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venerdì 31 maggio 2013

Konrad Lorenz. Un sistema è una totalità nella quale diverse parti sono in relazione reciproca; nessuna di queste può mancare, pena l'annullamento del carattere del sistema

Un sistema è una totalità nella quale diverse parti sono in relazione reciproca; nessuna di queste può mancare, pena l'annullamento del carattere del sistema.
Konrad Lorenz

Sarà molto difficile per l'orgoglio umano riconoscere che l'«homo sapiens» non ha semplicemente qualche interesse per gli animali: lui è un animale!
Konrad Lorenz

Gli animali ci aiutano a ristabilire quell'immediato contatto con la sapiente realtà della natura che è andato perduto per l'uomo civilizzato.
Konrad Lorenz


Quando ci sentiamo toccati emotivamente dal comportamento di un animale, ciò è sicuro indicatore del fatto che abbiamo scoperto intuitivamente una somiglianza tra comportamento animale e umano. [...] L'accendersi della nostra risposta emotiva, della nostra «commozione» è dunque un segno certo di una forte somiglianza tra comportamento animale e comportamento umano
Konrad Lorenz, Analogie


"Vi sono degli Stati sociali in cui governano i più intelligenti: è il caso dei babbuini"
Konrad Lorenz, fondatore dell'etologia, che nacque oggi, nel 1903






Ho dei libri di Lorenz da quando ero alle elementari...mi prendevo le riviste airone e natura oggi e leggevo libri di Lorenz...ho acquistato molta conoscenza e hanno rafforzato il grande rispetto che ho per ogni creatura meravigliosa che ci circonda... La chiesa e preti e suore, ho fatto le elementari in una scuola per sole bambine e gestita da sole suore e preti, non hanno mai accennato al rispetto per il creato e per gli animali anzi mancavano via cani e gatti abbandonati....fanno schifo sta gente sempre!!

Arbuckle. Non posso immaginarmi un popolo senza casa, eppure io vedo ogni giorno come vagano senza meta, come dei disperati cercano radici e cose che dovrebbero dare un senso alla loro vita. Povero uomo bianco nella tua violenza nel tuo splendore in tutto il tuo benessere hai perduto la tua eredità ora tu vuoi la mia allora prendila, io ne ho ancora.



Non posso
immaginarmi
un popolo senza casa,
eppure io vedo
ogni giorno
come vagano senza meta,
come dei disperati
cercano radici e cose
che dovrebbero dare un senso alla loro vita.
Povero uomo bianco
nella tua violenza
nel tuo splendore
in tutto il tuo benessere
hai perduto la tua eredità
ora tu vuoi la mia
allora prendila,
io ne ho ancora.


John Twobirds Arbuckle- Io ne ho ancora

Luther. Disputare col demonio non potrà esserti di alcuna utilità. Ha cinquemila anni di pratica. Conosce tutti i nostri punti deboli.




Disputare col demonio non potrà esserti di alcuna utilità. Ha cinquemila anni di pratica. Conosce tutti i nostri punti deboli.

Luther, Genio, ribelle, liberatore

giovedì 23 maggio 2013

Max Planck. La materia in sé non esiste. Ogni materia nasce e consiste solo mediante una forza, quella che porta le particelle atomiche a vibrare e che le tiene insieme come il più minuscolo sistema solare

Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono e al loro posto si forma una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari.
Max Planck

La scienza non può risolvere il mistero ultimo della natura. E questo perché, in ultima analisi, noi stessi siamo parte del mistero che stiamo cercando di risolvere.
Max Planck


La materia in sé non esiste. Ogni materia nasce e consiste solo mediante una forza, quella che porta le particelle atomiche a vibrare e che le tiene insieme come il più minuscolo sistema solare.
Max Planck, L'essenza della materia, 1944


Avendo dedicato tutta la mia vita alla scienza più lucida, lo studio della materia, posso affermare questo sui risultati della mia ricerca sull'atomo: la materia, in quanto tale, non esiste. Tutta la materia ha origine ed esiste solo in virtù di una forza che fa vibrare le particelle atomiche e tiene insieme quel minuscolo sistema solare che è l'atomo. Dobbiamo presumere che dietro questa forza esista una mente conscia e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia.
Parte del discorso tenuto da Max Plank quando ritirò il Premio Nobel per la fisica nel 1918


Gli atomi sono fatti al 99,9999999999999% di spazio vuoto.
Ciò significa che ..
il computer che stai guardando,
la sedia su cui siedi,
e tu stesso
praticamente non siete lì.


Universo - Multiverso.
Planck osserva altri universi oltre al nostro: la prima prova del ‘multiverso’?
Se la scoperta dovesse venire confermata, la parola ‘universo’ potrebbe diventare desueta ed essere sostituita da ‘multiverso’.
Gli astronomi, infatti, sono persuasi di aver trovato la prima prova dell’esistenza di altri universi oltre il nostro, partendo dall’analisi dalla ‘radiazione cosmica di fondo’ lasciata dal Big Bang.
I dati raccolti da Planck, la sonda dell’Agenzia Spaziale Europea, hanno permesso ai ricercatori di mappare la radiazione di fondo, una sorta di traccia di sottofondo predente da quando l’Universo a cominciato ad esistere 13,8 miliardi anni fa.
La mappa mostra delle anomalie che secondo i cosmologi potrebbero essere causate dall’attrazione gravitazionale esercitata da altri universi al di fuori del nostro. I risultati implicano che il nostro universo potrebbe essere solo uno tra miliardi di altri universi, o anche, di infiniti universi.
Nel modello teorico elaborato dai cosmologi, dopo il Big Bang la materia risulta distribuita equamente in tutto lo spazio visibile, ma la mappa fornita da Planck mostra una concentrazione più forte nell’emisfero sud del cielo e un punto più ‘freddo’ che non è possibile spiegare con le attuali conoscenze della fisica.
“Queste anomali sono causate dall’attrazione gravitazionale esercitata sul nostro da altri universi”, ha detto Laura Mersini Houghton, fisico teorico presso l’Università della Carolina del Nord. “Ci troviamo di fronte alla prima prova concreta dell’esistenza di altri universi”.
“Le anomalie statistiche che abbiamo rilevato, potrebbero essere anche l’effetto di fenomeni fisici profondi che ancora non ci sono noti”, hanno scritto in un documento recente.
Anche se alcuni scienziati rimangono scettici sull’esistenza di altri universi, i risultati delle osservazioni potrebbero segnare un passo decisivo verso un nuovo modo di considerare l’astrofisica. Planck ha raccolto la radiazione dell’Universo primordiale quando aveva appena 370 mila anni di vita.
La precisione della mappa fornita dalla sonda è così alta da rivelare alcune caratteristiche inspiegabili che richiedono l’elaborazione di una nuova fisica per essere comprese.
I risultati, secondo molti scienziati, mostrano l’esistenza di altri universi oltre il nostro. “Questa idea ci sembra stramba in questo momento, proprio come quando fu formulata la teoria del Big Bang tre generazioni fa”, spiega al Sunday Times Geroge Efstathiou, professore di astrofisica presso l’Università di Cambridge. “Poi però abbiamo trovato la prova e tutto il modo di pensare l’universo è completamente cambiato”.
Se cos’ fosse, dovremmo cominciare ad abituarci alla parola ‘multiverso’ e la domanda tradizionale della cosmologia ‘l’universo è finito o infinito?’, potrebbe essere sostituita da ‘il numero degli universi è finito o infinito?’, e se finito, cosa c’è oltre?
De ilnavigatorecurioso
http://pianetablunews.wordpress.com/2013/05/23/planck-osserva-altri-universi-oltre-al-nostro-la-prima-prova-del-multiverso/



Gli esperimenti di Rutheford avevano fatto pensare ad un atomo fatto di elettroni in orbita attorno ad un nucleo atomico centrale. Questo quadro, per quanto semplice, aveva un inconveniente: tutto faceva pensare che dovesse essere sbagliato. La teoria elettromeccanica classica, infatti, prevedeva che, quando gli elettroni ruotano in circolo, irradiano energia con emissione di fotoni. I fotoni allora sottrarrebbero energia e l’elettrone, così deprivato, compirebbe delle orbite sempre più piccole, tracciando una spirale che lo porterebbe a cadere al centro dell’atomo. Di fatto, la teoria elettromagnetica classica prevedeva che gli atomi non potessero essere stabili, sarebbero collassati in meno di un nanosecondo. Le orbite stabili degli elettroni erano un mistero assoluto. Perché gli elettroni non perdevano energia e non precipitavano con moto spiraliforme sul nucleo atomico? Per spiegare le orbite degli elettroni era necessario allontanarsi radicalmente dal modo di ragionare della teoria classica. Portando questa logica alle sue inevitabili conseguenze, vennero alla luce delle crepe nella fisica classica alla quale poteva porsi rimedio soltanto con la meccanica quantistica.
Lisa Randall, "Passaggi curvi"





La filosofia di Plotino è compatibile con questa teoria




Anche Pitagora...






molto profondo però niente di scientifico, eppure l'ha detto Max Planck...




anticipazione della teoria delle stringhe !


Kandinskij. Il colore è un mezzo per influenzare direttamente un’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima

Nel 1909 Wassily Kandinsky, uno dei rappresentanti della pittura astratta del Novecento, terminò la stesura di uno dei suoi testi più famosi ed enigmatici: Lo spirituale nell’arte. In questo testo, che parla di pittura e del ruolo dell’artista nella società, si insiste sulla funzione dell’arte di elevare lo Spirito dell’uomo. Leggiamo: “La pittura è un’arte, e l’arte non è l’inutile creazione di cose che svaniscono nel vuoto, ma è una forza che ha un fine, e che deve servire allo sviluppo e all’affinamento dell’anima, al movimento del triangolo. E’ un linguaggio che parla all’anima con parole proprie, di cose che per l’anima sono il pane quotidiano, e che solo così può ricevere.”


"Il colore è un mezzo di esercitare sull'anima un'influenza diretta. Il colore è un tasto, l'occhio il martelletto che lo colpisce, l'anima lo strumento dalle mille corde".
Vasilij Kandinskij

Il colore è un mezzo per influenzare direttamente un’anima.
Il colore è il tasto.
L’occhio è il martelletto.
L’anima è un pianoforte con molte corde.
L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima.
Vasilij Kandinskij


"Il nuovo inizio consiste nel riconoscimento dei nessi. Ci si renderà conto più chiaramente che non esistono problemi speciali, che possono essere riconosciuti o risolti isolatamente, perchè in definitiva tutte le cose sono connesse e dipendono una dall'altra"
Vasilij Kandinskij


La vera opera d’arte nasce dall’Artista: una creazione misteriosa, enigmatica e mistica. Separata da lui acquista una vita autonoma, una personalità, diventa un soggetto indipendente, animato da un respiro spirituale. Il soggetto vivente di un’esistenza reale.
Vasilij Kandinskij


Vasilij Kandinskij: così è nato l’Astrattismo
Scritto il dicembre 17, 2014 by restaurars
Di Laura Corchia

“Il sole tramontava; tornavo dopo avere disegnato ed ero ancora tutto immerso nel mio lavoro, quando aprendo la porta dello studio, vidi davanti a me un quadro indescrivibilmente bello. All’inizio rimasi sbalordito, ma poi mi avvicinai a quel quadro enigmatico, assolutamente incomprensibile nel suo contenuto, e fatto esclusivamente di macchie di colore. Finalmente capii: era un quadro che avevo dipinto io e che era stato appoggiato al cavalletto capovolto. […] Quel giorno, però, mi fu chiaro che l’oggetto non aveva posto, anzi era dannoso nei miei quadri”.

Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910, olio su tela, Centro Pompidou, Parigi
Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910, olio su tela, Centro Pompidou, Parigi


Così, Vasilij Kandinskij descrive la nascita della corrente che lo renderà celebre in tutto il mondo: l’Astrattismo.

Con l’emergere di questo filone, l’arte perse il suo compito di “rappresentare” per porsi come puro veicolo espressivo.

Vasilij Kandinskij nacque nel 1866 in Russia e studiò economia e legge. La sua giovinezza fu contrassegnata da continui spostamenti: Monaco (1900), Parigi (1906-07), Weimar (1922).
All’inizio del suo percorso artistico, il pittore si ispirò alle fiabe tradizionali tedesche e russe che sua zia gli raccontava da piccolo. A tal proposito, egli disse: “Le favole tedesche, che ascoltavo da bambino, s’animarono. I tetti alti e sottili, ora scomparsi, nella Promenadenplatz  e nella  Maximilianplatz, il vecchio quartiere di Schwabing, e soprattutto quello di Au, che scoprii una volta per caso, trasformarono queste favole in realtà. […]Le buche gialle per le lettere cantavano dagli angoli la loro canzone come canarini. Approvai la definizione di «mulino d’arte» e mi sentii in una città d’artisti, il che significava per me una città da favola. Da queste impressioni nacquero i miei quadri medievali che dipinsi in seguito”.

Vasilij Kandinskij, La vita variopinta, 1907, tempera su tela, Monaco, Lenbachhaus
Vasilij Kandinskij, La vita variopinta, 1907, tempera su tela, Monaco, Lenbachhaus


Fin da subito, però, provò un certo distacco dalla rappresentazione figurativa, sentendola come un limite per la sua espressività: “Guardando i miei lavori alcuni colleghi mi definirono un colorista. Altri, non senza cattiveria, mi definirono un paesaggista. Sia gli uni che gli altri mi offendevano, anche se riconoscevo la legittimità di tali definizioni. Anzi, ancora di più! Mi accorgevo di trovarmi più a mio agio nel regno dei colori che in quello del disegno. E non sapevo cosa fare per evitare questa pericolosa disgrazia”.

Contrario allo stereotipo dell’artista caotico, di sé diceva che avrebbe potuto dipingere in abito da sera senza sporcarsi. Era amabile, attivissimo, autorevole. Il suo interesse era rivolto essenzialmente al colore libero dal disegno e, per raggiungere il proprio scopo, iniziò a privare i suoi dipinti dalla linea di orizzonte, a dividere lo spazio in linee diagonali, disponendole secondo ritmi diversi da quelli suggeriti dalla prospettiva. La sua ricerca lo conduceva a lavorare a più opere contemporaneamente, costituendo delle serie omogenee: Improvvisazioni (1909), Composizioni (1910), Impressioni (1911).

Teorico dell’Astrattismo, affidò le sue teorie allo Spirituale dell’arte, saggio nel quale i colori venivano schematizzati secondo i loro risvolti psicologici: il verde tranquillizzante, il giallo dinamico, il blu meditativo. I colori venivano poi associati alle direzioni lineari (diagonale, verticale, orizzontale) e in seguito alle forme geometriche.

In Vasilij Kandinskij sono evidenti due fasi astrattiste: la prima caratterizzata da colori pastosi, stesi senza seguire un disegno preparatorio, con contorni poco segnati. La seconda fase, coincidente con il suo impegno di docente al Bauhaus, vide l’impiego  di un reticolo geometrico più severo, un abbassamento del colore, una pasta cromatica più piatta e una complessa intersecazione degli elementi geometrici presenti sulla superficie.


http://restaurars.altervista.org/vasilij-kandinskij-cosi-e-nato-lastrattismo/




domenica 19 maggio 2013

Laura Bartorelli: Il Cristo è simbolo di rinascita e per dirla alla Baudelaire, ci muoviamo in una foresta di simboli: così come a livello microscopico dove la materia cerca l'organizzazione, anche la coscienza umana vuole metter ordine nel microcosmo individuale

Yogananda scrive “Colui che usa il bisturi per sezionare se stesso, sentirà espandersi entro di sé la pietà universale, egli sarà liberato dalle assordanti pretese dell'io”.  Lo studio di sé è un cammino al buio, puoi decidere se fare questo viaggio con una candela, puoi scegliere di essere tu la candela che illumina il percorso. Il cammino preclude anche di trasformare ciò che non serve, per ottenere un nuovo prodotto. (la trasmutazione).



Il Cristo è simbolo di rinascita e per dirla alla Baudelaire, ci muoviamo in una foresta di simboli: così come a livello microscopico dove la materia cerca l'organizzazione, anche la coscienza umana vuole metter ordine nel microcosmo individuale. Benché questo percorso è individuale e interiore e abbiamo tutte le risposte, c'è bisogno ancora di mappe e di guide. Queste mappe sono rappresentate dai sistemi mitologici, religiosi e dai simboli. Il simbolo unisce due livelli diversi, quello terreno e quello celeste. E' un linguaggio archetipale che può essere decodificato da tutti quelli pronti a leggerne il messaggio.
L'affinamento si ha con l'alchimia, il trasmutamento dell'uomo dell'età dei metalli vili in quello dell'età dell'oro, professato attraverso ripetute distruzioni e ricostruzioni (solve et coagula). Le ascese al cielo e le discese nel mondo sotterraneo sono un aspetto centrale dello sciamanesimo, la religione di quei popoli la cui vita spirituale ruota intorno alla sciamano, una figura religiosa che unisce in sé le caratteristiche del mistico, del visionario, del guaritore, dell'artista, del poeta e del mago. Nello stato di trance raggiunge il centro del mondo per entrare nel mondo dello spirito, attraverso il cammino esistenziale dell'Uomo.

tratto da Il Gioco Infinito
http://www.stazioneceleste.it/e-books/Andreina_Cei-Il_Gioco_Infinito.pdf


venerdì 17 maggio 2013

Paul Auster. La musica del caso. Ho avuto a che fare con i numeri per tutta la vita, certo, e dopo un po' cominci a sentire che ogni numero ha la sua personalità. Un dodici è molto diverso da un tredici, per esempio. Il dodici è retto, coscienzioso, intelligente, mentre il tredici è un solitario, un losco personaggio che non ci pensa due volte a infrangere la legge per ottenere ciò che vuole. L'undici è un duro che ama la vita all'aria aperta, gli piace vagare nei boschi, scalare montagne; il dieci è un semplicione, una figura mite che fa sempre quello che gli si dice; il nove è mistico e profondo, un Buddha contemplativo." […] "I numeri hanno un'anima, e se si entra in contatto con loro non si può fare a meno di avere un rapporto personale."

«Quando sei perso, guardati intorno. Dubita di tutto e cancellalo. Hai una sola certezza: tu sei li. Lo sei perché c’è il tuo corpo e tu sei il tuo corpo. Il tuo corpo è spazio che hai attraversato, ma anche tempo che ti ha reso ciò che sei. Il tempo te lo porti scritto addosso: le cicatrici sono parole e le parole sono cicatrici».
Paul Auster, “Diario d’inverno”


«La sua vita non sembrava più svolgersi nel presente.
Ogni volta che vedeva un bambino, cercava di immaginarsi che aspetto avrebbe avuto da adulto.
Ogni volta che vedeva un vecchio, provava a immaginarsi che aspetto avesse avuto da bambino.
Con le donne era peggio, specie quando erano giovani e belle. Non poteva fare a meno di guardare attraverso la pelle del loro volto, immaginando il teschio anonimo che celava. E piú bello era il viso, piú strenuo lo sforzo di cercarvi le tracce invasive dei futuro: rughe incipienti, preannunci di lassità del collo, un lampo d'amarezza negli occhi. Sovrapponeva l'uno all'altro viso: una donna a quarant'anni, la stessa a sessanta, la stessa a ottanta; come se, proprio mentre viveva nel presente, si sentisse obbligato a porsi sulle tracce del domani, a stanare la morte che abita in ognuno di noi».
Paul Auster, “L’invenzione della solitudine”



«Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri ci “abitano”. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: «Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo». Avevo diciannove anni, e questa continua a essere la mia filosofia. I miei libri non sono nient’altro che lo sviluppo di questa constatazione».
Paul Auster, da un’intervista a Paris Review



Ho avuto a che fare con i numeri per tutta la vita, certo, e dopo un po' cominci a sentire che ogni numero ha la sua personalità. Un dodici è molto diverso da un tredici, per esempio. Il dodici è retto, coscienzioso, intelligente, mentre il tredici è un solitario, un losco personaggio che non ci pensa due volte a infrangere la legge per ottenere ciò che vuole. L'undici è un duro che ama la vita all'aria aperta, gli piace vagare nei boschi, scalare montagne; il dieci è un semplicione, una figura mite che fa sempre quello che gli si dice; il nove è mistico e profondo, un Buddha contemplativo." […] "I numeri hanno un'anima, e se si entra in contatto con loro non si può fare a meno di avere un rapporto personale."
Paul Auster, La musica del caso, traduzione di Massimo Birattari, Einaudi, 2009.




Conrad l'ha detto con meno parole. "Si vive come si sogna, soli" Cuore di tenebra.




...è una consapevolezza che quando si libera del senso della solitudine può esplodere nella gioia del libero amore del sè nell creato circondati dagli altri sè






è insito nella natura umana, bisogna accettarlo e costruirci sopra dei rapporti realistici e sani



Condivido il parallelismo fra Conrad e Auster


giovedì 16 maggio 2013

Frédéric Bastiat. Lo Stato è la grande entità fittizia attraverso la quale ognuno cerca di vivere a spese di tutti gli altri.

"Vi sono solo due modi per acquisire le risorse che sono necessarie a conservare, 
e a rendere bella e migliore, l’esistenza: la PRODUZIONE e la SPOLIAZIONE". 
Frédéric Bastiat, “La fisiologia della Spoliazione”, in Sofismi Economici II.

Quando il saccheggio diventa un modo di vita per un gruppo di uomini che vivono insieme nella società, creano per se stessi, nel corso del tempo, un sistema legale che lo autorizza e un codice morale che lo glorifica.
Frédéric Bastiat  1801 - 1850. Tratto da "sofismi economici"


"la nostra storia sarà vista come caratterizzata da sole due fasi: 
i periodi di conflitto per chi prenderà il controllo dello Stato e i periodi di tregua, che costituiranno il regno transitorio di una trionfante oppressione,  presagio di un imminente conflitto".
Frédéric Bastiat, lettera a Mme  Cheuvreux


"Bastiat aveva una visione severa circa questi sviluppi e reputava qualsiasi “servizio pubblico” che andasse al di là del minimo indispensabile per garantire i servizi di polizia e di amministrazione della giustizia come “una forma disastrosa di parassitismo” (“Gli intermediari” in Ciò che si vede e ciò che non si vede) . Usando il suo prisma preferito, Jacques Bonhomme (il Signor Qualunque), per rendere al meglio le sue puntualizzazioni, Bastiat confrontò la “fornitura coatta” dei “servizi pubblici” –  il “parassitismo legale” della burocrazia francese – alle azioni del ladruncolo che indulge nell’ordinario “parassitismo illegale (o extralegale )”, quando si approfitta della proprietà di Jacques irrompendo in casa sua ( “Le imposte” in Ciò che si vede e ciò che non si vede)".

 saggio su “Le due moralità”, Bastiat contrappone il ruolo della “moralità religiosa” e della “moralità economica” nel determinare questo cambiamento nel modo di pensare: 
"Si lasci che la moralità religiosa tocchi pertanto i cuori dei Tartufi, dei Cesari, dei coloni, dei beneficiari di sinecure e dei monopolisti, ecc, se ciò sia possibile. Il compito della politica economica è quello di illuminare i loro gonzi". 
(Nella commedia di Molière “Tartufo”, o “L’impostore”, Tartufo è un ipocrita astuto e Orgone è una vittima ben intenzionata). 

Bastiat, nell’elaborare i saggi che compongono i due volume della raccolta dei Sofismi Economici, intendeva proprio avviare  il lungo processo di demolizione intellettuale dei machiavelli, delle frodi, e  delle fallacie utilizzate dalle élite privilegiate per difendere i propri interessi acquisiti e il loro sistematico taglieggiamento delle persone comuni.

Bastiat era anche alquanto scettico circa il fatto che la moralità religiosa sarebbe riuscita a modificare il punto di vista dei detentori del potere perché, come egli si domandò in più occasioni, quante volte nella storia le elite dominanti avevano mai abbandonato volontariamente la propria condizione e i propri privilegi? Bastiat preferiva di gran lunga colpire il potere dal basso, cercando di far aprire gli occhi ai babbei e agli illusi, per mezzo delle verità che l’economia politica è in grado di fornire, incoraggiando il dubbio e la sfiducia nella giustizia delle azioni dei governanti, e deridendo le follie dell’élite politica  avvalendosi del sarcasmo e  del “mordente del ridicolo”.  
Bastiat sintetizzò il lavoro degli economisti politici nell’indurre ad "aprire gli occhi degli Orgoni, sradicando le idee preconcette, stimolando una giusta ed essenziale disillusione, nonché studiando ed esponendo la reale natura delle cose e delle azioni".
http://vonmises.it/2014/03/07/la-spoliazione-legale-nel-pensiero-di-frederic-bastiat-ii-parte/


Lo Stato è la grande entità fittizia attraverso la quale ognuno cerca di vivere a spese di tutti gli altri
Frédéric Bastiat 
(Bayonne, 30 giugno 1801 – Roma, 24 dicembre 1850) 
 è stato un economista e scrittore francese, filosofo della politica di ispirazione liberale. 
Viene considerato da molti come un precursore delle teorie della Scuola austriaca d'economia, e uno dei prosecutori della tradizione giusnaturalista nel XIX secolo.


"La legge pervertita! La legge -e dopo essa tutte le forze collettive della nazione- la legge, dico, non solamente sviata dal suo scopo, ma applicata a perseguire uno scopo direttamente contrario! La legge divenuta strumento di tutte le cupidige, invece di esserne il freno! La legge che compie essa stessa l'iniquità che aveva la missione di punire!."
Frederic Bastiat, La legge, 1850


La legge (Frédéric Bastiat)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La legge (La loi) è un saggio dell'economista e politico francese Frédéric Bastiat, scritto nel giugno 1850 a Mugron, pochi mesi prima della sua morte a Roma. In quest'opera Bastiat afferma la propria totale adesione al giusnaturalismo, cioè alla piena affermazione dei diritti naturali individuali, (Vita, Libertà, Proprietà) contro ogni diritto positivo che distrugge ogni libertà e qualsiasi iniziativa e creatività umana, riprendendo con ciò, e dando nuovi e originali sviluppi, ai principi che furono di Ugo Grozio, John Locke, Tommaso d'Aquino e dai filosofi della Scuola di Salamanca. [...] 
Quando la legge e la morale sono in contraddizione, il cittadino si trova nella crudele alternativa o di perdere la nozione di morale o di perdere il rispetto della legge, due disgrazie altrettanto grandi e tra le quali è difficile scegliere.

...Non è perché gli uomini hanno emanato delle leggi che la Personalità, la Libertà e la Proprietà esistono. Al contrario, è perché la Personalità, la Libertà e la Proprietà preesistono che gli uomini fanno le leggi.

"Esistenza, Facoltà, Assimilazione - in altri termini, Personalità, Libertà, Proprietà, - ecco l'uomo."

"con la legge di Bastiat, l'individuo viene riconsegnato a se stesso, alla sua sovranità individuale e autorità morale, responsabile delle sue scelte, e libero di realizzare i suoi obbiettivi, nel rispetto e nell'osservanza reciproca dei diritti degli altri."

Definì il principio di Proprietà e Spoliazione in questi termini:
"L'uomo non può vivere e godere che attraverso un'assimilazione, un'appropriazione perpetua, cioè attraverso una perpetua applicazione delle sue facoltà alle cose, o attraverso il lavoro. Da qui la Proprietà. Ma,in effetti, egli può vivere e godere assimilando e appropriandosi del prodotto delle facoltà del suo simile. Da qui la Spoliazione".



"Laissez faire! Io comincio con il dire, per evitare qualunque equivoco, che lasciate fare si applica qui alle cose oneste, dal momento che lo stato è stato istituito proprio per impedire le cose disoneste. Posto questo, per quello che riguarda le cose innocenti in se stesse, come il lavoro, lo scambio commerciale, l’insegnamento, l’associazione, la banca, eccetera, bisogna comunque scegliere. Bisogna che lo stato lasci fare o impedisca di fare.
Se lascia fare, noi saremo liberi ed amministrati a basso costo, perché nulla costa meno del lasciar fare.
Se impedisce di fare, disgrazia alla nostra libertà e al nostro portafoglio. 
Alla nostra libertà, perché impedire è come legare le braccia; al nostro portafoglio, perché per impedire ci vogliono degli incaricati, e per avere degli incaricati, ci vogliono dei soldi.
I socialisti rispondono: lasciar fare! orrore! 
– E perché, di grazia? – Perché, quando si lascia fare, gli uomini fanno male e agiscono contro i loro interessi. E’ giusto che uno stato li governi.
Ecco cosa c’è di divertente. I socialisti hanno una tale fede nella sagacità umana che vogliono il suffragio universale ed il governo di tutti dappertutto; e poi, quegli stessi uomini che giudicano adatti a governare gli altri, li proclamano inadatti a governar se stessi".
Frédéric Bastiat, Laissez faire, 1850 
http://www.societalibera.org/it/liberalierioggi/bastiat/003_laissez_faire.htm




La Legge. (Giugno 1850)
La Legge pervertita ! La Legge – e dietro di lei tutte le forze collettive della nazione, la Legge, dico io, non solo deviata dal suo scopo, ma applicata ad ottenere un obiettivo del tutto opposto! La Legge divenuta strumento di tutte le cupidigie, anziché esserne il freno! La Legge che realizza essa stessa quella iniquità che avrebbe come missione di punire! Certo, questo è un fatto assai grave, se esiste, e sul quale mi deve essere consentito di attirare l’attenzione dei miei concittadini.
http://www.societalibera.org/it/liberalierioggi/bastiat/007_lalegge1.htm


LO STATO.
( Journal des Débats, 25 settembre 1848).

Mi piacerebbe che si fondasse un premio, non di cinquecento franchi, ma di un milione di franchi, con corona, croce e nastro, in favore di colui che fosse capace di dare una buona, semplice e intelligibile definizione di una parola: lo stato.

Che immenso servizio avrebbe reso alla società! Lo stato: che cosa è? dove sta? che cosa fa? che cosa dovrebbe fare? Tutto quello che sappiamo, è che si tratta di un personaggio misterioso; ma il più sollecitato, il più tormentato, il più affaccendato, il più consigliato, il più accusato, il più invocato e il più provocato, che ci sia al mondo.

Perché, Signor Tale, anche se non ho l’onore di conoscervi, scommetto dieci contro uno che da sei mesi voi fabbricate alle utopie; e se voi fate utopie, io scommetto dieci contro uno che voi incaricate lo stato di realizzarle. Anche voi, Signora Tal’altra, sono certo che anche voi desiderate dal fondo del cuore di guarire tutti i mali di questa triste umanità, e che non vi sentireste per niente imbarazzata se lo stato volesse prestarsi a farlo.

Ma, lo sfortunato stato, come Figaro, non sa né chi ascoltare, né da che parte girarsi
Le centomila bocche della stampa e delle tribune gridano tutte insieme:
«Organizzate il lavoro ed i lavoratori.
Estirpate l’egoismo.
Reprimete l’insolenza e la tirannia del capitale.
Fate delle esperienze sul letame e sulle uova.
Coprite il paese con delle ferrovie.
Irrigate le pianure.
Rimboscate le montagne.
Fondate delle fattorie modello.
Fondate delle officine armoniche.
Colonizzate l’Algeria.
Allattate gli infanti.
Istruite la gioventù.
Soccorrete la vecchiaia.
Mandate nelle campagne gli abitanti delle città.
Equilibrate i profitti delle industrie.
Prestate denaro senza interesse a chi lo chiede. 
Liberate l’Italia, la Polonia e l’Ungheria.
Allevate e perfezionate il cavallo da sella.
Incoraggiate l’arte, formateci dei musicisti e delle ballerine.
Proibite il commercio e contemporaneamente date vita ad una marina mercantile.
Scoprite la verità e gettate nelle nostre teste un granello di ragione. 
Lo stato ha come missione di illuminare, sviluppare, ingrandire, rafforzare, spiritualizzare e santificare l’anima dei popoli

«Ehi, Signore e Signori, un poco di pazienza – risponde lo stato con aria penosa – io proverei a soddisfarvi tutti, ma per farlo mi servono un poco di risorse. Io ho predisposto dei progetti su cinque o sei imposte del tutto nuove e tra le migliori del mondo. Vedrete che piacere a pagarle.»

Allora un gran grido si alza: «Dagli, Dagli! Bel merito fare le cose con delle risorse! Non varrebbe la pena di chiamarsi stato. Non solo non mettete su nuove tasse: noi vi imponiamo di ritirare le vecchie. Sopprimete l’imposta sul sale, l’imposta sulle bevande, l’imposta sulle lettere, il dazio, le autorizzazioni; le prestazioni obbligatorie

In mezzo a questo tumulto, e dopo che il paese ha cambiato due o tre volte il suo stato per non aver soddisfatto tutte queste richieste, io ho voluto far osservare che esse erano contraddittorie. Di cosa sono andato ad impicciarmi, buon Dio! Non potevo tenere per me questa malaugurata osservazione? Eccomi discreditato per sempre; ed è ormai noto che io sono un uomo senza cuore e senza viscere, un filosofo asciutto, un individualista, un borghese e, per dire tutto in una parola, un economista della scuola inglese o americana. Perdonatemi, sublimi scrittori che nulla ferma, neppure le contraddizioni. Io ho torto, senza dubbio, e mi faccio indietro di gran cuore. Io non chiedo meglio, siatene certi, che voi abbiate davvero scoperto, fuori di noi, un essere beneficente e inesauribile, di nome stato, che ha pane per tutte le bocche, lavoro per tutte le braccia, capitali per tutte le imprese, credito per tutti i progetti, olio per tutte le piaghe, balsami per tutte le sofferenze, consigli per tutte le perplessità, soluzioni per tutti i dubbi, verità per tutte le intelligenze, distrazioni per tutte le noie, latte per gli infanti, vino per gli anziani, che provvede a tutti i nostri bisogni, che previene tutti i nostri desideri, che soddisfa tutte le nostre curiosità, raddrizza tutti i nostri errori, tutti i nostri sbagli, e ci dispensa ormai previdenza, prudenza, giudizio, sagacità, esperienza, ordine, economia, temperanza, attività.

E perché io non dovrei desiderare tutto ciò? Dio mi perdoni, ma più ci rifletto, più trovo che la cosa sia ben comoda, e non vedo l’ora, anch’io, di avere alla mia portata questa fonte inesauribile di ricchezza e di conoscenza, questo medico universale, questo tesoro senza fondo, questo consigliere infallibile che chiamate lo stato.

E’ per questo che io chiedo che me lo si mostri, che me lo si definisca; è per questo che propongo la fondazione di un premio per il primo che scoprirà questa fenice. Perché, infine, mi si concederà bene che questa scoperta preziosa non è ancora stata fatta, poiché, fino ad oggi, tutto ciò che si presenta con il nome di stato, il popolo lo condanna ben presto, precisamente perché non assolve alle condizioni un poco contraddittorie del programma. Bisogna dirlo? Io temo che noi siamo, a questo riguardo, i gonzi vittime di una delle più bizzarre illusioni che mai abbiano abitato lo spirito umano.

L’uomo rifiuta la fatica e la sofferenza. E tuttavia è condannato per natura alla sofferenza della privazione, se non assume la fatica del lavoro. Non vi è dunque scelta che tra due mali. Come fare per evitarli entrambi ? Fino ad oggi non si è trovato, e non si troverà mai, che un solo mezzo: godere del lavoro altrui; è come riuscire a fare sì che la fatica e la soddisfazione non tocchino ad ognuno secondo la proporzione naturale, ma che tutta la fatica sia per alcuni e tutta la soddisfazione per altri. Da qui proviene la schiavitù, da qui proviene la spogliazione, qualunque forma essa assuma: guerre, menzogne, violenze, razionamenti, frodi, abusi mostruosi, ma coerenti con il pensiero che ha dato loro nascita. Gli oppressori, bisogna combatterli: non si può dir loro che sbagliano nel ragionare. La schiavitù, grazie al Cielo, se ne va; d’altra parte, la nostra disposizione a difendere i nostri beni, fa sì che la spogliazione diretta e semplice non sia proprio facile. Una cosa tuttavia è rimasta. E’ questa malaugurata tendenza primitiva, che portano in sé tutti gli uomini, a far due parti del destino della vita, gettando la fatica su altri e conservando la soddisfazione per se stessi. Rimane da vedere sotto quale forma nuova si manifesta questa triste tendenza.

L’oppressore non agisce più con le proprie forze sull’oppresso. No, la nostra coscienza è divenuta troppo meticolosa per quello. Ci sono ancora il tiranno e la vittima, ci sono: ma tra di loro si piazza un intermediario che è lo stato, vale a dire la legge stessa. Che cosa è più adatto a far tacere i nostri scrupoli e, cosa forse più apprezzata, che cosa è più adatto a vincere le resistenze? Dunque, tutti, a qualunque titolo, con un pretesto o l’altro, tutti noi ci rivolgiamo allo stato

Noi gli diciamo: «Io non trovo che ci sia, tra le mie felicità e il mio lavoro, una proporzione che mi soddisfiIo vorrei, per stabilire l’equilibrio che desidero, prender qualcosa dei beni altrui. Ma questo è pericoloso. Non potrebbe, lei stato, rendermi la cosa più facile? Non potrebbe darmi un buon posto? Oppure mettere in difficoltà l’industria dei miei concorrenti? Oppure prestarmi gratuitamente dei capitali che ha preso dai loro possessori? O allevare i miei figli a spese pubbliche? O accordarmi dei premi di incoraggiamento? O assicurarmi il benessere quando avrò cinquanta anni? In questo modo, io raggiungerò il mio obiettivo in tutta tranquillità di coscienza, perché la stessa legge avrà operato per mio conto, ed io avrò della spogliazione tutti i vantaggi, senza incorrere né nei rischi né nel detestabile.

Poiché mi sembra certo, da un lato, che noi tutti indirizziamo allo stato qualche richiesta credibile, dall’altro lato, che lo stato non può dare soddisfazione agli uni senza aggiungere qualcosa al lavoro degli altri, in attesa di una nuova definizione dello stato, mi ritengo autorizzato a dare qui la mia. Chissà che non ottenga il premio. Eccola: lo stato è quella grande finzione per mezzo della quale tutto il mondo si sforza di vivere a spese di tutto il mondo.

Perché, oggi come sempre, ognuno di noi, un poco più, un poco meno, vorrebbe approfittare del lavoro altrui. Di questo desiderio, non osiamo fare pubblicità, lo dissimuliamo persino a noi stessi; e allora cosa facciamo? Immaginiamo un intermediario, ci rivolgiamo allo stato, ed ogni classe sociale a proprio turno gli dice: «Voi che potete prendere legittimamente, onestamente, prendete al pubblico, e noi divideremo». Lo stato non ha bisogno di molta spinta per seguire il consiglio diabolico: perché è composto di ministri, di funzionari, di uomini, alla fine, i quali, come tutti gli uomini, portano nel proprio cuore il desiderio colgono sempre con premura l’occasione di veder ingrandire le proprie ricchezze o la propria influenza. Lo stato capisce perciò in fretta e bene il vantaggio che può trarre dal ruolo che il pubblico gli affida. Esso sarà l’arbitro, il padrone di tutti i destini: prenderà molto, perciò molto resterà a lui stesso; moltiplicherà il numero dei suoi agenti, allargherà il cerchio delle sue competenze; finirà per acquisire delle dimensioni schiaccianti.

Ma ciò che bisogna rimarcare, è l’incredibile cecità del pubblico su tutto questo. Quando dei soldati felici riducevano i nemici in schiavitù, erano dei barbari, ma non erano assurdi. Il loro obiettivo, come il nostro, era quello di vivere a spese degli altri, e, come a noi, gli altri non mancavano. Che cosa dobbiamo pensare di un popolo al quale non passa per la testa di dubitare che il saccheggio reciproco non sia meno saccheggio perché è reciproco; che non è meno criminale perché viene eseguito legalmente e con ordine; che non aggiunge nulla al benessere totale; che al contrario lo diminuisce di tanto, quanto costa quell’intermediario spendaccione che chiamiamo stato?

E questa grande chimera, noi l’abbiamo piazzata, per edificazione del popolo, in testa alla Costituzione. Eccovi le prime parole del preambolo: «La Francia si è costituita in Repubblica per … chiamare tutti i cittadini a un grado sempre più elevato di moralità, di lumi e di benessere». Così è “la Francia”, l’astrazione, che chiama “i francesi”, la realtà, alla moralità, al benessere, eccetera. Non è esagerare il senso di questa bizzarra illusione che ci conduce ad attenderci tutto da un’altra forza che non la nostra? Non è dare ad intendere che ci sia, a fianco e al di fuori dei Francesi, un essere virtuoso, illuminato, ricco, che può e deve versare su di loro la sua benevolenza? Non è supporre, e ben gratuitamente, che vi sia tra la Francia ed i Francesi, tra la semplice denominazione abbreviata, astratta, di tutte le individualità, e quelle stesse individualità, un rapporto da padre a figlio, da tutore a pupillo, da professore a scolaro? So bene che talvolta si dice metaforicamente che la Patria è una tenera madre. Ma per sorprendere in flagrante reato di insignificanza la proposizione costituzionale, sarà sufficiente dimostrare che può essere capovolta, non dico senza inconvenienti, ma addirittura con dei vantaggi. Ne avrebbe a soffrire l’esattezza se il preambolo dicesse «I Francesi si sono costituiti in repubblica per chiamare la Francia ad un grado sempre più elevato di moralità, di lumi e di benessere»? Ora, quale è il valore di una proposizione nella quale il soggetto e il predicato possono essere reciprocamente scambiati senza inconvenienti? Tutto il mondo può comprendere: si dice; la madre allatterà il bambino. Ma sarebbe ridicolo dire: il bambino allatterà la madre.

Gli Americani avevano altre idee sulle relazioni tra i cittadini e lo stato, mentre mettevano in testa alla loro Costituzione queste semplici parole: «Noi, il popolo degli Stati Uniti, per formare una unione perfetta, stabilire la giustizia, assicurare la tranquillità interna, provvedere alla difesa comune, aumentare il benessere e assicurare i benefici della libertà a noi stessi e ai nostri figli, decretiamo….». Qui nessuna creazione chimerica, nessuna astrazione alla quale i cittadini domandino di tutto: non si aspettano nulla, se non da se stessi e dalla loro propria forza.

Se io mi sono permesso di criticare le prima parole della nostra Costituzione, è perché non si tratta, come si potrebbe credere, di una pura sottigliezza metafisica. Io affermo che questa personalizzazione dello stato sia stata nel passato e sarà nell’avvenire, una fonte feconda di calamità e di rivoluzioni. Ed ecco il Pubblico da una parte, lo stato dall’altra, considerati come due esseri distinti, il secondo tenuto a espandersi sul primo, il primo con il diritto di richiedere al secondo il torrente delle umane felicità. Che cosa deve capitare? Di fatto lo stato non è disattento e non lo può essere. Ha due mani, una per ricevere e l’altra per dare, o come si dice, la mano rude e la mano dolce. L’attività della seconda è necessariamente subordinata all’attività della prima. A rigore, lo stato potrebbe prendere e non rendere. Ciò si è ben visto, e si spiega con la natura porosa e assorbente delle sue mani, che trattengono sempre una parte e talora tutto quello che toccano. Ma quello che non si è mai visto, che non si vedrà mai e neppure si riesce a concepire, è che lo stato renda al Pubblico più di ciò che gli abbia preso. E’ dunque folle assumere di fronte a lui l’attitudine dei mendicanti. Gli è radicalmente impossibile assegnare un vantaggio particolare a qualcuna delle individualità che costituiscono la comunità, senza infliggere un danno superiore alla intera comunità.

Lo stato si trova dunque, a causa delle nostre esigenze, in un circolo vizioso evidente. Se rifiuta il bene che si esige da lui, è accusato di impotenza, di cattivo volere, di incapacità. Se prova a realizzarlo, si riduce a colpire il popolo con tasse raddoppiate, a far più di male che di bene, e ad attirarsi, da un’altra parte, la disaffezione generale. Così è: nel pubblico le speranze, nel governo due promesse: tanti benefici e poche imposte. Speranze e promesse che, essendo in contraddizione, non si realizzeranno mai.

Non è lì la causa di tutte le nostre rivoluzioni? Perché tra lo stato, prodigo di promesse impossibili, ed il pubblico, pieno di speranze irrealizzabili, si mettono in mezzo due categorie di uomini: gli ambiziosi e gli utopisti. Il loro ruolo è tutto tracciato dalla situazione. A questi cortigiani della popolarità è sufficiente gridare alle orecchie del popolo: «Il potere si sbaglia; se noi fossimo al suo posto, noi ti riempiremmo di benefici e ti libereremmo dalle tasse». E il popolo crede, il popolo spera, il popolo fa una rivoluzione. I suoi amici non sono mai così pronti agli affari, che quando ricevono l’ordine di obbedire. «Datemi dunque del lavoro, del pane, dell’aiuto, del credito, dell’istruzione, delle colonie, dice il popolo, e inoltre, secondo le vostre promesse, liberatemi dalle tenaglie del fisco».

Lo stato nuovo non è meno imbarazzato che lo stato vecchio, perché, in fatto di cose impossibili, può ben promettere, ma non può mantenere. Cerca di guadagnare del tempo, che gli serve per maturare i suoi vasti progetti. Poi, fa qualche timida prova: da una parte, estende un poco l’istruzione primaria; dall’altra, modifica un poco l’imposta sulle bevande (1830). Ma la contraddizione si innalza sempre di fronte a lui: se vuole essere filantropo, deve rimanere fiscale; se rinuncia alla fiscalità, deve rinunciare anche alla filantropia. Queste due promesse si ostacolano reciprocamente sempre e necessariamente. Impiegare del credito, cioè divorare l’avvenire, è certamente un mezzo di moda per conciliarle, cercando di fare un poco di bene nel presente a spese di molto male nell’avvenire. Ma questo sistema evoca lo spettro della bancarotta che allontana il credito. Che fare allora? Allora il nuovo stato prende le proprie difese con ardimento; riunisce delle forze per mantenersi, soffoca l’opinione, fa ricorso all’arbitrio, tratta da ridicole le sue vecchie idee, dichiara che non può amministrare senza essere impopolare; in breve, si dichiara governativo.

Ed è là che altri nuovi cortigiani della popolarità lo attendono. Essi sfruttano la stessa illusione, passano per la stessa via, ottengono lo stesso successo, e vanno ben presto a gettarsi nello stesso baratro. E’ così che noi siamo arrivati a Febbraio. A quell’epoca, l’illusione di cui si parla in questo articolo era andata più avanti che mai, nelle idee del popolo, condottavi dalle idee socialiste. Più che mai, ci si attendeva che lo stato, in forma repubblicana, aprisse al massimo la fonte dei benefici e chiudesse quella delle imposte. «Mi sono sbagliato spesso, ma starò attento a me, di non sbagliarmi ancora una volta», diceva il popolo. Che cosa poteva fare il governo provvisorio? Quello che si fa in simili congiunture: promettere e guadagnare tempo. Non gliene manca; e per dare alle sue promesse più solennità, le fissa entro dei decreti. «Aumento del benessere, diminuzione del lavoro, aiuto, credito, istruzione gratuita, colonie agricole, dissodamenti; nello stesso tempo, riduzione della tassa sul sale, sulle bevande, sulle lettere, sulla carne, tutto sarà accordato… arriva l’Assemblea Nazionale». L’Assemblea Nazionale è arrivata, e poiché non può realizzare due contraddizioni, il suo compito, il suo triste compito, si è ridotto a ritirare, il più silenziosamente possibile, uno dopo l’altro, tutti i decreti del governo provvisorio. Tuttavia, per non rendere la delusione troppo crudele, è stato necessario transigere un poco. Alcuni impegni sono stati mantenuti, altri hanno avuto un minimo avvio di esecuzione. Così l’attuale amministrazione si sforza di immaginare nuove tasse.

Adesso io mi trasporto con il pensiero a qualche mese avanti nel futuro; e mi domando, con la tristezza nell’anima, che cosa accadrà quando degli agenti fiscali di nuova creazione andranno per le campagne a prelevare le nuove imposte sulle successioni, sui redditi, sui profitti dello sfruttamento agricolo. Che il Cielo smentisca i miei presentimenti, ma io ci vedo ancora un ruolo da giocare per i cortigiani della popolarità. Leggete l’ultimo manifesto dei Montagnardi, quello che hanno emesso a proposito della elezione presidenziale. E’ un poco lungo, ma, dopo tutto, si riassume in due parole: lo stato deve dare molto ai cittadini e prendere poco. E’ sempre la stessa tattica; se volete, lo stesso errore. 

«Lo stato deve fornire gratuitamente l’istruzione e l’educazione a tutti i cittadini. Deve «un insegnamento generale e professionale il più appropriato possibile ai bisogni, alle vocazioni e alle capacità di ogni cittadino». Deve «insegnargli i suoi doveri verso Dio, verso gli uomini e verso se stesso; sviluppare i suoi sentimenti, le sue attitudini e le sue facoltà, dargli infine la formazione per il suo lavoro, la comprensione dei suoi interessi e la conoscenza dei suoi diritti». Deve «mettere alla portata di tutti le lettere le arti, il patrimonio del pensiero, il tesoro dello spirito, tutte le gioie intellettuali che elevano e fortificano l’anima». Deve «riparare tutti gli incidenti, gli incendi, le inondazioni, ecc. (eccetera dice ben di più di quanto è scritto) subiti da un cittadino». Deve «intervenire nei rapporti tra capitale e lavoro e farsi regolatore del credito». Deve «all’agricoltura seri incoraggiamenti e una efficace protezione». Deve «nazionalizzare le ferrovie, i canali, le miniere» e senza dubbio amministrarle con quella capacità industriale che le caratterizza. Deve «sostenere le imprese generose, incoraggiarle e aiutarle con tutte le risorse capaci di farle trionfare. Regolatore del credito, finanzierà largamente le associazioni industriali e agricole, al fine di assicurarne il successo». Lo stato deve tutto ciò, senza pregiudizio dei servizi ai quali fa fronte già oggi; e, per esempio, occorre che nei confronti degli stranieri abbia sempre un atteggiamento minaccioso; perché, dicono i firmatari del programma «legati da questa sacra solidarietà e dai precedenti della Francia repubblicana, noi portiamo i nostri voti e le nostre speranze al di là delle barriere che il dispotismo alza tra le nazioni: il diritto che noi vogliamo per noi, noi lo vogliamo per tutti coloro che sono oppressi dal giogo delle tirannie; noi vogliamo che il nostro glorioso esercito sia ancora, se ve ne fosse bisogno, l’armata della libertà».

Vedete che la mano dolce dello stato, quella mano che dona e che distribuisce, sarà assai occupata sotto il governo dei Montagnardi: credete che possa capitare che sia lo stesso per la mano rude, di quella mano che penetra e prende nelle nostre tasche? Disilludetevi. I cortigiani della popolarità non conoscerebbero il loro mestiere, se non possedessero l’arte, mostrando la mano dolce, di nascondere quella rude. Il loro regno sarà sicuramente il giubileo del contribuente. «E’ il superfluo, non il necessario, quello che l’imposta deve colpire», dicono. Non sarebbe un bel momento, quello nel quale il fisco, per colmarci di benefici, si contenterà di intaccare il nostro superfluo?

Ma non è tutto. I Montagnardi aspirano a che «l’imposta perda il suo carattere oppressivo e non sia più che un atto di fraternità». Bontà del cielo! Io sapevo bene che è di moda cacciare la fraternità ovunque, ma non avrei mai pensato che la si potesse mettere sul conto di chi la riceve. In dettaglio, i firmatari del programma dicono: «noi vogliamo l’abolizione immediata delle imposte che colpiscono i beni di prima necessità, come il sale, le bevande, eccetera. Noi vogliamo la riforma dell’imposta fondiaria, dei dazi e delle licenze. Noi vogliamo la giustizia gratuita, vale a dire la semplificazione delle formalità e la riduzione delle spese». Così imposta fondiaria, dazi, licenze, bolli, sale, bevande, poste, tutto vi rientra. Questi signori hanno scoperto il segreto di dare una attività forsennata alla mano dolce dello stato, mentre ne paralizzano la mano rude.

Ebbene, io chiedo al lettore imparziale, non è questo infantilismo, e infantilismo pericoloso? Come smetterà il popolo di fare una rivoluzione dopo l’altra, se una volta per tutte si è deciso a non fermarsi che quando realizzerà questa contraddizione «non dare nulla allo stato ma riceverne molto»? Qualcuno pensa che se i Montagnardi arrivassero al potere, non sarebbero le vittime dei mezzi che impiegano per impadronirsene?

Cittadini, in tutti i tempi due sistemi politici sono esistiti, ed entrambi possono sostenersi con delle buone ragioni. 
Secondo il primo, lo stato deve fare molto, ma molto deve anche prendere
Secondo il secondo, la sua doppia azione deve farsi sentire il meno possibile
E’ tra questi due sistemi che bisogna scegliere. 
Ma quanto al terzo sistema, che combina gli altri due, e che consiste nell’esigere tutto dallo stato senza dargli nulla, è un sistema chimerico, assurdo, puerile, contraddittorio, pericoloso. Coloro che lo portano avanti, per avere il piacere di accusare tutti i governi di impotenza e per poterli così esporre ai vostri colpi, quelli vi blandiscono e vi ingannano, o quanto meno si sbagliano.

Quanto a noi, noi pensiamo che lo stato, che non è e non dovrebbe essere altra cosa che la forza comune istituita, non per essere tra tutti i cittadini uno strumento di oppressione e di spogliazione reciproche, ma al contrario, per garantire a ciascuno il suo, e far regnare la giustizia e la sicurezza.
http://www.societalibera.org/it/liberalierioggi/bastiat/004_lo_stato.htm

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