Pagine

martedì 31 luglio 2012

La realtà dell'altro non è in cio' che ti rivela, ma in quel che non puo' rivelarti. Percio', se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice, ma quelle che non dice.





La realtà dell'altro non è in cio' che ti rivela, ma in quel che non puo' rivelarti. 
Percio', se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice, ma quelle che non dice.


Photo: La realtà dell'altro non è in cio' che ti rivela, ma in quel che non puo' rivelarti. 
Percio', se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice, ma quelle che non dice.

Freud, La guerra e lo stato. “I popoli, piú o meno, sono rappresentati dagli Stati che hanno istituito; questi Stati dai governi che li guidano. Il privato cittadino ha modo durante questa guerra [la prima guerra mondiale, 1914 – 1918] di persuadersi con terrore di un fatto che occasionalmente già in tempo di pace lo ha colpito: e cioè che lo Stato ha interdetto al singolo l’uso dell’ingiustizia, non perché intenda sopprimerla, ma solo perché vuole monopolizzarla, come il sale e i tabacchi. Lo Stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero l’individuo singolo.

429

Sigmund Freud, La guerra e lo stato.
I popoli, piú o meno, sono rappresentati dagli Stati che hanno istituito; questi Stati dai governi che li guidano. Il privato cittadino ha modo durante questa guerra [la prima guerra mondiale, 1914 – 1918] di persuadersi con terrore di un fatto che occasionalmente già in tempo di pace lo ha colpito: e cioè che lo Stato ha interdetto al singolo l’uso dell’ingiustizia, non perché intenda sopprimerla, ma solo perché vuole monopolizzarla, come il sale e i tabacchi. Lo Stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero l’individuo singolo. Si serve contro il nemico non solo di una legittima astuzia, ma anche della cosciente menzogna e dell’inganno intenzionale; e ciò in una misura che sembra sorpassare tutto ciò che è stato fatto nelle guerre precedenti. Lo Stato richiede ai suoi cittadini la massima obbedienza e il massimo sacrifico di sé, ma li tratta da minorenni, esagerando nella segretezza e sottoponendo ogni manifestazione ed espressione del pensiero a una censura che rende coloro che sono stati intellettualmente repressi indifesi di fronte a qualsiasi situazione sfavorevole che possa determinarsi e a qualsiasi voce allarmistica che possa esser propalata. La Stato scioglie ogni convenzione e trattato stipulato con altri Stati, e non teme di confessare la propria rapacità e volontà di potenza: e il cittadino è tenuto ad approvare tutto ciò in nome del patriottismo.
Né ci si venga a obiettare che lo Stato non può rinunciare all’uso dell’ingiustizia per non trovarsi in condizioni di avantaggio. Anche per il singolo l’osservanza delle norme morali e la rinuncia all’uso brutale della forza sono in genere assai poco vantaggiose, ed è raro che lo Stato sia in grado di indennizzarlo per il sacrificio che gli ha imposto. Né possiamo meravigliarci se il rilassamento di tutti i vincoli morali tra le individualità collettive del genere umano si ripercuote anche sulla moralità privata, posto che la coscienza morale, lungi dall’essere quel giudice inflessibile di cui parlano i moralisti, altro non è alle origini che «angoscia sociale». Là dove vien meno il biasimo della comunità cessa anche la repressione degli appetiti malvagi, e gli uomini si abbandonano ad atti di crudeltà, di perfidia, di tradimento e di brutalità, che sembrerebbero incompatibili col livello di civiltà che hanno raggiunto.
Come non può, il cittadino del mondo civile […] non sentirsi smarrito in un mondo che gli è divenuto straniero: la sua grande patria è distrutta, il patrimonio comune devastato, i concittadini divisi e umiliati!
La sua delusione si presta tuttavia ad alcune considerazioni critiche. A stretto rigore, giacché si riduce al crollo di un’illusione, essa non è giustificata. Ebbene le illusioni hanno la funzione di risparmiarci determinati sentimenti spiacevoli consentendoci di fruire al lo posto di alcuni soddisfacimenti sostitutivi. Non dobbiamo quindi lamentarci se esse prima o poi cozzano contro la realtà e ne rimangono distrutte.
Due fatti hanno suscitato in questa guerra la nostra delusione: la scarsa moralità verso l’esterno di quegli Sati che all’interno si erigono a custodi delle norme morali, e la brutalità del comportamento di quei singoli individui che, in quanto membri della piú progredita civiltà umana, non ci saremmo aspettati capaci di tanto.”
SIGMUND FREUD (1856 – 1939), “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte” (1915, trad. di Cesare Luigi Musatti [L’arco, Firenze 1949]), in “Opere di sigmund Freud”, ed. diretta e curata da cesare Luigi Musatti, corredo critico di Jame Strachey (1887 – 1967), Boringhieri, Torino 1967 – 1977, 12 voll., vol. 8 (1978 ristampa, I ed. 1976) ʻOpere 1915 – 1917ʼ, I. ‘La delusione della guerra’, pp. 127 – 128.




Negli anni Trenta si ebbero le prime rivolte ebraiche in Palestina, ed anche Freud, come altri ebrei noti al gran pubblico, ricevette dall’Agenzia Ebraica Internazionale la richiesta di partecipare alla pubblica critica verso l’autorità britannica che aveva cominciato a limitare l’immigrazione di ebrei in quel territorio. Poco tempo dopo l’alto dirigente sionista ricevette in risposta questa lettera di Freud:
“Non posso fare ciò che ella mi chiede, perché non riesco a superare l’avversione per l’idea d’imporre al pubblico il mio nome. Neanche il momento così critico, mi sembra sufficiente a poterlo fare. Chiunque voglia infiammare le masse di persone, credo lo debba fare con qualcosa di esaltante, mentre la mia opinione moderata sul Sionismo non mi consente di far nulla di simile. Approvo sicuramente i suoi scopi, sono fiero della nostra Università di Gerusalemme, mi fa immenso piacere la prosperità del nostro insediamento. D’altro canto, però, io non penso che la Palestina possa mai diventare uno Stato ebraico, né che il mondo cristiano e il mondo islamico sarebbero disposti a vedere i loro luoghi sacri in mano agli ebrei. A mio avviso sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con meno gravami storici. Sono però consapevole che questa mia opinione razionale non avrebbe mai suscitato l’entusiasmo delle masse né ottenuto l’appoggio finanziario dei ricchi. Devo tristemente riconoscere che l’infondato fanatismo della nostra gente è in parte colpevole di aver suscitato la diffidenza araba. Non provo alcuna simpatia per una religiosità ebraica mal diretta, che trasforma un pezzo di mura erodiane in cimelio nazionale, offendendo così i sentimenti della gente del luogo. Giudichi dunque lei se io, avendo simili opinioni critiche, possa essere la persona giusta per farsi avanti e confortare un Popolo deluso da speranze ingiustificate”.

Lettera scritta a Vienna nel 1930 e indirizzata al Dr. Chaim
Koffler. Documento tratto dall’Archivio Freud che raccoglie i carteggi messi a disposizione da Anna Freud ed Eredi.

Fonte: Ariel Levi di Gualdo, Erbe amare, Bonanno Editore, Acireale-
Roma, 2007, pp. 61-62



“ Völker werden ungefähr durch die Staaten, die sie bilden, repräsentiert; diese Staaten durch die Regierungen, die sie leiten. Der einzelne Volksangehörige kann in diesem Krieg mit Schreck feststellen, was sich ihm gelegentlich schon in Friedenszeiten aufdrängen wollte, daß der Staat dem Einzelnen den Gebrauch des Unrechts untersagt hat, nicht weil er es abschaffen, sondern weil er es monopolisieren will wie Salz und Tabak. Der kriegführende Staat gibt sich jedes Unrecht, jede Gewalttätigkeit frei, die den Einzelnen entehren würde. Er bedient sich nicht nur der erlaubten List, sondern auch der bewußten Lüge und des absichtlichen Betruges gegen den Feind, und dies zwar in einem Maße, welches das in früheren Kriegen Gebräuchliche zu übersteigen scheint. Der Staat fordert das Äußerste an Gehorsam und Aufopferung von seinen Bürgern, entmündigt sie aber dabei durch ein Übermaß von Verheimlichung und eine Zensur der Mitteilung und Meinungsäußerung, welche die Stimmung der so intellektuell Unterdrückten wehrlos macht gegen jede ungünstige Situation und jedes wüste Gerücht. Er löst sich los von Zusicherungen und Verträgen, durch die er sich gegen andere Staaten gebunden hatte, bekennt sich ungescheut zu seiner Habgier und seinem Machtstreben, die dann der Einzelne aus Patriotismus gutheißen soll.
Man wende nicht ein, daß der Staat auf den Gebrauch des Unrechts nicht verzichten kann, weil er sich dadurch in Nachteil setzte. Auch für den Einzelnen ist die Befolgung der sittlichen Normen, der Verzicht auf brutale Machtbetätigung in der Regel sehr unvorteilhaft, und der Staat zeigt sich nur selten dazu fähig, den Einzelnen für das Opfer zu entschädigen, das er von ihm gefordert hat. Man darf sich auch nicht darüber verwundern, daß die Lockerung aller sittlichen Beziehungen zwischen den Großindividuen der Menschheit eine Rückwirkung auf die Sittlichkeit der Einzelnen geäußert hat, denn unser Gewissen ist nicht der unbeugsame Richter, für den die Ethiker es ausgeben, es ist in seinem Ursprunge «soziale Angst» und nichts anderes. Wo die Gemeinschaft den Vorwurf aufhebt, hört auch die Unterdrückung der bösen Gelüste auf, und die Menschen begehen Taten von Grausamkeit, Tücke, Verrat und Roheit, deren Möglichkeit man mit ihrem kulturellen Niveau für unvereinbar gehalten hätte.
So mag der Kulturweltbürger […], ratlos dastehen in der ihm fremd gewordenen Welt, sein großes Vaterland zerfallen, die gemeinsamen Besitztümer verwüstet, die Mitbürger entzweit und erniedrigt!
Zur Kritik seiner Enttäuschung wäre einiges zu bemerken. Sie ist, strenge genommen, nicht berechtigt, denn sie besteht in der Zerstörung einer Illusion. Illusionen empfehlen sich uns dadurch, daß sie Unlustgefühle ersparen und uns an ihrer Statt Befriedigungen genießen lassen. Wir müssen es dann ohne Klage hinnehmen, daß sie irgend einmal mit einem Stück der Wirklichkeit zusammenstoßen, an dem sie zerschellen.
Zweierlei in diesem Kriege hat unsere Enttäuschung rege gemacht: die geringe Sittlichkeit der Staaten nach außen, die sich nach innen als die Wächter der sittlichen Normen gebärden, und die Brutalität im Benehmen der Einzelnen, denen man als Teilnehmer an der höchsten menschlichen Kultur ähnliches nicht zugetraut hat.ˮ
SIGMUND FREUD, “Zeitgemässes über Krieg und Tod”, in «Imago Zeitschrift für Anwendung der Psychoanalyse auf die Geisteswissenschaften», Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Leipzig- Wien 1915, IV (S. 1 – 21), I. ʻDie Enttäuschung des Kriegesʼ, S. 4 – 6.







Eugen Herrigel. Lo Zen e il tiro con l’arco. Lei deve, rispose il Maestro, tenere la corda tesa come un bambino piccolo tiene il dito che gli si porge. Lo tiene così stretto che non finiamo di meravigliarci della forza di quel minuscolo pugno. E quando abbandona il dito lo fa senza la minima scossa. Sa perché? Perché il bambino non pensa - mettiamo: ora lascio il dito per afferrare quest'altra cosa. Ma, senza riflettere e senza intenzione, passa da una cosa all'altra e si potrebbe dire che egli gioca con le cose se non fosse altrettanto giusto dire che le cose giocano con lui

L'uomo è un essere pensante, ma le sue grandi opere vengono compiute quando non calcola e non pensa. Dobbiamo ridiventare "come bambini" attraverso lunghi anni di esercizio nell'arte di dimenticare sè stessi. Quando questo è raggiunto, l'uomo pensa eppure non pensa. Pensa come la pioggia che cade dal cielo; pensa come le onde che corrono sul mare; pensa come le stelle che illuminano il cielo notturno; come le foglie verdi che germogliano sotto la brezza primaverile. Infatti è lui stesso la pioggia, il mare, le stelle, il verde.
da "Lo Zen e il tiro con l'arco", di Eugen Herrigel


Il tiro con l'arco non mira in nessun caso a conseguire qualcosa d'esterno, con arco e freccia, ma d'interno e con se stesso. Arco e freccia sono per così dire solo un pretesto per qualcosa che potrebbe accadere anche senza di essi, solo la via verso una meta, non la meta stessa, solo supporti per il salto ultimo e decisivo. 
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco 


 "La vera arte" esclamò allora il Maestro "è senza scopo, senza intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l'una cosa, tanto più si allontanerà l'altra. Le è d'ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga". 
 Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco 



 Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco 
 La perfezione nell’arte della spada consiste, secondo Takuan, in questo: 
che nessun pensiero dell’io e del tu, 
dell’avversario e della sua spada, 
della propria spada e del modo di usarla, 
e persino della vita e della morte turba più il cuore. 
«Tutto è dunque vuoto: 
tu stesso, la spada sguainata e le braccia che la guidano. 
 Anzi, non c’è più nemmeno il pensiero del vuoto». 
 Da tale vuoto assoluto» afferma Takuan «sboccia meravigliosamente l’azione». 
Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco 


 “Ma perché anticipare nel pensiero ciò che solo l’esperienza può insegnare? 
Non era finalmente tempo di abbandonare questa tendenza infruttuosa?” 
Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco 


Ogni tiro va eseguito con tutta la propria vita... 
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco "

... Noi maestri d'arco diciamo: 
un colpo - una vita!" 
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco






Una volta un arciere inesperto si pose di fronte al bersaglio con due frecce nella mano. 
Il maestro disse: "I principianti non dovrebbero portare con sé due frecce, perché facendo conto sulla seconda trascurano la prima. Ogni volta convinciti che raggiungerai lo scopo con una sola freccia, senza preoccuparti del successo o del fallimento." 
Proverbio del Kyudo, Arco Zen Giapponse 





Lo zen e l’importanza del rito

«Che debbo dunque fare? » chiesi pensieroso.
«Imparare la giusta attesa».
«E come si impara?»
«Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione»
«Devo dunque spogliarmi intenzionalmente di ogni intenzione » mi scappò detto.
«Questo non me l’ha chiesto ancora nessun allievo e perciò non so la risposta giusta».
«E quando cominciamo questi nuovi esercizi?»
«Aspetti che sia l’ora!»
Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco, Adelphi, Milano, 1975, p. 48


A volte le cose che ti cambiano avvengono di notte. 
A volte sono incontri, amori, avvenimenti incredibili straordinari che ti lasciano il segno. 
Altre volte sono occasioni mancate, che poi guardi dopo tanto tempo, e ti accorgi che c’era un senso, e che magari è giusto che sia andata così. Ero reduce da una brutta serata, che mi aveva lasciato addosso insoddisfazione e malinconia, e nessuna voglia di dormire. Ero ospite da un amico, e per nulla abituato al fragore e allo stridore dei tram alle quattro di mattina, alle auto e alle moto (quelle sono le peggiori, ronzano attraverso i vetri e te le senti nelle orecchie) e mi rigiravo su un cuscino troppo sottile pensando e ripensando. Poi mi sono alzato, ho notato nella penombra un minuscolo Adelphi verde acqua. Lo zen e il tiro con l’arco, di un tale Eugen Herrigel. Lo apro. Non mi ricordo esattamente quando sono andato a dormire, ma mi ricordo che da quel momento avevo un solo obiettivo: finire quel libro.

Fino a quel momento, non mi ero mai occupato di Zen. Di taoismo sì, della Cina certamente, ma non avevo mai saltato quel braccio di mare che separa il Fiore di Mezzo dal Sol Levante. Il tiro con l’arco poi, era lontano mille miglia dal mio orizzonte. Forse è per questo che ho rizzato le antenne quando ho letto: «Per tiro con l’arco in senso tradizionale, che egli stima come arte e onora come retaggio, il giapponese non intende uno sport, ma, per strano che possa apparire, un rito[1]» Dell’importanza del rituale mi aveva già avvertito il buon Antoine de Saint-Exupéry:

«Che cos’è un rito?» disse il piccolo principe.
«Anche questa è una cosa da un pò di tempo dimenticata» disse la volpe. «E’ quello che fa diverso un giorno dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza».
Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, Milano, 1949/2012 p.38-39


Il tiro con l’arco dunque per i giapponesi non è una pratica sportiva. 
È molto di più, è una metafora di vita. E’ una pratica mistica, un’arte senza arte, ma che esaurisce il suo essere nell’atto. Herrigel, professore di filosofia a Heidelberg, già da studente si occupava di mistica. Ma era rimasto deluso dall’impossibilità di poterla comprendere: essa si ergeva di fronte a lui come una rocca inespugnabile. Si convinse che l’unico modo di comprendere un mistico era di fare la sua stessa esperienza. Bisognava «diventare mistici». E’ per questo che, quando nel ’24 viene invitato a tenere dei corsi in Giappone, non si fa mancare l’occasione: ecco che si incuriosisce subito di come quella pratica apparentemente tanto distante dalla speculazione filosofica sia tanto importante presso i monaci zen. Decide di “prendere lezioni” da un monaco.

Siamo nel 1924. Nessun europeo si era mai occupato davvero di Zen. Nessuno aveva mai preso sul serio questa decisione. I tentativi di dissuadere Herrigel da questo proposito furono molti. Nonostante ciò, Herrigel fu irremmovibile. Si trattava di un grande esperimento non solo culturale, ma antropologico: dimostrare che si poteva avvicinarsi all’Altro, che si poteva non solo studiarlo, ma anche interagire con lui, imparare da lui fino a farsi cambiare, fin quasi ad assomigliargli. Nel ’22 l’antropologo Malinowski aveva pubblicato i suoi Argonauti del Pacifico Occidentale, dove esponeva le sue idee sulla «osservazione partecipante», ovvero la necessità dello studioso di non limitarsi a osservare il popolo studiato, ma di interagire con esso. E’ così che Herrigel si lancia in un’opera da palombaro, immergendosi in una cultura completamente diversa dalla sua. E’ così che Herrigel impara a mettere da parte tutti i suoi pregiudizi, tutti i suoi valori occidentali, impara a «fare il vuoto dentro di sé», come dicono i maestri zen, per assimilare i nuovi insegnamenti. E’ attraverso il rito, la ripetizione di quegli atti apparentemente senza senso che si crea un legame (“religio” significa proprio questo) tra maestro e allievo, e tra allievo e il Tutto. Infatti l’obiettivo non è il centro del bersaglio: a quello Herrigel arriverà presto. Solo che scoprirà di dover rifare tutto daccapo; che aver fatto centro non significava niente. Bisognava fare centro nel bersaglio interiore; bisognava aver eseguito tutti  i movimenti nel giusto modo, e a mente sgombra. «Privarsi di ogni intenzione». Ovvero privarsi del Sé, dell’individuo. Nulla di più difficile per chi è professore di una filosofia nata con il «conosci te stesso» socratico. E invece questa è la storia di un esperimento (parzialmente) riuscito: Herrigel riesce ad avvicinarsi a quel mondo, e ci regala una storia incredibile, avvincente come un romanzo. 
http://www.lasepolturadellaletteratura.it/zen-importanza-del-rito/

zen
Eugen Herrigel


Satori, in termini psicologici,
è un oltre i confini dell'Io.
Da un punto di vista logico
è scorgere la sintesi
dell'affermazione e della negazione,
in termini metafisici
è afferrare intuitivamente
che l'essere è il divenire
e il divenire è l'essere.
Daisetz T. Suzuki, dall'introduzione del libro Lo zen e il tiro con l'arco




Una freccia può essere scagliata solo tirandola prima indietro. Quando la vita ti trascina indietro con le difficoltà, significa che ti sta per lanciare in qualcosa di grande. Concentrati e prendi la mira. (anonimo)





LA FORMICA MANDIBOLE A TRAPPOLA
A cosa può servire un apparato mandibolare che si apre di 180° per poi richiudersi all'incredibile velocità di 250 km/h? 
Per essere sicuri di catturare le prede che sfiorano i peli sensoriali, certo, ma non è finita qui. Quando una formica del genere Odontomachus si trova in una situazione di pericolo dove correre non basta, fa affidamento alle proprie mandibole, l'intento non è contrattaccare ma..saltare!
L'animale avvicina la bocca al terreno e, con una scena a dir poco cinematografica, si proietta a quasi 10 cm di altezza grazie al terzo principio della dinamica: a un'azione, il morso, corrisponde una reazione uguale e contraria, il volo.
Le tribù indigene a volte utilizzano questo tipo di formiche per suturare le ferite facendosi mordere i due lembi e rimuovendo in seguito il corpo similmente a come fanno i Masaai con le dorylus.
Ecco un video che mostra bene la tecnica di fuga
https://youtu.be/ET4v48deZhs


Daisaku Ikeda. La mappa della felicità. È fácile dire "questo non mi riguarda !", ma è un pensiero che porta la nostra vita a ripiegarsi nel piccolo io. Ogni volta che ripetiamo " questo non mi riguarda !" perdiamo un pò della nostra umanità. Al contrario, una donna che lotta per creare una società pacifica è un'ambasciatrice di pace.

La vita è piena di sofferenze impreviste (...) ma se superi una situazione difficile , puoi superare tutto. Si acquisisce forza, coraggio e sicurezza con ogni esperienza in cui smetti veramente di aver paura. Allora potrai dire "Ho superato quella situazione orribile. Posso sopportare la prossima che capiterà'". E' vero : la lotta contro grandi difficoltà ci fa crescere in modo straordinario. Possiamo richiamare e manifestare quelle capacità che sono sopite in noi. La difficoltà può essere fonte di crescita dinamica e di progresso.
Daisaku Ikeda,  Giorno per giorno




  I love me


È fácile dire "questo non mi riguarda!", ma è un pensiero che porta la nostra vita a ripiegarsi nel piccolo io. Ogni volta che ripetiamo "questo non mi riguarda!" perdiamo un po della nostra umanità. Al contrario, una donna che lotta per creare una società pacifica è un'ambasciatrice di pace.
Daisaku Ikeda. La mappa della felicità

Migliorare e dare spazio alle nostre capacità innate può innescare una trasformazione e un empowerment di efficacia globale. Questo è ciò che noi nella SGI chiamiamo rivoluzione umana, il cui epicentro è l'empowerment che fa scaturire le possibilità illimitate di ogni individuo. Il costante accumulo di tali cambiamenti, sia a livello individuale che di comunità, prepara al genere umano la strada per superare i problemi generali che ha davanti.
Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale


I nostri rapporti umani sono come uno specchio. Quindi, se state pensando dentro di voi stessi, "Se solo fossero un po' più gentili con me, avrei potuto parlare con loro di qualsiasi cosa", allora quella persona sta probabilmente pensando: "Se solo si aprissero con me, sarei stato più gentile con loro. "
Pertanto, si dovrebbe fare la prima mossa per aprire i canali della comunicazione.
Daisaku Ikeda


Our human relationships are like a mirror. So if you’re thinking to yourself, “If only so and so were a little nicer to me, I could talk to them about anything,” then that person is probably thinking, “If only such and such would open up to me, I would be nicer to them.” Therefore, you should make the first move to open the channels of communication.


Quando la determinazione cambia, tutto inizia a muoversi nella direzione che desiderate. Nell’istante in cui decidete di vincere, ogni nervo e fibra del vostro essere si orienteranno verso quella realizzazione. D’altra parte se pensate: "Non funzionerà mai", proprio in quel momento ogni cellula del vostro essere si indebolirà, smettendo di lottare, e tutto volgerà al fallimento.
Daisaku Ikeda



Salute psicofisica:
Si racconta la storia di due cani, che, in momenti diversi, entrarono nella stessa stanza. 
Uno ne uscì scodinzolando, l’altro ne uscì ringhiando. 
Una donna li vide e, incuriosita, entrò nella stanza per scoprire cosa rendesse uno felice e l’altro così infuriato. Con grande sorpresa scoprì che la stanza era piena di specchi. Il cane felice aveva trovato cento cani felici che lo guardavano, mentre il cane arrabbiato aveva visto solo cani arrabbiati che gli abbaiavano contro. Quello che vediamo nel mondo intorno a noi è un riflesso di ciò che siamo.


PROPOSTA DI PACE 2014 DI DAISAKU IKEDA (SINTESI)
La creazione di valore per un cambiamento globale: costruire società solide e sostenibili
13/02/2014: Per celebrare il 26 gennaio, anniversario della fondazione della Soka Gakkai Internazionale (SGI), vorrei offrire alcune riflessioni su come reindirizzare le correnti di pensiero del XXI secolo verso una speranza, una solidarietà e una pace di più ampio respiro, per costruire una società globale sostenibile dove la dignità di ogni individuo brilli del proprio splendore intrinseco.
Alla luce della maggior frequenza di disastri naturali ed eventi climatici estremi occorsa negli ultimi anni, come anche di gravi crisi umanitarie causate da conflitti nazionali e internazionali, sempre più spesso viene sottolineata l’importanza di potenziare la resilienza delle società umane. In senso generale, la resilienza può essere intesa come capacità di realizzare un futuro pieno di speranza, in base al desiderio naturale delle persone di lavorare insieme verso obiettivi comuni.
Migliorare e dare spazio alle nostre capacità innate può innescare una trasformazione e un empowerment di efficacia globale. Questo è ciò che noi nella SGI chiamiamo rivoluzione umana, il cui epicentro è l’empowerment che fa scaturire le possibilità illimitate di ogni individuo. Il costante accumulo di tali cambiamenti, sia a livello individuale che di comunità, prepara al genere umano la strada per superare i problemi generali che ha davanti
La sfida della creazione di valore è quella di collegare il micro e il macro in modo da rafforzare la trasformazione positiva a entrambi i livelli.
La filosofia buddista adottata dai membri della SGI stimola le persone a vivere con un senso di determinazione che si può formulare come l’impegno a realizzare una promessa, o un voto, profondamente sentiti. Essa incoraggia le persone, anche quando si trovano assediate da grandi difficoltà, a considerare l’ambiente circostante come l’arena in cui realizzare la propria missione nella vita e ad aspirare a creare storie personali che diventino fonte di speranza duratura.

  • Educazione alla cittadinanza globale

Vorrei offrire qui alcune proposte specifiche incentrate su tre aree chiave che appaiono critiche nell’impresa di creare una società globale sostenibile. 

La prima è legata all’educazione, con particolare attenzione ai giovani. 
Un summit programmato per settembre 2015 adotterà una nuova serie di obiettivi di sviluppo globale, definiti Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). Sollecito affinché tra questi vengano inclusi obiettivi legati all’istruzione: in particolare, garantire l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria, eliminare la discriminazione di genere a tutti i livelli e promuovere l’educazione alla cittadinanza globale.
Un programma educativo alla cittadinanza globale dovrebbe approfondire la comprensione delle sfide che attendono l’umanità: dovrebbe identificare i primi segni dei problemi globali incombenti nei fenomeni locali, dando alle persone il potere di intervenire; e dovrebbe alimentare lo spirito di empatia e coesistenza insieme alla consapevolezza che le azioni che portano profitto a un paese potrebbero avere un impatto negativo o essere percepite come minaccia da altri paesi.

L’empowerment dei giovani è un’altra area che, insieme all’istruzione, dovrebbe costituire un obiettivo centrale degli SDGs. In particolare, propongo che nella determinazione degli SDGs si includano le seguenti linee guida:

- che tutti gli Stati si impegnino ad assicurare un lavoro decoroso per tutti;
- che i giovani siano in grado di partecipare attivamente alla risoluzione dei problemi che la società e il mondo si trovano ad affrontare;
- che si sviluppino gli scambi tra i giovani, per alimentare legami di amicizia e solidarietà che oltrepassino i confini nazionali.

Gli scambi tra i giovani, in particolare, contribuiscono ad alimentare l’amicizia e i legami che fungono da baluardo contro l’odio e il pregiudizio che possono diffondersi nella psiche collettiva. Come tali, la loro inclusione nei SDGs avrebbe un grande significato.


  • Rafforzare la resilienza.

In secondo luogo, vorrei proporre la creazione di processi cooperativi regionali per ridurre il danno causato da fenomeni climatici e disastri di portata estrema, rafforzando la resilienza di regioni come l’Asia e l’Africa. 
La preparazione ai disastri e le procedure di soccorso e di ripresa successiva al disastro dovrebbero essere considerate fasi di un processo integrato. A questo fine vorrei proporre la creazione di un sistema di cooperazione da parte dei paesi confinanti per favorire la reazione dei paesi colpiti: grazie a simili sforzi prolungati di cooperazione per aumentare la resilienza e la ripresa, lo spirito di aiuto e sostegno reciproco può diventare una cultura condivisa della regione.
Insisto inoltre affinché l’iniziativa pionieristica di una cooperazione regionale di questo tipo sia intrapresa in Asia, una regione profondamente segnata dai disastri. Avere in quell’area un modello di successo sarà di ispirazione per creare collaborazioni in altre regioni. Una base per questo esiste già nel Forum regionale dell’ASEAN (ARF), che possiede una piattaforma di discussione per il miglioramento della cooperazione. Invito le nazioni della regione a realizzare in Asia un accordo focalizzato sulla resilienza e sulla ripresa, una bozza di struttura basata sull’esperienza dell’ARF.
Inoltre, l’impegno per rafforzare la resilienza grazie agli scambi e alla cooperazione tra città gemellate fornisce una base importante per la creazione di spazi di coesistenza pacifica in tutta la regione. Esorto con forza che si tenga appena possibile un summit Giappone-Cina-Corea del Sud per dare inizio a un dialogo che conduca a questo tipo di cooperazione, inclusa la cooperazione sui problemi ambientali.

  • Abolizione delle armi nucleari

La terza area di discussione di cui vorrei parlare riguarda le proposte per il divieto e l’abolizione delle armi nucleari.
Il documento finale della Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT) del 2010 e la Conferenza sull’Impatto Umanitario delle Armi Nucleari tenutasi l’anno scorso a Oslo, in Norvegia, hanno contribuito a incoraggiare un crescente numero di governi a impegnarsi nel porre l’impatto umanitario delle armi nucleari al centro di tutte le discussioni sul disarmo e la non-proliferazione nucleare.
Dal maggio del 2012 questi governi hanno più volte emesso dichiarazioni congiunte su questo argomento, e la quarta in ordine di tempo, rilasciata nell’ottobre del 2013, è stata firmata dai governi di centoventicinque Stati, tra cui il Giappone e numerosi altri Stati protetti dallo scudo nucleare di Stati dotati di armi nucleari.
Il riconoscimento condiviso che le armi nucleari sono sostanzialmente diverse dalle altre armi, che si trovano ben oltre una linea che non deve essere attraversata, e che è inaccettabile infliggere le loro catastrofiche conseguenze umanitarie su qualsiasi essere umano – questo riconoscimento ha in sé la chiave per superare la pura e semplice idea che le armi nucleari possano essere usate per realizzare obiettivi di sicurezza nazionale.
Ho più volte sollecitato la convocazione di un summit per l’abolizione delle armi nucleari da tenersi a Hiroshima e Nagasaki l’anno prossimo, il 2015, nel settantesimo anniversario del bombardamento atomico di quelle città. In particolare spero che i rappresentanti delle nazioni che hanno firmato la Dichiarazione congiunta sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari, come anche i rappresentanti della società civile globale e, soprattutto, i giovani cittadini di tutto il mondo, si riuniranno in un summit globale di giovani per l’abolizione nucleare al fine di adottare una dichiarazione dove si affermi il loro impegno a porre fine all’era delle armi nucleari
Contemporaneamente a questo, vorrei fare due proposte concrete. La prima riguarda un accordo per il non uso delle armi nucleari. Sarebbe una conseguenza naturale del fatto di aver posto al centro delle deliberazioni per la Conferenza di revisione dell’NPT del 2015 gli effetti catastrofici a livello umanitario dell’uso delle armi nucleari, e sarebbe un mezzo per fare un passo avanti nell’implementazione dell’articolo VI dell’NPT, in base al quale gli Stati dotati di armi nucleari si sono impegnati in buona fede a perseguire il disarmo nucleare.
La creazione di un accordo sul non-uso – in cui gli Stati nucleari si impegnano, come obbligo radicato nello spirito di base dell’NPT, a non usare armi nucleari contro gli Stati partecipanti al trattato – apporterebbe un maggior senso di sicurezza fisica e psicologica agli Stati che si sono affidati allo scudo nucleare dei loro alleati, aprendo la strada ad accordi sulla sicurezza che non siano dipendenti dalle armi nucleari.
Secondo i programmi, il Summit G8 del 2016 avrà luogo in Giappone: in parallelo potrebbe svolgersi un summit allargato dedicato alla realizzazione di un mondo senza armi nucleari, che fornirebbe la sede opportuna per impegnarsi pubblicamente per una sottoscrizione di tale accordo in tempi brevi.
La mia seconda proposta concreta è di utilizzare il processo che si sta sviluppando intorno alle Dichiarazioni congiunte sull’impatto umanitario dell’uso di armi nucleari per coinvolgere ampiamente l’opinione pubblica internazionale e attivare negoziazioni per un completo divieto delle armi nucleari.
È importante ricordare che un accordo sul non uso non è altro che una testa di ponte verso il nostro ultimo obiettivo: la proibizione e l’abolizione delle armi nucleari, obiettivo che potrà essere raggiunto solo grazie a un’accelerazione dell’impegno in tal senso, spinta dalle voci unite della società civile globale.
I membri della SGI sono determinati a proseguire gli sforzi per eliminare le armi nucleari e tutte le altre cause di infelicità dalla Terra, e a portare avanti il proprio impegno per la creazione di valore, lavorando con i giovani del mondo e con tutti coloro che si dedicano a una visione del futuro piena di speranza.
(Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale)




http://www.ikedaquotes.org/human-relationships/humanrelationships227?quotes_start=35

Sathya Sai Baba. Per digerire il cibo assunto, dovete impegnarvi in qualche attività fisica; per digerire gli insegnamenti appresi in un gruppo di studi sacri o con la lettura delle grandi opere divine, metteteli in pratica nel vostro quotidiano

Il corpo è un sacco di pelle con nove buchi.
Sathya Sai Baba

Per digerire il cibo assunto, dovete impegnarvi in qualche attività fisica; per digerire gli insegnamenti appresi in un gruppo di studi sacri o con la lettura delle grandi opere divine, metteteli in pratica nel vostro quotidiano.
Sathya Sai Baba



 la teoria senza pratica...serve a poco o nulla...se non ad ingrossare un mentale :-) ...ma a farci rimanere dove siamo (anche questo è un gioco dell'ego che si oppone ai cambiamenti)






Sigmund Freud. C’è una storia dietro ogni persona. C’è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così solo perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli



Freud sostiene che: "nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere la quale si afferma anche a prescindere dal principio di piacere."
Ossia anziché ricordare ciò che ci causò del male, nella nevrosi traumatica, tendiamo a ripetere in maniera assoluta e atemporale i sintomi della nevrosi per non ricordare. Questi sintomi tendono a sparire quando un fatto doloroso o traumatico viene riportato a conoscenza del paziente.
In sintesi occorre ricordare per non ripetere gli errori del passato.

Dove va un pensiero quando viene dimenticato?
Sigmund Freud


Le emozioni inespresse non moriranno mai
Sono sepolte vive ed usciranno più avanti in un modo più brutto.
Sigmund Freud


Un uomo come me non può vivere senza una mania, una passione divorante o, per dirla con Schiller, senza un tiranno. Io ho trovato il mio tiranno e, per servirlo, non conosco limiti. È la psicologia. 
Sigmund Freud

Una nevrosi che ha sfidato ogni sorta di sforzi terapeutici può magari scomparire quando il soggetto incappa nella situazione penosa di un matrimonio infelice, o quando perde le proprie sostanze, o contrae una pericolosa malattia organica. In questi casi una forma di sofferenza è stata sostituita da un’altra, e vediamo che al soggetto importava unicamente poter conservare un certo grado di sofferenza. 
Sigmund Freud (1924), Il problema economico del masochismo, OSF, vol. 10, Bollati Boringhieri , Torino.



Anche se l'uomo ha rimosso nell'inconscio i suoi impulsi malvagi e vorrebbe dirsi che non è responsabile di essi, qualcosa lo costringe ad avvertire questa responsabilità come un senso di colpa il cui motivo gli è sconosciuto.
Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1915/32


Originariamente le parole erano magie e, ancor oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico. " 
Sigmund Freud, '' Introduzione alla Psicoanalisi'', 1915




Freud dimostrò che i sintomi isterici potevano ESSERE LETTI come segni di un linguaggio criptico simile a quello dei sogni. Weizsacker e Groddeck compresero che OGNI malattia del corpo poteva essere considerata nella stessa identica maniera, ovvero che poteva essere interpretata come un simbolo linguistico
Luis Chiozza, Per un incontro tra medicina e psicoanalisi, Quaderni di psicoterapia infantile, 1995 Borla, pag.26.



Da Nietzsche, Freud preleva, su suggerimento dell'amico Grotteck, il termine "es".
Per Freud non possiamo affermare "io" penso", bensì "esso pensa".
U. Galimberti - "Le cose dell'amore"


"Per più di dieci anni, a partire dalla mia separazione da Breuer, non ebbi neanche un seguace e fui del tutto isolato. A Vienna mi si evitava e all'estero non mi si prendeva affatto in considerazione. La "Interpretazione dei sogni", pubblicata nel 1999, fu appena citata nelle riviste tecniche." "Progressivamente finì anche il mio isolamento. In principio si riunì intorno a me, a Vienna, un piccolo circolo di discepoli e, dopo il 1906, si seppe che lo psichiatra di Zurigo E.Bleuler, il suo aiuto C.G.Jung e altri, mostravano vivo interesse per la psicoanalisi. Si strinsero relazioni personali (( ... ))" Sigmund Freud (1956-1939), La mia vita e la psicoanalisi, 1925, ed.it. Mursia 1963 pagg. 79 e 80.

7 Settembre 1913 - Durante il "Quarto congresso internazionale di psicoanalisi" a Monaco, si incontrano per l'ultima volta Freud e Jung.
Durante il congresso Jung parlerà dei "tipi psicologici" ed esporrà il suo nuovo concetto di psicologia analitica, segnando l'ufficiale rottura con l'ideologia di Freud.


"Quando ci sforziamo di scoprire senza pregiudizi teorici cosa realmente il paziente cerchi in suo padre o sua madre noi non troviamo di solito desideri incestuosi ma qualcosa di ben diverso ... qualcosa che Freud ha valutato solo negativamente, e cioè un sentimento di innocenza infantile, un senso di protezione e sicurezza, di amore reciproco, di fiducia e fede ... la tendenza regressiva denota soltanto che il paziente nei suoi ricordi di infanzia ricerca se stesso
Carl Gustav Jung





[...] Per fortuna la Psicologia e la Psicoterapia sono andate molto avanti, screditando pesantemente l'approccio freudiano e quello junghiano... Semplici "filosofie personali" senza alcuna base scientifica, nè dimostrazione empirica. [...] Con le associazioni di cui faccio parte (Associazione Psicologia Deficit Parentale e Movimento per l'Infanzia") abbiamo organizzato dei convegni proprio su questo. Sto scrivendo anche un libro in proposito. Comunque, rapidamente, posso segnalare i seguenti autori che tanto hanno fatto per smontare letteralmente le "favole" della psicoanalisi classica: M. Onfray, M. Shatzman, J. Masson, A. Miller, L. Mecacci, J. Bowlby e molti altri... In realtà, già "fedeli" di Freud, come per esempio R. Spitz (e parliamo di decenni e decenni fa...) o S. Ferenczi, iniziarono gradualmente a mettere in forte discussione i principi del "padre", impegnandosi in studi e ricerche sul campo che dimostrarono i gravi errori della teoria freudiana. Il discorso, a mio avviso, è molto interessante, ma ci sarebbe da dire davvero troppo...




C’è una storia dietro ogni persona
C’è una ragione per cui loro sono quel che sono. 
Loro non sono così solo perché lo vogliono. 
Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli.
 Sigmund Freud






Caro Sigmund, si sa che la psicanalisi accetta tutti e valorizza ciascuno.......permettimi però di essere meno "obbiettiva" di te e più pedagogica.......siamo co-costruttori di noi. a volte questa tua affermazione viene intesa, soprattutto da noi italiani come......vabbè, se è così è così! .......TUTTO è POSSIBILE IN PEDAGOGIA!!



La nevrosi ossessiva è la caricatura della religione,
l'isteria è la caricatura dell'arte,
 la paranoia la caricatura della filosofia.
Sigmund Freud



Ci si potrebbe arrischiare a considerare la nevrosi ossessiva come un equivalente patologico della formazione religiosa, e a descrivere la nevrosi come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi ossessiva universale.
Sigmund Freud, Azioni ossessive e Pratiche religiose


L'accettazione della nevrosi universale risparmia il compito di formarsi una nevrosi personale
Sigmund Freud


Potremmo azzardarci ad affermare che l'isteria è la caricatura di una creazione artistica, che la nevrosi ossessiva è la caricatura di una religione, che il delirio paranoico è la caricatura di un sistema filosofico.
Sigmund Freud, Totem e tabù, 1913


La nevrosi ossessiva si può considerare un equivalente patologico del rituale religioso [...] perciò forse la nevrosi si può trattare come una religione privata, e la religione come una nevrosi ossessiva universale.
Sigmund Freud




Nell'attività della fantasia l'uomo continua a godere di quella libertà dalla costrizione esterna alla quale ha rinunciato da lungo tempo nella realtà [...] il regno psichico della fantasia è una riserva come quelle di protezione della natura, sottratta al principio di realtà
Sigmund Freud


Nel sogno c'è un contenuto manifesto (quello che si ricorda e si racconta quando ci si sveglia) e un contenuto latente (quel senso del sogno che l'individuo non sa riconoscere. Questo contenuto latente contiene il vero significato del sogno stesso, mentre il contenuto manifesto non è altro che una maschera, una facciata.
Sigmund Freud


Il sogno é il tentato appagamento di un desiderio
Sigmund Freud



Secondo me questo concetto di Freud mantiene un nucleo di verità, ma in buona parte è superato, come è superata la teoria freudiana del sogno come realizzazione di un desiderio. Tuttavia, anche se non esatte, queste intuizioni di Freud hanno contribuito fortemente alla nascita della psicoanalisi, dunque non vorrei che il mio commento fosse letto come una svalutazione. Freud ha gettato le basi, poi altri hanno continuato e la psicoanalisi ora è molto più ricca di prima.




"il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare." (pag.84)
"il perturbante (( ... )) si verifica quando complessi infantili rimossi sono richiamati in vita da un'impressione, o quando convinzioni primitive superate sembrano aver trovato una nuova convalida." (pag.110)
SIgmund Freud (1856-1939), Il perturbante, 1919
in Opere, ed.or.1940-1950, ed.it. Bollati Boringhieri, vol.sesto, 1992.




Freud parla di unheimlich, che in tedesco significa perturbante, e letteralmente è l'opposto di heimlich = confortevole, tranquillo, da Heim = casa.




paranoici attribuiscono un'importanza enorme ai particolari più insignificanti del comportamento altrui, quelli che generalmente sfuggono alle persone normali.
Sigmund Freud. Psicopatologia della vita quotidiana



La formazione di idee deliranti, che noi consideriamo un prodotto patologico, in realtà è uno sforzo verso la guarigione, un processo di ricostruzione.
Sigmund Freud


Un pazzo non sa di essere pazzo
perché la pazzia
è l'unica cura
che attua la mente
per curare se stessa.
Sigmund Freud


Comincerete a prendere in seria considerazione la follia quando per la prima volta essa vi tornerà utile per risolvere i vostri problemi da persona normale..
Sigmund Freud



"così anche il delirio deve la propria forza di convinzione alla parte di verità storica che ha inserito al posto della realtà ripudiata. In tal guisa anche al delirio potrebbe essere applicata la tesi che tanto tempo fa espressi soltanto a proposito dell'isteria, e cioè che il malato soffre delle sue reminiscenze."
Sigmund Freud (1856-1939), Costruzioni nell'analisi, 1937, in: Opere, ed.or.1940-1950, ed.it. Bollati Boringhieri, vol.11 par.3 pag.552.




"Ma l'angoscia, come dice Freud, segnala il ritorno del rimosso, e OGGI il rimosso sa il cielo che non è certo la sessualità, né la criminalità o la brutalità...no (...) il rimosso è la MORTE."
James Hillman



L'umorismo è il più potente meccanismo di difesa. Permette un risparmio di energia psichica e con una battuta blocchiamo l'irrompere di emozioni spiacevoli.
Sigmund Freud



meccanismi di difesa sono strategie psicologiche messe in atto dall'inconscio allo scopo di manipolare, negare o distorcere la realtà per difendersi contro sentimenti di ansia e impulsi inaccettabili, al fine di mantenere il proprio schema.
Come avviene la reazione difensiva?
La definizione di base di questo meccanismo di difesa è la seguente: l'ansia, dato che produce emozioni e pensieri, viene padroneggiata esagerando la tendenza opposta[...]






Ps: ed è proprio su questo argomento che vi fu la divisione tra Jung e Freud. Non sono d'accordo, perché spesso una nevrosi può celare qualcosa di più profondo fino ad elevare alcune coscienze che il dogma religioso ha "castrato"... Spesso le religioni creano la nevrosi quindi esse sono la causa e non l'equivalente



"Credo che nella "prima parte della vita" bisognerebbe operare in "maniera freudiana", lavorare cioè per costruire e rafforzare "l'io". Nella seconda parte, invece, bisognerebbe operare in "maniera Junghiana", recuperare cioè la follia che ci abitaL'io per alimentarsi deve avvicinarsi alla sua "parte irrazionale"La ragione non crea, non fa crescere in quanto è un "sistema di regole" da cui non può nascere nullaPerché si crei bisogna andare "oltre le regole"toccare l'indifferenziato e la folliaCiò è però possibile solo se si è costruito e rafforzato l'io altrimenti non ci si può avvicinare, senza rischi, all'indifferenziato, alla follia".
Giuseppe Ferrari