo accessibile a chiunque. Il Libro Rosso è, dunque, il libro della Rivelazione e della Rinascita spirituale. Ciò che ha permesso a Jung di affermare: “Una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta.”




Jung era estremamente intuitivo e non accettava il concetto di malattia mentale come schematizzato ai suoi tempi. Ciò ha permesso grandi passi avanti nell'aiuto o terapia che dir si voglia dei disturbi psichici. Sto rileggendo con vivo piacere Ricordi, sogni, riflessioni dove il concetto di Anima viene esteso alle più intime riflessioni dell'autore fin da quando era un ragazzo alle prese con interrogativi tanto grandi quanto affascinanti ed impegnativi.


LA DEPRESSIONE CREATIVA

Da Dr.Zambello | dicembre 20, 2011
LA DEPRESSIONE CREATIVA
Dal Libro Rosso di Jung alla modernità




Di Paola Cerana, Scrittrice
“Andare all’inferno significa diventare inferno noi stessi”.
Così scrive Carl Gustav Jung in una delle pagine del Liber Novus o Libro Rosso, quell’immenso diario, tenuto a lungo segreto, in cui l’analista affida a parole e immagini i sogni e i demoni che animano la sua sofferta autoanalisi. E’ la fine del 1912 e sebbene la vita privata e professionale del medico sia in vertiginosa ascesa, dentro l’uomo vive una drammatica crisi esistenziale, acuita dal divorzio ideologico con Freud, crisi che sprofonderà Jung nella delirante ricerca della propria anima. Orfano di miti e mete, Jung si affida coraggiosamente agli assalti del proprio inconscio, sostenuto dal convincimento di obbedire a una volontà superiore, con la consapevolezza che la voce dell’inconscio potrà distruggerlo ma anche salvarlo. E così sarà. Jung – Giano bifronte, serio professionista di giorno e sognatore delirante di notte – affronta i propri abissi racchiudendoli in questo caleidoscopico libro, fiume impetuoso e lutulento dal sapore apocalittico. E rinasce.


Che significato ha, oggi, dopo un secolo di silenzio, leggere il Liber Novus? La depressione creativa, di Moretti & Vitali, raccoglie le voci di alcuni tra i più autorevoli analisti e studiosi junghiani. Concertate da Ferruccio Vigna, le voci degli autori convengono sull’estrema importanza del Libro Rosso, almeno su tre piani: artistico, umano e metodologico. Dal punto di vista artistico, o estetico, il Libro Rosso aleggia tra letteratura, arte, preghiera e magia. Si abbevera di Nietsche, Musil e Voltaire, eppure è un’opera assolutamente unica. E’ un’opera aperta, come direbbe Umberto Eco, e come tale può essere una gemma di quel filone letterario che esalta la crisi dell’Io, mettendolo angosciosamente a confronto con i suoi Doppi, Multipli e Ombre. Ogni pagina resuscita la giungla di demoni, centauri, ninfe, satiri e dèi che Jung incontra prendendone le distanze, in un’ubriacatura di mitologico incanto. E’ un libro che ammalia ed emoziona attraverso pitture sognanti e miniature calligrafiche che con la loro potente simbologia elevano al sublime.

Sul piano umano, il Libro Rosso è il travaglio della ricerca interiore: rappresenta la morte e la rinascita psichica di un uomo vista dal suo interno, nel suo agitato divenire. L’insegnamento umano che Jung riceve e dona, è la dolorosa necessità di affrontare in solitudine la propria vita per arrivare all’individuazione di Sé, accettando l’irrazionale per ricongiungersi armonicamente con la propria anima. Non ci sono mappe, non esistono punti cardinali, il viaggio interiore è individuale, vergine, e la rotta può essere conosciuta solo percorrendola. Da qui il significato metodologico del Libro Rosso e la sua rilevanza nella pratica clinica oggi. E’ un tesoro prezioso che documenta la nascita del sistema psicoanalitico junghiano. Qui vengono concepiti i concetti di archetipo, di inconscio collettivo, d’immaginazione attiva e di processo di individuazione. Ma non solo. L’anziano Filemone, lo psicagogo delle visioni di Jung, gli insegna cosa significhi entrare in contatto con le sensazioni più profonde dell’altro. Insegna a Jung – e ad ogni analista, indipendentemente dalla scuola d’appartenenza – cosa succede all’interno della stanza d’analisi. Analista e paziente s’inoltrano insieme in uno stato di comune incoscienza, in cui l’analista si lascia invadere dal mondo interno del paziente per favorire la sua individuazione, per permettergli di rinascere nella sua interezza.
In questo senso, il Libro Rosso ha un significato straordinariamente moderno dal valore etico, oltre che storico e culturale. In un tempo in cui l’Anima sembra essere sconsacrata, il Libro Rosso rivela come la psicoterapia non sia solo una pratica circoscritta alla cura della malattia ma anche uno strumento per lo sviluppo superiore della personalità. L’affascinante inferno, la depressione creativa di queste pagine, è il prototipo del processo d’individuazione, un processo accessibile a chiunque. Il Libro Rosso è, dunque, il libro della Rivelazione e della Rinascita spirituale. Ciò che ha permesso a Jung di affermare: “Una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta.”

http://www.psicoterapiajunghiana.com/2011/12/20/la-depressione-creativa/



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