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lunedì 19 dicembre 2011

Antonin Artaud. Bisogna fare uno sforzo per risalire il corso delle cose, e capovolgere gli eventi. Con purezza e sincerità di fronte a noi stessi...perché vivere non è seguire come pecore il corso degli eventi, nel solito tran tran di questo insieme di idee, di gusti, di percezioni, di desideri, di disgusti che confondiamo con il nostro io e dei quali siamo appagati senza cercare oltre, più lontano. Vivere è superare se stessi, mentre l'uomo non sa far altro che lasciarsi andare.

Vi è un punto in voi che nessun medico comprenderà mai ed è questo punto per me che vi salva e vi rende augusti, puri e meravigliosi: voi siete fuori della vita, voi siete al di sopra della vita, voi avete dei mali che l’uomo ordinario non conosce, voi superate il livello normale ed è per questo che gli uomini sono in collera con voi, voi inquinate la loro quiete e dissolvete la loro stabilità.
Antonin Artaud, La Liquidation de l’opium


Si può essere istruiti senza essere veramente colti. L'istruzione è un vestito. La parola istruzione significa che una persona si è rivestita di conoscenze. È una vernice, la cui prensenza non implica necessariamente il fatto di aver assimilato quelle conoscenze. La parola cultura, di contro, significa che la terra, l'humus profondo dell'uomo, è stata dissodata.
Antonin Artaud, Messaggi rivoluzionari


"L’opera di Artaud mette alla prova nella follia la propria assenza; ma questa prova, il coraggio ripetuto di questa prova, tutte queste parole gettate contro un’assenza fondamentale di linguaggio, tutto questo spazio di sofferenza fisica e di terrore che circonda il vuoto o piuttosto coincide con esso, ecco l’opera stessa: la scarpata sul gorgo dell’assenza d’opera.
Con la follia, un’opera che sembra sprofondare nel mondo, rivelargli il suo non-senso e trasfigurarsi nei soli tratti del patologico, in fondo coinvolge il tempo del mondo, lo domina e lo conduce; a causa della follia che la interrompe, un’opera apre un vuoto, un tempo di silenzio, una domanda senza risposta, provoca una lacerazione senza rimedio in cui il mondo è obbligato a interrogarsi. Ormai, e con la mediazione della follia, è il mondo che diventa colpevole (per la prima volta in Occidente) nei riguardi dell’opera.
L’istante in cui nascono e si compiono insieme l’opera e la follia è l’inizio del tempo in cui il mondo si trova citato in giudizio da quest’opera e responsabile di ciò che è davanti a essa.
Questo mondo che crede di misurarla e di giustificarla con la psicologia deve giustificarsi davanti a essa, poiché, nel suo sforzo e nei suoi conflitti, si misura alla smisuratezza di opere come quella di Nietzsche, di Van Gogh, di Artaud. E niente in esso, e meno che mai ciò che può conoscere della follia, lo rende sicuro che queste opere di follia lo giustifichino."
Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica



Van Gogh era uno squilibrato con eccitazioni violente di tipo maniacale, con scatenamenti brutali come manie rabbiose (…) La sua mancanza di ponderazione mentale si rivelava nell’eccentricità: ingoia colori, minaccia Gauguin e il dottor Gachet, esce di notte per dipingere alla luce di una corona di candele fissata sul cappello. Ossessionato da idee di autocastrazione, si mozza il lobo di un orecchio…» |
Queste sono alcune righe di un testo su Van Gogh dello psichiatra François-Joachim Beer pubblicato su una rivista nel gennaio 1947, quando al museo dell’Orangerie è in corso una mostra retrospettiva dell’artista. Bisogna ringraziare Beer perché è proprio questo suo commento (uno dei tanti incentrato sulla follia dell’olandese) a scatenare l’indignazione di Antonin Artaud e a spingerlo a scrivere il memorabile saggio Van Gogh, le suicidé de la société. Il saggio è un lucido atto di accusa contro la società (e la sua «coscienza malata») che secondo lui aveva spinto Van Gogh al suicidio per impedirgli di manifestare verità insopportabili.
«Come un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno», la società suicidò van Gogh. Non fu dunque il pittore a soccombere a un suo delirio, ma un delirio ben più vasto e maligno, l’affatturamento capillare che è la prima opera della società stessa, a farlo soccombere. Non si creda, però, che qui Artaud anticipi le innumerevoli accuse alla società cattiva e oppressiva che hanno ammorbato i nostri anni. Artaud, come sempre, è ben più radicale. Non gli basta il predominio di una classe sull’altra, o la malvagità del denaro, per inchiodare la società. Ma è la magia nera della società stessa, l’universale fattura che essa fa agire su tutti a essere chiamata qui da Artaud con il suo nome. È questa la prima e insuperata forma di «crimine organizzato» che ci governa. Van Gogh, e come lui Gérard de Nerval, o Artaud stesso, stavano per sottrarsi alle maglie di quella fattura, ma ne furono alla fine catturati di nuovo, come vittime preziose, di cui spartirsi le spoglie. Un anno prima di morire, nel 1947, Artaud affrontò van Gogh, raccontando la sua «funebre e rivoltante storia di garrottato da uno spirito malvagio», e illuminando con la luce barbagliante delle sue frasi spezzate ciò che significa la maledizione dell’artista, il nemico occulto del suo opus: «In fondo ai suoi occhi come depilati, da beccaio, van Gogh si abbandonava senza tregua a una di quelle operazioni di oscura alchimia che hanno preso la natura per oggetto e il corpo umano per marmitta o crogiolo».
ed Adelphi


E che cos'è un alienato autentico?
È un uomo che ha preferito diventare pazzo, nel senso in cui lo intende socialmente, piuttosto che venir meno a una certa idea superiore dell'onore umano. È così che la società ha fatto strangolare nei suoi manicomi tutti quelli di cui ha voluto sbarazzarsi o da cui ha voluto proteggersi, in quanto avevano rifiutato di farsi suoi complici in certe emerite porcherie. Perché un alienato è anche una uomo che la società non ha voluto ascoltare e al quale ha voluto impedire di proferire insopportabili verità.”
A. Artaud, Van Gogh, il suicidato della società




Le religioni antiche hanno voluto gettare all'origine uno sguardo sul Grande Tutto.
Esse non hanno separato il cielo dall'uomo, l'uomo dalla creazione intera, sin dalla genesi degli elementi. E si può dire anche che, all'origine, esse hanno visto chiaro sulla creazione.
Il cattolicesimo ha chiuso la porta, come prima aveva fatto il buddismo. Essi hanno volontariamente e scientemente chiuso la porta, dicendoci che non avevamo bisogno di sapere.
Ora, io ritengo che noi abbiamo bisogno di sapere e che non abbiamo bisogno che di sapere.
Se noi potessimo amare, amare subito, la scienza sarebbe inutile; ma noi abbiamo disimparato ad amare, sotto l'azione di una specie di legge mortale che proviene dal peso stesso e dalla ricchezza della creazione. Siamo immersi nella creazione sino al collo, lo siamo con tutti i nostri organi: i solidi e i sottili. Ed è duro risalire a Dio per la via graduale degli organi, quando questi organi ci fissano nel mondo in cui siamo e tendono a farci credere alla sua esclusiva realtà. L'assoluto è un'astrazione e l'astrazione richiede una forza che è contraria al nostro stato d'uomini degenerati.
Antonin Artaud, " Eliogabalo o l'anarchico incoronato"


Alcuni vanno a teatro come andrebbero al bordello.
Piacere furtivo. Eccitazione momentanea: il teatro per costoro non rappresenta altro.
È come l’immondezzaio del loro bisogno di godere. L’ipertrofia del teatro-svago ha creato, al fianco e al di sopra della vecchia idea di teatro, l’esistenza di un certo gioco dalle regole facili che è oggi per la maggior parte il teatro stesso e che riveste l’idea di teatro in sé. Si può dire pertanto che esistono attualmente due teatri: un falso teatro facile e artificioso, il teatro dei borghesi, militari, benestanti, commercianti, mercanti di vino, professori d’acquerello, avventurieri, puttane e premi Roma; e un altro teatro che si mette dove può, ma che è il teatro concepito come il compimento delle più pure aspirazioni umane.
Antonin Artaud, da Il teatro e il suo doppio



"Se sono poeta o attore non lo sono per scrivere o declamare poesie, ma per viverle.
Quando recito una poesia non è per essere applaudito, ma per sentire corpi d’uomini e di donne, dico corpi, tremare e volgersi all’unisono con il mio, volgersi come ci si volge dall’ottusa contemplazione del budda seduto, con cosce ben sistemate e sesso gratuito, all’anima, cioè alla materializzazione corporea e reale d’un essere integrale di poesia. Voglio che le poesie di François Villon, Charles Baudelaire, Edgar Poe e Gérard de Nerval diventino vere, e che la vita esca fuori dai libri, dalle riviste, dai teatri o dalle messe che la trattengono e la crocifiggono per captarla, e passi sul piano di quest’interna magia di corpi, di questo travasamento uterino dall’anima all’anima, che di corpo in corpo e fame d’amore per fame, libera un’energia sessuale sepolta su cui le religioni hanno scagliato la scomunica e l’interdetto, e che l’ipocrisia del secolo distilla nelle sue partouses segrete, in odio alla poesia."
Antonin Artaud, Lettera a Henri Parisot, 6 ottobre 1945


"La gente è stupida. La letteratura, svuotata.
Non v’è più niente né nessuno, l’anima è insana, non v’è più amore, e neppure odio, tutti i corpi sono rimpinzati, le coscienze rassegnate. Non vi è neppure inquietudine, che è passata nel vuoto delle ossa, non vi è nient’altro che un’immensa soddisfazione d’inerti, di buoi d’anime, di servi dell’imbecillità che li opprime, e con cui non smettono di copulare notte e giorno, servi volgari come questa lettera con cui cerco di manifestare la mia esasperazione contro una vita condotta da un branco di scipiti che hanno voluto imporre a tutti il loro odio per la poesia, il loro amore per la sciocchezza borghese in un mondo imborghesito integralmente, con tutti i ronron verbali dei sovietici, dell’anarchia, del comunismo, del socialismo, del radicalismo, delle repubbliche, delle monarchie, delle chiese, dei riti, dei razionamenti, dei contingentamenti, del mercato nero, della resistenza. Questo mondo sopravvive ogni giorno, sopravvive a se stesso, mentre ben altro capita, e ogni giorno anche l’anima è infine chiamata a nascere ed essere."
Antonin Artaud, Lettera a Henri Parisot, 17 settembre 1945


"La vita non è questa noia distillata in cui da sette eternità si fa macerare la nostra anima, non è questa infernale morsa in cui ammuffiscono le coscienze, e che ha bisogno di musica, di poesia, di teatro e di amore per esplodere di quando in quando, ma così poco che non vale la pena di parlarne. L’uomo della terra si annoia a morte, e così profondamente dentro di sé che ora non lo sa più. Si corica, dorme, si alza, passeggia, mangia, scrive, inghiotte, respira, caca come una macchina abbassata di tono, come un rassegnato seppellito nella terra dei paesaggi e che il paesaggio ha soggiogato come un servo che è stato avvinto al ceppo d’un cattivo corpo, e sottoposto a letture, buongiorno, buonasera, come sta, il tempo è bello, la pioggia rinfrescherà la terra, dicono i bollettini d’informazione, venga a prendere il tè, il trictrac, le carte, le bocce, il gioco della dama e gli scacchi, ma non è di questo che si tratta, voglio dire che non è questo a definire la vita immonda in cui viviamo. Quel che la definisce è che ci hanno distillato, a noi tutti, le nostre percezioni, le nostre impressioni, e che le viviamo solo al contagocce, respirando l’aria dei paesaggi dall’alto e dal bordo e l’amore dall’esterno del paniere, senza poter prendere tutto il paniere. E non che l’amore non abbia anima, è l’anima dell’amore a non esserci più. Con me l’assoluto o niente, ed ecco quel che ho da dire a questo mondo che non ha né anima né agaragar."
Antonin Artaud, Lettera a Henri Parisot, 9 ottobre 1945



questo modo d’inchiodare il cielo nel cielo, e la terra sulla terra; queste case e questi territori del cielo che passano di mano in mano e di testa in testa, ciascuno di noi, qui, nella propria testa, ricomponendo a sua volta i propri dèi […] siamo noi, è la nostra Europa cristiana, è la Storia che l’ha fabbricata
Antonin Artaud, Eliogabalo o l'anarchico incoronato




Un'anarchia, senza ordine né legge, le leggi e i comandamenti non esistono senza il disordine della realtà, il tempo è la sola legge. Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io.
Antonin Artaud


Bisogna fare uno sforzo per risalire il corso delle cose, e capovolgere gli eventi
Con purezza e sincerità di fronte a noi stessi...perché vivere non è seguire come pecore il corso degli eventi, nel solito tran tran di questo insieme di idee, di gusti, di percezioni, di desideri, di disgusti che confondiamo con il nostro io e dei quali siamo appagati senza cercare oltre, più lontano. Vivere è superare se stessi, mentre l'uomo non sa far altro che lasciarsi andare.
Antonin Artaud

Nessuno ha mai scritto, scolpito, fatto musica, bevuto o quant'altro se non per uscire di fatto dall'inferno.
Antonin Artaud

L'incostanza, l'ignoranza, l'inconseguenza, il dubbio non costituiscono uno stato alterato, 
ma il solo stato possibile, non esiste l'essere innato che avrebbe infusa la luce, la luce si fa vivendo
Antonin Artaud


Tutto questo perché l'uomo
un bel giorno
ha fissato
l'idea del mondo.
Due strade gli si offrivano: 
quella dell'infinito fuori, 
quella dell'infimo dentro. 
E ha scelto l'infimo dentro.
Antonin Artaud, "Per farla finita col giudizio di Dio"



L'elettroshock, signor Latremoliere, mi riduce alla disperazione, porta via la mia memoria, annichilisce la mia mente e il mio cuore, mi trasforma in qualcuno che è assente e che conosce di essere assente, e si vede per settimane ad inseguire il suo essere, come un uomo morto a fianco di uno vivo che non è più se stesso, ma che insiste che l'uomo morto sia presente anche se non può più rientrare in esso. Dopo l'ultima serie rimasi attraverso i mesi di agosto e settembre assolutamente incapace di lavorare e pensare, percependo di essere vivo.
Antonin Artaud, "A Jacques Latremoliere"


Antonin Artaud. L’intrusione assoluta del mio corpo


“Tra il corpo e il corpo non c’è niente,
niente tranne me.
Non è uno stato,
non un oggetto,
non uno spirito,
non un fatto,
ancor meno il vuoto di un essere,
assolutamente niente di uno spirito, né dello spirito,
non un corpo,
è l’intrapiantabile io.
Ma non un io,
io non ne ho.
Non ho un io, ma non c’è altro che io e nessuno,
nessun incontro possibile con l’altro,
ciò che io sono è senza differenziazione né opposizione possibile,
è l’intrusione assoluta del mio corpo, dappertutto.”


ANTONIN ARTAUD (1896 – 1948), Succubi e supplizi (1946 – 1947), trad. di Jean-Paul Manganaro, ed. italiana a cura di Jean-Paul Manganaro e Renata Molinari, cura redazionale di Pia Cigala Fulgosi, Adelphi, Milano 2004 (I ed.), Interiezioni, p. 226.



Antonin Artaud, La Projection du véritable corps (La proiezione del vero corpo 1947 – 1948), matita a mina di grafite e gesso grasso colorato su carta, 53.5 X 75. Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, Parigi. Lascito (1994) di Paule Thévenin, la curatrice di Suppôts et supplications (Succubi e supplizi). Iscrizioni: D.B.DR. : 18 novembre 1946//tarabut rabut karviston rabut rabut kur a vitctron/kro/em/krem//en tarabut rabut karvizon rabut/
rabut kar a viton/ger mat tarta karvilon/soarvila kortri la/
ko/mar/da/var/ker/nim//nenti/nizam/taber/kembish/kra/nam/
terzi/brou/mish ter/mi/o nam/dermi/toman/tarabut rabut karvizon/rabat karvizon/a ut karazon/krubat korozon a ra 
vi 
lernti

“ Entre le corps et le corps il n’y a rien,
rien que moi.
Ce n’est pas un état,
pas un objet,
pas un esprit,
pas un fait,
encore moins le vide d’un être,
absolument rien d’un esprit, ni de l’esprit,
pas un corps,
c’est l’intansplantable moi.
Mais pas un moi,
j’en ai pas.
Je n’ai pas de moi, mais il n’y a que moi et personne,
pas de rencontre possible avec l’autre,
ce que je suis est sans différenciation ni opposition possible,
c’est l’intrusion absolue de mon corps, partout.”

ANTONIN ARTAUD, Suppôts et supplications (1946 – 1947), in ID., Œuvres complètes, éd. par Paule Thévenin, Gallimard, Paris 1978 (I éd.), Tome XIV, vol. II, Interjections, p. 76.



Wikipedia:
[...] Nel 1931, avvenne l'incontro fondamentale con il teatro balinese, in occasione di uno spettacolo presentato nel quadro dell'Esposizione coloniale. Ne ricevette una forte impressione, decidendo di usare il teatro balinese come esempio e conferma di una convinzione maturata in lui in quel periodo: il teatro deve avere un proprio linguaggio, un linguaggio che non coincide con quello delle parole e che si fonda, all'opposto, sulla fisicità degli attori.
«Dal dedalo di gesti, atteggiamenti, grida lanciate nell'aria, da evoluzioni e giravolte che non lasciano inutilizzata nessuna parte dello spazio scenico, si sprigiona il senso di un nuovo linguaggio fisico basato su segni e non più su parole»
(A. Artaud)

« Il Teatro Balinese ci rivela l'esistenza sotterranea di una sorta di vero linguaggio scenico, di una tale efficacia che sembrerebbe abolire perfino i movimenti spirituali che sembrano avergli dato nascita, e tale da rendere impossibile e inutile ogni traduzione in parole ... C'è dell'assoluto in questa sorta di costruzioni nello spazio, uno stile di vero assoluto psichico che solo degli Orientali possono rivelarsi capaci di ricercare »
(A. Artaud, lettera a Jean Paulhan, 5 agosto 1931) [...]

Nel 1936, di ritorno dall'Irlanda, Artaud venne arrestato, bloccato con una camicia di forza e, tornato in Francia, internato in diverse cliniche, dove sperimentò angoscia e fame, quindi cinquantuno cadute in coma da elettroshock nei successivi nove anni, fino al 1945. Nel settembre del 1945 Artaud di riferì al suo internamento spiegando a Henri Parisot:

«Se otto anni fa sono stato internato e da otto anni mantenuto internato, questo dipende da una palese azione della cattiva volontà generale che a nessun costo vuole che Antonin Artaud, scrittore e poeta, possa realizzare nella vita le idee che manifesta nei libri, perché si sa che Antonin Artaud ha in sé mezzi d'azione di cui non si vuole che si serva, quando invece lui vuole, insieme a qualche anima che gli vuole bene, uscir fuori da questo mondo servile, di un'idiozia asfissiante e per gli altri e per sé, e che si compiace di questa asfissia
Antonin Artaud

Nel gennaio del 1943 fu trasferito alla clinica Rodez del dr. Ferdière, sperimentatore dell'"arte terapia" ma anche sostenitore dell'utilità della terapia elettroconvulsivante. In questo periodo Artaud iniziò a scrivere e disegnare su piccoli quaderni tascabili, convinto dell'esistenza imprescindibile di un nesso tra scrittura e disegno, rafforzato dal potere evocativo del suono delle parole. Ne è un esempio lampante la produzione di glossolalie e quella degli ultimi schizzi, sempre accompagnati da testo, ma soprattutto la creazione di gris-gris pour en revenr à l'homme, delle sorts datate che dovevano provocare effetti magici, parapsichiatrici, come fossero esorcismi o controfatture destinate ognuna a una persona specifica.

Nella primavera del 1946 Artaud lasciò Rodez e fu accolto a Ivry, nella clinica del dr. Delmas, che gli permise libertà di movimenti, così che poteva recarsi quasi quotidianamente a Parigi e mantenere i contatti con le persone a cui era legato: scrittori, artisti, uomini di teatro, tra cui Pierre Loeb, il quale suggerì ad Artaud di scrivere qualcosa su Van Gogh. Fu in questa occasione che Artaud ne commentò la mostra parigina, in un libro dai toni accesi, di denuncia contro la società e il sistema psichiatrico in particolare, responsabile, secondo lui, dell'alienazione dei "folli", invidioso della genialità. Il libro Van Gogh il suicidato della società rispondeva aspramente all'articolo del Dr Beer Sa follie?, da poco pubblicato sull'ultima pagina del settimanale Arts del venerdì 31 gennaio 1947, interamente dedicata a Van Gogh e alla mostra tenuta all'Orangerie:

«Van Gogh era uno squilibrato con eccitazioni violente di tipo maniacale, con scatenamenti brutali come manie rabbiose (forme miste di Kraepelin). Aveva una pesante eredità dovuta a una probabile specificità del padre, morto di un ictus apoplettico (il fratello maggiore era nato morto, quello minore morto demente); dal lato materno, dichiarò lui stesso di avere tare epilettiche. Sin dall'infanzia, attirava l'attenzione dei parenti per i suoi capricci, la sua caparbietà, ed accessi di collera violenti e convulsivi. »
«La sua mancanza di ponderazione mentale si rivelava nelle eccentricità: ingoia i colori, minaccia Gauguin e il dottor Gachet, esce di notte per dipingere alla luce di una corona di candele fissate sul cappello; ossessionato da idee di autocastrazione, si mozza il lobo di un orecchio. »
(Dr Beer)

Artaud scrisse il saggio con l'intento di denunciare una società dalla "coscienza malata", per riscattare il grande artista, Van Gogh, la sua pittura "forsennata", ma anche se stesso. Una leggenda, alimentata dallo stesso Pierre Loeb, vuole che quest'opera sia stata scritta nell'arco di due pomeriggi. Le date dei primi appunti, fine gennaio 1947, e quelle degli ultimi, inizio marzo 1947, smentiscono questa diceria.

Nel gennaio 1948 Artaud morì da solo nel suo pavillon, seduto di fronte al letto, con la sua scarpa in mano, forse per una dose letale del farmaco chloral. http://it.wikipedia.org/wiki/Antonin_Artaud





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