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sabato 28 novembre 2015

B.E.S. e Inclusione: Siamo tutti speciali? I B.E.S. come Bisogni Educativi degli Studenti


B.E.S. e Inclusione: Siamo tutti speciali? I B.E.S. come Bisogni Educativi degli Studenti

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Il Problema dell’Inclusione Scolastica
Il dibattito sui Bisogni Educativi Speciali si diffonde e amplia mettendo gli insegnanti di fronte a un problema reale affrontato a colpi di circolari, direttive e dispositivi legislativi quanto mai singolari. Si tratta di un problema cruciale in cui l’Italia ha fatto tanto e che viene ora a complicarsi per il confronto – scontro tra due linee di pensiero e due punti di vista molto diversi: quello che privilegia un approccio medico al problema, parzialmente sposato dal ministero e quello che invece si pone di fronte al problema da un punto di vista eminentemente educativo e pedagogico. Intendiamoci, i due punti di vista non si escludono affatto, in molti casi si è di fronte a un problema di patologie che deve essere compreso anche da un punto di vista medico, psicologico, neurologico, logopedistico, etc., ma la strategia di inclusione, anche nei casi di conclamata disabilità, deve essere pedagogica. Quindi ben venga l’apporto delle conoscenze mediche e della ricerca scientifica, ma l’inclusione si deve attuare su un terreno educativo, prerogativa degli insegnanti.
Università di Cagliari: Convegno Internazionale sui Bisogni Educativi Speciali
Si è tenuto in questi giorni a Cagliari un convegno internazionale sul tema: “I Bisogni Educativi Speciali in un’ottica inclusiva“, organizzato dall’Università di Cagliari, i giorni 19 – 20 novembre 2015. Si sono confrontate due linee:

# quella che privilegia una lettura medica e che imposta una strategia di inclusione fondata sulla classificazione delle disabilità ritenuta come elemento sui cui devono fondarsi le strategie educative da porre in atto;

# quella che rifiuta le classificazioni, fondamentali dal punto di vista della ricerca e delle conoscenze medico – specialistiche, ma secondarie dal punto di vista educativo. In base a questo secondo approccio (che condivido) tutti gli studenti sono “speciali”, si deve assumere il primato della pedagogia sulle tassonomie mediche e impostare una strategia inclusiva che punti alla personalizzazione dell’apprendimento per tutti gli studenti.
cagliari - 19 - 20 novembre 2015 - Programma del Convegno I Biusogni Educativi Speciali in un'ottica inclusiva
Cagliari, Convegno “I Bisogni Educativi Speciali in un’ottica inclusiva
L’intervento conclusivo di Giampiero Griffo
Ha parlato a conclusione dei lavori Giampiero Griffo, tra i padri italiani della Convenzione dell’Onu sui DPD “Diritti delle Persone con Disabilità”, egli stesso disabile e protagonista da molti anni di una battaglia per l’affermazione dei diritti delle persone con disabilità. Riassumo le sue conclusioni parafrasando quanto ha detto: le classificazioni ed etichettature delle varie forme di disabilità (BES DSA, ADHD, etc.) sono molto utili da un punto di vista scientifico e medico, in quanto consentono di aumentare le nostre conoscenze su questi problemi e di sviluppare la ricerca, ma non sono utili da un punto di vista scolastico – pedagogico. A scuola vi sono solo persone, tutte diverse le une dalle altre, tutte con bisogni “speciali” o tutti speciali nella loro diversità. Dunque la risposta educativa deve essere non quella della medicalizzazione dell’apprendimento o ospedalizzazione della scuola, ma quella della personalizzazione PER TUTTI  gli alunni, dell’insegnamento e dell’apprendimento
La Tassonomia degli Studenti
Forse Linneo, padre della tassonomia moderna, inarcherebbe le sue sopracciglia perplesso di fronte alla proliferazione tassonomica di acronimi medici con cui il ministero sembra voler riportare qualsiasi difficoltà insorga nel processo di apprendimento a patologie della più svariata specie. La direttiva del 27/12/2012 sembra rivolta più al personale medico ospedaliero che agli insegnanti.
In poche pagine si riesce a far riferimento a: modello diagnostico ICF (International Classification of Funtioning), B.E.S., codici nosografici, manuale diagnostico ICD-10DSAADHD o DDAIQI globale, DESM Disturbo Evolutivo Specifico Misto codice F83.
Viene inoltre messo in campo un esercito di acronimi, fino ad arrivare a formulare frasi, se tali possono definirsi, del genere: “Sarà cura degli Uffici Scolastici Regionali operare il raccordo tra i CTS e i GLIR, oltre che raccordare i GLIP con i nuovi organismi previsti nella presente Direttiva“, per non parlare dei CTI e dei GLH. Immagino poi che tutto questo debba essere presente anche nel POF e nel POFT.
Per non parlare dei riferimenti normativi che, cosa tipica dell’italica prolissità legislativa, produce valanghe di articoli, leggi, circolari, regolamenti, direttive, etc. Si veda questo quadro sinottico di riferimento della normativa su tutti i BES aggiornato al 2013 e pubblicato su Educazione&Scuola.
Gli studenti sono tutti ornitorinchi
Se poi si va a vedere più da vicino criteri e definizioni in base alle quali questa classificazione è costruita ci si trova davanti a una tale genericità, ambiguità, confusione, che mostra tutta la sua inconsistenza di fronte a una realtà fatta da studenti che, direbbe Umberto Eco, sono tutti “ornitorinchi“. Quando poi si passa a definire i BES come quelle alunne/i svantaggiati socio – economicamente o culturalmente, ci ci troviamo di fronte più che ad una tassonomia ad un esempio di quella che Giacomo Leopardi chiamerebbe poetica del “vago e dell’indefinito“, e chissà, a sua volta, con quale etichetta Giacomo verrebbe stigmatizzato dal ministero.
Giancarlo Onger
Dory, ti voglio abbastanza bene. Conversazione di e con Giancarlo Onger, 29/04/2015, Presidente del CNIS, Associazione Nazionale Insegnanti Specializzati. Cliccare sull’immagine per scaricare la presentazione
Una risposta educativa, non una risposta medica
Ma davvero una politica educativa che voglia essere inclusiva deve fondarsi su un sistema di classificazione degli studenti che li categorizzi in funzione di criteri medici, psicologici, sociologici, in base ai quali questi risultano imprigionati in “gabbie lessicali ” definite dalla misura in cui si discostano da una pretesa normalità assunta come norma?
Dietro il linguaggio medico – legale e i contorcimenti lessicali, come quelli presenti nell’immagine qui sopra, per cercare di essere “semanticamente corretti” nei confronti delle persone con disabilità, non si cela un razzismo di fatto che etichetta, metonimicamente, una persona riducendola a una delle tante caratteristiche della sua conformazione psico – fisica?
Insomma, una simile impostazione della politica scolastica di inclusione, non sembra fatta da tante esclusioni?
Ma, sopra ogni altra cosa, i docenti non dovrebbero dare una risposta pedagogica ed educativa a questi problemi senza dover divenire esperti di medicina e di giurisprudenza?
Tecnologie Didattiche e Inclusione Educativa
Ho incentrato il mio intervento sulla possibilità di utilizzare le tecnologie educative e il web per fornire a tutti gli studenti, la possibilità di attuare forme di apprendimento personalizzato, partendo dalla considerazione che ogni studente sia portatore di esigenze specifiche e di bisogni “speciali”. A tale scopo ho realizzato con Mindomo due mappe:
1. La prima visualizzabile in modalità “presentazione” propone un percorso attraverso 19 slides: Tecnologie e Inclusione in modalità presentazione
2. La seconda è invece liberamente navigabile e sono visualizzati tutti i 147 argomenti da cui è formata: Tecnologie e Inclusione liberamente navigabile
Premesse Teoriche
Scopo della mappa è mostrare alcuni esempi concreti di uso delle tecnologie tratti dalla pratica didattica quotidiana che coinvolge me e le mie classi. Prima di illustrare brevemente il senso di questi “casi”, ritengo necessario esplicitare le premesse di ordine teorico in cui queste pratiche vanno inquadrate anche in relazione al tema dello sviluppo di una “Didattica Inclusiva”.
1. Le Tecnologie Educative non sono medicine miracolose capaci di risolvere ogni problema dell’apprendimento e assicurare una palingenesi della scuola. In altri termini è necessario abbandonare un approccio in cui alle tecnologie viene conferito un ruolo salvifico e messianico, per un approccio più pragmatico e centrato sulla soluzione di problemi specifici e limitati, un agire con le tecnologie che è sempre “in situazione”e preveda la regia educativa del docente.
2. Le TIC vanno ripensate come T.A.C., il problema non è apprendere le tecnologie ma apprendere con le tecnologie. Occorre tenere sempre presente il primato della didattica sulla tecnologia, solo a tale condizione si può realizzare un uso pedagogicamente efficace di questa.
3. Le tecnologie vanno somministrate dietro indicazione del docente che deve individuarle e adoperarle sempre in modo contestuale, adattandole alle situazioni specifiche e particolari della pratica didattica quotidiana e alle esigenze degli studenti. Esse devono rientrare in quella “messinscena dell’apprendimento“, tramite cui il docente, inteso come “regista didattico“, coordina e gestisce le risorse di cui dispone: studenti – attori, ambiente (fisico o virtuale), strumenti, tecniche, procedure, obiettivi,  etc. Egli opererà secondo una determinata “sceneggiatura“, a partire dalla quale possa avvenire la messa in scena del processo di “apprendimento – insegnamento”, finalizzata a creare le condizioni ideali perché ai protagonisti (gli studenti) sia offerta la possibilità di esprimere le proprie capacità e di soddisfare le proprie esigenze.
4. La risposta ai problemi dell’inclusione scolastica non è dunque la medicalizzazione dell’apprendimento ma la sua personalizzazione.

immagine tratta dal sito dell’ICS “G. Falcone – R. Scauda”
5. Come mostra l’immagine qui sopra gli alunni e le alunne sono tutti “speciali” e tutti “diversi” ciascuno di loro ha il diritto di essere considerato come persona con le sue esigenze e a ciascuno di essi si deve garantire un apprendimento personalizzato
6. Per quanto mi riguarda non esistono Bisogni Educativi Speciali, ma Bisogni Educativi degli Studenti, di TUTTI gli studenti.
7. Il principio su cui fondo la mia idea di inclusione educativa è il seguente: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni“, Karl Marx “Critica del programma di Gotha” o, se si preferisce, Atti degli Apostoli, (4,32) da cui Marx riprende la frase. Ritengo che questa massima “marxiano – apostolica”, possa costituire il fondamento dell’agire della comunità che apprende e che in essa venga espressa la sintesi dialettica delle due opposte esigenze: l’uguaglianza nella differenza.
Come Leggere la Mappa
Nella mappa mostro, come già detto, alcuni esempi di possibili utilizzi delle tecnologie didattiche tratte dalla pratica formativa quotidiana portata avanti da me e dai miei studenti. Quest’anno scolastico stiamo sperimentando i possibili utilizzi dell’audio e del video, combinati con il web e i dispositivi mobili, per personalizzare insegnamento e apprendimento. Non si tratta di soluzioni rivoluzionarie ai problemi della scuola e della didattica, ma di semplici risposte concrete a specifiche esigenze che insorgono nella pratica quotidiana.

Nel repertorio da me segnalato si possono trovare:
1. registrazioni audio condivise online con le classi relative a:
# lezioni del docente registrate in tempo reale;
# audio riassunti realizzati dagli studenti;
# verifiche orali sostenute dagli studenti;
# valutazioni audio realizzate dagli studenti sulle prestazioni fornite dai loro compagni.

2. Registrazioni video condivise online relative a:
# video lezioni realizzate dal docente e dagli studenti con la tecnica dello screencast;
# riprese dal vivo delle lezioni tenute dagli studenti ai loro compagni su argomenti disciplinari;
# video correzioni di questionari scritti realizzate dal docente per gli studenti;
Moduli formativi realizzati con vari ambienti (Mindomo, Edynco, BlendSpace) di apprendimento secondo i principi del Blended Learning e fruibili interamente online.
Tutti questi contenuti sono realizzabili molto facilmente e nella maggior parte dei casi è sufficiente disporre di uno smartphone. Altre volte si deve ricorrere ad applicazioni e ambienti web (Prezi, Edmodo, Edynco, BlendSpace, etc.). In questi casi ho indicato articoli e video tutorial, possibilmente in italiano, grazie ai quali è semplice impararne l’uso.
In che senso questi sono esempi di una possibile personalizzazione dell’apprendimento? Niente di rivoluzionario, come dicevo, solo piccole soluzioni a piccoli problemi, ma spesso tante piccole soluzioni danno una grande soluzione.

Le studentesse e gli studenti infatti possono:
# ascoltare o guardare più volte una lezione
# farlo quando vogliono e in qualsiasi luogo si trovino
# fermare l’ascolto o visione e riprendere dal punto che gli interessa
# ripassare,
# recuperare una lezione cui erano assenti,
# ritornare su quanto non avevano capito,
# chiedere al docente o ai compagni chiarimenti utilizzando sistemi di messaggistica o di gestione dell’apprendimento, etc.
# valutare le proprie performance e imparare dai propri errori
e altre cose ancora.
Nella mappa liberamente visualizzabile è possibile esplorare molti altri esempi di risorse condivise online a supporto dell’apprendimento come: video quizzes e quizzes realizzate da me e dagli studenti, presentazioni e mappe concettuali, ambiente di gestione della classe come Edmodo, etc.

Apprendimento Personalizzato Utopia regolativa
Tutto questo viene proposto nella consapevolezza che una piena personalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento costituiscono criteri regolativi, come direbbe Kant, che non saranno mai pienamente conseguibili. Solo in una prospettiva escatologica e soteriologica della didattica si può pensare di realizzare pienamente l’Eden pedagogico. Nella realtà consideriamo la perfetta personalizzazione di apprendimento e insegnamento come un’utopia irrealizzabile, ma che deve costituire un modello progettuale che ci consenta di progredire e migliorare nella strada di un-educazione inclusiva per tutti.
Linkografia
I link sono riportati nell’ordine in cui gli autori citati e le loro opere compaiono in questo articolo
# Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, 2006
#Corriere della Sera, Per dare il nome alla “cosa” Eco riparte dell’ornitorinco, 23/10/1997
# Giancarlo Onger,  Dory, ti voglio abbastanza bene, conversazione con e di Giancarlo Onger, presentazione in Power Point, 29/04/2015
# S.I.A.: Servizi per l’Inclusione e l’Apprendimento, Ufficio Disabilità e D.S:A: Università di Cagliari
# Università di Cagliari, S.I.A.: Link sulla disabilità

https://insegnantiduepuntozero.wordpress.com/2015/11/25/b-e-s-e-inclusione-siamo-tutti-speciali-i-b-e-s-come-bisogni-educativi-degli-studenti/





tutto vero... tutto bene non fosse che.... adhd (sinfrome ancora controversa e al centro di molte differenti linee di ricerca), autismo e disprassia.... hanno anche un approccio medico... dsa essendo una caratteristica no.... tutto bene anche se oggi moltissimi docenti non conoscono ancora la circolare 8 del miur che va proprio nella direzione del superamento della percezione clinica e del non intervento dei docenti in mancanza di certificazioni e diagnosi... tutto bene se non consideriamo che comunque bes ha anche componente sociale ed emotiva non solo legata a una caratteristica o a una patologia... il miur nelle ultime esternazioni tende proprio a non sposare piu' l''approccio clinico.... la circolare 8 pone enfasi proprio sulla responsabilita' della scuola di riconoscere e attivare le adeguate tecniche didattiche in assenza di ogni altro riconoscimento.
Non mi piace più · Rispondi · 4 · 26 novembre alle ore 7:04

Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Indicazioni operative:
http://www.sardegna.istruzione.it/allegati/Circolare-BES.pdf


Holderlin. Dobbiamo superare lo Stato! Ogni Stato, infatti, necessariamente considera gli uomini liberi come ingranaggi meccanici, ma così non deve essere, e lo Stato deve dunque estinguersi.

Dobbiamo superare lo Stato! Ogni Stato, infatti, necessariamente considera gli uomini liberi come ingranaggi meccanici, ma così non deve essere, e lo Stato deve dunque estinguersi.
Friedrich Holderlin, Scritti di estetica

venerdì 27 novembre 2015

Nina Berberova. Ognuno di noi ha la propria No man’s land, in cui è totale padrone di se stesso.

Ognuno di noi ha la propria No man’s land, in cui è totale padrone di se stesso. 
C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’ altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. 
Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero anche soltanto un’ora al giorno, una sera alla settimana, un giorno al mese. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non s’è mai incontrato con se stesso.
Nina Berberova

Kary Mullis. Ballando nudi nel campo della mente. Forse siamo esseri che evolvono, sviluppatisi dall’argilla, per una serie di combinazioni casuali, su un pianeta ostile. Non sappiamo da dove veniamo e purtroppo manchiamo decisamente di fantasia.

Forse siamo esseri che evolvono, sviluppatisi dall’argilla, per una serie di combinazioni casuali, su un pianeta ostile. Non sappiamo da dove veniamo e purtroppo manchiamo decisamente di fantasia.
Kary Mullis, Ballando nudi nel campo della mente


Gustave Thibon. Ritorno al reale: nuove diagnosi. la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore



Gustave Thibon definito "il filosofo contadino".
A lui Simone Weil consegna il manoscritto del suo celebre libro La pesanteur et la grace (La pesantezza e la grazia, o L'ombra e la grazia) che lo scrittore pubblica nel 1947, facendo conoscere al mondo la giovane filosofa morta quattro anni prima di tubercolosi.


«Definire la libertà come indipendenza nasconde un pericoloso equivoco
Non esiste per l'uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall'esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà. Un forzato dipende dalle sue catene, un agricoltore dipende dalla terra e dalle stagioni: queste due espressioni designano realtà ben diverse. Torniamo ai paragoni biologici che sono sempre i più illuminanti. In che consiste il "respirare liberamente"? Forse nel fatto di polmoni assolutamente "indipendenti"? Nient'affatto: i polmoni respirano tanto più liberamente quanto più solidamente, più intimamente sono legati agli altri organi del corpo. Se questo legame si allenta, la respirazione diventa sempre meno libera e, al limite, si arresta. La libertà è funzione della solidarietà vitale. Ma nel mondo delle anime questa solidarietà vitale porta un altro nome: si chiama amore. A seconda del nostro atteggiamento affettivo nei loro confronti, i medesimi legami possono essere accettati come vincoli vitali, o respinti come catene, gli stessi muri possono avere la durezza oppressiva della prigione o l'intima dolcezza del rifugio. Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei "legami" del matrimonio. Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore.»
Gustave Thibon, Ritorno al reale: nuove diagnosi, traduzione di I. De Giorgi, Volpe, 1972.

martedì 24 novembre 2015

Gianluca Lo Presti. Bes. Gli studenti con disabilità, con disturbi evolutivi (come Dsa, Adhd etc.) e con svantaggio socio-economico, linguistico e culturale necessitano di Bisogni Educativi Speciali (Bes) a scuola. Su questo tema oggi c’è molta confusione. Una lettura superficiale della normativa rischia di portare a delle affermazioni come “i Bes non esistono”; “Allora sono tutti studenti-Bes” oppure “Senza certificazione non posso fare niente” e molte altre ancora. Ma è tutto inesatto.




Psicologo, esperto in psicopatologia dell'apprendimento

Gli studenti con disabilità, con disturbi evolutivi (come Dsa, Adhd etc.) e con svantaggio socio-economico, linguistico e culturale necessitano di Bisogni Educativi Speciali (Bes) a scuola.

Su questo tema oggi c’è molta confusione.

Una lettura superficiale della normativa rischia di portare a delle affermazioni come “i Bes non esistono”; “Allora sono tutti studenti-Bes” oppure “Senza certificazione non posso fare niente” e molte altre ancora. Ma è tutto inesatto.

Vediamo insieme alcuni degli dubbi più frequenti legati alla nuova normativa e alla fine del post lasciamo un allegato che si può scaricare, il quale spiega ogni punto in riferimento alla normativa vigente.

Un primo dubbio è: “chi sono gli alunni con Bes?”. Sono tutti quelli che la scuola può individuare in tre modi: certificazione, diagnosi o da considerazioni didattiche. (punto 1, Dir. M. 27/12/2012)

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“Un Bes è per sempre”. No, o meglio, non è sempre così. Infatti i Bisogni Educativi Speciali degli alunni nell’area dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale, prevedono interventi verificati nel tempo, così da attuarli solo fin quando serve. (pag. 3 CM MIUR n° 8-561 del 6/3/2013)

La diagnosi di Bes non esiste. Il concetto è quello che se uno studente ha una diagnosi di disturbo evolutivo (Dsa, Adhd, etc) o Disabilità (Leg. 104/92) allora necessità di Bisogni Educativi Speciali a scuola. La diagnosi è una categoria sanitaria come “Dislessia” o “Disturbo del Linguaggio”. Quando le diagnosi di questi alunni si depositano a scuola allora è necessario attivare dei Bisogni Educativi Speciali. Dunque il Bes non si certifica (per approfondire invito alla lettura del post del Prof. Flavio Fogarolo).

Bes e Dsa non sono la stessa cosa. Infatti i Dsa sono i Disturbi Specifici di Apprendimento come Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia (Art. 1 Leg.170/10), e riguardano dunque il tipo di difficoltà che mostra il ragazzo (disturbo specifico di apprendimento) mentre i Bes sono gli strumenti di intervento didattico che mettiamo in atto in classe sia per gli alunni con Dsa che per tutti gli “alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni”(Dir. MIUR 22/12/2012).

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“Devo fare il Pdp per tutti gli alunni con Bes?” Assolutamente no.

Il Piano Didattico Personalizzato:

- è obbligatorio quando abbiamo una diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento, dunque con tutti codici che iniziano con F 81 dell’ ICD-10. In questo caso va compilato entro 3 mesi dalla consegna della diagnosi.

- è a scelta della scuola quando abbiamo una diagnosi di Disturbo Evolutivo (diverso dai Dsa) come Adhd, Disturbo del Linguaggio, Disturbo Coordinazione Motoria o visuo-spaziale; oppure quando abbiamo delle difficoltà di apprendimento, svantaggio socio-culturale o alunni stranieri. In tutti questi casi il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Pdp. Questo può essere compilato in qualsiasi momento dell’anno. (pag. 2 Nota Ministeriale MIUR del 22/11/2013, n°2363)

Il Pdp va firmato dai genitori dell’alunno in quanto rappresenta un accordo di collaborazione con famiglia. Anche se, in altre situazioni molto più frequenti a scuola, non c’è bisogno di alcun documento per spiegare l’utilizzo di strategie didattiche più conformi a migliorare l’apprendimento di un alunno in difficoltà.

Evitiamo Pdp rappresentati da semplici elenchi in cui con caselline, tipo checklist vi è da spuntare una lista di modalità dispensative/compensative. Rischieremmo di perderebbe tutta la sua personalizzazione.

Per quanto riguarda le prove Invalsi ed i Bes, una recente nota MIUR spiega schematicamente come fare: è possibile scaricarla qui.

I docenti possono accettare la diagnosi di Dsa emessa da strutture private per la piena applicazione della Legge 170/10: “Per quanto riguarda gli alunni in possesso di una diagnosi di Dsa rilasciata da una struttura privata, si raccomanda – nelle more del rilascio della certificazione da parte di strutture sanitarie pubbliche o accreditate – di adottare preventivamente le misure previste dalla Legge 170/2010”. (Pag. 2 e 3 della CM MIUR n° 8-561 del 6/3/2013)

E’ dunque possibile abbattere sia i lunghi tempi d’attesa di molti enti pubblici, sia i costi elevati di alcuni enti accreditati. E nel contempo che vi sia garantita una diagnosi rigorosamente compilata da professionisti che rispettano la Consesus Conference sui Dsa. In questo modo, sia la scuola che la famiglia, può attivarsi tempestivamente per una diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi come previsto dalla legge quadro sui Dsa (comma f, art 2, L. 170/10).

Nell’allegato potete trovare l’esposizione completa di tutti i punti fin qui descritti, ognuno dei quali con il riferimento normativo preciso: Bisogni Educativi Speciali a scuola: 10 precisazioni necessarie

Un anno sperimentale: raccontaci la tua opinione

Il MIUR nella Nota del 22/12/2013 ha sottolineato che il corrente anno scolastico sarà utilizzato per sperimentare e monitorare procedure e metodologie relative ai Bisogni Educativi Speciali a scuola. E’ quindi importante conoscere la vostra esperienza e quella dei vostri colleghi.

Scaricate e date uno sguardo all’allegato proposto, stampatelo o inoltratelo ad amici e conoscenti per conoscere anche la loro opinione. Ma, sopra ogni cosa, se questo post è ricco di informazioni è anche grazie a chi ha speso il proprio tempo a raccontare la propria esperienza.

Come vi trovate a scuola con la nuova normativa sui Bes? Che miglioramenti apportereste? Cosa va bene o che cosa cambiereste?

Grazie in anticipo per ogni commento che vorrete condividere.

Qui trovate anche tutti i link alla normativa citata nel testo:

Qui trovate anche tutti i link alla normativa citata nel testo:




lunedì 23 novembre 2015

Aleksandr Lurija. Lev A. Zaseckij aveva ventitré anni quando, il 2 marzo 1943, una pallottola gli si conficcò nella regione parieto-occipitale dell’emisfero destro. Si svegliò in un ospedale militare non lontano dal fronte russo occidentale con la memoria frantumata e il campo visivo dimezzato.






"Lev A. Zaseckij aveva ventitré anni quando, il 2 marzo 1943, una pallottola gli si conficcò nella regione parieto-occipitale dell’emisfero destro. Si svegliò in un ospedale militare non lontano dal fronte russo occidentale con la memoria frantumata e il campo visivo dimezzato. La cartella clinica non autorizzava alcun ottimismo. Il proiettile aveva perforato la nuca sul lato sinistro, attraversato la massa del cervello, provocato infiammazioni nei tessuti circostanti e avviato un processo di cicatrizzazione e di atrofia cerebrale destinato ad avanzare negli anni a venire. Per effetto delle lesioni, Zaseckij aveva perduto interi settori di quella che oggi chiameremmo la memoria procedurale (quella che presiede alla lettura dell’orologio, alla vestizione o all’impiego degli utensili quotidiani), la capacità di rappresentare mentalmente le parti del proprio corpo, l’orientamento spaziale, il significato di molte parole, e tutte le conoscenze che aveva accumulato nella vita precedente, dal nome delle sorelle agli studi di ingegneria meccanica.

Nelle settimane successive fu trasportato da un luogo di ricovero all’altro finché, alla fine di maggio, approdò all’ospedale di riabilitazione neurochirurgica per i feriti di guerra negli Urali meridionali. Fu preso in cura da Aleksandr R. Lurija, direttore dell’istituto, già collaboratore del grande psicologo culturale Lev S. Vygotskij, le cui riflessioni sul «principio dell’organizzazione extracorticale delle funzioni mentali complesse» (le attività cognitive che si realizzano con l’ausilio di oggetti esterni, dal nodo al fazzoletto alla scrittura) avrebbero ispirato la linea terapeutica che durante la guerra Lurija decise di tentare con alcuni suoi pazienti cerebrolesi. Una sorta di ergonomia cognitiva che nel caso di Zaseckij si realizzò nella stesura pluridecennale di un’autobiografia faticosamente redatta giorno per giorno, parola per parola, pensiero per pensiero, per cercare di rimettere insieme, almeno sulla carta, i frammenti della sua coscienza polverizzata.

Pubblicato per la prima volta nel 1972 e oggi riedito con prefazione di Oliver Sacks (1987) e postfazione di Luciano Mecacci, Un mondo perduto e ritrovato (traduzione di Mario Alessandro Curletto, Adelphi, pp. 233, euro 18,00) racconta la storia di questa impresa titanica. Lo fa attraverso il montaggio di pagine tratte dal diario di Zaseckij, alternate a commenti e digressioni dell’autore-curatore, la cui principale preoccupazione è presentare il paziente nella sua unicità di persona in lotta contro i devastanti deficit che lo affliggono, anziché come caso clinico da incasellare nel bizzarro archivio delle neuropatologie.
Pur menomato nelle sue possibilità di pensiero e di azione, Zaseckij conservò intatta la forza d’animo, ed è sulla sua feroce volontà di non soccombere alla malattia che fece leva il terapeuta quando gli propose di reimparare a leggere e scrivere. Lo sforzo fu immane: non solo Zaseckij non riconosceva più le lettere e stentava a memorizzarle di nuovo, ma era anche incapace di vederne più di tre alla volta; il che, sommato ai problemi di memoria, fece sì che dopo mesi di accanito esercizio riuscisse a malapena a trattenere la traccia delle lettere appena decifrate per collegarle a quelle successive, prima che l’intera parola evaporasse nel nulla: «era come se gli occhi se ne andassero ognuno per conto proprio, portandosi via la lettera che stavo per guardare».
Con la scrittura non andava molto meglio. Come un bambino di quattro anni Zaseckij dovette imparare a tenere in mano la matita e recitare l’intero alfabeto dalla A alla Z per farsi venire in mente, uno a uno, i caratteri che gli servivano a comporre le espressioni più elementari, rileggendo la sequenza fin lì prodotta ogni volta che doveva aggiungere un simbolo ulteriore. E siccome la ferita aveva distrutto i circuiti cerebrali tramite i quali le impressioni dei diversi sensi confluiscono in rappresentazioni unitarie, le parole e i concetti – scrive Lurija – «sciamano come api» nella sua mente, senza coagularsi in immagini coerenti o in sintagmi complessi.

«Proprio nel mio linguaggio e nella mia memoria è avvenuta la scissione tra la “parola” e il suo «significato». Il ricordo di una parola e del suo significato sono come separati l’uno dall’altro da un intervallo non definito di tempo. E sono sempre quasi del tutto isolati l’uno dall’altro, cosicché nel ricordare devo in qualche modo unirli. Ma queste unioni non durano a lungo nella memoria, si dissolvono rapidamente e svaniscono…». Così Zaseckij descrive la sua afasia, ed è sorprendente la precisione con cui si esprime, quasi a smentire i contenuti del resoconto. Mentre riferisce della scissione che nella sua testa ha disgiunto i significanti dai significati, mentre racconta di sé come di un individuo a pezzi cui sono stati «strappati dei legamenti della memoria», mentre enumera le sue numerose défaillances quotidiane, vergognandosi di apparire come uno stupido, si rivela l’esatto contrario del personaggio che descrive: una persona lucida e consapevole, dotata di una notevole proprietà di linguaggio, in grado di produrre discorsi complessi e di ragionare sull’eziologia del suo male.
La scissione non riguarda dunque solo la parola e il suo significato, ma anche il narratore e il personaggio, separati da un vistoso scarto cognitivo, come se tra il tempo della storia e il tempo della narrazione fosse sopraggiunta una miracolosa guarigione e lo Zaseckij scrittore avesse ritrovato il lucchetto della memoria.
Tuttavia Zaseckij non era affatto guarito, e fin dalle prime pagine di Un mondo perduto e ritrovato si capisce che il lieto fine ventilato nel titolo non si realizzerà, o perlomeno non secondo i canoni del racconto tradizionale. «È il libro su una lotta che non ha portato alla vittoria, e su una vittoria che non ha messo fine alla lotta» – scrive Lurija – con buona pace della morfologia di Propp.
C’è però un corrispettivo del mezzo magico fiabesco che segna un punto di svolta in questa lotta perpetua senza vittoria.
Constatati gli insuccessi della terapia logopedica, un bel giorno Lurija ebbe una intuizione folgorante: posto che le regioni uditive del cervello e tutte le attività motorie del paziente erano rimaste intatte, perché non sfruttarle per cercare di ripristinare la capacità di scrivere secondo un metodo alternativo? Gli propose dunque di scrivere la parola «sangue» non lettera per lettera, bensì tutta insieme, d’impulso, senza staccare la matita dal foglio, e senza riflettere sui movimenti della mano. Zaseckij scoprì che il suo corpo ricordava ciò che la mente aveva dimenticato: la parola si riversava meccanicamente sulla carta e, sebbene faticasse a rileggerla, da quel momento gli si dischiusero possibilità di azione sino ad allora impensabili. Con la pratica imparò a scrivere interi periodi di getto, non sempre linguisticamente ineccepibili (i problemi della memoria permanevano), eppure in grado di fissare un primo abbozzo di senso sul quale lavorare per giorni, mesi e anni, attraverso estenuanti correzioni, molteplici versioni, stesure via via perfezionate, che alla lunga ricucivano quell’indispensabile trama narrativa con cui gli umani si costituiscono come soggetti.
Lotto ancora! è il titolo dell’autobiografia a cui Zaseckij affidò la sua identità, tuttora frammentata nella vita reale, ma ricomposta nelle tremila pagine che compongono il diario. È come se il protagonista scaffalasse il suo sé in una memoria esterna a cui fare costante riferimento per recuperare, oltre alla continuità della propria esistenza, l’autostima necessaria per sentirsi persona tra le altre persone."

(Il manifesto, Valentina Pisanty, 21.11.2015. La mente dimentica il corpo no. Aleksandr Lurija. L’impresa titanica che Aleksandr Lurija tentò per rimettere insieme i frammenti della coscienza di Lev A. Zaseckij, il soldato la cui ferita al cervello provocò una scissione tra le parole e i significati)



Maurice Blanchard. La rivolta contro il fallimento.

La situazione-limite
È un frutto che matura lentamente, molto lentamente.
Così lentamente che l’albero muore prima che il frutto maturi, ancor prima che abbia appagato la sete del viaggiatore sfinito. Gli basta poco: un raggio di sole sull’acqua tremolante del pentimento.
Il signor architetto misura la porta, le finestre, l’altezza dei muri e la pendenza del tetto. Si onora, il signor Architetto, lo si saluta quando passa per strada, col metro in mano e il didietro in fondo alla schiena, come tutti. Ogni sera un sonno ben misurato lo sopprime.
Veglio. Il mio lavoro ha bisogno dell’infinito. Sì! In ogni momento mi occorre passare attraverso l’infinito per raggiungere incerte e transitorie piccole cose. È il mio mestiere. Buonasera!
Maurice Blanchard, La rivolta contro il fallimento

Emily Bronte. Cime tempestose. Il mondo intero è un’atroce collezione di promemoria che mi ricordano che lei è esistita, e io l’ho perduta

L'AMORE E L'AMICIZIA
L'amore è simile alla rosa di macchia,
l'amicizia assomiglia all'agrifoglio:
l'agrifoglio è scuro quando la rosa fiorisce,
ma chi è più costante nella fioritura?
La rosa di macchia è odorosa in primavera,
i suoi fiori estivi profumano l'aria;
ma aspetta che torni l'inverno:
chi si ricorderà della rosa di macchia?
Disprezza allora l'inutile corona di rose
e ricopriti della lucentezza dell'agrifoglio
che quando dicembre rattrista la tua fronte
ancora sa mantener verde la tua ghirlanda.
Emily Bronte


Si fa tene­bra intorno a me la notte, spi­rano venti gelidi e selvaggi; ma mi ha vinto una gelida magia e non posso, non posso andare via. Alberi gigan­te­schi i rami piegano, sche­le­tri nudi gra­vidi di neve; la tem­pe­sta mi tiene compagnia e non posso non posso andare via. Sopra di me ci sono solo nuvole, ai miei piedi deserti e poi deserti; nes­sun timore avrà l’anima mia: io non posso, non voglio andare via.
Emily Brontë


Io lo amo più di me stessa, Ellen; e lo so da questo: tutte le sere io prego di potergli sopravvivere, perché preferirei essere infelice io, piuttosto che saperlo infelice. È la prova che l'amo più di me stessa.
Emily Brontë

Il mondo intero è un’atroce collezione di promemoria che mi ricordano che lei è esistita, e io l’ho perduta.
Emily Brontë, Cime tempestose


Sii sempre con me, prendi qualsiasi forma, portami alla follia. Solo non lasciarmi in quest’abisso, nel quale non riesco a trovarti.
Emily Brontë, Cime tempestose

sabato 21 novembre 2015

In una società basata ormai quasi prevalentemente sull’apparenza, oggi, si tende a dare più importanza a come una persona appare. Anche se, come tutti sappiamo…, la realtà è esattamente opposta: le persone fredde sono in realtà le più sensibili… le persone nervose… arrabbiate… sono le più fragili, quelle silenziose sono quelle che avrebbero più da dire. In genere è la delusione a far sì che le persone costruiscano sui loro volti delle maschere… maschere per difendersi, maschere per piacere di più, maschere che alla fine, prendono il posto dei nostri stessi volti.

Se una persona dorme tanto, è triste. (Dice la psicologa)

di Aurora Rory

Ogni persona ha un suo equilibrio. Se questo equilibrio viene compromesso c’è qualcosa che non va. Una persona sana, fisicamente e mentalmente, riesce a dare il giusto spazio ad ogni cosa nella sua vita. Dorme bene, vive pienamente… ma più il suo equilibrio è leso più questa routine viene compromessa. A ledere il nostro equilibrio sono gli sterminati fattori esterni che quotidianamente ci mettono a dura prova. Delusioni, fallimenti, sogni svaniti… sono tutte componenti di un caos mentale ed emotivo che ci arrecano danno. I più forti reagiscono… ma per rientrare in questa fortunata élite occorre avere un carattere poco sensibile. Per i più dolci di cuore si sa… tutto è amplificato, soprattutto i dolori… e allora si cerca di contrastarli come meglio si può… e qualcuno si rifugia nel tepore del proprio letto. Dormire infatti aiuta a staccare la mente, a evitare di pensare.

In una società basata ormai quasi prevalentemente sull’apparenza, oggi, si tende a dare più importanza a come una persona appare. Anche se, come tutti sappiamo…, la realtà è esattamente opposta: le persone fredde sono in realtà le più sensibili… le persone nervose… arrabbiate… sono le più fragili, quelle silenziose sono quelle che avrebbero più da dire. In genere è la delusione a far sì che le persone costruiscano sui loro volti delle maschere… maschere per difendersi, maschere per piacere di più, maschere che alla fine, prendono il posto dei nostri stessi volti. Ecco perchè questa psicologa, di cui però non si conosce l’identità, ha perfettamente ragione… leggete.

Se una persona dorme tanto, è triste.
Se una persona parla poco, ma veloce, è perché si tiene molte cose dentro.
Se una persona non riesce a piangere, è debole.
Se una persona mangia in una maniera assurda, è nervosa.
Se una persona piange per ogni minima cosa, è innocente e di buon cuore.
Se una persona si arrabbia per cose sciocche, ha bisogno di amore.
Se una persona ride molto, anche per le cose più stupide, si sente molto sola.
Prima di giudicare qualcuno, cerca di comprenderlo.
(Tumblr)

Psicologa Psicoterapeuta Teresa Tucci






Se una persona dorme tanto, è triste. (Dice la psicologa)