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mercoledì 30 aprile 2014

I DUE SOGNATORI di Attar di Nishapur Un povero contadino viveva presso la città di Ispahan. Davanti alla sua dimora si estendeva un piccolo campo e all'estremità del campo c'erano una sorgente e un fico: era tutto ciò che possedeva.


I DUE SOGNATORI di Attar di Nishapur

Un povero contadino viveva presso la città di Ispahan. Davanti alla sua dimora si estendeva un piccolo campo e all'estremità del campo c'erano una sorgente e un fico: era tutto ciò che possedeva.
Lavorava sodo, ma il raccolto era scarso. Quando il caldo diventava insopportabile, si stendeva sotto il fico per fare una siesta. Un giorno, mentre riposava, fece un sogno. Si trovava in una grande città, i negozi esponevano frutta e verdura, spezie aromatiche, tappeti multicolore e rami lucidi. Sopra i tetti si vedevano volte dorate o piccoli minareti. Percorse le strade e le piazze affascinato dall'animazione della folla e dalla ricchezza. Infine giunse alla sponda di un grosso fiume, che scorreva sotto un ponte di pietra. Avanzò verso il ponte e lì, con stupore, vide un gran baule colmo di monete d'oro e di pietre preziose. Allora sentì risuonare una voce: "Sei nella città del Cairo, in Egitto; questo tesoro è tuo!". Il contadino spalancò gli occhi e si ritrovò disteso sotto il fico, a Ispahan. "Dio ha ispirato il mio sogno! - esclamò contento. Fece fagotto e si mise in cammino per l'Egitto. Il viaggio fu duro e pericoloso; infine, dopo tre settimane, il pover'uomo giunse presso i sobborghi del Cairo. Si mescolò alla folla, percorse le strade, ammirò i negozi che esponevano frutta e verdura, spezie, tappeti, rami lucidi. In alcuni punti, sopra i tetti, volte dorate e esili minareti si stagliavano nel cielo blu. Giunse sulle rive del Nilo; vide un ponte di pietra che si elevava sopra il fiume. Riviveva tutti i dettagli della sua visione. Corse dunque verso il ponte; nel luogo in cui, nel sogno, si trovava il baule con il tesoro, e trovò un mendicante che gli chiese l'elemosina. "La vita è solo un'illusione! - esclamò deluso - A cosa serve vivere? Non potrà accadermi più niente di buono in questo squallido mondo!". Scavalcato il parapetto del ponte, stava per saltare, ma il mendicante lo trattenne. "Perché vuoi morire? Cosa ti è capitato per farti stancare del cielo blu e delle risa dei bambini?". Il contadino si sedette accanto al mendicante e gli raccontò tutto. "E ti lamenti per così poco! - esclamò il mendicante ridendo - Intraprendere un viaggio così pericoloso confidando in un sogno! Dovresti fare come me: accontentarti di ciò che Dio ti dà ogni giorno e non inseguire le illusioni dei tuoi sogni! Anch'io, da anni, faccio ogni notte un sogno simile al tuo...". "Qual è il tuo sogno?" domandò il contadino. "Mi ritrovo alla periferia della città di Ispahan. Vedo una casetta bassa di terracotta. Davanti alla casa, vedo un piccolo campo e, in fondo, un fico e una sorgente. Vado verso il fico, scavo una profonda buca e, tra le radici, scopro un baule pieno di monete d'oro e di pietre preziose". "Adoro rifare ogni notte il mio bel sogno, ma non per questo parto all'avventura. Vivo dove Dio ha voluto sistemarmi; resto seduto accanto al fiume e mi accontento di quello che mi danno i passanti". Il contadino balzò in piedi, ringraziò il mendicante per i suoi consigli e in fretta ritornò a Ispahan. Non appena giunto alla sua povera dimora, prese una zappa e corse presso il fico. Scavò e trovò un vecchio baule pieno di monete d'oro e di pietre preziose. Il contadino si gettò con la faccia a terra: "Dio è grande! - gridò - Ed io sono uno dei suoi figli!.


Cinzia Lodi sintesi de L'Alchimista...

sintesi de L'Alchimista...



Coelo é simpatico perché ha preso da destra a sinistra e dice sempre cose buone.



lunedì 28 aprile 2014

Vinicius de Moraes. Ho amici che non sanno quanto sono miei amici. Non percepiscono tutto l'amore che sento per loro, né quanto siano necessari per me. L'amicizia è un sentimento più nobile dell'amore. Non cerco alcuni di loro, mi basta sapere che esistono. Questa semplice condizione mi incoraggia a proseguire la mia vita. Un amico non si fa, si riconosce.


Ho amici che non sanno quanto sono miei amici. Non percepiscono tutto l'amore che sento per loro, né quanto siano necessari per me. L'amicizia è un sentimento più nobile dell'amore. Non cerco alcuni di loro, mi basta sapere che esistono. Questa semplice condizione mi incoraggia a proseguire la mia vita. Un amico non si fa, si riconosce
Vinicius de Moraes



Karl Marx & Friedrich Engels, dal Manifesto del Partito Comunista.

"La borghesia ha posto come unica libertà quella di un commercio privo di scrupoli.
In una parola, in luogo dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha introdotto lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido"
Karl Marx & F. Engels, da Il Manifesto del Partito Comunista



"La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi [...] La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta."
Karl Marx e Friedrich Engels, da Il Manifesto del Partito Comunista




IL CAPITALISMO GENERA NATURALMENTE LE CRISI E QUINDI IL PROLETARIATO (MARX-ENGELS)

"Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse.

A questo momento le armi che son servite alla borghesia per atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa.
Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che la porteranno alla morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari.

Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo commerciale, e sono quindi esposti, come le altre merci, a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato. [...]

Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cioè i piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo capitale non è sufficiente per l'esercizio della grande industria e soccombe nella concorrenza con i capitalisti più forti, in parte per il fatto che la loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.

Il proletariato passa attraverso vari gradi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza.
Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente. [...]

La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese assumono sempre più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta prorompe in sommosse.

Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più."

Karl Marx & Friedrich Engels, dal Manifesto del Partito Comunista


CHE COS'È IL MATERIALISMO DIALETTICO, LA FILOSOFIA ALLA BASE DEL MARXISMO (MARX, ENGELS, STALIN)

"Il materialismo dialettico è la concezione del mondo del partito marxista-leninista. 
Si chiama materialismo dialettico perché il suo modo di considerare i fenomeni della natura, il suo metodo per investigare e per conoscere i fenomeni della natura è dialettico, mentre la sua interpretazione, la sua concezione di questi fenomeni, la sua teoria, è materialistica
Il materialismo storico estende i principi del materialismo dialettico allo studio della vita sociale, li applica ai fenomeni della vita sociale, allo studio della società, allo studio della storia della società."
(Iosif Stalin, Materialismo dialettico e materialismo storico in "Questioni del leninismo", settembre 1938)


"Il materialismo filosofico marxista parte dal principio che il mondo e le sue leggi sono perfettamente conoscibili, che la nostra conoscenza delle leggi della natura, verificata dall'esperienza, dalla pratica, è una conoscenza valida, che ha il valore di una verità oggettiva."
Josif Stalin, dal Breve corso di storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell'URSS, 1938


Sebbene sia stato esplicitato maggiormente nei testi di Engels, e sebbene alcuni ritengano che Marx non fosse molto interessato all'opera di sistematizzazione della sua dottrina filosofica realizzata dall'amico, in genere si ritiene che il materialismo dialettico fece la sua comparsa con la rivalutazione critica da parte di Karl Marx del metodo dialettico o evolutivo di Hegel che questi applicava all'analisi dell’Uomo, della sua storia e delle sue opereMarx capovolse il metodo di Hegel che a suo giudizio "poggiava sulla testa" (cioè sullo Spirito, visto come entità fondante la dialettica storica) "riportandolo sui piedi" (cioè basando la sua filosofia sulla supremazia della materia, di cui i fenomeni spirituali o mentali nel cervello umano sono un prodotto).

Fondamentalmente, ciò che Marx trattenne dell'idealismo hegeliano applicandolo tuttavia al mondo reale (in opposizione al mondo delle idee) fu:

-Il rifiuto sia della metafisica idealista (in particolare di tipo religioso) sia dell'empirismo, a favore di un metodo rivolto alla generalizzazione teorica basata sul metodo scientifico: scopo della scienza è scoprire quelle che nel gergo hegeliano sono le "leggi di movimento" dei sistemi che studia, basate sulle forze fondamentali che ne determinano l'evoluzione, rifiutando idee preconcette imposte sui fenomeni ma senza fermarsi neppure ad una mera descrizione statica della loro apparenza superficiale.

-Una visione olistica per cui ogni cosa è una parte connessa del complesso che è l’Universo ed è sottoposta, in quanto comunque materia organizzata in forme storicamente determinate, alle medesime leggi fondamentali. Marx rifiuta dunque ogni forma di dualismo.

-Il riconoscimento del mutare incessante della realtà, per Hegel frutto del dipanarsi teleologico della dialettica dello Spirito, per Marx al contrario frutto del risolversi e del continuo ricrearsi della contraddizione all'interno degli oggetti materiali, in un'evoluzione che non ha una direzione data dall'esterno ed è intervallata da balzi qualitativi (che nella storia umana sono le rivoluzioni).

Dalla visione materialista tradizionale, ormai già suffragata dalle scoperte dei naturalisti (specialmente Charles Darwin) Marx assume l'idea che la natura non-vivente precedette le forme viventi della natura, che come animali capaci di pensiero astratto e coscienti di sé gli esseri umani si sono evoluti da animali senza questa capacità, e che la mente e la coscienza non possono esistere separatamente da un corpo vivente.

Conseguenza fondamentale della filosofia marxiana è il nuovo ruolo del filosofo materialista-dialettico. 
Come il mondo secondo Marx non è basato sull'Idea ma sulla materia, così scopo del filosofo non è più solo "interpretare il mondo", ma "mutarlo": questo è quanto dichiara programmaticamente al termine delle fondamentali Tesi su Feuerbach (1845), sintetico manifesto che, differenziando il pensiero marxiano dalla principale corrente della sinistra hegeliana, fonda teoricamente il nuovo indirizzo filosofico. Come il mondo secondo Marx non è statico ma evolve dialetticamente seguendo le sue contraddizioni interne, così la filosofia di tipo nuovo deve schierarsi nello scontro tra forze antagoniste (tra le classi sociali) che dilania la società e porsi l'obiettivo della soluzione per via rivoluzionaria della contraddittorietà del reale, da cui non ci si può liberare per via contemplativa — se non finendo, come Hegel, per giustificare la presunta "razionalità" dell'ordine di cose esistente.

Testi fondamentali del materialismo dialettico sono l'Anti-Dühring (1878), che molti considerano un vero e proprio compendio del Capitale, e l'incompleto Dialettica della natura (1883) di Friedrich Engels. 
In essi Engels esplicita la sua concezione filosofica in modo particolarmente chiaro indicandola come "dialettica materialista". La dialettica marxiana secondo lui si applica anche alla natura e poggia su tre leggi:

1) La legge della conversione della quantità in qualità (e viceversa): in natura le variazioni qualitative possono essere ottenute dal sommarsi graduale di variazioni quantitative che culmina con un salto (inerentemente non-graduale) di qualità; la nuova qualità è considerata altrettanto reale di quella originaria e non è più ad essa riconducibile. Più in generale, ogni differenza qualitativa è collegata ad una differenza quantitativa e viceversa: non esistono le categorie metafisiche "quantità" e "qualità" bensì esse costituiscono due poli di un'unità dialettica.

2) La legge della compenetrazione degli opposti (ossia dell'unità e del conflitto degli opposti) garantisce l'unità ed al tempo stesso il mutamento incessante della natura: tutte le esistenze essendo costituite di elementi e forze in opposizione hanno il carattere di una unità in divenire; l'unità è considerata temporanea, mentre il processo di mutamento è continuo. Le categorie hanno contorni sfumati ma non per questo è illusoria o meno intensa la loro contrapposizione e la dinamica evolutiva che ne deriva.

3) la legge della negazione della negazione: ogni sintesi è a sua volta la tesi di una nuova antitesi che darà luogo ad una nuova sintesi che risolve le contraddizioni precedenti e genera le sue proprie contraddizioni.

Queste leggi per Engels, determinano un divenire, sia naturale che storico, necessario ed essenzialmente progressivo, che ha tuttavia caratteristiche rivoluzionarie, con svolte brusche e violente, e non quelle di una pacifica evoluzione gradualistica.


fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Materialismo_dialettico

Robert Walser. “Ma perché era stato rinchiuso? Era pazzo, Robert Walser? Giro la domanda a Fleur Jaeggy, anche lei svizzera e scrittrice, che ne I beati anni del castigo ha dato conto della rigida educazione impartitale in un collegio di Teufen, sempre nell' Appenzell, non lontano da Herisau. Su Walser con le seguenti parole «Ma no, non ho mai pensato che fosse un folle», dice Jaeggy. «Era un poeta, e semplicemente non sapeva dove andare. «Nell'accettazione di quel ricovero, per così tanti anni, c'è tutta la sua pazienza. E non dimentichiamo il problema economico: oggi gli scrittori sono abbastanza aiutati, ma lui non ebbe aiuti. Da questo punto di vista, per quanto dura, la vita a Herisau fu una buona soluzione. Se invece consideriamo la cosa sotto il profilo medico, la diagnosi che precede il suo internamento ha dell' incredibile, parla di "tipica, stuporosa catatonia"


Anche quella era forse una sua cattiva abitudine, di essere contento e persino felice quando poteva eseguire lavori manuali. Ma tendeva davvero mal volentieri la mente che è la parte migliore dell'uomo? Era forse nato per fare lo spaccalegna o il vetturino? Doveva vivere nelle foreste vergini o fare il marinaio sulle navi? Peccato che nei pressi di Barenswil non ci fossero case di tronchi da costruire!
No, non era privo d'intelligenza, è difficile che un uomo sano lo sia. Ma aveva una certa predilezione per il fisico. A scuola (se ne ricordava spesso) era stato un buon ginnasta. Gli piaceva fare lunghe marce, scalare montagne, lavare stoviglie. Le aveva lavate spesso da ragazzo mentre raccontava storie a sua madre. Il movimento delle braccia e delle gambe gli procurava sensazioni deliziose. Preferiva fare il bagno nell'acqua fredda anziché star a riflettere su cose sublimi. Sudava volentieri, la qual cosa poteva avere un significato profondo. Era forse nato per trasportare mattoni? Bisognava attaccarlo a qualche carro? Un Ercole non era di certo.
Purché volesse, lo spirito non gli mancava, ma fin troppo volentieri smetteva di pensare.
Robert Walser, L’assistente




Robert Walser, poeta e e scrittore svizzero, (1878/1956,) personaggio malinconico e inquietante, in cui traspare l'anima di un poeta visionario, verosimilmente nemmeno schizofrenico, come era stato diagnosticato e conseguentemente ricoverato per oltre vent'anni ad Herisau in casa di cura, in Svizzera, ma in realtà solo dotato, come tutti gli artisti di una sensibilità particolare come tale recettiva a cogliere la soffernza del mondo.Tra l'altro Walser era stato anche segnato da dolorose esperienze familiari, quali la morte della madre affeta da disturvbi mentali e di quella di un fratello suicida. In un bell'articolo di Repubblica , pubblicato il 21 novembra 2006 il giornalista si chiede “Ma perché era stato rinchiuso? Era pazzo, Robert Walser? Giro la domanda a Fleur Jaeggy, anche lei svizzera e scrittrice, che ne I beati anni del castigo ha dato conto della rigida educazione impartitale in un collegio di Teufen, sempre nell' Appenzell, non lontano da Herisau. Su Walser con le seguenti parole «Ma no, non ho mai pensato che fosse un folle», dice Jaeggy. «Era un poeta, e semplicemente non sapeva dove andare. «Nell'accettazione di quel ricovero, per così tanti anni, c'è tutta la sua pazienza. E non dimentichiamo il problema economico: oggi gli scrittori sono abbastanza aiutati, ma lui non ebbe aiuti. Da questo punto di vista, per quanto dura, la vita a Herisau fu una buona soluzione. Se invece consideriamo la cosa sotto il profilo medico, la diagnosi che precede il suo internamento ha dell' incredibile, parla di "tipica, stuporosa catatonia". E' vero che aveva tentato il suicidio, ma erano stati tentativi inermi. «Nulla di realmente pericoloso, insomma. Walser aveva la gaiezza dei disperati, che li porta a occultare la profondità e a tenere tutto in superficie. Per questo voleva sparire. Se penso che io ero lì vicino, in collegio, proprio nel 1956, e nessuno dei miei professori lo conosceva... In seguito, quando lavoravo al mio libro, ho voluto tornare nell' Appenzell, sui luoghi delle sue camminate. E sono andata anche al manicomio di Herisau, per domandare sue notizie. Ma un' infermiera mi ha allontanato, bruscamente».
Emerge in questa vicenda un vecchio interrogativo sui confini fra sanità e follia. Mi chiedo cosa si intende veramente allorquando si evocano queste due locuzioni in forma manichea, usate e dirette, verosimilmente per proteggersi dalla Sragione, quella parte oscura che cerca di non emergere se non attraverso le difese trans-personali dell’immaginario collettivo cui dà voce poi la Psichiatria e La legislazione?
Ma ritorniamo a Walser, egli adorava fare lunghe passeggiate attraverso le quali forse esorcizzava l'angoscia che lo attanagliava, ma anche quella “volontà di vivere” causa dell'eterno soffrire di schopenhauriana memoria, facendo anche 80 chilometri in dieci ore, una consuetudine che era fondamentale del suo modo di essere. Significativamente, così, nacque “La passeggiata, racconto breve la cui vicenda si svolge nella sua città natale Bienne ,in Svizzera, di cui riporto alcuni bellissimi brani di sapore veramente poetico «La terra si faceva sogno, io stesso ero divenuto interiorità e procedevo come dentro di essa. Quale meta migliore di ciò che ci accade senza essere cercato. Quale altra possibilità di giungere fino all'interiorità essendo "colui che veramente esiste solo l'uomo interiore" ….e poi “E così la florida vita, tutti i bei colori allegri, ogni gioia di vivere e umano significato, l'amicizia, la famiglia e la donna amata, l'aria dolce e piena di lieti, felici pensieri, le case paterne e materne, le care strade note, la luna e il sole alto e gli occhi e i cuori degli uomini, tutto un giorno dovrà scomparire e morire".....Ho raccolto i fiori solo per deporli sulla mia infelicità?" mi domandai, e il mazzolino mi cadde di mano. M'ero alzato per ritornare a casa: era già tardi, e tutto si era fatto buio.”




domenica 27 aprile 2014

La pedagogia di Papa Francesco. Qual è la differenza tra la visione cattolica e quella laica dell’Educazione? L’impatto rivoluzionario di Papa Francesco non si ferma slogan di facciata, ma arriva nel profondo della nostra cultura

La pedagogia di Papa Francesco


papa Francesco bianco


Qual è la differenza tra la visione cattolica e quella laica dell’Educazione? 
L’impatto rivoluzionario di Papa Francesco non si ferma slogan di facciata, ma arriva nel profondo della nostra cultura

1. La visione cattolica e la visione laica dell’Educazione
problematicismo pedagogico

SE PERSONALISMO E PROBLEMATICISMO SI DANNO LA MANO.
Dalla metà del Ventesimo secolo, superato il Modernismo – rinchiuso nell’egemonia della Pedagogia spiritualista (cattolico-ontologica) e della Pedagogia idealista (laico-metafisica) – prese finalmente il volo una stagione di confronto dialettico(al di là del muro-contro-muro) tra due ermeneutiche dell’Educazione criticamente fondate: la visione Personalista (essenzialista) e la visione Problematicista (esistenziale).  Siamo al cospetto di un’antinomia. Ovvero, di un binomio che costruisce la sua divergenza nella finalità stessa del soggetto/Persona.
Per il Personalismo pedagogico, la Persona è ontologicamente determinata in quanto “essenza”. Valore trascendente: noumenico.
Per il Problematicismo pedagogico, la Persona è storicamente determinata in quanto “esistenza”. Valore trascendentale: fenomenico.
  • Secondo la Pedagogia cattolica, la Persona non è fondata né dall’esperienza soggettiva (individuale), né dall’esperienza oggettiva (socioculturale). E neppure dalla loro reciproca integrazione. Si candida come entità/principio assiologico.
    La sua “essenza” è presupposta alla coscienza: fa tutt’uno con il per sé della coscienza medesima. Soltanto il ricorso alla Fede (ad un orizzonte di trascendenza) può garantire la realtà della Persona. Ovvero, la sua autentica realizzazione e la sua integrale umanizzazione. Possibile, se condurrà per mano l’umanità verso un universo disseminato di segni: per la decodifica dei quali occorre disporre di atti-di-Fede che diano certezza di entrata e di uscita negli/dagli insidiosi mari della quotidianità.
  • Secondo la Pedagogia laicala Persona si presenta equipaggiata di soli-atti-di-scelta. Gode di opzioni esistenziali che garantiscono la libertà delle idee e creano un sistema divalori trascendentali: l’opzione tra l’esistenza autentica e inautentica, tra forme e contenuti diversi interni a ciascuna scelta. In quanto processo infinito, aperto all’integrazione di soggettività e di oggettività, la Persona non si identifica con un “principio” – pur se dinamico e processuale – di natura ontologica. Al contrario, i piani soggettivi e oggettivi della vita personale rinviano la loro integrazione all’impegno etico/esistenziale della donna e dell’uomo.
    In questa prospettiva, la Pedagogia laica scontorna l’immagine dell’uomo copernicano. Equipaggiato di un gravoso zaino (stipato di atti-di-scelta) nell’intraprendere l’impervio viaggio che porta al “bivio” tra orizzonti culturali a volte mille miglia lontani tra loro.
    Papa francesco sorride
Rinforziamo il teorema. L’idea di Persona copernicana non allude a un itinerario ontologico la cui direzione di marcia rischia di presentarsi in libertà/vigilata: sotto il controllo di vincoli confessionali. Al contrario,l’umanità costruisce dentro-la-storia le opzioni ideali e morali (le idee limite) che danno luce al cielo stellato dove abitano le scelte personali. Senza alcun ricorso a ipostasi assolute
LA FRONTIERA DELLA CARITA’ E DEL DIALOGO.
Attenzione, però. L’antica e nobile pianta dell’Educazione presuppone una coscienza “intenzionale” che matura come consapevolezza – avvertita dalla Pedagogia cattolica e dalla Pedagogia laica – dell’unità profonda che deve esistere tra passato, presente e futuro.Siamo sui crinali del possibile. Il loro merito sta nel chiedere con forza alle due Pedagogie un alto provvidenzialismo utopistico.
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Per la Pedagogia cattolica è la forza della Fede:unica via possibile per dare risposta ai grandi interrogativi della vita; per la Pedagogia laica è la forza della Ragione: unica via possibile per dare risposta al sogno dell’andare/oltre, dove si possa progettare e sperimentare una nuova umanità.
Pur se in viaggio su terreni lastricati da un’antinomia conflittuale – Fede/ Ragione – ci sembrano fuori discussione le linee convergenti del loro Progetto pedagogico. Lo sillabiamo. L’umanità ha il compito di trascendere l’angusto tunnel della necessità e dell’alienazione(marcusianamente inteso: ovvero, l’incubo di una donna e di un uomo a una dimensione) per potere uscire, al più presto, a guardare il cielo del domani. Il cui firmamento celeste è in grado di consegnare al mondo dell’Educazione un orizzonte aperto alla sua incessante trasformazione in direzione di sacralità e/o di idealità. Pur all’interno di un contesto storico e sociale che assicura riconoscimento e possibilità educativa. Il sentiero del possibile conduce in un mondo illuminato di futuro: privo di necessità e di determinismi. Parliamo di un universo contrassegnato da una molteplicità di direzioni, da scelte non obbligate, da alternative prive di casualità. In grado di sottrarre la storia alla fatalità e di rendere irreversibile l’appello ai valori etici della scelta e dell’impegno. La prima, nel nome della Carità; il secondo, nel nome del Dialogo. Binomi cari a Papa Bergoglio.

2. Papa Francesco benedice l’incontro delle due Pedagogie

Tramite queste scarne e umili riflessioni, daremo luce al teorema pedagogico del magistero spirituale e sociale di Papa Francesco. Ben consapevoli che la nostra ipotesi – isolare l’“idea” di Educazione dall’enciclopedia teologica del Santo Padre – rischia di avventurarsi in percorsi interpretativi scoscesi, disseminati di terreni insidiosi e accidentati. In punta di piedi, convinti della precarietà della nostra avventura interpretativa, non rinunceremo a identificare le tre macro/idee pedagogiche (l’idea di Persona, l’idea di Carità sociale e l’idea di Dialogo) che popolano gli orizzonti dell’Educazione illuminati da questa eminente figura di apostolo della Fede.
Papa Francesco sfida il gelo, cappotto e sciarpa per l'Udienza generale
LA PERSONA E’ TOTALITA’ ESISTENZIALE.
La Persona (posta da Papa Francesco sulla frontiera più avanzata del Personalismo pedagogico) non è fondata né dall’esperienza soggettiva (individuale), né dall’esperienza oggettiva (socioculturale). E neppure dalla loro reciproca integrazione. E’ una entità/ valoriale – una Stella polare – essendo la sua “essenza” presupposta alla consapevolezza di sé.Soltanto il ricorso alla Fede (a un orizzonte di trascendenza) può garantire l’identità esistenziale della Persona: la sua autentica realizzazione e la sua integrale umanizzazione.
Nel suo viaggio pedagogico il Personalismo del Santo Padre porta per mano le nuove generazioni in un universo di segni, per la decodifica dei quali occorre disporre di alfabeti-di-Fede.
In altre parole. L’Educazione si configura come il terreno naturale in cui cresce e vive rigogliosa la pianta della Persona: multidimensionale, integrale, totale. Sulla scia di questa idea/primadella Pedagogia, l’infanzia che prende il volo nelle parole di Papa Francesco è mille miglia lontana da quella che popola l’odierna civiltà dei consumi. Matrigna di bambine e di bambini tramutati nell’immagine surrogatoria di un’umanità-manichino: creata e imposta per ragioni di mercato dall’odierna industria dell’abbigliamento, dell’alimentazione, dei massmedia e dei personalmedia.
Al contrario, le infanzie benedette dal Santo Padre dispongono sì di ali leggere per librarsi nei cieli dell’immaginario alla scoperta delle galassie della fantasia e della creatività, ma anche di gambe solide (la parola, il pensiero, l’amore e la pietà) per camminare libere lungo i sentieri della vita quotidiana. Per andare oltre, verso l’altrove.
L’AMORE E’ DIALOGO E CARITA’ SOCIALE.
Se nella teoria dell’Educazione di Papa Francesco la Persona prende le sembianze di una stella polare, nella sua Pedagogia in-situazione sono il Dialogo e la Carità sociale a rivelarsi astri celesti.
comete. Indicano la strada ad un’umanità libera di testimoniare la propria opzione morale, la propria solidarietà sociale, la propria utopia valoriale.
Secondo il Santo Padre, il rischio del Dialogo e della Carità trovano riparo nella Fede:garante della libertà della Persona nella costruzione della sua vita morale, evitando che scivoli nel puro arbitrio. Ma sia possibilità di dare cifre personali alla Progettazione esistenziale.
In particolare, è nella versione della Carità sociale che si perviene all’azzardo esistenziale del sii te stesso cercando disperatamente di essere anche l’altro. Ovvero, Realizza la tua Persona insieme un mondo di valori.
Evitando di rinchiudere l’orizzonte della vita nel grembo di visioni unilaterali ed esclusive, negative rispetto alle prospettive costruttive dell’umanità.
E’ tramite l’opzione della Carità sociale che il piano della Singolarità e quello della Socialità mantengono una tensione reciproca, un proprio rispettivo valore. Di più. E’ nell’esperienza della Carità sociale che si compie integralmente l’educazione all’Amore.
La tensione al cambiamento verso un’umanità/nuova – di cui è carico il Personalismo pedagogico di Papa Francesco – non è rivolta a una donna e a un uomo astorici, metafisici, astratti. Di qui la sua attenzione e la sua sensibilità nei confronti della categoria pedagogica dell’Impegno. Irrinunciabile per una teologia della secolarizzazione (per una città secolare) che intenda uscire da un ghetto mistico per inaugurare un’azione politica e sociale nella quale Dio reintegra l’umanità nel circolo della reciproca responsabilità.
Se l’umanità engagée fa tutt’uno con donne e con uomini che coraggiosamente si inoltrano per i sentieri dell’integralità della Persona (e non della sua “alienazione”), parimenti la Pedagogia dell’Impegno si nobilita facendosi Educazione al Dialogo nel nome della Carità sociale.
I due calessi – Dialogo e Carità – conducono al traguardo della Progettazione esistenziale di una nuova società. Meta raggiungibile, a patto di dare protagonismo e futuro – tramite una cittadinanza diffusa e compiuta – al continente infantile. Dotandolo al più presto di gambe etico/sociali e di frontiere assiologiche. Ineludibili, per non smarrirsi – e perdersi – nella cupa boscaglia dei disvalori contemporanei.
Domanda. Quali frontiere valoriali “alternative” ha indicato il Santo Padre nel suo pur breve apostolato religioso e pedagogico?
Ne cifriamo tre: la Persona, la Vita e la Pace.
  • Il primo orizzonte esistenziale – nemico di qualsivoglia riduzionismo artificiale, consumistico e alienante – è avvolto nel rispetto dell’integralità della Persona.
    Parliamo di nuove generazioni presenti e attive nel sociale, autonome nelle scelte, ricche di vita interiore. L’incombente e inesorabile minaccia di una umanità oggettivata, massificata e omologata può essere contrastata soltanto scommettendo sulla coscienza vitale e utopica della Persona: donna e uomo, povera e ricca, nera e bianca, alfabetizzata e non.
    L’alfabeto dei valori rubricato da Papa Francesco conteggia le parole necessarie per comunicare al mondo intero la centralità del progetto/Persona nel segno della solidarietà, della carità e dell’impegno sociale.
  • Il secondo orizzonte esistenziale é avvolto nel rispetto della Vita.
    Parliamo del suo duplice habitat terrestre: il pianeta umano e il pianeta ecologico.
    E’ la sfida del Santo Padre alle pratiche della violenza urbana e del saccheggio ambientale al fine di dare dimora permanente a un orizzonte aperto ai valori universali.
  • Il terzo orizzonte esistenziale é avvolto nel rispetto della Pace.
    Questa, apre un interrogativo. E’ possibile (dando la mano alle giovani generazioni) costruire e sperimentare un mondo colorato di distensione e di pacificazione sia nell’emisfero boreale, sia nell’emisfero australe? Sì, è possibile. A patto che il pianeta dell’Educazione – famiglia, scuola, vita associazionistica et al. – sappia creare comunità sociali che pongano alla rotonda la dimensione etica della vita personale: di cui la Pace è il teorema stellare. Parliamo di un’idea di conciliazione planetaria spoglia di cifre predicatorie e precettistiche. Nella consapevolezza che i valori esistenziali non sono dati aprioristicamente, ma costruiti collettivamente. Soltanto in questa versione, l’Educazione etica evita pericolose forme di scolarizzazione dell’anima.
    bambini pace
Protetti dal menzionato triplice orizzonte esistenziale, risulta indifferibile l’esigenza di operare pedagogicamente al fine di prevenire il sorgere di mentalità assertorie rinchiuse in microuniversi etnocentrici: viziate anzitempo di indifferenza/intolleranza nei confronti delle culture-altre.
Per espugnare l’obiettivo di una precoce mentalità multietnica occorre chiedere con forza alla famiglia e alla scuola di insegnare la Pace, fornendo gli alfabeti cognitivi necessari per decodificare la mostruosità della guerra.
Gli orrendi volti bellici non vanno occultati ai bambini se si intende alzare al cielo l’utopia pedagogica di Papa Francesco. Rinchiusa, si è detto, nella speranza che i giovani – crescendo – possano diventare profeti di Pace.

http://www.lundici.it/2014/04/la-pedagogia-di-papa-francesco-2/

sabato 26 aprile 2014

Al-Arabî ad-Darqâwî, mistico sufi. L’anima è una cosa immensa; essa è tutto il cosmo perché ne è la copia. Tutto quanto è nel cosmo si ritrova anche nell’anima, e parimenti tutto quanto è nell’anima si ritrova nel cosmo. È dunque certo che chi domina l’anima domina il cosmo, mentre chi ne è dominato è ineluttabilmente dominato dal cosmo intero.

Definisci l'universo come meglio credi. Se vuoi di' che è la Creazione; se preferisci, di' che è la Verità; oppure, di' che è la Verità-Creazione, se così desideri; ovvero, di' che non è né la Verità da alcun punto di vista né la Creazione da alcun punto di vista; o meglio ancora, parla dello smarrirsi in esso, poiché ciò che ti sforzi di comprendere è diventato chiaro definendone i gradi.
Ibn ´Arabî


"Dio è lo specchio nel quale vedi te stesso, come tu sei il Suo specchio,
nel quale Egli contempla i suoi nomi. Ebbene, questi non sono altro che Lui stesso ".
Ibn al' Arabi


L’anima è una cosa immensa; essa è tutto il cosmo perché ne è la copia
Tutto quanto è nel cosmo si ritrova anche nell’anima, e parimenti tutto quanto è nell’anima si ritrova nel cosmo. È dunque certo che chi domina l’anima domina il cosmo, mentre chi ne è dominato è ineluttabilmente dominato dal cosmo intero.
al-Arabî ad-Darqâwî, mistico sufi


LE COSE SONO INDUBITABILMENTE NASCOSTE NEI LORO CONTRARI, il profitto nella perdita, il dono nel rifiuto, l’onore nell’umiliazione, la ricchezza nell’indigenza, la forza nella debolezza, l’ampiezza nella strettezza, l’elevazione nell’abbassamento, la vita nella morte, la vittoria nella sconfitta, la potenza nell’impotenza, e così via. SE QUALCUNO VUOLE DUNQUE TROVARE, SI RALLEGRI DI PERDERE, se vuole il dono, si rallegri del rifiuto; chi desidera l’onore accetti l’umiliazione, e chi desidera la ricchezza, sia pago della povertà; chi vuol essere forte si contenti della debolezza, e chi vuole l’ampiezza si rassegni alla strettezza; chi vuol essere elevato si lasci abbassare, e chi desidera la vita accetti la morte; chi vuol vincere sia lieto di perdere, e chi desidera la potenza benedica l’impotenza.
Al-’Arabî ad-Darqâwî, da Lettere di un maestro sufi




Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma è un pascolo per le gazzelle, un convento per i monaci cristiani,
è un tempio per gli idoli, è la Ka'ba del pellegrino
è le tavole della Torah, è il libro del Sacro Corano.
Io seguo la Religione dell'amore, quale mai sia la strada
che prende la sua carovana: questo è mio credo e mia fede.
Ibn l-'Arabi.


1) Lei mi disse: "Mi son meravigliata di un amante che a causa dei suoi meriti cammina fieramente tra i fiori in un giardino".
2) "Non ti meravigliar di ciò che vedi - io replicai - perché te stessa tu hai veduto entro uno specchio umano."




Bursi Raymond, COMMENTO:
1) "tra i fiori di un giardino": 
i fiori sono le cose create, il giardino è la stazione unitiva con la Sua essenza
`Utba al-Julam era solito camminare fieramente e con andatura orgogliosa. Quando gli chiesero perché facesse così rispose: "Perché non dovrei farlo, dal momento che adesso ho un padrone e che sono diventato suo schiavo?". Quando lo schiavo intuisce il Vero diventa "il Suo udito e la Sua vista", e si fa tutto Luce. Tale stazione giustifica l'attribuzione a lui di ogni cosa sia attribuita a Dio.
2) Il significato del verso è il seguente: io sono come uno specchio per te, e negli attributi di cui mi vedi rivestito tu vedi te stessa, non me; tu li vedi nella mia natura umana, la quale ne ha ricevuto l'investitura: poichè per essi la mia natura umana è come un giardino. Questa è la stazione della contemplazione di Dio nelle cose create; alcuni dicono che essa sia superiore a quella della contemplazione delle cose create in Dio.



IL "CUORE" NEL SUFISMO 
Il "cuore" in Ibn Arabi, come nel sufismo in generale, è l'organo mediante il quale si produce la vera conoscenza, l'intuizione comprensiva, la gnosi di Dio e dei misteri divini, in breve l'organo di tutto quanto può essere compreso sotto la designazione di scienza dell'esoterismo. 
Adriano Lanza - Dante e la gnosi

Sommario del sito
Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî
(560/1165-638/1240)
 «L'Interprete delle Passioni»
(«Tarjumân al-Ashwâq») 
a cura di Roberto Rossi Testa
PARTE PRIMA

Premessa del 21 maggio 2004 
Oltre dieci anni fa, per un progetto editoriale poi non concretizzatosi, è stata fatta questa traduzione della versione del Nicholson de L'Interprete delle Passioni, che da allora ha variamente circolato in cerca dell'occasione editoriale giusta per offrirsi stampata a tutti i lettori appassionati di sufismo e di poesia.
Essa costituisce la prima traduzione italiana in assoluto.
Fonte: 
Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî, Tarjumân al-Ashwâq, a Collection of Mystical Odes. Arabic text (edited from three manuscripts) with a literal version of the text and an abridged translation of the author's commentary, by R. A. Nicholson (Royal Asiatic Society, London, 1911).
   

Aggiornamento di febbraio 2008
«L'Interprete delle passioni» è finalmente stato stampato!
Il riferimento completo è: 
Ibn `Arabî, L'interprete delle passioni, a cura di Roberto Rossi Testa e Gianni De Martino,  Urra - Apogeo s.r.l., Milano, 2008.
Il libro comprende una revisione di quanto riportato nel 2004 su SuperZeko (in particolare, sono indicati i segni diacritici dei termini arabi) più una lunga prefazione di Gianni De Martino (L'eccedenza mistica), unaIntroduzione di Roberto Rossi Testa e una bibliografia di base. È stata riscritta anche la Nota del traduttore italiano.
Per ordinazioni: www.urraonline.com 

Sommario
(Per la sua ampiezza il testo è stato suddiviso in quattro file)
Prefazione di Reynold A. Nicholsonparte 1
Nota del traduttore italianoparte 1
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161718192021222324252627282930parte 2
313233343536373839404142434445parte 3
46474849505152535455565758596061parte 4


L'Interprete delle Passioni(Tarjumân al-Ashwâq)

di Reynold A. Nicholson

Comunque si vogliano considerare i rispettivi meriti della poesia araba e persiana, penso che sia universalmente accettato da coloro che hanno consuetudine con la letteratura mistica di entrambi i popoli che gli Arabi eccellono nella prosa piuttosto che nei versi, mentre i prosatori persiani in questo campo non sono sullo stesso livello dei poeti. `Attâr, Rûmî, Hâfiz e Jâmi - per citare soltanto alcuni dei grandi poeti persiani le cui opere, tradotte in varie lingue, hanno rapidamente immesso la filosofia religiosa del Sufismo in un vasto circuito della cultura europea - sono tanto superiori ai loro rivali arabi, compreso il mirabile Ibn al-Fârid, quanto le Futûhât al-Makkiyya e le Fusûs al-Hikam sono superiori a trattati analoghi in persiano.
L'Interprete delle Passioni (Tarjumân al-Ashwâq) non fa eccezione a questa regola. L'oscurità del suo stile e la stravaganza del suo immaginario daranno soddisfazione a quegli spiriti austeri per i quali la letteratura consiste in una forma ardua e raffinata di esercizio intellettuale, ma la sfera in cui l'autore si muove è troppo astratta e remota dall'esperienza comune per dare piacere a quanti non condividano il suo temperamento visionario o non abbiano essi stessi tratto ispirazione da un simile ordine di idee. Nondimeno, i lavori di un genio tanto audace e sottile meritano comunque di essere studiati, e chi vi si applica vi troverà, a compenso dei suoi sforzi, numerosi concetti elevati e capaci di colpire nel segno, nonché parecchi passi di reale bellezza. I versi seguenti (11, 13-15) vengono citati spesso, ed esprimono la dottrina Sûfî che ogni strada conduce all'Unico Dio.
Si è fatto, ormai, il mio cuore
capace di ogni forma:
per le gazzelle è un pascolo,
ed è convento ai monaci cristiani;
si fa tempio per gli idoli,
e Ka`ba ai pellegrini;
tavola di Torà,
e libro del Corano.
Seguo la religione dell'amore:
in qualunque regione mi conducano
i cammelli d'amore, là si trovano
la mia credenza e la mia religione.

Oltre a quanto dirò più avanti di specifico su L'Interprete sarà utile spendere adesso qualche parola sulle principali teorie simbolicamente adombrate nei versi ed esplicitate nel commentario dell'autore (altrimenti detto I Tesori e gli Splendori). Sebbene L'Interprete fornisca materiale per uno studio sulla teosofia di Ibn `Arabî, dal mio canto ritengo che per realizzare adeguatamente tale scopo sia necessario approfondire ulteriormente l'opera del nostro autore. Utili informazioni in proposito sono contenute in un trattato sul monismo di `Alî Ibn Sultân Muhammad al-Qârî al-Harawî. Si tratta di una polemica diretta contro Ibn `Arabî e i suoi seguaci, che sostenevano che ogni essere è essenzialmente uno con Dio, malgrado la sua apparente difformità. Tale pamphlet fu scritto in risposta a un fautore di Ibn `Arabî, il quale, avendo raccolto in ventiquattro capitoli vari passaggi delle Futûhât e delleFusûs contestati dai teologi ortodossi, ne aveva tentato un'apologia. `Alî al-Qârî considera Ibn `Arabî un pericoloso infedele e non gli concede quartiere. Ovviamente i passi controversi ammettono più di un'interpretazione, e senza dubbio l'autore avrebbe potuto smontare il castello d'accusa montatogli contro dai teologi; tuttavia la portata panteistica del suo pensiero non può essere resa prescindendo da tale ambito. Per comodità ho classificato gli esempi seguenti, ai quali ho aggiunto brevi riferimenti al commentario de L'Interprete (il primo numero in parentesi si riferisce al componimento e il secondo al verso).
1. Dio e il Mondo. Nelle Futûhât Ibn `Arabî dice: "Gloria a Dio che ha portato tutte le cose all'esistenza, essendo Egli stesso la loro sostanza, Egli che è la sostanza di ogni oggetto di manifestazione, benché non sia la sostanza degli oggetti nelle loro essenze" (vedi 20,25). Inoltre, nelle Fusûs: "Dio manifesta Se stesso in ogni atomo della creazione: Egli è rivelato in ciascun oggetto intelligibile e nascosto ad ogni intelligenza che non sia quella di coloro che sanno che l'Universo è la Sua forma e ipseità, dal momento che Egli sta, rispetto agli oggetti fenomenici, nella medesima relazione in cui lo spirito sta al corpo".
2. Dio e l'Uomo. "L'Uomo è la forma di Dio e Dio è lo spirito dell'Uomo." "L'Uomo sta a Dio come la pupilla sta all'occhio: per mezzo dell'Uomo Dio vede gli oggetti che Egli stesso ha creato." "L'origine dell'Uomo è sia temporale che eterna, essendo costui un qualche cosa di effimero e di eterno." "L'Uomo è la sostanza di di ogni attributo di cui ha rivestito Dio: quando contempla Dio egli contempla se stesso, come Dio contempla Se stesso quando contempla l'Uomo. A causa di ciò Abû Sa`îd al-Kharrâz disse di essere volto e lingua di Dio; e disse inoltre che Dio poteva essere chiamato sia col nome di Abû Sa`îd al-Kharrâz che con altri nomi appartenenti alla temporalità, dal momento che Egli in Sé riunisce gli opposti."
Dio dimora nel cuore dell'Uomo (6,1), e l'Uomo, investito delle qualità divine, è uno specchio che mostra Dio a Se stesso (10,2). Qualità divine possono essere attribuite a chiunque sia così fuori di sé, nell'estasi, da permettere che Dio diventi il suo occhio e il suo orecchio (10,1). Sebbene l'unione con Dio non sia possibile mentre il corpo dura (5,2), Ibn `Arabî, come Plotino, sostiene che l'"indiamento" sia attingibile (24,3). Altrove afferma che che la conoscenza di Dio sia l'estremo limite che ogni essere contingente possa raggiungere (17,5). Tale conoscenza è ottenibile solo per mezzo della Fede e della Contemplazione, che possono essere supportate dalla Ragione quando quest'ultima acconsenta a spogliarsi delle sue facoltà di riflessione (3,2-5). Qual è dunque il termine della conoscenza? Apparentemente è uno stato di Nirvana o di trascendentale inconsapevolezza (5,6): in presenza dell'Eterno il fenomenico viene meno (20,19).
3. Religione. Dal fatto che tutte le cose sono manifestazione della divina sostanza segue che Dio può essere adorato in una stella o in un vitello o in qualsiasi altro oggetto, e che nessuna forma di religione positiva contiene più di una parte di verità. Ibn `Arabî afferma: "Non attaccatevi in modo esclusivo ad alcun credo in particolare, in modo tale da discredere tutto ciò che se differenzi; altrimenti vi perderete una gran possibilità di bene, sì, mancherete di rendervi conto della reale verità che risiede in ogni oggetto. Lasciate che la vostra anima resti capace di abbracciare ogni forma di fede. Dio, l'Onnipresente e l'Onnipotente, non è limitato da alcuna credenza, se Egli stesso afferma: "Ovunque tu ti volga, ivi è il volto di Dio" (Corano, 2, 109); e il volto di una cosa è la sua realtà".
Questionare in fatto di religione è vano. "Chi prega prega se stesso; il suo dio è creazione e creatura di lui medesimo, e pregandolo costui prega se stesso. Di conseguenza disdegna le credenze altrui, cosa che non farebbe se fosse avveduto; ma la sua ripulsa è basata sull'ignoranza. Se conoscesse il detto di Junayd ("L'acqua assume il colore del suo recipiente") egli non interferirebbe con le fedi degli altri, ma sarebbe in grado di percepire Dio in ogni forma e in ogni credo" (13,12).
La divina sostanza rimane inalterata e inalterabile pur nella varietà delle esperienze religiose. "Quelli che adorano Dio nel sole vedono un sole, quelli che Lo adorano in oggetti inanimati vedono un oggetto inanimato, e quelli che lo adorano come un Essere unico e senza nulla che gli sia simile vedono un Essere unico e senza nulla che gli sia simile" (12,3).
In un rimarchevole passo Ibn `Arabî tenta di conciliare Islamismo e Cristianesimo. La Trinità cristiana, egli sostiene, è essenzialmente un'Unità che ha la sua controparte nei tre Nomi principali con cui Dio viene appellato nel Corano, vale a dire Allâh, ar-Rahmân e ar-Rabb (12,4). L'Islam è, propriamente, la religione dell'Amore (11,15); la divina pietà non viene negata ad alcuno, infedele o musulmano che sia, che dal fondo della sua miseria invochi il Signore. Persino ai miscredenti condannati a restare nell'inferno in eterno, potrebbe essere dato di sentire, fra quei crudi tormenti, un qualche sollievo e refrigerio.
Si dice che Ibn `Arabî abbia proclamato se stesso Sigillo dei Santi, a somiglianza di Muhammad che si era proclamato Sigillo dei Profeti; si dice altresì che abbia sostenuto che i Santi sono superiori al Profeti, anche se è assai dubbio che tale accusa sia sostenibile. Sembra infatti che egli abbia tenuto fermo che i Profeti, in quanto Santi, derivino la propria conoscenza dal Sigillo dei Santi, e che coloro che sono Profeti in virtù della loro santità sono superiori a coloro che sono Profeti in virtù della dignità profetica stessa (4,1; 18,8). Ibn `Arabî afferma, comunque, di aver raggiunto un grado spirituale non mai attinto da alcuno dei suoi pari (24,4).

L'INTERPRETE DELLE PASSIONI
Sebbene Ibn `Arabî (Murcia 1165 - Damasco 1240) sia il più celebre fra i mistici musulmani, ben pochi dei suoi centocinquanta lavori superstiti sono stati editi in Europa, ed ancor meno sono stati tradotti, cosicché, in merito alle speculazioni teosofiche di quell'autore che tanta sensazione produsse nel mondo islamico, quasi non disponiamo di materiale degno di nota. Altrettanto dicasi per la parte della sua opera scritta in versi, che comprende un ponderoso Dîwân e varie raccolte minori. Una di queste è L'Interprete delle Passioni. Il fatto che L'Interprete sia accompagnato da un commentario di pugno dell'autore fu il motivo principale che mi indusse a studiarlo, oltre a quello della sua brevità, ed alla circostanza di poter disporre di un eccellente manoscritto. (Nella presente edizione il canzoniere verrà tradotto integralmente, mentre il commentario sarà alquanto abbreviato; in ogni caso i passi più interessanti e importanti verranno riportati quasi parola per parola).
Un curioso problema di storia letteraria è costituito dalla datazione delle poesie e del commentario. I manoscritti esistenti recano tre versioni differenti. La prima contiene le poesie senza il commentario. Nella relativa prefazione Ibn `Arabî si riferisce al suo arrivo alla Mecca nel 598 H. (1201), dal che il Dozy inferì - su basi che, come proverò a dimostrare, ritengo insufficienti - che i versi fossero stati composti nello stesso anno. Essendo poi state le poesie tacciate, da parte di alcuni devoti, di essere erotiche e frivole, l'autore licenziò una seconda recensione, contenente le stesse composizioni con un commentario e una nuova prefazione, in cui dichiara di aver scritto le poesie durante una visita ai Luoghi Santi della Mecca, nei mesi di Rajab, Sha`bân e Ramadân dell'anno 611 H. (1215). Nella terza ed ultima recensione si trova la medesima data, ed in più una indicazione delle cause che spinsero l'autore a stendere il commentario.
Il manoscritto di cui mi sono servito portava, oltre al commentario, la prefazione relativa alla prima versione e l'aggiunta che differenzia la terza recensione dalla seconda.
Il Dozy, come ho detto, riteneva vera la data di composizione indicata nella prima recensione, e pertanto credeva che Ibn `Arabî in seguito avesse postdatato il lavoro di tredici anni. Ecco come si esprime: "Per fugare ogni sospetto di empietà Ibn `Arabî non solo provò che l'amore celeste, e non quello terreno, formava l'oggetto dell'ispirazione dei suoi versi, ma persino pretese che questi ultimi fossero stati composti in altra epoca; col quale artificio, sebbene non potesse ingannare coloro che li avevano già letti, egli intendeva confondere chi ne aveva soltanto sentito parlare, e con ciò ridimensionare lo scandalo prodotto".
Prima di esaminare la validità della tesi del Dozy cercherò di esporre le risultanze in manierà più completa di quanto abbia fatto costui. A tale scopo riporterò, a partire dalla prima recensione, parte dei brani in prosa che costituiscono l'introduzione alle poesie.
 "Quando nell'anno 598 risiedevo alla Mecca, frequentavo la compagnia di alcune persone, uomini e donne, tutte eccellenti, fra le più colte e virtuose; ma, fra di loro, non vidi alcuno [...] che assomigliasse al sapiente dottore e maestro Zair Ibn Rustam, nativo di Isfahân e abitante della Mecca, e a una sua sorella, la venerabile anziana, sapiente e dotta dell'Hijâz, chiamata Gloria delle Donne, Bint Rustam [...] Quel maestro aveva una figlia vergine, snella fanciulla, che avvinceva coi lacci dell'amore chiunque la contemplasse, e la cui sola presenza era ornamento dei conviti e meraviglia per gli occhi. Il suo nome era Armonia (Nizâm) e il suo appellativo Occhio del Sole. Virtuosa, saggia, religiosa e modesta impersonava la venerabile vecchiezza di tutta la Terra Santa unita all'ingenua gioventù della grande città fedele al Profeta. L'affascinante magia dei suoi occhi esercitava un tale sortilegio, e un tale incanto la grazia della sua conversazione (elegante come quella dei nativi dell'Iràq), che se si diffondeva scorreva; se invece era concisa, risultava un'opera d'arte meravigliosa, e se ornata dei fiori della retorica, era chiara e trasparente [...] Se non ci fossero spiriti vili, pronti allo scandalo e disposti a pensar male, io mi intratterrei considerando le doti che Dio le donò, sia nel corpo che nell'anima, che era un giardino di generosità [...] Durante il periodo in cui la frequentai, osservai attentamente le doti gentili che adornavano la sua anima, e l'assunsi come modello di ispirazione per le canzoni contenute in questo libro, che sono poesie d'amore, composte di frasi gradevoli e galanti, di dolci concetti per quanto in esse non sia riuscito a esprimere neppure una parte delle emozioni che la mia anima provava, e che l'atteggiamento familiare della giovane suscitava nel mio cuore, e del generoso amore che sentivo per lei, del ricordo che la sua costante amicizia lasciò nella mia memoria, del suo spirito affabile, del casto e pudico sembiante di quella fanciulla vergine e pura, oggetto dei miei affanni e dei miei palpiti spirituali. Tuttavia, riuscii a mettere in versi qualcuna di tali emozioni di appassionato amore che il mio cuore custodiva, e a esprimere i desideri del mio petto innamorato con parole che suggerivano il mio affetto, la profonda cura che in quel tempo ormai trascorso mi aveva tormentato, e la nostalgia che per i suoi gentili tratti ancora sento. Perciò, ogni nome che in questo libretto menziono è riferito a lei, e ogni dimora di cui canto l'elegia rappresenta la sua casa. Ma, in tali versi, accenno di continuo anche alle illuminazioni divine, alle rivelazioni spirituali, alle relazioni con le intelligenze delle sfere, come è in uso nel nostro stile allegorico, poiché le cose della vita futura sono per noi preferibili a quelle della vita presente, e poiché, inoltre, ella sapeva assai bene il senso riposto dei miei versi [...] Dio guardi il lettore di questo canzoniere dalla tentazione di pensare ciò che è inadatto alle anime che disdegnano [tali bassezze], poiché i loro propositi sono più alti, poiché solo agognano le cose celesti, e solo nella nobiltà di Colui che è l'unico Signore pongono la loro fiducia..."
"Queste pagine contengono le canzoni d'amore che composi alla Mecca, durante il mio soggiorno nella Città Santa, nei mesi di Rajab, Sha`bân e Ramadân. In esse alludo a intuizioni trascendenti, a illuminazioni divine, a misteri spirituali, a conoscenze filosofiche e a insegnamenti morali. E, se per esprimere tutto ciò mi servii del linguaggio delle poesie galanti e amorose, fu perché i cuori degli uomini, essendo tanto attaccati a quei sentimenti, avrebbero dovuto in tal modo maggiormente indotti a dare ascolto alle mie canzoni, scritte nel medesimo idioma dei poeti graziosi, spirituali e delicati."
Nella prefazione alla seconda recensione si trova la frase dell'ultimo capoverso surriportato, ma con la specificazione ulteriore: "nei mesi di Rajab, Sha`bân e Ramadân dell'anno 611 H." Alla terza recensione Ibn `Arabî aggiunse poi, come si è detto, una spiegazione sui motivi che lo indussero alla stesura del commentario.
"La causa che mi spinse a redigere questo commentario allegorico delle mie canzoni fu che i miei figli spirituali, Badr l'Abissino e Isma`îl Ibn Sûdakîn, mi interrogarono intorno a esse. E ciò perché entrambi avevano udito alcuni dottori nelle scienze della morale, nella città di Aleppo, che negavano che nelle mie canzoni fossero celati dei misteri teologici, aggiungendo che l'autore pretendeva con tale affermazione di nascondere il suo amore sensuale, per salvaguardare la fama di santità e devozione che lo accompagnava. Allora incominciai a commentare questi miei versi (lavoro che terminai con difficoltà ed in modo imperfetto, dal momento che avevo urgenza di continuare il mio viaggio, nel periodo predetto), e una parte di tale commentario fu letta presso il qadî Ibn al-`Adîm, alla presenza di alcuni moralisti. E quando lo ebbe sentito leggere, uno di quelli che avevano rifiutato di darmi credito si pentì davanti a Dio, e corresse il malevolo giudizio che si era fatto dei poeti mistici, delle loro frasi galanti e delle loro canzoni erotiche, con le quali cercano di esprimere i misteri teologici. "
Con quanto precede ho posto innanzi al lettore quasi tutto il materiale disponibile per una soluzione del problema. Che cosa rimane, dopo tale disamina, dell'accusa di falso mossa dal Dozy a Ibn `Arabî?
La tesi del Dozy mi sembra insostenibile per i motivi che seguono:
a) Ciò che Ibn `Arabî dice nella prefazione alla prima recensione non implica necessariamente che egli suggerisca di aver composto le copie nel 598 H.: pur essendo giunto alla Mecca in quell'anno, egli parla dell'incontro con la meravigliosa fanciulla come di un episodio del passato, e del resto usa per il padre di lei una formula, corrispondente al nostro "Dio l'abbia in gloria", che indica come costui non fosse più in vita al momento della stesura del lavoro).
b) L'ipotesi che l'anno di composizione sia il 598 H. è irrilevante. Non sono stati portati argomenti per dimostrare che l'anno poi esplicitamente indicato dall'autore, il 611 H., sia impossibile o inverosimile; e non c'è nulla di incredibile nell'affermazione che, durante la visita ai Luoghi Santi di Mecca in quello stesso anno, l'autore possa essere stato indotto, dalla visione di determinate scene, a celebrare misticamente i sentimenti d'amore connessi con un precedente periodo della sua esistenza.
c) Le stesse poesie contengono precisa indicazione di non essere state composte nell'anno ipotizzato dal Dozy. In 32,2-3 e 36,2 Ibn `Arabî afferma chiaramente di avere cinquant'anni, la sua effettiva età nel 611 H. Per accettare quanto Dozy sostiene dovremmo ammettere che Ibn `Arabî, contemporaneamente, abbia predatato le poesie e si sia invecchiato di oltre un decennio.
Possiamo perciò concludere che a quanto risulta nulla si possa imputare in merito a Ibn `Arabî, e che la composizione de L'Interprete terminò nel mese di Ramadân del 611 H. (gennaio 1215). Pochi mesi più tardi l'autore, giunto ad Aleppo, iniziò a redigere il commentario, lavoro che, come ci informa Hâjjî Khalîfa, si concluse a Rabî`ath-thânî dell'anno seguente (agosto 1215).
All'ulteriore domanda, se Ibn `Arabî fosse completamente sincero quando garantiva che le sue poesie erano mistiche nello spirito, benché erotiche nella forma, io credo occorra dare risposta affermativa. A volte gli studiosi della poesia orientale hanno occasione di chiedersi: "Questo è un poema amoroso contrabbandato per un'ode mistica, o un canto mistico espresso nel linguaggio dell'amore terreno?", e di rendersi conto che la questione è indecidibile. Qui, comunque, non ci troviamo nel caso in cui ogni lettore sia autorizzato a scegliere l'interpretazione che più gli aggrada. È vero che alcune poesie de L'Interprete non sono distinguibili da comuni componimenti d'amore, e che pertanto il rifiuto dei contemporanei dell'autore di credere nelle sue proclamate intenzioni fu naturale e comprensibile; ma è altrettanto vero che certi testi sono inconfondibilmente mistici, e che segnano della loro impronta tutto il resto del canzoniere. Se non furono abbastanza perspicaci, gli scettici meritano in ogni caso la nostra gratitudine, per aver provocato Ibn `Arabî a chiarire la propria posizione. Sicuramente senza la sua guida anche i lettori più in sintonia con lui raramente potrebbero cogliere i sensi riposti che Ibn `Arabî sa trarre dalle espressioni convenzionali della qasîda araba (egli stesso, del resto, ammette che talvolta il significato esoterico dei suoi testi era oscuro persino a lui, e che certe spiegazioni gli venivano suggerite nei momenti dell'estasi). Ma il fatto che le sue delucidazioni a volte sembrino "spiegare troppo" non è prova della sua insincerità: egli aveva la necessità di tacitare i suoi critici, e sarebbe stato difficile convincerli che le sue poesie erano mistiche nello spirito e nelle intenzioni senza dare minuta e precisa interpretazione di ogni verso, per non dire di ogni parola. La necessità di entrare in dettagli anche banali - gli Arabi hanno la tendenza ad esagerare nei dettagli, a scapito dell'insieme - porta l'autore a speculare su peregrine analogie verbali, e lo fa scivolare con prodigiosa rapidità dal sublime al ridicolo. Quando Ibn `Arabî pubblicò il suo commentario omise dalla prefazione i passaggi relativi alla bellezza di Nizâm che si trovano nella prima recensione. Non c'è dubbio sul fatto che erano stati fraintesi; era inevitabile che suscitassero sospetti. Espungerli fu soltanto un espediente per privare i suoi detrattori di un'arma micidiale, da cui l'autore non si sapeva difendere altrimenti. Dal momento che, se Nizâm fu per lui (e manifestamente non fu altro) una Beatrice, un prototipo di perfezione celeste, una personificazione dell'amore e della bellezza divina, nondimeno agli occhi del mondo egli corse il rischio di apparire come un amante che proclami la propria devozione a un ideale astratto mentre visibilmente celebra le attrattive della sua bella. Nelle poesie la fanciulla in questione, effettivamente, non viene quasi nominata, tuttavia ci sono alcuni punti nei quali l'originale ricorre a giochi di parole per evocarla, e che a mo' di conclusione mi piace riportare testualmente.
Mi sono consumato lungamente
per un'amabile fanciulla, adorna
di prosa e di poesia,
dotta nell'arte di parlar dal pulpito,
dotata di favella ricca e chiara.
Ella è una principessa
della terra di Persia,
e dalla più gloriosa
delle città proviene, da Isfahàn;
È figlia dell'Iràq,
è figlia del mio Imâm,
mentr'io sono il suo opposto,
un figlio dello Yemen.
(20,16-18)
O voi, miei due compagni,
possa il mio cuore essere il riscatto
di una snella fanciulla
che splendori e favori mi ha elargito!
L'armonia dell'unione ha stabilito,
poiché è il nostro principio d'armonia;
ella è ad un tempo Araba e straniera,
e sa rendere oblioso il conoscente.
Quando ti guarda è come se levasse
su te spade taglienti,
e dai denti davanti le traspare
un lampo abbacinante.
(29,13-15)
Invero lei è una fanciulla araba,
che appartiene per nascita
alle figlie di Persia, veramente.
La Bellezza le ha dato
una fila di denti come perle,
di candore e purezza cristallini.
(42,4-5)

Giustamente Il Nicholson fa notare che la poesia di Ibn `Arabî è un gioco intellettualistico, che rischia sempre di finire nell'oscurità, o peggio nell'aridità; di conseguenza potrebbe sembrare ingiustificabile la traduzione de L'Interprete, in luogo di altre opere in prosa più rappresentative delle posizioni peculiari di questo pensatore profondissimo ma, almeno in Occidente, ancora poco esplorato.
Il fatto è che, a parte l'interesse che può avere lo stabilire fino a che punto L'Interprete sia un canzoniere d'amore sacro oppure profano, e in che modo Ibn `Arabî si situi in una corrente di pensiero neoplatonico, esiste uno specifico motivo, legato alla nostra cultura, che ci porta a tradurre quest'opera. Si tratta cioè di capire se e quanto Ibn `Arabî e il suo mondo, indipendentemente dalla possibilità materiale di contatto e passaggio, possano essere davvero stati dei precursori dello Stilnovismo in generale e di Dante in particolare, come da parecchie fonti e con varia fortuna si è sostenuto.
Senza potere e voler fornire soluzioni dirette, questa traduzione può servire a rendere (più) nota l'esistenza di tale problema; essa inoltre ha inteso evidenziare e salvaguardare ciò che in Ibn `Arabî è puramente e semplicemente poesia.
Nella versione ovvie ragioni mi hanno indotto a rinunciare alla forma regolare e alla rima; ho reso ogni verso dell’originale con un numero variabile di settenari e endecasillabi, e mi sono servito di calchi stilnovistici quando mi è parso che il testo che avevo sotto gli occhi mi autorizzasse a farlo.
Roberto Rossi Testa



1

1) Potessi mai essere certo ch'essi
han contezza del cuore che possiedono!
2) E il mio cuore potesse mai sapere
che valichi montani essi han varcato!
3) Tu pensi che sian vivi,
o credi che sian morti?
4) Gli amanti, nell'amore,
smarriscono la strada e se medesimi.

COMMENTO
1) "essi": le Idee divine, di cui i cuori di coloro che sanno sono appassionatamente innamorati, da cui gli spiriti sono turbati, e grazie alle quali le opere di devozione vengono compiute.
"cuore": si riferisce al perfetto cuore muhammadiano, che non è limitato dalle stazioni (maqâmât) . Tale cuore è posseduto dalle Idee divine poiché esse ne vanno in cerca, come il cuore va alla ricerca loro. Esse non possono sapere di possederlo dal momento che appartengono alla sua essenza, proprio come quello non contempla in loro che la sua stessa natura.
2) "che valichi montani essi han varcato": cioè in quali cuori di gnostici sono penetrati quando svanirono dal mio. "Valichi montani" indica "stazione" (maqâm) che è stabile, in contrapposizione a "stato" (hal) che è mobile, fluttuante.
3) Le Idee divine esistono solo nell'esistenza del veggente; e in quanto non vi sia veggente sono "morte".
4) Gli amanti indugiano perplessi fra due opposti, poiché desiderano essere in accordo con l'Amato e contemporaneamente essere uniti a Lui, cosicché se l'Amato vuole essere separato da loro esse si trovano in un dilemma.

2

1) Il dì della partenza
essi non cavalcarono i cammelli
robusti e fulvo-chiari
finché non li montarono i pavoni
2) Dalle occhiate assassine
e potenza sovrana:
potresti immaginarti
che ciascuno di loro
fosse Bilqîs sul suo gemmato trono.
3) Tu vedi, quando incede
sul pavimento vitreo,
un sole in una sfera celestiale
fisso nel petto a Idrîs.
4) Quando costei uccide con gli sguardi
le sue parole rendono alla vita,
come se lei, nel restituir la vita
così, fosse Gesù;
5) E ha gambe la cui liscia superficie
è per splendore come la Torà,
ed io la leggo e studio
come fossi Mosè.
6) Lei è una vescovessa,
una figlia di Roma, disadorna:
tu vedi in lei una raggiante Grazia.
7) Ella è tanto selvaggia che nessuno
può essere suo amico: e ha ricavato
dalla sua propria stanza solitaria
un monumento per la rimembranza.
8) Ella ha sconfitto tutti
fra i dotti nella nostra religione,
fra chi i Salmi di Davide ha studiato,
e ogni prete giudeo, e ogni cristiano.
9) Se con un gesto lei
domandasse il Vangelo, crederesti
che non fossimo preti,
e patriarchi, e diaconi.
10) Quando lei preparò la sua cammella
per la partenza dissi:
"Conduttor dei cammelli fulvo-chiari,
non portarli lontano insieme a lei!".
11) Nel giorno in cui si misero in cammino,
apprestai l'armi della mia pazienza
e le disposi tutte lungo via.
12) Quando l'anima giunse alla mia gola
vidi quella Bellezza e quella Grazia
concedermi sollievo;
13) E lei cedette... Possa Dio scamparci
dal male che fa lei,
e ottenga quel Monarca vittorioso
di sbaragliare Iblîs!

COMMENTO
1) "i cammelli robusti": sono le azioni che permettono alla buona parola di salire verso l'alto, come Dio medesimo disse: "Verso di lui ascende ogni parola buona, e quanto all'opera buona egli la esalterà" (Corano, 35,11) . I pavoni in groppa ai cammelli sono i suoi amati: il paragone è usato a causa della loro bellezza. I pavoni sono gli spiriti di quelle azioni, poiché nessuna azione è accettabile o bella o buona finché non ha uno spirito che consiste nell'intenzione o desiderio di chi la compie. Il paragone con gli uccelli è dovuto alla loro spiritualità e alla varietà della loro bellezza.
2) "dalle occhiate assassine e potenza sovrana": si riferisce alla saggezza divina che durante le ore di solitudine si impadronisce dell'uomo, assalendolo con tale violenza da renderlo incapace di discernere ulteriormente la propria individualità.
"Bilqîs sul suo gemmato trono": si riferisce a quanto fu manifestato a Gabriele e al Profeta durante il primo viaggio notturno sul letto o ghirlanda (rafraf) di perle e jacinti nel cielo terrestre, quando il solo Gabriele venne meno a causa della sua conoscenza di Dio che in quell'occasione svelava se stesso. L'autore chiama la saggezza divina Bilqîs [regina di Saba] a causa del suo essere figlia della teoria, che è sottile, e della pratica, che è grossolana, dal momento che Bilqîs fu sia uno spirito che una donna, poiché suo padre era un Jinn e sua madre era umana. Se invece fosse stata figlia di un uomo e di una Jinn ella sarebbe appartenuta all'altro regno.
3) "pavimento vitreo": vedi Corano, 27,44.
"Idrîs": la menzione di Idrîs è dovuta alla sua stazione elevata.
"nel petto di Idrîs" significa sotto il suo controllo, in relazione alla sua possibilità di maneggiarla a proprio piacimento, come disse il Profeta: "Non dare la tua saggezza a quelli che non la meritano". Il caso opposto è quello di chi parli dominato dal proprio stato (hal), e quindi sotto il controllo di un influsso. In questo verso l'autore richiama l'attenzione sulla sua potenza in virtù di un retaggio divino, poiché i profeti sono signori dei propri stati spirituali, mentre la maggior parte dei santi ne sono dominati. Il sole è messo in relazione con Idrîs perché il sole è la sua sfera; ed egli è paragonato al sole e non alla luna per la natura di questa stazione. Si dice che la divina Saggezza cammina ("incede") piuttosto che correre a causa della sua dignità e fierezza, e perché passa per gli stati del cuore dell'innamorato.
4) "Costei uccide con gli sguardi": si riferisce alla Stazione dell'Annullamento nella Contemplazione.
"Le sue parole rendono alla vita": si riferisce al completamento della forma umana, quando lo spirito fu soffiato nella creta. È paragonata a Gesù in riferimento a Corano, 38,72 e 16,42.
5) "ha gambe": si riferisce a Bilqîs e al pavimento di vetro (Corano27,44) .
"È per splendore come la Torà": perché Torà deriva dall'espressione "wara az-zand", "il bastone produsse fuoco". Le quattro facce della Scrittura cioè i Quattro Libri (Corano, Salmi, Pentateuco e Vangeli) corrispondono alla quadruplice luce menzionata in Corano, 24,35 (nicchia, lampada, vetro e olio) .
6) "una figlia di Roma": costei, essendo della razza di Gesù, è descritta come appartenente ai Romani.
"disadorna": ella appartiene all'essenza dell'Unificazione (tawhîd), senza alcuna traccia d'ornamento di Nomi divini; perciò da lei risplende il fulgore della Grazia assoluta, vale a dire gli ardenti splendori che, se Dio rimuovesse i veli della luce e delle tenebre, consumerebbero le glorie del suo volto.
7) "Ella è tanto selvaggia": perché la contemplazione dell'Essenza è un annullamento (fanâ') nel quale, come disse as-Sayyadi, non si trova piacere. È selvaggia poiché le anime nobili desiderano definirla, ma essa non mostra amicizia per loro, nessuna relazione esistendo tra loro e lei.
"stanza solitaria": è il cuore. La sua solitudine è il suo cercare se stessa, dal momento che Dio dice: "Né la mia terra né il mio cielo mi contengono, ma sono contenuto dal cuore del mio servo che crede". Il cuore che possiede questa forma di saggezza si trova stazione della Spoliazione, e quindi è come un deserto, ed ella sta in esso come un animale selvaggio.
"un monumento": si riferisce al sepolcro degli imperatori romani. Un tale mausoleo può ricordare la morte, che è la separazione dell'unione, al fine di evitare la familiarità con il mondo creato.
8) I Quattro Libri sono qui indicati menzionando coloro che li studiano e li espongono. Tutte le scienze comprese in essi riguardano solo i Nomi divini, e sono incapaci di risolvere questioni concernenti l'Essenza divina.
9) Se questo essere spirituale, essendo della razza di Gesù, si appella al Vangelo per trovare giustificazione in esso di di ogni cosa che i pensieri degli uomini gli hanno falsamente attribuito, noi ci umiliamo davanti a lei, e la serviamo non meno devotamente di quanto facciano i capi della Chiesa, a causa della sua maestà e del suo potere sovrano.
10) Intende dire: "Quando questa essenza spirituale desiderò lasciare questo nobile cuore in considerazione del suo ritorno dalla stazione designata dalle parole "Io ho un'ora che che non condivido con nessuno, tranne il mio Signore", al compito impostole (cioè quello di presiedere ai mondi fenomenici, a motivo del quale il suo sguardo è rivolto ai Nomi divini) , la pressante aspirazione su cui essa fu portata al cuore prese la sua partenza". Tale aspirazione viene detta "la sua cammella", i cui conducenti sono gli angeli più prossimi a Dio (gli Avvicinati) .
11) "in cammino": è l'ascensione spirituale.
12) "concedermi sollievo": intende ciò che disse il Profeta col Detto: "Ecco, il respiro del Misericordioso viene a me dalla parte dello Yemen". L'autore chiede che il mondo degli Spiri possa continuamente fluire da lei a lui insieme agli stati spirituali. Gli Arabi si riferiscono a ciò nella loro poesia, quando parlano di trasmettere saluti e notizie mediante il soffio dei venti.
13) "Possa Dio scamparci": si riferisce al Detto: "Io prendo rifugio in Te da Te stesso".
"Monarca vittorioso": sono i pensieri di conoscenza e di guida divina.
"Iblîs": è il pensiero di diventare uno con Dio, poiché si tratta di una stazione assai difficile, e pochi fra coloro che cercano di raggiungerla sfuggono alle dottrine dell'unificazione e dell'incarnazione. È la stazione indicata dal Detto: "Io sono il suo udito e la sua vista".

3

1) O voi, miei due amici, superate
al-Kathîb, e recatevi
verso La`la` cercando
le acque di Yalamlam:
2) Poiché è lì che si trovano
coloro che tu sai,
quelli a cui appartengono
il mio digiuno, i miei pellegrinaggi
-il maggiore e il minore- e la mia festa.
3) Ch'io non scordi al-Muhàssab di Minâ,
e al-Manhar al-A`la,
con Zamzam e con ciò che li riguarda.
4) Perché il loro Muhàssab è il mio cuore
per il quale essi gettan pietre ardenti,
mentre il luogo del loro sacrificio
è nell'anima mia, ed il mio sangue
è la fontana loro.
5) O cammelliere, se verrai a Hajir
arresta gli animali per un poco:
per mandare un saluto,
6) Ed alle rosse tende,
dalla parte guardata
del pascolo, rivolgi
il saluto di un uomo
consunto dalla vostra nostalgia.
7) E se loro rispondono al saluto
tu col vento dell'est saluta ancora;
se restano in silenzio
continua pure il viaggio
coi tuoi cammelli, e avanza
8) Finché raggiungi il fiume di Gesù,
dove i loro cammelli hanno sostato,
dove le bianche tende proprio innanzi
alla bocca si levano.
9) E invoca Da`d, ed ar-Rabâb, e Zaynab,
e Hind e Sàlma, con Lubnâ e Zàmzam,
10) E chiedi loro se
è al-Halba che si sporge
a mostrarti la luce
bianchissima del sole che sorride.

COMMENTO
1) "miei due amici": la ragione e la fede.
"al-Kathîb": il luogo della contemplazione.
"La`la`": luogo dello stato di stupore e di deliquio, in cui non ci si può rendere conto dell'amore e della passione.
"acque di Yalamlam": la fontana della vita, essendo l'acqua l'origine di ogni cosa vivente (Corano, 21,31)
2) "che tu sai": si rivolge alla fede e non alla ragione, perché la conoscenza dell'Essenza e dei suoi attributi si ottiene soltanto per mezzo della fede.
"quelli a cui appartengono": sono gli attributi divini.
"il mio digiuno": intende la qualità d'essere indipendente dal cibo, secondo il Detto: "Il digiuno appartiene a Me". Tale qualità non può veramente essere attribuita a un uomo, che può avere solo qualche parte nel digiuno stesso.
"i miei pellegrinaggi": è un ripetuto volgersi verso la pura Essenza per impetrare la grazia di una benedizione da parte dei Nomi divini. Tale pellegrinaggio è incessante, poiché l'uomo passa sempre da un Nome divino all'altro.
"mia festa": si riferisce alla concentrazione della mente, quando tutte le stazioni mistiche e le verità divine sono unite fra di loro, come tutte le razze e i tipi umani si raccolgono alla Mecca per uno stesso scopo.
3) "Ch'io non scordi": allude al suo essere investito di qualità divine nel senso del Detto: "Io sono il suo orecchio e il suo occhio", e richiama altresì l'attenzione sul ragiungimento della stazione descritta dalle parole "il suo Signore non è uno che dimentichi" (Corano, 19,65) .
"al-Muhàssab": è il luogo in cui, durante il pellegrinaggio alla Mecca, si compie il rito del lancio delle pietre. Si riferisce a Corano, 2,196.
"al-Manhar al-`Alâ": è il luogo del sacrificio, secondo il verso dello stesso Ibn `Arabî: "Tu offri delle vittime, io offro il sangue e il cuore".
"Zamzam": è la stazione della Vita Eterna.
4) "il loro Muhàssab": sono le verità divine che discendono nel cuore e ne scacciano i pensieri sensuali e diabolici.
"il luogo del loro sacrificio": si riferisce a un giovane che a Minâ si offrì quale vittima, e morì all'istante quando vide che la gente sacrificava montoni.
5) "O cammelliere": si rivolge al desiderio che guida i suoi pensieri alle dimore di coloro che ama.
"Hajir": località che qui simboleggia l'intelletto (hijr). L'itinerario verso Dio si compie per mezzo della fede e della contemplazione e non dell'intelletto considerato nel suo potere di riflessione.
"arresta gli animali": perché quando l'amante si avvicina alla dimora dell'amato è preso da stupore e da sgomento, e a volte può anche svenire; cosicché nel porgere il saluto potebbe venir meno alle regole delle buone maniere.
6) "alle rosse tende": per gli Arabi il rosso è il più bello dei colori, e le tende rosse sono riservate alle spose. Esse sono inaccessibili eccetto che per coloro che hanno il diritto di accostarvisi. Le tende sono chiamate "qibâb" (tende circolari o cupole) perché la forma rotonda è la prima e la più perfetta delle forme, Le Realtà divine sono nella loro dimora originaria che è presso Dio, e non presso qualche oggetto fenomenico, poiché appartengono al "mondo del Comando".
7) "vento dell'est": il riferimento a questo vento è a causa del suo nome, sabâ, che in arabo significa anche inclinazione.
8) "il fiume di Gesù": è la vasta conoscenza che si manifesta in Gesù.
"le bianche tende": le tende sono bianche e non rosse perché si tratta della stazione di Gesù, il quale è figlio di una vergine.
"innanzi alla bocca": intende la bocca del fiume, che è la conoscenza raggiunta per mezzo delle parole e delle manifestazioni divine.
9) Il verso significa: chiama i Nomi delle realtà divine secondo la loro differenza, in modo che possa risponderti ciò che ti è proprio, e che tu possa così conoscere qual è la tua stazione.
10) "al-Halba": quartiere di Bagdad il cui nome letteralmente significa ippodromo. Le realtà divine gareggiano fra di loro per raggiungere i fenomeni che manifestano le loro tracce e il loro potere. Ecco perché viene detto che si sporgono: perché tendono verso il mondo dei fenomeni.
"luce bianchissima": dopo la stazione di Gesù ecco la stazione di Idrîs, stazione superiore e polare poiché a Idrîs appartiene il quarto cielo.
"del sole che sorride": indica la stazione dell'Espansione.

4

1) Salve a Salmâ, ed a chi nel chiuso vive:
per un tenero amante come me
è d'uopo salutare.
2) E che male è per lei
ricambiarmi il saluto?
Però le belle effigi
non si posson costringere...
3) Partirono di notte, che le tenebre
avevano abbassato le cortine;
e le dissi così:
"Pietà per un amante appassionato,
uno straniero, un folle per amore,
4) Uno che i desideri hanno avvinghiato
smaniosamente, e al quale eran diretti,
ovunque si volgesse, dardi a nùgoli".
5) I suoi denti davanti ella scoprì,
e un lampo balenò,
e non seppi dei due
quale avesse le tenebre diviso.
6) Ed ella mi rispose:
"Non gli basta che alberghi nel suo cuore,
e che in ognuna delle ore sue
egli possa vedermi? Non gli basta?".

COMMENTO
1) "Salmâ": simboleggia un'estasi salomonica, discesa su di lui dalla stazione salomonica in virtù di un retaggio profetico.
"nel chiuso": è l'inattingibile stazione della Profezia, la cui entrata fu richiusa da Muhammad, l'ultimo dei profeti. L'esperienza di Salomone in quanto profeta della Saggezza divina è diversa dalla sua esperienza in quanto santo, e noi possiamo, oramai, condividere soltanto la seconda.
"è d'uopo salutare": il "tenero amante" si trova nella stazione della Tenerezza, in transito verso il mondo divino. Ora, chi si muove verso qualche cosa è inferiore a ciò verso cui si muove; e comunque il postulante saluta per primo.
2) "belle effigi": l'autore descrive questa apparizione divina nella stazione della Profezia con il termine che letteralmente vale "bambole di marmo", come se si trattasse di donne fatte di una materia inanimata.
"non si posson costringere": Dio non fa nulla essendovi necessitato, tutto ci viene dalla sua Grazia. Parimenti non risponde per mezzo del linguaggio, perché in quel caso il suo parlare sarebbe diverso dalla sua essenza, che è semplice. Così, invece, il suo esprimersi è identico alla sua Presenza visibile, alla quale sono pure simili tutte le Realtà e gli Attributi divini.
3) "Partirono di notte": l'isrâ' (il viaggio notturno) , così come il mi`râj (l'ascensione profetica) , avviene solo di notte, perché la notte è il luogo dei segreti, del mistero, dell'occultamento.
"le tenebre": il velo del mistero ha abbassato le cortine dell'esistenza corporea, che è la notte dell'organismo animale, sulle nobili scienze dello spirito e su quanto di sottile esso contiene. Tutto ciò, comunque, non può essere raggiunto se non viaggiando di notte, attraverso atti materiali e pensieri sensuali. Mentre l'uomo si trova in tali occupazioni la Saggezza divina parte dal suo cuore, cosicché, quando l'uomo torna in sé, si rende conto che essa lo ha lasciato; allora egli la insegue con le proprie aspirazioni.
4) "dardi a nugoli": le belle immagini colpiscono il cuore dell'amante con nugoli di dardi, cioè gli sguardi, da qualunque parte si volti, stabilendo il suo cuore come un luogo di contemplazione, secondo quanto disse l'Altissimo Iddio (Corano, 2,109) : "ovunque vi volgete, ivi è il volto di Dio".
5) "I suoi denti davanti ella scoprì": l'amante ha trovato il proprio essere completamente illuminato, secondo quanto disse l'Altissimo Iddio (Corano, 24,35) : "Dio è la luce dei cieli e della terra" e la preghiera del Profeta: "O Dio, fa' che che mio udito e nella mia vista ci sia luce", estendendo poi tale invocazione per tutte le parti del corpo, fino a concludere: "fammi tutto luce", e ciò al fine di diventare una manifestazione dell'Essenza divina. Tale manifestazione viene paragonata a un lampo a causa della sua discontinuità.
"e non seppi": l'autore sostiene di ignorare se il suo essere era illuminato dalla manifestazione della Saggezza divina, che riversava il suo sorriso su di lui, o da una simultanea manifestazione dell'Essenza divina.
6) Il verso significa: "Egli non mi cerchi all'esterno, gli basti che io sia discesa nel suo cuore, come disse l'Altissimo Iddio (Corano, 26,193-194) : "scese con esso lo spirito fedele e lo posò sopra il suo cuore": così egli mi possa vedere in ogni momento con la propria essenza nella propria essenza.

5

1) Pianse le Terre Alte la mia brama,
pianse le Terre Basse il mio tormento:
così che mi trovai fra Tuhâma e Najd.
2) Essi sono due opposti,
non possono incontrarsi:
e la mia divisione
non sarà mai composta.
3) Che cosa devo fare?
Che cosa escogitare? Siimi guida,
o mio censore, e non rimproverarmi.
4) Si son levati in alto i miei singhiozzi,
e lacrime copiose
si sono sparse sopra le mie guance.
5) I cammelli hanno brama della patria,
con zampe doloranti per la marcia,
come il folle d'amore.
6) Dopo che sono andati, la mia vita
non è nient'altro che annichilimento.
Alla mia vita, e alla pazienza, addio!

COMMENTO
1) Le Terre Alte simboleggiano Dio sul suo trono, le Terre Basse rappresentano la vita terrena. Tuhâma è una pianura nei pressi del Mar Rosso e Najd è un altopiano al centro della Penisola Arabica.
2) "due opposti": dal momento che l'elemento spirituale nell'uomo governa sempre il corpo, esso non può contemplare ciò che è del tutto separato dal corpo, come invece sostengono alcuni sûfî, e filosofi, e persone che non sanno.
"la mia separazione": io non posso diventare uno con Lui, che è puro e semplice. Perciò desiderarlo è folle, e questa stazione è irraggiungibile. Tuttavia il desiderio è un attributo necessario dell'amore, quindi non posso desistere da esso.
3) "mio censore": è l'anima "che incolpa se stessa" di Corano, 75,2.
5) "I cammelli": cioè le azioni e i pensieri elevati su cui le buone parole salgono al Trono di Dio.
"hanno brama della patria": cioè dei Nomi divini dai quali procedono e dai quali sono controllati.
6) Il verso significa: "Quando i pensieri elevati ascendono alla loro meta, io rimango nello stato del fanâ' (annichilimento) , avendo conquistato la vita imperitura che non è seguita da nessun opposto. Allora, avendo lasciato il mondo sensibile, io dico addio alla pazienza e alla vita mortale".

6

1) Si sono allontanate
pazienza e resistenza,
quando loro si sono allontanate:
si sono allontanate, loro che
nell'intimo del cuore dimoravano.
2) Io chiesi ad essi dove, a mezzogiorno,
riposino i viandanti, e mi risposero:
"Il luogo del riposo meridiano
è dove shih e ban spandono aroma".
3) Allora dissi al vento: "Va' e raggiungile,
poi che stanno nell'ombra degli arak;
4) E da' loro un saluto
da parte di un fratello del dolore,
dal cuore addolorato
per la distanza da una tale gente".

COMMENTO
1) "loro si sono allontanate": si riferisce alle Idee Divine.
"nell'intimo del cuore dimoravano": le Idee Divine non hanno rapporto che con il loro oggetto, che è Dio; e Dio dimora nel cuore, secondo il suo Detto: "Né la mia terra né il mio cielo mi contengono, ma mi contiene il cuore del mio servo che crede". Dal momento che, comunque, nessuna visione fu data in quel frangente al poeta, le Idee, essendo oggetti della visione, svanivano, quantunque Dio restasse nel suo cuore.
"chiesi ad essi": si riferisce ai conoscitori delle reali esistenze dei saggi del passato che mi furono guide sulla via mistica.
"Il luogo del riposo meridiano": esse riposavano in ogni cuore che sospirasse di desiderio. Shih (assenzio) ha una radice verbale che indica inclinazione, ban (salice) ha una radice verbale che significa assenza.
3) "dissi al vento": emisi un sospiro di desiderio per loro, nella speranza di farle tornare da me.
"nell'ombra degli arak": dal legno di quest'albero si ricavano dei nettadenti. Questo passo si riferisce al Detto: "L'uso del nettadenti purifica la bocca ed è gradito al Signore". Vale a dire: le Idee Divine albergano in una dimora di purità.

7

1) Come io baciai la Pietra Nera, donne
amorose mi giunsero d'intorno,
che venivano a compiere velate
la circoambulazione.
2) Esse scopriron volti
come raggi di sole, e poi mi dissero:
"Bada! ché negli sguardi che ci volgi
è la morte dell'anima.
3) Quante anime agognanti abbiam già ucciso
ad al-Muhâssab di Minâ, là dove
si scagliano le pietre,
4) Ed a Sarhatal Wâdi,
e sui monti di Râma,
e a Jam`, e ad `Arafât, dove si sperdono!
5) Non vedi tu che la bellezza ruba
tutto quel che è modesto,
sicché vien detta ladra di virtù?
6) Per noi il luogo dell'appuntamento
dopo la circoambulazione è a Zâmzam,
alla tenda centrale, fra le rocce.
7) Là chi l'angoscia ha affranto vien guarito
dalla brama d'amore
di donne profumate.
8) Quand'esse hanno timore,
lascian cader le chiome, così che
sono nascoste dalle loro trecce:
quasi che le velassero le tenebre".

COMMENTO
1) "Come io baciai la Pietra Nera": quando la mano di Dio venne stesa sopra di me, così che potei cogliere da essa la divina investitura, in riferimento a Corano, 48,10: "Quelli che giurano fedeltà a te, giurano fedeltà a Dio; la mano di Dio è sopra le mani loro".
"donne amorose": gli angeli circolanti intorno al Trono di Dio (confronta Corano, 39,75) .
2) "mi dissero": questi spiriti dicono: "Non ci guardare, se non vuoi cadere in un folle amore per noi: tu fosti creato per Dio, non per noi, e se farai in modo che noi diventiamo un velo fra te e Lui, Egli farà venir meno la tua esistenza in Lui, e tu perirai".
3) "abbiam già ucciso": anime che amano le cose sublimi e disdegnano quelle mondane.
"al-Muhâssab": luogo del Pellegrinaggio, in cui, prima di effettuare la circoambulazione della Ka`aba, scagliando delle pietre si lapida il Maligno.
4) "`Arafât, dove si sperdono": monte su cui i pellegrini si radunano, e dal quale devono sfollare ad ora stabilita.
5) "la bellezza ruba tutto quel che è modesto": dal momento che la bellezza rapisce chiunque la guardi.
"ladra di virtù": perché toglie ogni piacere alla visione. A volte il Beato ti comanda di fare ciò che sta fra te e le cose superne, dal momento che quelle cose si ottengono per mezzo di azioni odiose, secondo il Detto del Profeta: "Il Paradiso è pieno di cose biasimevoli".
6) "Zâmzam": è la stazione della Vita che tu desideri.
"alla tenda centrale": è il mondo intermedio (barzakh) che sta fra il mondo sensibile e quello intelligibile.
"fra le rocce": i corpi sensibili in cui i santi esseri spirituali prendono dimora. Intende dire che questi spiriti, in tali forme immaginali, sono metaforici (cioè vicari, che stanno al posto di altro) ed effimeri, perché il sogno svanisce non appena il sognatore si sveglia, e la visione sfuma non appena il visionario torna in sensi. Egli ti avverte di non farti ingannare dalla manifestazione della bellezza sensibile, dal momento che tutto, tranne Dio, è irreale. Dunque, secondo il consiglio degli antichi, non essere solo per te stesso, ma sii Suo, poiché Lui può esser tuo.
7) "donne profumate": nel mondo intermedio, chi ama tali esseri spirituali dimoranti in corpi sensibili ne deriva un ristoro dal mondo degli Spiri e degli Aromi, perché colà spirito e materia sono uniti, così che la delizia è duplice: per l'occhio e per la mente.
8) "Quand'esse hanno timore": quando queste immagini temono che la loro assolutezza possa subire una limitazione dal loro essere confinate in una forma, causano in te la sensazione che esse medesime siano un velo che ti nasconde qualcosa di più sottile di ciò che puoi vedere: allora si celano da te, e abbandonano tali forme, e godono nuovamente di un'infinita libertà.

8

1) Le loro sedi sono decadute,
ma il loro desiderio
nel cuore è sempre nuovo, e non decade.
2) Sulle loro dimore diroccate
son sparse queste lacrime,
ma alla memoria loro
eternamente l'anime si struggono.
3) Dietro a loro montate su cammelli
per amore gridai:
"O voi che siete ricche di bellezza,
eccomi qui, meschino!
4) La guancia ho rivoltato nella polvere,
in un affetto appassionato e tenero:
oh, per il vero amore che vi devo,
non fate disperare
5) Chi affoga nel suo pianto, e intanto brucia
nel fuoco del dolore, e non respira".
6) Tu che hai acceso il fuoco,
non aver furia! Questo
è il fuoco della brama: vieni a prenderlo.

COMMENTO
1) "Le loro sedi sono decadute": i luoghi di austerità e mortificazione, dove dimoravano i Nomi Divini, sono decaduti per l'età e per la perdita del giovanile impulso. La parola rubû`(dimore, sedi) è usata in riferimento alla primavera [rabî`, stessa radice] della vita umana.
3) "Dietro a loro montate su cammelli": sono le forze della gioventù e le delizie degli inizi.
4) "La guancia ho rivoltato nella polvere": significa l'umiltà nel perseguire l'Unione, poiché Dio dice:"Avvicinati a Me per mezzo di ciò che Io non ho".
6) "Questo è il fuoco della brama": tale fuoco si trova nel cuore del poeta.

9

1) Dei lampi luminosi ad Abraqân
verso noi balenarono,
e il rombo di quei tuoni
ci echeggiava scoppiando fra le costole.
2) Quelle nubi spandevano la pioggia
sopra tutti i giardini,
e su ogni ramo fléssile
che verso te si inclina.
3) Corsi d'acqua scorrevano e la brezza
esalava profumi,
ed agitava l'ali una colomba
dal collare, e mise foglie una fronda.
4) Alzaron tende rosse fra torrenti
come serpi, e fra loro eran sedute
5) Amabili donzelle:
bianche in volto, splendenti come soli,
dagli occhi grandi: donne conoscenti,
e nobili, e flessuose.

COMMENTO
1) "Abraqân": due manifestazioni dell'Essenza, una nel mondo visibile e l'altra nell'invisibile.
"lampi luminosi": si riferisce alla varietà delle forme del mondo visibile.
"il rombo di quei tuoni": è l'eloquio divino che fa seguito alla manifestazione. È un'estasi mosaica, poiché Mosè prima vide il fuoco (qui rappresentato dai lampi) poi udì la voce di Dio (qui simboleggiata dal fuoco tra le costole) . Il riferimento al tuono lascia intendere che il discorso di Dio era di biasimo.
2) "Quelle nubi": gli stati d'estasi che generano le scienze divine.
"tutti i giardini": i cuori degli uomini con il loro contenuto di conoscenze divine.
"ramo fléssile": indica il movimento lineare della crescita dell'uomo, creato da Dio a sua immagine.
"verso te si inclina": da tale stazione si piega verso di te ciò che può ammaestrarti.
3) Il verso significa: "Le valli delle scienze divine erano percorse da ruscelli, e il mondo degli Spiri diffuse i dolci aromi delle scienze divine".
"una colomba dal collare": è l'Anima Universale che si mostra unitamente agli effetti che produce su quella individuale; si vedono così in una sola forma conoscenza e azione.
"una fronda": in contrapposizione a ramo nudo. Si riferisce a Corano, 7,29: "ponetevi i vostri ornamenti quando vi recate a qualsiasi tempio": è la veste eterna di Dio, consistente nelle varie forme di scienza e conoscenza divina.
4) "tende rosse": l'aspetto nuziale della saggezza divina.
"torrenti": le diverse scienze universali in connessione con ciò che conduce all'unione con le suddette forme della saggezza divina.
"come serpi": si riferisce Corano, 24,44: "di essi (gli animali) alcuni camminano sui loro ventri". Il riferimento è a quelle persone che prestano un'attenzione scrupolosa al proprio cibo, poiché è per mezzo del cibo puro, che produce vigore per le pratiche devote, che il cuore viene illuminato e diventa dimora delle suddette forme della saggezza divina.
5) "bianche in volto": non esiste possibilità di non vederle, tanto sono chiare, secondo il Detto del Profeta: "Voi vedete il sole a mezzogiorno quando nessuna nuvola si frappone".
"dagli occhi grandi": indica la forza dello sguardo e della visione.
"conoscenti": significa che comprendono ciò che viene insegnato loro, e che ne percepiscono il valore.
"nobili": poiché, diversamente dalle massime dei filosofi, procedono dalle azioni prescritte da Dio.
"flessuose": sebbene per sé si trovino nella stazione dell'Equilibrio e della Stabilità, quando sono invocate con desiderio, umiltà ed amore si piegano verso chi le chiama, dal momento che costui non è in grado di ascendere verso di loro.


1) Lei mi disse: "Mi son meravigliata
di un amante che a causa dei suoi meriti
cammina fieramente
tra i fiori in un giardino".
2) "Non ti meravigliar di ciò che vedi
- io replicai - perché
te stessa tu hai veduto
entro uno specchio umano."

COMMENTO
1) "tra i fiori di un giardino": i fiori sono le cose create, il giardino è la stazione unitiva con la Sua essenza. `Utba al-Julam era solito camminare fieramente e con andatura orgogliosa. Quando gli chiesero perché facesse così rispose:"Perché non dovrei farlo, dal momento che adesso ho un padrone e che sono diventato suo schiavo?". Quando lo schiavo intuisce il Vero diventa "il Suo udito e la Sua vista", e si fa tutto Luce. Tale stazione giustifica l'attribuzione a lui di ogni cosa sia attribuita a Dio.
2) Il significato del verso è il seguente: io sono come uno specchio per te, e negli attributi di cui mi vedi rivestito tu vedi te stessa, non me; tu li vedi nella mia natura umana, la quale ne ha ricevuto l'investitura: poichè per essi la mia natura umana è come un giardino. Questa è la stazione della contemplazione di Dio nelle cose create; alcuni dicono che essa sia superiore a quella della contemplazione delle cose create in Dio.


1) O colombe sui bân e sugli arâk,
pietà! Non raddoppiate
con i vostri lamenti la mia pena!
2) Pietà! Non rivelate
con il lamento e il pianto
le mie nascoste brame,
i miei dolori occulti!
3) Sempe ridico quello che lei dice
all'alba ed al tramonto
con il grido ed il pianto di un nostalgico,
gemendo quale amante appassionato.
4) Gli spiriti piangendo si lagnarono
nel folto dei jadâ
che verso me inclinarono le fronde:
e ciò mi annichilì.
5) Costoro mi portarono ogni sorta
di brame tormentose,
di passioni e afflizioni mai provate.
6) Chi mai mi recherà certa promessa
di Jam` ed al-Muhassab di Minâ?
E chi di Dhât al-Athl? Chi di Nu`mân?
7) Nel mio cuore essi compiono
la circoambulazione, ad ora ad ora,
con amore e tremore,
ed alle mie colonne danno baci,
8) Come il migliore tra i profeti compie
la circoambulazione della Ka`ba,
ch'è imperfetta, secondo la ragione;
9) E quantunque profeta non di meno
ne ha baciato le pietre.
Il prestigio del tempio cos'è mai
contro la dignità che spetta all'uomo?
10) Molto spesso gridavano e giuravano
che loro non sarebbero cambiati,
ma non merita fede chi si bistra.
11) Ed una delle cose più stupende
è una gazzella che si mette il velo,
e strizza l'occhio, ed indica
con la punta del dito colorata;
12) La gazzella il cui pascolo
è fra costole e visceri.
O meraviglia! Un bosco in mezzo al fuoco!
13) Si è fatto, ormai, il mio cuore
capace di ogni forma:
per le gazzelle è un pascolo,
ed è convento ai monaci cristiani;
14) Si fa tempio per gli idoli,
e Ka`ba ai pellegrini;
tavola di Torà,
e libro del Corano.
15) Seguo la religione dell'amore:
in qualunque regione mi conducano
i cammelli d'amore, là si trovano
la mia credenza e la mia religione.
16) Nostri modelli sono nella storia
di Bishr, che amava Hind,
ed in un'altra simile;
e nella storia di Qays e di Laila,
di Mayy e di Jaylân.

COMMENTO
1) "colombe": sono gli influssi di santità e purezza.
3) "ridico": come Dio disse all'anima: "Chi sono io?" e l'anima rispose: "Io chi sono?" riferendosi alle proprie qualità; cosicché Dio la fece dimorare per quattromila anni nel mare delle forme, finché essa rispose: "Tu sei il mio Signore".
4) "folto dei jadâ": rappresenta i fuochi dell'amore.
"le fronde": sono le fiamme dell'amore, che il vento piega come fossero fronde.
"ciò mi annichilì": per il fatto che Egli solo, non io, potrebbe esistere. L'inclinazione di quei rami ardenti di nostalgia fa sì che io possa fare a meno di me stesso, così sarà Lui, non io, ad essere geloso dell'Amato. L'amore consiste nell'unione di due opposti.
6) "Jam`": luogo dell'unione con gli amati nella stazione della Prossimità (al-Muzdalifa, a Mecca) .
"al-Muhassab": è il luogo in cui vengono fugati i pensieri che impediscono agli amanti di raggiungere l'oggetto dei loro desideri.
"Dhât al-Athl": si riferisce al principio: in amore bisogna unirsi all'essenza dell'Amato e annullarsi in Lui.
"Nu`mân": è la stazione della Grazia divina.
7) "con amore e tremore": al fine di ispirare con la passione.
"alle mie colonne danno baci": si riferisce alle quattro colonne su cui poggia il corpo umano; il bacio avviene attraverso il velo che copre la bocca.
8) "il migliore tra i profeti": è Muhammad.
10) "chi si bistra": si riferisce alle influenze sensuali che discesero sull'anima quando Dio le si rivolse dicendo: "Non sono forse il vostro signore?" (Corano, 7,171) ricevendone una promessa e un patto. Ma dopo di ciò l'anima non raggiunse la stazione dell'Unificazione (Tawhîd), ma associò a Dio altri dei. Nessuno andò esente da tale politeismo, poiché ciascuno disse: "Io, ho fatto, io ho detto", trascurando con ciò di contemplare in se medesimo il divino Agente e Parlante.
11) "una gazzella che si mette il velo": una sottigliezza divina velata da uno stato sensibile, in riferimento alle misteriose sensazioni spirituali degli gnostici, i quali non possono spiegarle agli altri uomini; essi possono soltanto alludere ad esse in modo simbolico, rivolgendosi a quelli che hanno almeno cominciato a sperimentare qualcosa di simile.
"e strizza l'occhio": le prove speculative concernenti i principi degli gnostici sono valide soltanto per coloro che già hanno ricevuto le prime indicazioni di tale esperienza. Benchè esteriormente appaiano gente comune, interiormente gli gnostici celano dei segreti divini.
"con la punta del dito colorata": cioè con l'unghia laccata. Il significato è il medesimo del "chi si bistra" del verso precedente.
12) "fra costole e visceri": come disse `Alî battendosi il petto: "Qui dentro ci sono tante scienze, se soltanto potessi trovare persone adatte ad accoglierle".
"Un bosco in mezzo al fuoco": le innumerevoli scienze albergano nel suo petto e che, strano a dirsi, non sono consumate dalle fiamme dell'amore. Il fatto è che tali scienze sono il risultato della sua ricerca e del suo desiderio: e perciò come la salamandra non sono bruciate dal fuoco.
13) "Si è fatto, ormai, il mio cuore capace di ogni forma": qualcuno ha detto: "Il cuore (qalb) è così chiamato per i suoi cambiamenti (taqallaba), poiché esso muta secondo i vari influssi che riceve in relazione alla varietà delle manifestazioni divine che appaiono nel suo divino fondo (sirr).
"per le gazzelle": per gli oggetti del suo amore.
"convento ai monaci cristiani": nel momento in cui gli amati siano monaci, il suo cuore si fa convento per essi.
14) "Si fa tempio per gli idoli": per le realtà divine che gli uomini ricercano, e per mezzo delle quali adorano Dio.
"Ka`ba ai pellegrini": perché il suo cuore è circondato da spiriti esaltati.
"tavola di Torà": il suo cuore è una tavola su cui sono scritte le conoscenze mosaiche che gli sono state concesse.
"libro del Corano": il suo cuore ha ricevuto in eredità il perfetto sapere muhammadiano.
15) "Seguo la religione dell'amore": secondo il versetto: "Se amate Dio seguitemi e Dio vi amerà" (Corano, 3,29) .
"in qualunque regione mi conducano i cammelli d'amore": significa: "Accetto volentieri e con gioia qualsiasi peso di cui mi carichi. Nessuna religione è più sublime di quella basata sull'amore e sul desiderio di Colui che amo e nel quale ho fede". Questa è una caratteristica particolare dei musulmani, perché la stazione del Perfetto Amore è attinente a Muhammad più che a qualunque altro profeta, poiché Dio l'ha scelto come suo amato.
16) Il verso significa: "Amore è una e una sola realtà per quegli arabi e per me, ma gli oggetti del nostro amore sono differenti, poiché essi amarono un fenomeno laddove io amo l'Essenza.
"nostri modelli sono": poiché Dio li piagò con l'amore di creature umane come loro, per mostrare in questo modo la falsità di quelli che pretendono di amarLo e però non sentono in tale amore trasporto e rapimento come fossero privati della ragione e resi inconsapevoli di sé.


1) A Dhû Salâm, e presso il monastero
laggiù, nella dimora di al-Himâ,
gazzelle stanno, e mostrano a te il sole
sotto la forma di statue marmoree.
2) Ed allora mi do a scrutar le sfere,
e servo in una chiesa,
e sto a fare il guardiano
di un prato variopinto a primavera.
3) Da una parte mi chiamano
pastore alle gazzelle nel deserto,
e dall'altra mi danno
del monaco cristiano, e dell'astrologo.
4) L'Amato mio è trino, benché Uno,
poiché in essenza le persone sono
una Persona sola.
5) Così non ti dispiaccia,
amico, che d'una gazzella parli,
che illumina gazzelle circolanti
intorno a dei marmorei simulacri,
6) O che del collo lungo
della gazzella parli,
o dei volti del sole,
o del petto e del polso
del bianco simulacro:
7) Come se avessi dato ai rami abiti,
e ai prati delle qualità morali,
ed ai lampi un sorriso.

COMMENTO
1) "Dhû Salâm": è una stazione in cui si fa atto di sottomissione alla Sua bellezza.
"monastero": è uno stato estatico.
"dimora di al-Himâ": quella che circonda il più inaccessibile velo della Gloria divina.
"gazzelle": sono forme della Saggezza divina e profetica che scendono sopra il suo spirito.
"statue marmoree": sono forme di conoscenza con cui non sono connessi né la ragione né il desiderio.
2) "le sfere": gli stati spirituali in cui le suddette forme di conoscenza evolvono.
"e servo in una chiesa": poiché le effigi marmoree si trovano in chiesa.
"guardiano di un prato": i prati in cui tali gazzelle pascolano sono gli scenari di atti di devozione, e vengono descritti come variopinti, cioè adorni di Realtà divine, e primaverili perché ciò che è nuovo e fresco è più grato all'anima.
3) Egli si riferisce ai suoi stati spirituali che mutano sempre, portando con sé molteplici esperienze e conoscenze divine. Sebbene le esperienze spirituali cambino sempre, la sostanza divina resta una. Questa è la "trasformazione" di cui parla Muslim nel capitolo della Fede: "Quelli che adorano Dio nel sole vedono un sole; quelli che Lo adorano in cose viventi vedono una cosa vivente; quelli che Lo adorano in oggetti inanimati vedono un oggetto inanimato; e quelli che adorano Dio come un essere unico e senza nulla che gli sia simile vedono ciò che non ha simili".
4) Il numero non genera molteplicità nella sostanza divina, come dicono i cristiani che affermano che le tre Persone della Trinità sono un unico Dio, e come sostiene il Corano, 17,110: "Chiamatelo Dio o il Misericordioso; in qualunque modo lo chiamiate andrà bene, perché a Lui appartengono i Nomi più eccellenti". I Nomi principali nel Corano sono tre: Dio (Allâh), il Misericordioso (ar-Rahmân) e il Signore (ar-Rabb); essi designano un solo Dio, mentre i rimanenti Nomi servono da loro specificazione.
6) "collo lungo": indica la luce, come nel Detto": "Nel giorno della Resurrezione i muezzin saranno quelli col collo più lungo di tutto il genere umano".
"volti del sole": secondo il Detto: "Voi vedrete il vostro Signore come vedete il sole".
"del petto e del polso": come nel Detto che menziona il petto e il braccio dell'Onnipotente.
7) "i rami": sono le anime colpite dalla Maestà divina e distratte dall'amore a causa della consapevolezza di sé e della contemplazione della propria natura fenomenica.
"prati": la stazione dell'Unione in cui Dio li ha posti.
"qualità morali": sonon gli spiri profumati della Pietà divina, cioè la buona preghiera, quale quella menzionata dal Detto: "Come Tu preghi Te stesso".
"lampi": manifestazioni dell'Essenza divina.
"un sorriso": secondo il Detto di Muslim: "In verità Dio sorride per il pentimento del suo servo".
  

1) Una colomba dal collare pianse:
si dolse un triste amante,
e restò dispiaciuto e addolorato
per quel suo gorgeggiar di nostalgia.
2) Le lacrime scorrevano dagli occhi
nel dispiacere per il suo cordoglio,
ed era come fossero fontane.
3) Io rispondevo a lei,
in smarrimento a causa della perdita
del suo unico figlio:
chi perde un figlio unico è smarrito.
4) Io rispondevo a lei, mentre il Dolore
fra noi due camminava;
lei non era visibile,
mentr'io fui veduto chiaramente.
5) In me c'è un desiderio
d'amore ardente per le sabbie di `Alig,
dove son le sue tende,
dove son donne con degli occhi grandi
6) Ed occhiate assassine e seducenti:
le ciglia sue e le palpebre
son foderi alle spade degli sguardi.
7) Io non cessavo d'inghiottire il pianto
originato dalla mia passione,
di celare e difendere il mio amore
da coloro che me ne biasimavano.
8) Finché, quando gracchiò
per la partenza loro la cornacchia,
rese evidente la separazione
d'un amante dolente il desiderio.
9) A viaggiar nella notte continuarono,
e ruppero l'anello
al naso dei cammelli,
così che quelli, sotto i palanchini,
si dolsero, ed urlarono.
10) Vidi gli spasmi della morte quando
allentaron le briglie dei cammelli
e legaron le redini.
11) Miei assassini son separazione
ed amorosa pena;
ma la più amara pena
d'amore, con l'incontro, si fa lieve.
12) Nessuno mi rimproveri
del fatto che amo lei: infatti lei
in ogni luogo sia è amata e bella.

COMMENTO
1) "Una colomba dal collare": è lo Spirito Universale, che viene da Dio ed è insufflato nell'uomo. Si dice che porta un collare in riferimento al patto che Dio ha con lui.
"un triste amante": è lo spirito parziale [individuale] che alberga nell'uomo.
"gorgheggiar": sono le dolci melodie che lo chiamano all'unione con lei, unione che costituisce la prima resurrezione.
2) "dagli occhi": si riferisce agli spiriti parziali [individuali].
"il suo cordoglio": è lo Spirito Universale, fonte degli stati parziali [individuali], il quale desidera questi ultimi anche più di quanto essi desiderino lui. 3) "il suo unico figlio": la qualità speciale che la distingue, cioè la sua unità, in cui essa conosce l'Unità di Lui che l'ha portata all'essere. La perdita di ciò consiste nel fatto che essa non sa più cosa sia, e nel suo non essere più agevolmente percepita.
4) "lei non era visibile": poiché non appartiene al mondo dell'esposizione e della rivelazione.
5) "le sabbie di `Alig": la sottigliezza delle scienze acquisite o analitiche. `Alig si riferisce allo sforzo (mu`âlig) per le buone opere.
"le sue tende": sono i veli che nascondono tali scienze.
"donne con degli occhi grandi": sono le scienze che scendono sull'anacoreta.
6) "occhiate assassine": poiché causano il venir meno dall'individuale personalità.
"seducenti": poiché si volgono verso il solitario. Il termine "sguardi" indica che si tratta di scienze della contemplazione e della rivelazione, non della fede e del mistero, e che procedono dalla manifestazione delle forme.
7) Si riferisce a uno stato di occultamento che è caratteristico ai Malamatis [setta o scuola sûfî che poneva in risalto la necessità di incorrere nel biasimo (malâmat) per amore di Dio, e di nascondere il merito spirituale al fine di evitare il compiacimento di sé].
9) "A viaggiar nella notte continuarono": essendo infinito l'oggetto della ricerca, il ritorno da esso è anche un viaggio verso di esso. Non c'è migrazione se non da un Nome divino all'altro.
"e ruppero l'anello al naso dei cammelli": con riferimento alla furia con la quale viaggiavano.
11) "incontro": è una specie di compresenza senza annullamento (fanâ') .
12) Il senso del verso è il seguente: Le aspirazioni e i desideri di coloro che cercano sono rivolti a lei; anche se lei nell'essenza è ignota a tutti, tutti l'amano, e nessuno biasima alcuno per questo amore. Allo stesso modo, ogni anima individuale (ed ogni fedele di qualsivoglia religione) cerca la salvezza, ma, dal momento che non la conosce, neppure sa quale strada porti ad essa, pur sperando di trovarsi sulla retta via. Tutti i conflitti tra popoli di religioni diverse riguardano il cammino che conduce alla salvezza, non la salvezza medesima: se qualcuno sapesse di trovarsi sulla strada sbagliata non persisterebbe nell'errore. Di conseguenza lei manifesta se stessa dappertutto, come il sole, e tutti quelli che la vedono sperano che lei sia con loro in essenza, così che invidia e gelosia sono allontanati dai loro cuori.


1) Ad est lui vide il lampo,
e l'est desiderò:
ma se all'ovest fosse balenato,
per l'ovest egli avebbe palpitato.
2) Ogni mio desiderio
è per il lampo e per il suo bagliore,
non per le terre e i luoghi.
3) Mi ha riferito il vento dell'oriente,
da parte loro, un Detto tramandato
da pensieri diversi,
e dalla mia passione,
dall'ansia, dal mio tribolo,
4) E dall'ebrezza, e dalla mia ragione,
dall'emozione e dal bruciante ardore,
dal pianto e dal mio ciglio,
dal fuoco e dal mio cuore:
5) "Quello che ami sta fra le tue costole;
respiri lo fanno rotolare
da un fianco all'altro fianco".
6) Ed io risposi: "Portagli un messaggio,
oh digli che fu lui
ad accendere il fuoco nel mio cuore.
7) Se spento poi sarà,
l'unione sarà eterna;
e se divamperà,
non biasimi l'amante!".

COMMENTO
1) "est": è il luogo in cui si manifestano i fenomeni.
"il lampo": si riferisce alla visione della Verità nel creato, cioè alla manifestazione di Dio attraverso le forme sensibili.
"se all'ovest fosse balenato": se si fosse verificata una manifestazione dell'Essenza divina direttamente nel cuore dell'amante, questi avrebbe desiderato questa manifestazione più pura, nel mondo della purezza e del mistero.
2) Il significato del verso è il seguente: "Io desidero le forme in cui la Manifestazione si verifica solo in quanto esse sono il luogo della Manifestazione stessa.
3) "il vento dell'oriente, da parte loro": il mondo degli spiriti ha rivelato il significato esoterico di queste forme fenomeniche.
"un Detto tramandato": si tratta di un hadit la cui catena di trasmissione è ininterrotta e garantita da testimoni certi e affidabili.
4) "ebbrezza": è il quarto grado della Manifestazione (sukr) . Il primo è il degustare (dawq) , il secondo il bere (surb) , il terzo il bere a sazietà (rayy) .
"ragione": l'ebbrezza la trasporta e la spoglia di tutto ciò che le è proprio.
5) "i respiri": sono le opprimenti preoccupazioni ispirate da questa Manifestazione, che producono vari stati estatici.
7) Il verso significa: "Se la permanenza della Sostanza divina velerà l'enorme potere di questa Manifestazione, l'unione sarà duratura; ma se la Manifestazione avverrà in maniera incontrollata tutto ciò esiste in questo luogo verrà spazzato, e vi sarà chi perirà senza avere alcuna colpa. - Così parla l'estatico.


1) Essi lasciaron me
a Uthayl ed al-Naqâ
a lamentarmi dell'ustione, e a piangere.
2) Mio padre sia il riscatto di colui
per il quale mi consumai d'angoscia!
Mio padre sia il riscatto di colui
per il quale son morto di paura!
3) Il rossor di vergogna alla sua guancia
è come bianco d'alba che discorra
col rosso della sera.
4) Pazienza tolse il campo,
e lo piantò la pena;
ed io giaccio stremato in mezzo ad esse.
5) Chi mai radunerà
i miei pensieri sparsi?
E chi darà sollievo alla mia pena?
Verso di lui guidatemi!
E chi mai curerà la mia tristezza?
Chi aiuterà un amante appassionato?
6) Quando tengo segreti
i tormenti che infligge il desiderio,
il mio pianto tradisce
la fiamma interna, e il non poter dormire.
7) E quando dico: "Datemi uno sguardo!",
mi si risponde questo:
"Non altro l'impedisce che pietà".
8) Non può avvenir che un loro sguardo premî.
Esso non è che un lampo,
un baglior che balena.
9) Io non mi scordo quando
il cammelliere li condusse via,
desiderando la separazione
e cercando al-Abràq.
10) Le cornacchie della separazione
gracchiavano per loro.
Iddio possa disperdere
quelle cornacchie, e il crocidare loro!
11) La cornacchia della separazione
è soltanto un cammello
che gli amanti lontano conduceva
con passo largo e rapido.

COMMENTO
1) Egli lamenta la partenza dei suoi compagni, cioè gli esseri spirituali angelici che non sopportano alcun legame naturale, mentre lui è lasciato prigioniero nel corpo, occupato a governarlo e impedito dal vagare liberamente attraverso le sfere celesti.
"Uthayl": la sua costituzione naturale.
"al-Naqâ": il suo corpo.
2) "Mio padre": è l'altissimo spirito che è il suo suo vero padre nel mondo superiore, e sua madre nel mondo dei fenomeni.
"mi consumai d'angoscia": si riferisce al mistero divino che scende su di lui ed è contenuto nel suo cuore.
"son morto di paura": per il fulgore della maestà divina.
6) L'amore rivelato è più forte e appassionato, perché non c'è bene in un amore governato dalla ragione.
7) Dio vela lo splendore del proprio volto alle creature per pietà verso di loro.
8) Più l'Amato ti guarda più la tua angoscia aumenta. La visione è possibile solo nei momenti di estasi.
9) "il cammelliere": la voce di Dio che invita quegli esseri spirituali ad ascendere verso di Lui.
"la separazione": la loro partenza dal mondo fenomenico.
"al-Abràq": il luogo in cui Dio è manifestato nella sua essenza.
10) "le cornacchie della separazione": considerazioni che ineriscono alla sua esistenza fenomenica, che gli impediscono di ascendere a Dio.

11) "un cammello": le cornacchie della separazione sono realmente le aspirazioni di un uomo, dal momento che lo portano in alto, e lo uniscono all'oggetto della sua ricerca.


http://www.superzeko.net/doc_robertorossitesta/IbnAlArabiLInterpreteDellePassioni01.html#9