Pagine

sabato 31 marzo 2012

La leggenda della Quercia e il Diavolo. Un giorno il diavolo volle andare da Dio a chiederle una cosa.Fattosi coraggio gli rivolse la domanda: “tu o Signore sei padrone di tutto l’universo, mentre io povero diavolo, non posseggo nulla in questo mondo…Ti prego pertanto di concedermi la potestà su una minima parte del creato.”E Dio gli chiese: “cosa desidereresti avere” e il diavolo: “ il potere sui boschi e le foreste!” E Dio decretò: “così avvenga. Il potere su boschi e foreste ti appartenga quando questi d’inverno quando saranno senza foglie


LEGGENDA DELLA QUERCIA E IL DIAVOLO

Un giorno il diavolo volle andare da Dio a chiederle una cosa.Fattosi coraggio gli rivolse la domanda: “tu o Signore sei padrone di tutto l’universo, mentre io povero diavolo, non posseggo nulla in questo mondo…Ti prego pertanto di concedermi la potestà su una minima parte del creato.”E Dio gli chiese: “cosa desidereresti avere” e il diavolo: “ il potere sui boschi e le foreste!” E Dio decretò: “così avvenga. Il potere su boschi e foreste ti appartenga quando questi d’inverno quando saranno senza foglie. Tornerà a me, invece, nelle altre stagioni,quando gli alberi saranno coperti di foglie.”Saputa la notizia dell’avvenuto patto, tutti gli alberi del bosco cominciarono a preoccuparsi finchè l’inquietudine si trasformò in agitazione.Il carpino, il tiglio, il platano, il faggio, l’olmo si chiedevano avviliti: “Cosa possiamo fare? A noi le foglie cadono proprio in autunno, e noi non vogliamo appartenere al diavolo, neanche per una sola stagione.” Finchè al faggio venne l’idea di consultare l’albero più saggio dei saggi, la quercia. La quercia quando sentì la storia del patto riflettè molto, e alla fine disse:“ Faremo così, cari amici… io tenterò di trattenere sui rami le foglie secche, finchèa voi non saranno spuntate le nuove! In tal modo il demonio non potrà avere il dominio su nessuno di noi.” Così avvenne e il diavolo rimase beffato. Da allora la quercia trattiene il fogliame secco per tutto l’inverno, finchè in primavera spuntano le prime foglie verdi.

Sa Shan. Non riesco a capire la cattiveria gratuita della gente… Piccola mia, ciò che non risponde al loro gretto modo di pensare o di essere è da eliminare, da annientare; un’animo buono, un’ azione disinteressata, è per loro incomprensibile e li spaventa, li fà sentire ciò che sono meschini, e questo non piace!

Sono una ladra.. RUBO EMOZIONI.. 
silenziosamente osservo e studio il viso, le mani, i gesti, le parole, le sfumature anche più lievi di chi mi sta di fronte.. e catalogo: insofferenza.. dolore .. apatia, sorpresa.. indignazione.. amore.. felicità… dolcezza. Si Sono una ladra e rubo non per soldi.. ma colleziono attimi ed emozioni!
Sa Shan


Non bisogna mai vergognarsi di esprimere i propri sentimenti nel momento stesso in cui sgorgano dal cuore. E' quello il momento! Un attimo prima potrebbe essere prematuro, un attimo dopo potrebbe essere un’occasione persa!
Sa Shan


Non riesco a capire la cattiveria gratuita della gente…
Piccola mia, ciò che non risponde al loro gretto modo di pensare o di essere è da eliminare, da annientare; un’animo buono, un’ azione disinteressata, è per loro incomprensibile e li spaventa, li fa sentire ciò che sono meschini, e questo non piace!
E così fanno quello che sanno fare meglio, essere cattivi.
Costa molto meno sai..che mettersi davanti allo specchio guardarsi e riconoscere di dover cambiare.
Fanno di tutto per farti credere che quella sbagliata sei tu, ma chi sbaglia son loro!
Per cui non vale la pena di versare lacrime per loro, lascia che le loro parole ti scivolino addosso e si perdano, e continua a sorridere, continua ad essere bella dentro come sei, e non preoccuparti ci sarà sempre qualcuno che riconoscerà la tua luce e non ne avrà paura!
Sa Shan

Quando non si sà che fare..quando si è resi sordi dal frastuono della vita, ed accecati brutalmente dalle sue luci, quando si è confusi e ci si sente come una barchetta di carta in un oceano in tempesta… bisogna essere capaci di fermarsi! Sedersi lì al margine, in bilico sul bordo di questa voragine onnivora che è la vita, e fare una cosa che ormai non c’e più concessa: Aspettare! Aspettare il momento giusto, o la cosa giusta, o la persona giusta, senza agguantare nella mischia ciò che ci capita davanti!!
Sa Shan

Quando non si sa che fare..quando si è resi sordi dal frastuono della vita,ed accecati brutalmente dalle sue luci, quando si è confusi e ci si sente come una barchetta di carta in un oceano in tempesta… bisogna essere capaci di fermarsi! Sedersi lì al margine, in bilico sul bordo di questa voragine onnivora che è la vita, e fare una cosa che ormai non c’e più concessa: ASPETTARE! Aspettare il momento giusto, o la cosa giusta, o la persona giusta, SENZA AGGUANTARE NELLA MISCHIA CIO' CHE CI CAPITA DAVANTI!!!!!
Sa Shan


"Cosa manca a questa giornata per essere perfetta? 
Nulla caro amico …nulla! 
Questa giornata ha tutto: 
L’incantesimo dell’alba, il risveglio della speranza, 
... un sorriso che ti attende, un abbraccio che darai, 
ed il cuore che saprà meravigliarsi ancora dinanzi a questo! 
Oggi è una giornata perfetta per alzarsi e vivere" 
Sa Shan



Ci vuole un attimo solo per perdersi…
per trovarsi distanti su scale mobili
perchè se pensi che nulla è amovibile
è solo un attimo restare o andare.
Ci vuole un attimo per tornare a vivere,
e respirare ancora aria nell’anima,
credere ancora a cose impossibili
e fare dei sogni una realtà
.. Perchè è solo un attimo che ci separa
dalle alte vette o dagli abissi
e restare in bilico non è mai facile
ma è un lungo brivido e si chiama… VIVERE !
Sa Shan


In una notte orfana di luna
alla luce del mio sentimento,
Salirò tra le stelle a prendere il mio sogno
e lo terrò stretto al cuore .
Seguendo il tuo richiamo
Scenderò la scala del cielo per giungere a te
e poserò ai tuoi piedi il mio sogno ed il mio cuore
e li’ lieve come una farfalla danzerai
nel attimo impercettibile,
breve ed eterno,
di un frullar d’ali.
Sa Shan


Voglio lasciare un segno su questa terra …
voglio amare…amare…amare e ancora amare
affinchè resti impresso in mille cuori il mio passaggio
affinchè domani ancora io sia con Voi e voi con me
e questo amore si moltiplichi all’infinito attraverso i Nostri cuori.
Sa Shan

Sa Shan. Lo specchio del calligrafo.

Indice

     5    In principio

    35    Ispirazioni

    36    Viaggio
    50    Venezia
    56    Pechino
    58    I colori
    61    Gli odori
    64    I rumori
    66    Il bestiario
    71    La felicità
    72    Il mio desiderio
    76    Sulla luna
    80    La sofferenza
    83    Il ponte degli Inferi
    92    Un autunno stregato
    96    Il romanzo

Pagina 7
Eravamo cinque bambini chiusi in una grande aula. Il vecchio Maestro Zhan m'intrigò con la sua barbetta grigia e l'accento del sud. Quando srotolò davanti a noi la carta di riso, la Cina moderna scomparve.
Il primo carattere disegnato: Eternità. 
A quanto pare la parola contiene tutti i movimenti del pennello: 
il punto, il tratto orizzontale, verticale, diagonale, verso sinistra, verso destra, l'uncino. Il maestro diceva che Leonardo da Vinci era diventato un grande pittore disegnando instancabilmente un uovo. Dopo aver scritto per centomila volte Eternità, noi saremmo diventati grandi calligrafi.
Eternità... Eternità... Eternità...
la trasmissione del sapere millenario sta in un mormorio, in un incantesimo. I banchi troppo alti ci obbligavano a stare inginocchiati sulla sedia. Avevamo mal di schiena, male alle braccia, crampi all'incavo della mano. All'improvviso spuntava il Maestro Zhan e di sorpresa ci strappava il pennello. Guai a chi non era capace di trattenerlo.
Un tempo, i principi erano anch'essi iniziati alla calligrafia con questo simbolo. Una volta diventati imperatori chiamavano il loro regno "Pace eterna", "Prosperità eterna", "Stabilità eterna", "Gioia eterna". Il supplizio dell'infanzia si trasformava in fiducia e illusione.
Le dinastie sono scomparse ma l'arte dell'ideogramma si perpetua.
La Cina rinasce ogni volta che un bambino diventa calligrafo.
L'eternità è un fruscio.
Al poeta viene lasciato il canto dell'Effimero.
    Il tratto orizzontale, il soffio
    Il tratto verticale, il bambù secolare
    La diagonale scaccia i demoni dell'anima
    L'uncino, lancia dalla punta d'oro
Da bambina preferivo la gioia e la libertà del disegno alla austera e prigioniera di regole ancestrali. La lentezza del movimento mi martirizzava. Spargevo inchiostro dappertutto senza cura e mi attiravo i rimproveri di mia madre.
A otto anni mi esercitavo sui caratteri stampati con l'inchiostro rosso. Il Maestro metteva una croce nera su ogni parola in cui l'inchiostro aveva debordato e un cerchio rosso su ogni segno ben tracciato.
A nove anni ottenni il diritto di studiare le steli antiche. Potevamo riprodurre solo gli inchiostri incisi dagli illustri calligrafi Oyang Xun, Yan Zhenqing, Liu Gongquan, Zhao Menfu. La litografia delle steli, onde bianche su nero uniforme, assomigliava ai volti severi che mi rimproveravano di continuo. Essere discepola di quattro anime rinsecchite e arcigne mi annoiava.
Un giorno, scoprii il maestro ideale nella persona di Chu Suilang, ministro alla corte dei Tang, bandito dalla grande imperatrice Wu. Il movimento aereo, la grazia celeste, il soffio femminile della sua scrittura emozionarono il mio sguardo infantile, stanco dei modelli marziali e moralisti. In segreto, mi accanivo a copiare il suo stile, finché non scoprirono la mia passione. Invece di rimproverarmi, mi spiegarono che lo stile del Maestro Chu era il più perverso. Aveva un'influenza nefasta sui principianti che, ingannati dalla sua apparente fluidità, non capivano nulla del suo rigore interiore. Sarebbe stato meglio ritornare ai maestri Oyang, Yan, Zhao, Liu, che avevano una grammatica, che guidavano da mille anni milioni di mandarini nel cammino della calligrafia.
In effetti la mia scrittura era precipitata nel caos. Convinta di disegnare la grazia e la voluttà, facevo scarabocchi flosci e lascivi. Dimenticai il seduttore solitario e la sua stella spenta.
    Abbandonai la calligrafia.
    Ritrovai il piacere della calligrafia otto anni dopo.
A quindici anni studiavo al liceo annesso all'Università di Pechino, una delle più prestigiose scuole superiori della Cina. Nella nostra classe, occupava il posto di delegato alla salute e all'igiene un ragazzo di nome Salice. Essendo delegata allo sport, me lo feci amico durante le riunioni dei rappresentanti.
Mi piacque per la sua discrezione e la magnifica scrittura. Dopo la lezione scriveva con il gesso, in un angolo della lavagna, il nome degli studenti che dovevano pulire l'aula. Quella calligrafia rimaneva per tutta la giornata successiva. I nomi dei miei compagni di classe, come "Coraggio", "Dolce luna", "Tuffo", "Rosso", costituivano un autentico dizionario dei segni. Quando mi annoiavo durante le lezioni ricopiarli era un piacere.
Quindici anni è un'età travagliata. L'alchimia della vocazione supera la logica scolastica. La porta della calligrafia, chiusa fino all'elezione del delegato alla salute, si riaprì misteriosamente. La mia scrittura si trasformò.
Dopo un riordino di file e di sedie, Salice diventò il mio compagno di banco. Gli rivelai la mia ammirazione e gli chiesi consigli. Arrossendo, tracciava fiero sui miei quaderni caratteri destinati a servirmi da modello. Nel frattempo, io facevo delle ochette di carta che gli infilavo nello zaino. A volte, al riparo da sguardi indagatori, ci scambiavamo un sorriso.
Stranamente quell'intimità svaniva durante l'intervallo. Ritornavo al mio universo, agli amici, fedeli compagni, ragazzi alti e sportivi. Salice era un segreto che mi vergognavo a rivelare. Modesto, timido, apparteneva al mondo vellutato della calligrafia, all'odore d'inchiostro e libri ingialliti. A lui avevo riservato un altro volto facendogli conoscere un'altra me stessa: l'adolescente fragile, dolce, avida di conoscenza. Esiste in me una doppia personalità: l'ingenua e la perversa, la generosa e la crudele. Ignoro perché a volte sono migliore e a volte peggiore.
    Salice fu la mia vittima.
All'inizio delle vacanze d'inverno, gli spedii una semplice cartolina alla quale rispose con due pagine colme della sua grafia accurata. Proponeva di venirmi a prendere per andare alla festa del tempio. La lettera mi incantò. Trasportata da quel sentimento di dolcezza, mi univo ai palpiti del suo cuore. Ma quella debolezza mi nauseò. Mi sentii disarmata. Andare alla festa del tempio con Salice avrebbe voluto dire impegnarsi con lui. Invece a me piacevano le amicizie libere e stravaganti. Salice non aveva né l'irruenza né la forza per farmi innamorare. Non ero pronta a rinunciare alla mia indipendenza. Come avrebbe potuto domarmi un adolescente sentimentale?
Risposi al suo invito con una cartolina gentile in una scrittura simile alla sua. Il mattino del nostro incontro soffiava l'aquilone. La temperatura era scesa sotto lo zero. La terra, carcassa leccata dagli avvoltoi, era imbiancata. Nastri di nuvole stavano immobili in un cielo di cristallo. Dalla finestra, con le mani sul termosifone, vidi il mio amico che attraversava in bicicletta il bosco di salici piangenti. Lottava contro il vento e trovai ridicola la sua immagine incurvata dallo sforzo. Una volta arrivato ai piedi del nostro edificio, mi chiamò. Restai muta. Non osando bussare alla porta e affrontare i miei genitori, girò in tondo per un po', poi se ne andò.
Ritrovai il mio gruppo di amici alla festa del tempio. Eravamo belli e insolenti! Al ritorno dalle vacanze d'inverno, non sopportavo più lo sguardo del mio compagno di banco che languiva. Per fargli del male, scambiavo bigliettini e occhiate con i miei complici. Dopo la lezione, mi lanciavo radiosa tra le braccia di uno dei miei uomini.
Salice soffriva in silenzio. Lo ignorai fino alla fine del trimestre. Cominciò un nuovo anno scolastico. Salice andò con gli studenti che preparavano il concorso di matematica. Scomparve. Persi le sue tracce. Diciotto mesi dopo, partii per la Francia.

Di ritorno a Pechino, incontrai Salice ad una cena di vecchi amici. Non ci vedevamo da cinque anni. La sua bellezza mi sorprese. Il giorno dopo, ai giardini del Palazzo d'Estate, di fronte all'immensità del lago Kun Ming, evocammo ricordi lontani. Mi sembrava esotico e seducente e io dovevo fargli lo stesso effetto. Ognuno di noi, a modo suo, era stato emancipato dalla sessualità. Senza difficoltà, ci baciammo su una panchina del giardino dell'Università di Pechino, dove avevano studiato i nostri genitori. Il desiderio, risorto dalle ceneri, mi assalì. Ero stregata dagli occhi a mandorla di Salice, malinconica nostalgia di un'adolescente ormai lontana.
La sera prima di partire per la Francia lo invitai a casa mia. Dopo cena, ci chiudemmo a parlare nella mia stanza. Mi spinse sul letto.
Ero pronta a darmi a lui, quando di colpo si sollevò, negli occhi la rabbia di un uomo determinato a soffocare il piacere.
– No – disse – mi sento responsabile per te.
In Occidente, quando un uomo fa l'amore con una donna, lo fa per il piacere.
In Oriente, l'atto è un impegno.
Quell'uomo mi amava. La sua passione era intensa. Mi commosse.

Pagina 50

Venezia
    Nei pomeriggi di nebbia
    Le gondole sono ormeggiate al cielo

    Arrivo della pioggia
    Il cielo diventa malva
    Il Canal Grande turchese
    La chiesa di San Giorgio una cicogna bianca

    Appoggiato a una colonna
    Un uomo in costume mi fissa
    Dietro una maschera di donna

    Uno spicchio di luna sfiora la cupola di San Marco 


Pagina 56

Pechino

Pechino si alzava alle cinque del 

mattino, d'estate come d'inverno. Penombra. I passanti apparivano e 

scomparivano. Nel bosco di cipressi, ai piedi di un tempio, un gruppo di 

danzatori col ventaglio affrontavano gli amanti del Tai Chi, esercizio marziale 
dei taoisti, all'instancabile ricerca dell'immortalità. Alle sei, i venditori ambulanti preparavano i fornelli ai bordi della strada. Le fiamme schizzavano, si alzavano i vapori, tratti bianchi sul tessuto dell'aurora. Gli odori si spandevano, crépe, omelette, panini farciti, panini fritti, patate dolci, le grigliate degli dei. Il profumo della capitale cambiava al ritmo delle stagioni. Marzo sapeva di viaggio, di fatica. Il vento aveva attraversato il deserto del Gobi e ci portava gli odori della sabbia incandescente e della Grande Muraglia carbonizzata. Aprile, il disgelo. La terra nera, macerata nel ghiaccio, esaltava il sentore di un sogno che finisce. Al mattino presto, l'acqua trasudava, gocciolava, scrosciava. Stagione di metamorfosi, la muffa dei fiori precoci. Tornavano le rondini. Chi piangeva di gioia ascoltando il loro grido d'angoscia? Maggio, l'allegria delle acacie, dei lillà. I pioppi preparavano una fioritura cupa per rimpiazzare i fiori di pesco, i cui petali erano calpestati dai piedi, annegati nei ruscelli, trasportati dal vento. Tutto fuggiva, la felicità, la prosperità, il dolore, la disperazione, rimaneva solo la mia città millenaria, rovina delle rovine, ricordo dei ricordi. D'estate, ci offriva una tazza di the bollente su un vassoio laccato. Gli intenditori cercavano una fila di salici piangenti, uno sgabello di pietra, il profumo amaro di uno stagno coperto di fiori di loto, un sentiero ombroso dove stavano accovacciati i venditori di angurie. Apprezzavano il calore, la vertigine, la sete, lo stordimento. L'estate, il desiderio, l'ossessione sparivano davanti all'autunno, la profondità, l'attesa. Nei boschi, i giardinieri davano fuoco ai mucchi di foglie morte e di rami secchi, raccolti al mattino dalla loro scopa di bambù. In sogno, l'amante mi offre un profumo chiamato fuoco. Ha per nota di testa la malinconia delle ceneri, per bouquet la fenditura delle fiamme. Mi chiede di metterlo sui polsi, manette d'acciaio, ricordi brucianti di un amore naufragato. Che torni l'inverno! Che la neve rinfreschi la sofferenza. Che l'aquilone dissolva la nostalgia, veleno della memoria. Dormirò nella bianca chioma della mia città che non è più. L'eternità è un sogno che saprà circondare cantieri, grattacieli, autostrade, ponti sospesi. La modernità ignora il rimpianto.
| << | < | > | >> |

Pagina 102

A quattro anni, Zhong He fu iniziato dal padre all'arte della calligrafia. Ogni anno, il mandarino riempiva d'acqua l'orcio alto dieci piedi e ordinava al figlio di utilizzarlo fino all'ultima goccia per preparare l'inchiostro. Il bambino lavorava tutto il giorno. Mentre si esercitava, solo Ling Long, la sua vicina, poteva tenergli compagnia. La ragazzina non si separava mai dal suo pechinese nano. Ridendo, arrossiva. Quando compì l'età di sedici anni, i genitori di Zhong He decisero che quell'amicizia poteva turbare la sua concentrazione sull'arte del nero e del vuoto. Pretesero la rottura. L'adolescente gli obbedì e da quel momento rifiutò di vedere la ragazza. Ling Long pianse. Bruciò tutti i rotoli di calligrafie che le aveva regalato l'amico. Scappò di casa ed errò per la città. Il suo dolore spaventò la famiglia, che decise di farla sposare. Un anno dopo, in abito vermiglio e velo di seta porpora, Ling Long salì su un battello. Dietro la tenda, lanciò un ultimo sguardo al suo paese natale e scorse tra la folla dei convitati Zhong He. Il ragazzo non si accorse che la giovane donna lo contemplava con disperazione. Il vento gonfiò le vele e il battello si allontanò. Lui rabbrividì, si incurvò, infilò le mani nelle maniche e si allontanò. Nel cielo, le oche selvatiche si diressero verso sud gridando. — Arrica l'autunno — mormorò Zhong He. Qualche anno dopo, il bambino prodigio divenne il calligrafo più celebre dell'impero. I suoi inchiostri erano apprezzati dall'Imperatore e dalle sue concubine. In cambio di un segno del maestro, i ministri di corte e i dignitari di provincia facevano a gara ad offrire mucchi di monete d'oro, manciate di perle rare. Ma Zhong He era tormentato. La via della bellezza assomigliava a un lungo corridoio senza luce in cui avanzava disperato e rabbioso. Ingannava se stesso ubriacandosi. L'ebbrezza, la perdizione, gli davano la sensazione di penetrare il mondo dei morti e di colpo gli permettevano di lanciarsi in una calligrafia libera e aerea. Un giorno, dopo aver passato la notte da una cortigiana, rientrava vacillando a casa sua, ubriaco. Si ricordò che anni addietro, in un giorno di maggio dolce e delizioso, Ling Long, vestita di un abito di seta verde salice stretto da una cintura di cotone giallo giunco, era entrata nel suo atelier. I suoi capelli, sparsi sulla fronte, emanavano il profumo dei fiori che aveva sfiorato attraversando il giardino. Si era seduta accanto a lui e lo aveva guardato scrivere. Seduta su una sedia di sandalo scolpito, gli tagliava la carta di riso. La sua testa era leggermente abbassata. Una ciocca di capelli le sfiorava la spalla sinistra. Attraverso il vestito leggero, si intuiva il nascere dei seni. Uno dopo l'altro, piegava dei pezzi di carta che prendevano la forma di oche selvatiche. Zhong He trasalì. L'oca selvatica, uccello migratore, presagio di una partenza precipitosa verso un paese lontano. Perché non era riuscito ad apprezzare i momenti felici? Gli anni passarono. I genitori di Ling Long morirono. La loro casa cadde in rovina. Ma lei non è mai ritornata.

Una sera bevve più del solito, tanto che non riuscì a salire in sella senza

aiuto, tra le risa di tutte le cortigiane. Il cavallo si mise subito al galoppo.

Il vento gli fischiava nelle orecchie. Vedeva alberi e case passare come

frecce.

Ebbe voglia di vomitare, disgustato da quella vita dissoluta, dal suo talento
incerto, da quel mondo ridicolo. Il cavallo si avviò a tutta velocità in uno

onoscenza.
stretto sentiero. Di colpo, un enorme ramo lo colpì come una frusta e perse

c

Quando si risvegliò, era ancora in sella. Il cavallo lo riportava a casa.

Curiosamente non gli faceva male la testa. Passò davanti alla dimora di Ling

Long e, alla luce della luna crescente, guardò tristemente la scalinata sepolta
sotto le erbacce e il portone porpora semiaperto. Un fruscio di seta attirò la
sua attenzione.

A qualche passo dal suo cavallo, una donna in abito blu tesoro attraversò la
strada. La sua cintura, intrecciata di fili d'oro, scintillava sotto la luce

portone e scomparve.

cangiante della lanterna viola che teneva in mano. Salì i gradini, spinse il

Stupefatto, Zhong He rientrò a casa.

A mezzanotte passata, non riuscendo a dormire, uscì dalla stanza e passeggiò
in giardino. Ossessionato dalla visione di poco prima decise di andare ad
esplorare la casa vicina.

La notte era silenziosa. La luna si nascose dietro le nuvole. Le lucciole

volteggiavano nell'oscurità. Sembravano tracciare una misteriosa calligrafia.

Trovò una scala e scavalcò il muro. Dopo un cespuglio, scorse un grande

giardino rischiarato da migliaia di lanterne fucsia appese agli alberi. Zhong He
non era stato a casa di Ling Long da così tanto tempo che non riconobbe nulla.

oschetti di bambù, pietraie giganti, massicci di peonie spuntavano e scompari
Fece il giro della casa seguendo un sentiero sinuoso piastrellato di mosaici.

Bvano, per svanire nella penombra.

Il sentiero si fermò nei pressi di uno stagno coperto di ninfee. Un ponte di
pietra condusse Zhong He ad una lunga galleria. Da un lato, i ciliegi nani

illuminata.
avevano perso i petali rosa, dall'altro, delle camere, di cui solo una era
Si levò il sospiro di una donna, appena percettibile:

"I capelli cominciavano a velarmi la fronte

ogliendo fiori, mi divertivo davanti alla porta
C Tu salivi su un cavallo di bambù e venivi

verdi... Quando compii quattordici anni, divenni la
Attorno al pozzo, a giocare con delle prugne tua sposa Senza mai sorriderti, imbarazzata e timida

mi chiamavi cento volte, ma non mi muovevo... Solo
Con gli occhi bassi, cercavo l'ombra vicino al muro Tu a quindici anni diventai donna

ere e cenere..."
Volevo che fossimo uniti come pol v

Dalla fessura tra i battenti della porta, vide l'interno della stanza

arredata con gusto raffinato. Alle pareti, dei pesci dipinti giocavano tra le
alghe. Sul soffitto, un affresco rappresentava un profondo stagno e i suoi

, sotto le cortine di mussolina blu notte e verde turchese.
abitanti acquatici. Una donna era seduta sul bordo di un letto a baldacchin

o

Tenendo in mano uno specchio, si contemplava.
– Entrate, Zhong He.
Quella dolce voce fece trasalire il ragazzo. – Entrate, amico mio.

Voi cercate la bellezza. È qui.
Zhong He spinse la porta.
Avvicinandosi, gli sembrò di riconoscere l'amica d'infanzia.
– Sedetevi – gli disse lei. – Tenete, guardate dentro lo specchio.
Zhong Hé scorse il viso rotondo della sua ospite.

– Laggiù, nell'altro mondo, io sono Ling Long – gli disse. – In questo, non

sono Ling Long. Capite il perché?
Con un nodo alla gola, Zhong He scosse la testa.

– Perché la Bellezza comincia dove finisce. Circola tra i due mondi come un
vento eterno. Quando qui scende il crepuscolo, laggiù si leva l'aurora. La

. Quando qui avete rifiutato, là avete posseduto. Qui, il vostro amore crudel
nostra luna contempla il loro sole, la nostra sofferenza fa la loro felicit àe ha

orire una donna, laggiù è lei che, indifferente, vi tormenta.
fatto m
Inquieto, Zhong He si guardò nello specchio.

– Non troverete ispirazione duratura finché non farete a pezzi la vostra

anima. Ubriacarsi è inutile.
Sorrise maliziosa:

– I segni s'intrecciano e tendono la rete che separa i due mondi. L'avete

capito, questo? Ne avete già attraversato le maglie per tornare indietro?

Sudori freddi coprirono la fronte del calligrafo. Lei li asciugò con un

fazzoletto profumato e gli prese la mano destra.

– Che queste dita forti, che questo polso possente, possano scrivere sul mio

corpo un incantesimo d'amore.

Trasse a sé Zhong He.

Al primo canto del gallo, la giovane donna svegliò il calligrafo e lo

ricondusse alla porta. Quella notte tornò e così fece le sere successive.

L'estate fuggì tra gli alberi e l'autunno venne a dipingere le colline di rosso,

i canali di verde.

Zhong He non aveva scritto una sola volta. Quel silenzio del gesto, invece di
angosciarlo come al solito, gli dava una felicità perfetta. Aveva trovato nel

che gli permetteva di
corpo di quella donna che non era Ling Long, un cordone ombelicale invisibile

scivolare nel ventre del mondo.

Laggiù, come sul fondo di uno stagno, ombre grigie, tratti neri, fusione di
colori, scintillii di luci, silenzio, rumore, gioia e collera, tutto era
movimento:

fiorire, appassire, accendersi, spegnersi, nascere, morire.

Una sera, andando da lei, la scala che aveva appoggiato al muro si ruppe.

Cadde sulla nuca. Si risvegliò nel suo letto e vide la madre al suo capezzale.

Gli dissero allora che dalla caduta a cavallo di tre mesi prima, era immerso

in un sonno profondo. Nessun medico era riuscito a risvegliarlo.

Disperati, i suoi genitori avevano preparato i funerali.

Non appena Zhong He riuscì a camminare, penetrò nella casa vicina dove vide

soltanto rovine abitate da tassi e volpi, sentieri invasi di rovi e cespugli.

Non c'erano né sentieri a mosaico, né stagno, né camera dipinta.

Zhong He si rimise al lavoro. Cercò invano i toni sottili dei grigi e dei

neri che aveva contemplato in sogno. Smise di bere. Con una stretta al cuore,
guardava le nuvole fuggire nel cielo. La calligrafia è muta. Solo la natura,

conia.
nella sua lingua incomprensibile, può mormorare il terribile nome della mali

n



Aut-Aut



venerdì 30 marzo 2012

Gustav Birth. Ogni persona che incontri sta lottando con i propri problemi. Sii gentile con lei.

Il Giardino degli Illuminati

Ogni persona che incontri sta lottando con i propri problemi. Sii gentile con lei. Non potrai risolverli al suo posto ma la tua gentilezza forse la incoraggerà a non rinunciare. La tua gentilezza può essere il miracolo che stava aspettando. Spesso, senza saperlo, facciamo veri miracoli
Gustav Birth



 Provare per credere: dire una parola gentile all'impiegata/o postale o comunale allo sportello e vedere accendersi un barlume di umanità nei suoi occhi spenti dalla routine o dallo stress.


Mihaela Ciolan
regala almeno un sorriso, un abbraccio,o una parola buona ...




Dipinto: (George Goodwin Kilburne)



Davide Capelli. Di persone false è pieno il mondo.Purtroppo, spesso, te le trovi accanto e le devi smascherare soffrendo.

Di persone false è pieno il mondo. Purtroppo, spesso, te le trovi accanto e le devi smascherare soffrendo.
Davide Capelli

Il peggior crimine è la stupidità. Gli stupidi uccidono tutto ciò che non capiscono.
Davide Capelli

Il mio sogno non è passare alla storia come un grande condottiero che ha sterminato i nemici.
Il mio sogno è passare alla storia come un piccolo uomo che ha camminato in punta di piedi per non calpestare le formiche.
Davide Capelli


Siamo tutti burattini appesi a un filo. Mentre bevi un bicchiere d'acqua a migliaia di chilometri di distanza qualcuno muore di sete. Mentre lavori tranquillamente in ufficio qualcuno muore per strada. Mentre fai l'amore qualcuno muore in guerra. È vita e morte in ogni istante, tutti appesi a un filo. Se devi fare qualcosa fallo ora, se devi amare qualcuno fallo ora. Non puoi sapere quanto reggerà il filo. Davide Capelli 






che bella frase..però è difficile capire se faccia più male l'ipocrisia mielosa o la sincerità tagliente...





a volte si è falsi con stessi, si capisce che l'altra persona è falsa ma facciamo finta di niente e poi quando scopriamo rimaniamo indignati e sorpresi , ma anche questa è un altra menzogna a noi stessi










Fernando Pessoa. Il valore delle cose non sta nel tempo in cui esse durano, ma nell’intensità con cui vengono vissute, per questo esistono momenti indimenticabili, cose inspiegabili e persone incomparabili

«Un giorno in cui avevo definitivamente rinunciato — era l'8 marzo 1914 — mi sono avvicinato da un alto comò e, prendendo un foglio di carta, mi sono messo a scrivere, all'impiedi, come faccio ogni volta che posso. E ho scritto circa trenta poesie di seguito, in una specie di estasi di cui non riesco a capire il senso. Fu il giorno trionfale della mia vita e non potrò mai averne un altro come quello. Cominciai con un titolo: O Guardador de Rebanhos (Il Guardiano di greggi). E quello che seguì fu la nascita in me di qualcuno a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Scusate l'assurdità di questa frase: il mio maestro era sorto in me».
Lettera a Adolfo Casais Monteiro del 13 gennaio 1935 sulla nascita degli eteronomi


«Passo ora a rispondere alla sua domanda sulla genesi dei miei eteronimi. Vediamo se riesco a risponderle in maniera completa.
Comincio dalla parte psichiatrica. L'origine dei miei eteronimi è il profondo tratto di isteria che c'è in me. Non so se sono semplicemente isterico o se non sono, più propriamente, isterico-nevrastenico. Propendo per questa seconda ipotesi perché si dànno in me fenomeni di abulia che l'isteria propriamente detta non annovera tra i suoi sintomi. Sia come sia, l'origine mentale dei miei eteronimi risiede nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente per me e per gli altri, si sono mentalizzati in me, voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica esteriore e di contatto con gli altri. Esplodono verso l'interno, e io li vivo nella mia solitudine. Se io fossi una donna - nella donna i fenomeni isterici si manifestano in attacchi e cose simili-, ogni poesia di Álvaro de Campos (la parte più istericamente isterica di me) sarebbe un allarme per il vicinato. Ma io sono un uomo, e negli uomini l'isteria assume principalmente aspetti mentali; così tutto finisce nel silenzio e nella poesia...Questo spiega, tant bien que mal, l'origine organico del mio eteronimismo»».
Fernando Pessoa

“Io vedo davanti a me, nello spazio incolore più reale del sogno, i volti, i gesti di Caeiro, di Ricardo Reis e di Àlvaro de Campos. Ho costruito le loro età e le loro vite. […] Come scrivo in nome di questi tre? …Caeiro per pura ed insperata ispirazione, senza sapere o per lo meno indovinare che cosa andrei a scrivere.
Ricardo Reis, dopo una deliberazione astratta, che improvvisamente si concreta in un’ode. Campos, quando sento un subitaneo impulso a scrivere e non so che cosa. Il mio semieteronimo Bernardo Soares, […], compare sempre quando sono stanco o sonnolento, di modo che abbia un poco sospese le qualità di raziocinio e di inibizione; quella prosa è un costante vaneggiamento. È un semieteronimo, perché, non essendo la sua personalità la mia, è, non differente dalla mia, ma una semplice mutilazione di essa. Sono io meno il raziocinio e l’affettività.”
Fernando Pessoa

PESSOA E IL FANTASMA DELL’ALTRO CHE CATTURO’ TABUCCHI

Nerval, Holderin, Rimbaud, Conrad, Pirandello, hanno tutti svelato il “doppio” che è in noi.

CREDO che l’universalità di Pessoa non risieda soltanto nei contenuti della sua opera, nell’insieme delle categorie che costellano i suoi testi (la caducità dell’esistenza, la nostalgia, il senso di mistero dell’essere al mondo), ma anche nel modo scelto per trasmettere questo messaggio, nella forma in cui è organizzato: in ciò che lui stesso ha definito eteronimia. Che non è un semplice modello formale, ma un vero e proprio concetto di sostanza.
Ma che cos’è l’eteronimia, questa invenzione che Pessoa «concretizza » in testo letterario l’8 marzo del 1914? Prima di affrontare questo problema, è necessario parlare di un grande fantasma, di una presenza inquietante che si aggira nella letteratura occidentale dal Romanticismo in poi. Un fantasma chiamato l’Altro che da allora alimenta le ossessioni dei più grandi scrittori europei.

C’è un Altro nelle “rêveries” e nei notturni di Nerval, nella follia dionisiaca di Hölderlin, nel fantastico di Achim von Arnim, e negli abissi misteriosi di Hoffmann. E cosa indica l’ombra perduta di Peter Schlemihl di Adalbert von Chamisso, se non il doppio, se non l’Altro, la parte più segreta, più nascosta e misteriosa che è in noi? E cosa significa la frase «JE est un autre» che Rimbaud scrive nella lettera a Paul Demeny del 1871? Quando fu scritta, forse era solo un sospetto, una sorprendente illuminazione di questo genio folgorante, un indizio che l’epoca non poteva ancora decifrare e approfondire.
Solo all’inizio del Novecento, il problema dell’Altro entra prepotentemente sulla scena della cultura europea. Chi per primo affronta la questione dell’alterità è uno scrittore alloglotta, un uomo dell’Europa Centrale che insieme al suo paese di origine ha abbandonato la lingua materna e ha scelto di esprimersi in quella del paese adottivo: il conte Józef Teodor Konrad Korzeniowski, alias Joseph Conrad. In The Secret Sharer ( Il compagno segreto ) del 1912, Conrad racconta di un giovane capitano che, nella cabina di una nave che attraversa l’oceano, offre ospitalità a un uomo misterioso venuto dal nulla, e che al nulla farà ritorno. Un passeggero clandestino che possiamo leggere come una proiezione del capitano che lo ospita, un alterego di quell’Ego che una nuova “scienza umana”, la psicoanalisi, stava allora teorizzando.

Negli anni Venti, si assiste a una vera e propria celebrazione di questa “alterità”:
compaiono, per citare gli esempi più importanti, le maschere di Antonio Machado e i personaggi di Luigi Pirandello. Tuttavia, qualche anno prima, l’8 marzo del 1914, lontano dai clamori dei salotti letterari di Parigi o di Londra, in una modesta stanza della Baixa, a Lisbona, Fernando Pessoa ha già realizzato, in maniera ben più radicale e intrigante, e soprattutto affascinante, la sua eteronimiaMa cos’è dunque l’eteronimia? In cosa consiste questo modo geniale di mettere in letteratura il problema della polifonia dell’animo umano?
Sentiamo cosa dice Pessoa:
«Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti. (Non so, beninteso, se realmente non siano esistiti o se sono io che non esisto. In queste cose, come del resto in ogni cosa, non dobbiamo essere dogmatici). Fin da quando mi conosco come colui che definisco “io”, mi ricordo di avere disegnato mentalmente, nell’aspetto, movimenti, carattere e storia, varie figure irreali che erano per me tanto visibili e mie come le cose di ciò che chiamiamo, magari abusivamente, la vita reale. Questa tendenza, che ho fin da quando mi ricordo di essere un “io”, mi ha accompagnato sempre, variando lievemente l’adagio musicale con cui mi affascina, ma non alterando mai la sua carica di fascinazione. Ricordo, così, quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere sue a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia. Mi ricordo, con meno nitidezza, di un’altra figura di cui non mi sovviene più il nome, ma certamente anch’esso straniero, che era, non saprei in che cosa, un rivale del Chevalier de Pas... Cose che capitano a tutti i bambini? Senza dubbio; o forse. Ma a tal punto io le vissi che le vivo ancora, perché me le ricordo talmente bene che devo fare uno sforzo per rendermi conto che non furono realtà».
Questa confessione in forma di spiegazione risale al 13gennaio del 1935, e appartiene alla celebre lettera sulla genesi dell’eteronimia, nella quale Pessoa rispondeva all’intervista del critico amico Adolfo Casais Monteiro. Si tratta di una poetica elaborata a posteriori, come del resto tutte le poetiche, e soggetta a una messa a punto che, anche se inconsapevole, prevede un certo margine di falsificazione. Una poetica, in ogni caso, “autentica”, perché non sembra differire sostanzialmente dalle note sull’argomento che Pessoa, nel corso della sua vita, ha affidato ai propri diari.
1-998 © Antonio Tabucchi.

Tutti i diritti riservati 1-998 © Editions du Seuil All rights reserved 2-015 © Sellerio editore
Rimbaud, Conrad, Chamisso, Pirandello hanno tutti svelato il “doppio” che è in noi

IL LIBRO
L’automobile, la nostalgia e l’infinito (Sellerio, pagg. 107, euro 12) di Antonio Tabucchi




Per essere grande, sii intero: non esagerare e non escludere niente di te. Sii tutto in ogni cosa.  Metti tanto quanto sei, nel minimo che fai, come la Luna in ogni lago tutta risplende, perché in Alto vive.
Fernando Pessoa


Chi è io? Cos’è questo intervallo tra me e me?
Fernando Pessoa


Sono, in gran parte, la prosa stessa che scrivo.
Mi snodo in periodi e paragrafi, mi trasformo in punteggiatura e, nella sfrenata disposizione delle immagini, come i bambini mi maschero da re con carta di giornale; oppure, ritmando una successione di parole, mi acconcio come i pazzi con fiori secchi che sono freschi solo nei miei sogni.
Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa


C’è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo, e dimenticare il solito cammino, che sempre ci porta negli stessi luoghi. È l’ora del passaggio: e se noi non osiamo farlo, resteremo sempre lontani da noi stessi.
Fernando Pessoa


Non so chi sono, che anima ho. Quando parlo con sincerità non so con quale sincerità parlo.
Sono variamente altro da un io che non so se esiste (o se è quegli altri). Sento fedi che non ho.
Mi prendono ansie che ripudio. La mia perpetua attenzione su di me perpetuamente mi indica tradimenti d’anima di un carattere che forse non ho, e che neppure essa crede che io abbia. Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in falsi riflessi un’unica anteriore realtà che non è nessuno ed è in tutti. Come il panteista si sente albero e addirittura fiore, io mi sento vari esseri. Mi sento vivere vite altrui, in me, incompletamente, come se il mio essere partecipasse di tutti gli uomini, incompletamente… in una somma di non-io sintetizzati in un io posticcio.
Fernando Pessoa


Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo, e non sono io. Per creare mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi.
Fernando Pessoa


Mi sono moltiplicato per sentirmi,
per sentirmi ho dovuto sentir tutto,
sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi,
mi sono spogliato, mi sono dato,
e in ogni angolo della mia anima c'è un altare a un dio differente.
Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, da "Passaggio delle ore- Ode sensazionista"


Se non superiamo l'ansia dell'amore senza limiti, non potremo crescere emozionalmente.
Se non attraversiamo il dolore della nostra propria solitudine, continueremo a cercarci in altre metà.
Per vivere a due, prima, é necessario essere uno
Fernando Pessoa


Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.
1° aprile 1932
Fernando Pessoa



Segui la tua sorte…
annaffia le tue piante,
ama le tue rose.

Il resto è l’ombra
d’alberi stranieri.

La realtà
è sempre di più o di meno
di quello che vogliamo.

Solo noi siamo sempre
uguali a noi stessi.

Dolce è vivere solo.
Grande e nobile è sempre
vivere con semplicità.

Lascia il dolore sulle are
come offerta agli dei.

Guarda la vita da lontano,
e non interrogarla mai.

Nulla essa può
dirti. La risposta
è al di là degli dei.

Ma serenamente
imita l’Olimpo
nel segreto del tuo cuore.

Gli dei sono dei
perché non si pensano.
Fernando Pessoa, Segui la tua sorte


«D'improvviso come se un destino chirurgo mi avesse operato di una vecchia cecità con immediati grandi risultati, sollevo il capo, della mia anonima vita, verso la conoscenza nitida di come esisto. E vedo che tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che ho pensato, tutto ciò che sono stato, è una specie di inganno e di follia. Mi meraviglio di non essere riuscito a vederlo. Mi stupisco di quello che sono stato, vedendo che alla fine non sono».
Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine”


Sento tenerezza, tenerezza fino alle lacrime, per i miei libri di altri nei quali faccio i conti, per il calamaio vecchio, per le spalle curve di Sergio che poco più in là prepara bollette d'accompagnamento. Sento affetto per tutto questo, forse perché non ho più niente da amare: o forse anche perché niente merita l'amore di un'anima; e se dobbiamo dare amore per sentimentalismo, è indifferente se lo riserviamo alle piccole sembianze del calamaio o alla grande indifferenza delle stelle.
Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine"
Traduzione di Antonio Tabucchi


Una delle mie preoccupazioni costanti è capire com'è che esista altra gente, com'è che esistano anime che non sono la mia anima, coscienze estranee alla mia coscienza; la quale, proprio perché è coscienza, mi sembra essere l'unica possibile. Capisco che colui che sta di fronte a me e che mi parla con parole uguali alle mie, o fa dei gesti analoghi a quelli che io faccio o potrei fare, sia in qualche modo un mio simile. Eppure mi succede la stessa cosa con le figure delle illustrazioni che sogno, con i personaggi di romanzo che leggo, con le persone da dramma che si avvicendano sul palcoscenico attraverso gli attori che le interpretano.
Credo che nessuno ammetta davvero la reale esistenza di un'altra persona. Può ammettere che tale persona sia viva, che pensi e senta come lui: eppure ci sarà sempre un ineffabile elemento di differenza, uno scarto materializzato.
Ci sono figure di altri tempi, immagini-fantasmi di libri che sono per noi realtà maggiori di certe insignificanze incarnate che parlano con noi dal terrazzo o che ci guardano casualmente sul tram, o che ci sfiorano passando nel caso morto delle strade. Gli altri non sono per noi altro che paesaggio e, quasi sempre, il paesaggio invisibile di una strada nota.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Questo culto dell’Umanità, con i suoi riti di Libertà e di Uguaglianza, mi è sempre parso una reviviscenza di culti antichi, in cui degli animali erano come dèi, o degli dèi avevano teste di animali.
Così, non sapendo credere in Dio, e non potendo credere in una somma di animali, sono rimasto, come altri a margine delle genti, in quella distanza da tutto ciò che comunemente è chiamato Decadenza. La Decadenza è la perdita totale dell’incoscienza; perché l’incoscienza è il fondamento della vita. Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.
In tal modo, a chi, come me, che vivendo non sa vivere, cosa resta se non, come ai pochi altri simili a me, la rinuncia per metodo e la contemplazione per fine?
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Avanzo lentamente, defunto, e la mia visione non è più mia, non è più niente: è quella dell'animale umano che ha ereditato senza volere la cultura greca, l'ordine romano, la cultura cristiana e tutte le altre illusioni che formano la civiltà all'interno della quale io percepisco. Dove saranno i vivi?"
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine




Si ritorna stanchi da un sogno come da un lavoro reale.
Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto.
Fernando Pessoa


In questo momento i miei sensi si assopiscono e tutto mi sembra un'altra cosa: le mie sensazioni sono un errore confuso e lucido, apro le ali ma non mi muovo, come un condor ipotetico
Fernando Pessoa


Il valore delle cose non sta nel tempo in cui esse durano, ma nell’intensità con cui vengono vissute, per questo esistono momenti indimenticabili, cose inspiegabili e persone incomparabili
Fernando Pessoa


I sentimenti più dolorosi, le emozioni più pungenti,
sono quelli più assurdi: l'ansia di cose impossibili,
proprio perché sono impossibili,
la nostalgia di ciò che non c'è mai stato,
il desiderio di ciò che potrebbe essere stato,
la pena di non essere un altro,
l'insoddisfazione per l'esistenza del mondo
Fernando Pessoa

·

Compresi con violenza il potere che ha su di noi di noi, se qualcuno lo sa stimolare, il senso di colpa.
Fernando Pessoa, Il furto nella villa delle vigne



Io non mi lamento del mondo.
Non protesto in nome dell’universo.
Non sono pessimista. Soffro e mi lamento,
ma non so se quello che esiste in generale sia dolore e non so neanche se sia umano soffrire.
Che mi importa sapere se è giusto o no? Io soffro.
Non so se  meritatamente. Io non sono pessimista, sono triste


L'uomo non sa di più degli altri animali; ne sa di meno.
Loro sanno quel che devono sapere. Noi, no
Fernando Pessoa


Il vero male, il solo male, sono le convenzioni e le finzioni sociali, che si sovrappongono alla realtà naturale: tutto, dalla famiglia, al denaro, dalla religione allo stato. La gente nasce uomo o donna, voglio dire, nasce per essere, nell'età adulta, uomo o donna; non nasce, in un giusto stato di natura, né per essere marito, né per essere ricco o povero, come non nasce nemmeno per essere cattolico o protestante, portoghese o inglese. [...] 
Fernando Pessoa, Il banchiere anarchico


"Ho cercato di considerare quale fosse la prima, la piú importante delle finzioni sociali. Questa, prima di qualunque altra, dovevo cercare di soggiogare, di ridurre alla inazione. La piú importante, perlomeno nella nostra epoca, é il denaro. Come soggiogare il denaro o, piú precisamente, la forza e la tirannia del denaro? Liberandomi dalla sua influenza, dalla sua forza, rendendomi superiore, quindi alla sua influenza, neutralizzando la sua azione su di me."
Fernando Pessoa,  Il banchiere anarchico


Aiutare qualcuno, amico mio, vuol dire prendere qualcuno per incapacese questo qualcuno non è incapace, significa farlo tale, supporlo tale; e cioè, nel primo caso, tirannia, nel secondo disprezzo. In un caso si distrugge la libertà altrui; nell’altro si parte, perlomeno inconsciamente, dal principio che gli altri sono spregevoli e indegni o incapaci di libertà.
Fernando Pessoa,  Il banchiere anarchico


Quella combriccola era nata per essere schiava.
Volevano essere anarchici sulle spalle degli altri
Volevano la libertà a patto che fossero gli altri a conquistargliela
a patto che fosse data loro così come da un re viene conferita una onorificenza.
Quasi tutti loro sono così, quei grandi lacchè!'
Fernando Pessoa,  Il banchiere anarchico


Se un uomo é nato per essere schiavo,
la libertà, essendo contraria alla sua indole,
sarà per lui una tirannia.
Fernando Pessoa,  Il banchiere anarchico


"Che cosa vuole l'anarchico?
La libertà: la libertà per sé e per gli altri, per tutta l'umanità.
Vuole essere libero dalla influenza è dalla pressione delle finzioni sociali.
Vuole essere libero come quando é nato ed é comparso nel mondo.
Fernando Pessoa,  Il banchiere anarchico



E’ così difficile descrivere ciò che si sente quando si sente che si esiste veramente,
e che l’anima è un’entità reale, che non so quali sono le parole umane con cui si possa definirlo.
Fernando Pessoa, da “Il poeta è un fingitore"


Cerco, e non trovo. Voglio e non posso.
Ho un’indigestione dell’anima.
Fernando Pessoa


L’acutezza delle mie sensazioni arriva ad essere una malattia che mi è estranea.
Ne soffre qualcun altro di cui io sono la parte malata, perché in realtà il mio sentire dipende da una maggior capacità di sentire. Sono come un tessuto speciale, o addirittura una cellula su cui ricada tutta la responsabilità di un organismo.
Fernando Pessoa


Tante volte, tante, come adesso, mi è pesato sentire che sento – sentire come angoscia solo per il fatto di sentire, l’inquietudine di stare qui, la nostalgia di un’altra cosa che non si è conosciuta, il tramonto di ogni emozione, ingiallirmi spento in grigia tristezza nella mia coscienza esteriore di me stesso.
Fernando Pessoa


Sono un bevitore dei miei pensieri,
l’essenza dei miei sentimenti inonda la mia anima…
La mia volontà vi si impregna.
Poi la vita ferma un sogno
e fa sfiorire la bellezza nel dolore dei miei versi.
Fernando Pessoa


Stanca Essere
Stanca essere, sentire duole, 
pensare distrugge.
Estranea a noi e fuori,
frana l'ora e tutto in essa frana.
Inutilmente l'anima piange.
A cosa serve? E cosa deve servire?
Abbozzo pallido e lieve
del sole invernale che ride sul mio letto…
Vago sussurro breve.
Delle piccole voci con cui il mattino
si desta,della futile promessa
del giorno,morta sul nascere,
nella speranza assurda e remota
nella quale l'anima confida.
Fernando Pessoa



Dare ad ogni emozione una personalità, ad ogni stato d’animo un’anima
Fernando Pessoa



Vivere è non pensare.
Fernando Pessoa


A forza di pensarmi, io ormai sono i miei pensieri, ma non io.
Mi sono sondato e ho fatto cadere la sonda:
vivo pensando se sono profondo o no,
adesso senza nessuna altra sonda che lo sguardo che mi mostra,
nitido e scuro nello specchio del pozzo profondo,
il mio stesso volto che mi contempla mentre lo contemplo.
Fernando Pessoa



Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze.
Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell'emozione.
È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima.
Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore



Il mondo è di chi non sente.
La condizione essenziale per essere un uomo pratico è la mancanza di sensibilità.
Fernando Pessoa

Come ogni individuo di grande agilità mentale,
provo un amore organico e fatale per la fissità.
Detesto la vita nuova e i luoghi sconosciuti.


L’anima è divina e l’opera imperfetta.
Questa colonna indica al vento e ai cieli che,
dell’opera osata, mia è la parte compiuta:
 il resto è di Dio.
Fernando Pessoa


Cosa significa che ci sia l'esserci?
Perchè ciò che è
è ciò che è?
Com'è che il mondo è il mondo?
Ah, l'orrore di pensare, come un'improvviso
non sapere dove sono.
Fernando Pessoa, Faust


Dio mi ha creato per essere bambino, e mi ha mantenuto sempre bambino.
Perchè mai ha permesso che la Vita mi picchiasse e mi rubasse i giocattoli, e mi lasciasse solo durante la ricreazione, a spiegazzare con mani così deboli il mio grembiule azzurro sporche di lunghe lacrime?
Fernando Pessoa

Non basta aprire la finestra
per vedere la campagna e il fiume.
Non basta non essere ciechi
per vedere gli alberi e i fiori.
Bisogna anche non aver nessuna filosofia.
Con la filosofia non vi sono alberi:
vi sono solo idee.
Vi è soltanto ognuno di noi,
simile ad una spelonca.
C’è solo una finestra chiusa
e tutto il mondo fuori;
e un sogno di ciò che potrebbe esser visto
se la finestra si aprisse,
che mai è quello che si vede
quando la finestra si apre.
Fernando Pessoa



È in noi che i paesaggi hanno paesaggio.
 Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo.
 La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori.
 Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo
Fernando Pessoa


La mia anima è una misteriosa orchestra;
non so quali strumenti suoni e strida dentro di me:
corde e arpe, timpani e tamburi.
Mi conosco come una sinfonia.
Fernando Pessoa


Se non attraversiamo il dolore della nostra propria solitudine,
continueremo a cercarci in altre metà.
Per vivere a due, prima, è necessario essere uno.
Fernando Pessoa




E' questo è il nostro essere..........
Diventa patologia quando vengono superati i limiti ed inizia il dolore mentale
Si determinano quindi stati di alterazione di identità


Ormai sono tranquillo.
Ormai più niente spero.
Ormai sul mio vuoto cuore è scesa l'incoscienza benedetta di neppur voler un'illusione
Fernando Pessoa



senza illusioni...cosa siamo?


Mi sento multiplo. Sono come una Stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un'unica anteriore realtà che non è in nessuno ed e in tutti
Fernando Pessoa. Poesie esoteriche. a cura di Francesco Zambón. TEA, Milano 2002, p. 7

L'uomo è diverso dall'animale solo perché non sa esserne uno preciso.
Fernando Pessoa

La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo.
Fernando Pessoa, caro Millenovecento...


Il cielo è blu, e gaia l'erba verde. I miei occhi tristi blandiscono l'estraneo scenario. Oh, potesse il mio cuore prendervi parte e non sentire la dolorosa sensazione della vita che fugge! Non ho dimora, né ore che mi preservino dal dolore. Dolci brezze, accorrete alla mia mente! Grande fiume, così calmo e vero, insegnami ad andare incontro alla vita come te! Io non ho tregue, i miei fiori sono appassiti. Cos'era quel cercare che la mia volontà ha eluso? Non m'importa neppure ciò che desidero. Il mio cuore è ricco e il mio amore povero. Oh, giorno dorato, penetra in me e irradia la mia anima con la gioiosa luce del sole! Lascia che io sia soltanto una finestra attraverso cui tu passi con un chiaro, tiepido non-dolore. Svengo e tremo nel sentire avvicinarsi la vita. O fiume che scorri, dov'è la mia casa? O liete ore che i prati consumano, fresche piogge estive! O mia disperazione! O felici orizzonti! O allegre colline! Quale dolore imprigionano i miei struggenti desideri? Cosa c'è tra me e me stesso? Che cosa avrebbe dovuto essere perché così non fosse? La mia vita non-dolore sarà che una spiaggia solitaria colpita dal mare! Quale fato, quale potere dell'oscura disperazione fa sentire ogni ora allegra come se non lo fosse? Oh, per un po' di riposo! Dammi una dimora, una speranza, un nido per non smarrirmi! In qualche luogo nella vita deve pur esserci qualcosa che non sia lotta ad aspettarmi. Guidami fin lì, o giorno felice! Lascia che il mio cuore sopporti la tua dipartita! Sveglia in me le speranze almeno, anche se false. Il mio spirito cerca a tentoni le mura di una prigione. Lieve mormorio di ruscelli, dolce sposa dell'estate – perché ho fatto di sogni la mia unica vita? 
Fernando Pessoa. "Momenti di un'Estate I" (Da: 'Il Violinista Pazzo')

Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno
È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. 
Questo discorso vale per tutta la gamma dell'amore. 
Fernando Pessoa


Aggiustiamo il passato come si aggiusta un vestito.
Nell’inquietudine che la quiete deve portare nelle nostre vite quando tutto ciò che facciamo è pensare a ciò che eravamo, e fuori c’è solo la notte.
Fernando Pessoa


Ogni volto, anche se è quello di chi abbiamo visto ieri, oggi è un altro, poiché oggi non è ieri
Fernando Pessoa


Saggio è colui che si contenta dello spettacolo del mondo
Fernando Pessoa


L’incoscienza è il fondamento della vita.
Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.
Fernando Pessoa


Cosí come laviamo il nostro corpo dovremmo lavare il destino, cambiare vita come cambiamo biancheria: non per provvedere al sostentamento della nostra vita, come col cibo e col sonno, ma per quell’estraneo rispetto per noi stessi che giustamente si chiama pulizia.
Fernando Pessoa


Essere altro costantemente perché l’anima non abbia radici!
Andare avanti, inseguire l’assenza di avere un fine e dell’ansia di raggiungerlo
Fernando Pessoa



Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino, della caduta, un passo di danza, della paura, una scala, del sogno, un ponte, del bisogno, un incontro. 
Fernando Pessoa



Leggo perché la vita non mi basta.
Fernando Pessoa


Sia come si vuole, era meglio non essere nato, perché, per quanto interessante in ogni momento, la vita finisce per dolere, nauseare, tagliare, radere, stridere, a dar voglia di urlare, saltare, restare per terra, uscire fuori da tutte le case, da tutte le logiche e da tutte le pensiline, e andare a essere selvaggi verso la morte fra alberi e oblii, fra cadute, e pericoli, e assenza del domani, e tutto ciò dovrebbe essere un’altra cosa, più vicina a ciò che penso, a ciò che penso o sento, che non so nemmeno cosa sia, oh vita. 
Fernando Pessoa


La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo non è ciò vediamo, ma ciò che siamo
Fernando Pessoa



Io vedo davanti a me, nello spazio incolore più reale del sogno, i volti, i gesti di Caeiro, di Ricardo Reis e di Àlvaro de Campos. Ho costruito le loro età e le loro vite. […] Come scrivo in nome di questi tre? …
Caeiro per pura ed insperata ispirazione, senza sapere o per lo meno indovinare che cosa andrei a scrivere.
Ricardo Reis, dopo una deliberazione astratta, che improvvisamente si concreta in un’ode. Campos, quando sento un subitaneo impulso a scrivere e non so che cosa. (Il mio semieteronimo Bernardo Soares, […], compare sempre quando sono stanco o sonnolento, di modo che abbia un poco sospese le qualità di
raziocinio e di inibizione; quella prosa è un costante vaneggiamento. È un semieteronimo, perché, non essendo la sua personalità la mia, è, non differente dalla mia, ma una semplice mutilazione di essa. Sono io meno il raziocinio e l’affettività.
Fernando Pessoa. Poesie


Niente si sa, tutto si immagina.
Circondati di rose, ama, bevi
E taci. Il resto è niente.
Fernando Pessoa, Ricardo Reis


NELLA CASA DI FRONTE A ME E AI MIEI SOGNI
Nella casa di fronte a me e ai miei sogni
che felicità c’è sempre!
Vi abitano persone sconosciute che ho già visto senza vedere.
Sono felici, perché esse non sono io.
I bambini, che giocano sugli alti terrazzi,
vivono tra vasi di fiori,
eternamente, senza dubbio.
Le voci che salgono dall’intimità domestica
cantano sempre, senza dubbio.
Sì, devono cantare.
Quando è festa qua fuori, è festa là dentro.
E così deve essere laddove tutto si adatta:
l’uomo alla Natura, perché la città è Natura.
Che grande felicità non essere io!
Ma anche gli altri non penseranno così?
Quali altri? Non ci sono altri.
Quanto pensano gli altri è una casa con la finestra chiusa,
o se si apre,
è perché i bambini possano giocare sulla veranda inferriata,
tra i vasi di fiori che non ho mai visto quali fossero.
Gli altri non sentono mai.
Chi sente siamo noi,
sì, tutti noi,
perfino io, che ora non sento più nulla.
Nulla? Non so...
Un nulla che fa male...


Ah, tutto è simbolo e analogia!
Il vento che passa, la notte che rinfresca
sono tutt'altro che la notte e il vento:
ombre di vita e di pensiero.
Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa,
è l'eco di un'altra marea che sta
laddove è reale il mondo che esiste.
Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento
sono ombre di mani i cui gesti sono
l'illusione madre di questa illusione.
Tutto trascende tutto
ed è più e meno reale di quello che è.
Fernando Pessoa. Faust


Avendo visto con quale lucidità e coerenza logica certi pazzi giustificano a sé stessi e agli altri, le loro idee deliranti, ho perduto per sempre la sicura certezza della lucidità della mia lucidità.
Pessoa


Felice è colui che dalla vita non esige più di quello che essa spontaneamente gli offre, facendosi guidare dall’istinto dei gatti, che cercano il sole quando c’è il sole e quando non c’è il sole, il caldo, dovunque esso sia.
Fernando Pessoa


Ho posato la maschera e mi sono visto allo specchio
Ero un bambino di tanti anni fa
Non ero cambiato per niente.
E’ questo il vantaggio di sapersi togliere la maschera.
Si è sempre il bambino,
il passato che resta,
il bambino.
Ho posato la maschera, e me la sono rimessa.
Così è meglio.
Così sono la maschera
E ritorno alla normalità come a un capolinea.
Fernando Pessoa


Datemi il cielo azzurro e il sole ben visibile.
Nebbia, piogge, buio, sono già dentro di me.
Oggi voglio soltanto quiete
Fernando Pessoa



La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
Fernando Pessoa

Sono un pozzo di gesti che neppure in me si sono del tutto abbozzati:
di parole che neppure ho pensato che facessero muovere le mie labbra;
di sogni che mi sono dimenticato di sognare fino alla fine.
Fernando Pessoa

Tutto quello che accade dove viviamo, accade dentro di noi.
Tutto ciò che cessa in quello che vediamo, cessa dentro di noi.
Tutto ciò che è stato, se lo abbiamo visto quando c’era, quando è partito è stato sottratto a noi.
Fernando Pessoa

All’improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta..
Ho capito con una illuminazione segreta di non essere nessuno..
Nessuno, assolutamente nessuno !!
Fernando Pessoa


Sono un guardiano di greggi.
Il gregge è i miei pensieri.
E i miei pensieri sono tutti sensazioni.
Penso con gli occhi e con gli orecchi
e con le mani e i piedi
e con il naso e la bocca.
Pensare un fiore è vederlo e odorarlo
e mangiare un frutto è saperne il senso.
Perciò quando in un giorno di calura
sento la tristezza di goderlo tanto,
e mi corico tra l'erba
chiudendo gli occhi accaldati,
sento tutto il mio corpo immerso nella realtà,
so la verità e sono felice.
Alberto Caeiro, Il Guardiano di greggi


Questo culto dell’Umanità, con i suoi riti di Libertà e di Uguaglianza, mi è sempre parso una reviviscenza di culti antichi, in cui degli animali erano come dèi, o degli dèi avevano teste di animali.
Così, non sapendo credere in Dio, e non potendo credere in una somma di animali, sono rimasto, come altri a margine delle genti, in quella distanza da tutto ciò che comunemente è chiamato Decadenza. La Decadenza è la perdita totale dell’incoscienza; perché l’incoscienza è il fondamento della vita. Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.
In tal modo, a chi, come me, che vivendo non sa vivere, cosa resta se non, come ai pochi altri simili a me, la rinuncia per metodo e la contemplazione per fine?
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine




Più terribile di un qualsiasi muro, ho messo delle inferriate altissime a delimitare il giardino del mio essere in modo che, vedendo perfettamente gli altri, perfettissimamente io li escludo e li mantengo estranei. Scegliere modi di non agire è stata sempre l'attenzione e lo scrupolo della mia vita.
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine


"Sono una lastra fotografica impressionabile all’infinito.
Ogni dettaglio si stampa mostruosamente dentro di me in un tutto."
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine


[...] Un bel giorno che ignoro mi sono trovato a questo mondo e fino a quel giorno ero vissuto senza accorgermene, evidentemente da quando nacqui. Quando ho chiesto dov'ero tutti mi hanno ingannato e tutti si contraddicevano. Quando ho chiesto di indicarmi quello che dovevo fare, tutti mi hanno parlato falsamente e ognuno mi ha detto una cosa diversa. Quando mi sono fermato per strada perché non sapevo dove andare, tutti si sono stupiti che io non proseguissi verso un dove che nessuno sapeva cosa fosse, o che io non ritornassi indietro: io, che sveglio all'incrocio, non sapevo da dov'ero venuto. Mi sono trovato sul palco senza conoscere la parte che gli altri recitavano senza indugio, anche se non la sapevano a loro volta. Mi sono accorto di essere vestito da paggio, e non mi avevano dato una regina, incolpandomi perché non l'avevo. Mi sono accorto di tenere tra le mani un messaggio a consegnare, e quando ho detto che il foglio era bianco hanno riso di me. E ancora non so se hanno riso perché tutti i fogli sono bianchi perché tutti i messaggi sono presumibili.
Alla fine mi sono seduto sulla pietra di un crocicchio come al focolare che non ebbi. E ho cominciato, fra me e me, a costruire barche di carta con le bugie che mi erano state date. Nessuno ha voluto credere in me, neppure come a un bugiardo, e non avevo un specchio d'acqua nel quale provare la mia verità.
Fernando Pessoa: "Il libro dell'inquietudine


Se un giorno la mia capacità espressiva diventasse così vasta da ospitare tutta l’arte, scriverei un’apoteosi del sonno. Non conosco maggior piacere del sonno, la cancellazione totale della vita e dell’anima, il commiato dall’essere e dagli uomini, la notte senza memoria e senza illusione, la mancanza di passato e di futuro.
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine



“Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. 
È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo.” 
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine




«Fingere è amare […]. Non sfuggiamo, per quanto lo vogliamo, alla fratellanza universale.
Ci amiamo tutti gli uni con gli altri, e la menzogna è il bacio che ci scambiamo»
Fernando Pessoa, Il secondo libro dell’inquietudine


«Nessuno comprende il prossimo. Siamo, come disse il poeta, isole nel mare della vita; scorre fra di noi il mare che ci definisce e ci separa»
Fernando Pessoa, Il secondo libro dell’inquietudine


Una delle grandi tragedie della mia vita (di quelle tragedie, comunque, che avvengono nell'ombra e nel sotterfugio) è di non riuscire a provare sentimenti in modo naturale. Certo sono capace di amare e di odiare come tutti, come tutti sono capace di temere e di entusiasmarmi; ma né il mio amore né il mio odio né il mio temere né il mio entusiasmo sono esattamente quelle stesse cose che sono. Manca loro un qualche elemento o ne hanno qualcuno di troppo. La verità è che esse sono qualcosa d'altro, e ciò che io sento non va d'accordo con la vita.
Negli esseri che vengono definiti calcolatori (e la parola è molto indicativa) i sentimenti risentono della limitazione del calcolo, dell’attenzione egoista, e sembrano altri. Negli esseri propriamente definiti scrupolosi si osserva lo stesso spostamento degli istinti naturali. In me si osserva lo stesso turbamento della certezza del sentimento ma non sono un calcolatore e non sono scrupoloso. Non ho giustificazioni per il mio modo errato di provare sentimenti. Per istinto altero la natura degli istinti. Senza volere, voglio nel modo sbagliato.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


In realtà non possediamo altro che le nostre sensazioni; su di esse, dunque, dobbiamo basare la realtà della nostra vita, piuttosto che su quello che esse vedono [...]
Se scrivo ciò che sento è perchè in tal modo diminuisco la febbre di sentire
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine.


Regola della vita è che possiamo, e dobbiamo, imparare da tutti.
Ci sono cose serie della vita che possiamo apprendere da ciarlatani e banditi, ci sono filosofie che ci sono impartite da stupidi, ci sono lezioni di fermezza e di legge che vengono dal caso e da coloro che il caso ha scelto. Tutto è in tutto.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine



Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un'idea; avere quell'indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell'utilità della sua conoscenza. (...) Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero. (...) No: niente legami, neppure con noi stessi! Liberi da noi stessi e dagli altri, contemplativi privi di estasi, pensatori privi di conclusioni, vivremo, liberi da Dio, il piccolo intervallo che le distrazioni dei carnefici concedono alla nostra estasi da cortile.
Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno. E' un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Questo discorso vale per tutta la gamma dell'amore. Nell'amore sessuale cerchiamo il nostro piacere ottenuto attraverso un corpo estraneo. Nell'amore che non è quello sessuale cerchiamo un nostro piacere ottenuto attraverso un'idea nostra. (...) Perfino l'arte, nella quale si realizza la conoscenza di noi stessi, è una forma di ignoranza. Due persone dicono reciprocamente "ti amo", o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l'attività dell'anima. Oggi sono lucido come se non esistessi. Il mio pensiero è evidente come uno scheletro, senza gli stracci carnali dell'illusione di esprimere. E queste considerazioni non sono nate da niente: o almeno da nessuna cosa per lo meno che sieda nella platea della mia coscienza. (...) Vivere è non pensare.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Nella vita attuale il mondo appartiene solo agli stupidi, agli insensibili e agli agitati.
Il diritto a vivere e trionfare oggi si conquista quasi con gli stessi requisiti
con cui si ottiene il ricovero in manicomio:
l’incapacità di pensare, l’amoralità e l’ipereccitazione.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine



Oggi la mia anima è triste fino al corpo. Tutto me stesso mi duole:
la memoria, gli occhi e le braccia. In tutto ciò che io sono c'è come una specie di reumatismo...
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine


Stanco, chiudo le imposte delle finestre, escludo il mondo e per un momento posseggo la libertà
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine


Nuvole... Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia.
Sono l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono,
fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere,
la media astratta e carnale fra cose che non sono niente,
più il niente di me stesso. Nuvole...
Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine



Vivo sempre nel presente. Non conosco il futuro. Non ho più il passato.
L'uno mi pesa come la possibilità di tutto, l'altro come la realtà di nulla.
Non ho speranze né nostalgie. Conoscendo ciò che è stata la mia vita fino ad oggi
(tante volte e per tanti versi l'opposto di come avrei voluto),
cosa posso presumere della mia vita di domani se non che sarà ciò che non presumo,
ciò che non voglio, ciò che mi succede dal di fuori, perfino attraverso la mia volontà?
Non c'è niente nel mio passato che mi faccia ricordare una cosa con il desiderio inutile di avere di nuovo quella cosa. Non sono mai stato altro che un residuo e un simulacro di me stesso. Il mio passato è ciò che non sono riuscito ad essere. Non ho nostalgia nemmeno delle sensazioni di momenti passati: quello che sentiamo esige il suo momento; quando il momento è passato si volta pagina, la storia continua ma non continua il testo.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Il mio desiderio è fuggire: fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo ..desidero partire verso un luogo qualsiasi che possegga le virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Conta il risultato: ciò che abbiamo sentito e cio che abbiamo vissuto. Si ritorna stanchi da un sogno come da un lavoro reale e non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto. E ho vissuto tanto senza aver vissuto. Ho pensato tanto senza aver pensato.
Fernando Pessoa, Il libro dell'Inquietudine


Ho avuto desideri, ma mi è stata negata la ragione di averli.
Per ogni cosa ho esitazione, spesso senza sapere perché...
Non ho mai avuto l'arte di vivere in maniera attiva.
Ho sempre sbagliato i gesti che nessuno sbaglia.
Ho sempre fatto il possibile per tentare di fare quello che tutti sanno fare.
Voglio sempre ottenere ciò che gli altri riescono a ottenere senza volerlo.
Fra me e la vita ci sono sempre stati dei vetri opachi...
Non ho mai saputo se era eccessiva la mia sensibilità per la mia intelligenza
o la mia intelligenza per la mia sensibilità.
Ho tardato sempre. Non so per quale delle due ho tardato:
forse per entrambe, o per l' una o per l'altra.
O forse la terza ha tardato
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine


Devo scegliere tra cose che detesto: o il sogno, che la mia intelligenza ricusa, o l’azione, che alla mia sensibilità ripugna; l’azione, per la quale non sono nato, o il sogno, per il quale nessuno è nato. Così, siccome detesto entrambi, non scelgo; ma poiché ad un certo momento, devo sognare o agire, mescolo una cosa con l’altra. 
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


La vita è un viaggio sperimentale fatto involontariamente. È un viaggio dello spirito attraverso la materia, e poiché è lo spirito che viaggia, è in esso che noi viviamo. Ci sono perciò anime contemplative che hanno vissuto più intensamente, più largamente, più tumultuosamente di altre che hanno vissuto la vita esterna. Conta il risultato. Ciò che abbiamo sentito è ciò che abbiamo vissuto. Si ritorna stanchi da un sogno come da un lavoro reale. Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto. 
Fernando Pessoa.  Il libro dell'inquietudine



"Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto.
Non sono nessuno, nessuno. Non so sentire, non so pensare, non so volere. Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi. Penso in continuazione, sento in continuazione; ma il mio pensiero è privo di raziocinio, la mia emozione è priva di emozione! Da una botola situata lassù, sto precipitando per lo spazio infinito, in una caduta senza direzione, infinitupla e vuota. La mia anima è un maelstrom nero, una vasta vertigine intorno al vuoto, un movimento di un oceano senza confini intorno ad un buco del nulla, e, nelle acque, che più che acque sono turbini, galleggiano le immagini di ciò che ho visto e scritto nel mondo: vorticano case, volti, libri, casse, echi di musiche e spezzoni di voci in un turbine sinistro e senza fondo. E io, proprio io, sono il centro che esiste soltanto per una geometria dell’abissosono il nulla intorno a cui questo movimento gira, come fine a se stesso, con quel centro che esiste solo perché ogni cerchio deve possedere un centro. Io, proprio io, sono il pozzo senza pareti ma con la resistenza delle pareti, il centro del tutto con il nulla intorno.”
Fernando Pessoa, Il libro del l’inquietudine


Dicono che il tedio sia la malattia degli oziosi, o che contagi soltanto coloro che non hanno nulla da fare. Invece è un malessere dell’anima più subdolo: prende chi ha già una predisposizione ad esso e, più che gli oziosi veri, attacca chi lavora, o chi fa finta di lavorare (che nella fattispecie è la stessa cosa).
Non c’è niente di peggio del contrasto fra il naturale incanto della vita interiore, con le sue Indie incontaminate e i suoi paesi sconosciuti, e la sordidezza, anche quando sordida non è, della quotidianità della vita. Il tedio diventa più pesante senza la scusa dell’ozio. Il peggiore di tutti è il tedio di coloro che si sottopongono a un’intensa occupazione. Perché il tedio non è la malattia della noia di non aver nulla da fare, ma una malattia più grave: sentire che non vale la pena di fare niente. E, quando è così, quanto più c’è da fare, tanto più tedio bisogna sentire.
Quante volte sollevo la testa vuota del mondo intero dal registro su cui sto scrivendo! Sarebbe meglio rimanermene inattivo, senza far nulla e senza aver nulla da fare, almeno potrei gustarmi quel tedio, per quanto reale. Nel mio tedio presente non c’è pace né nobiltà, né il benessere del malessere: c’è soltanto un enorme annichilimento di tutti i gesti compiuti, e non la spossatezza virtuale dei gesti che non compirò.
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine



«Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso. […] Nella vasta colonia del nostro essere c’è una folla di molte specie che pensa e sente in modo diverso. In questo stesso momento in cui scrivo queste poche frasi impressionistiche, durante una sacrosanta sosta del lavoro che oggi è scarso, io sono colui che le scrive attentamente, sono colui che è contento perché in questo momento non deve lavorare, sono colui che sta guardando fuori il cielo, invisibile da qui, sono colui che sta pensando tutto questo, sono colui che sente il suo corpo contento e le sue mani ancora vagamente fredde. E tutto questo mio mondo di persone a se stesse estraneeproietta, come una folla diversa ma compattaun’unica ombra».
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine



Nessuno comprende l’altro. Siamo, come ha detto il poeta, isole nel mare della vita; tra noi si inserisce il mare che ci limita e separa. Per quanto una persona si sforzi di sapere chi sia l’altra persona, non riuscirà a sapere niente se non quello che la parola dice – ombra informe sul suolo della sua possibilità di intendere
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine


Felice è colui che dalla vita non esige più di quello che essa spontaneamente gli offre, facendosi guidare dall’istinto dei gatti, che cercano il sole quando c’è il sole e quando non c’è il sole, il caldo, dovunque esso sia.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine



Ho l’impressione di vivere, in questa patria informe chiamata universo, sotto una tirannia politica che, anche se non mi opprime direttamente, tuttavia offende un qualche principio occulto della mia anima. E allora scende in me, sordamente, lentamente, la nostalgia anticipata, la nostalgia dell’esilio impossibile.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine



Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale; e vivo la parte più intensa e più costante del sogno. Sono come uno schiavo che si ubriaca durante il riposo: due miserie in un unico corpo.
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine


L'uomo non deve potersi guardare in volto, perché è la cosa più terribile che esista
La Natura gli ha dato il dono di non potersi vedere, come gli dato il dono di non poter fissare i suoi stessi occhi. Soltanto nell'acqua dei fiumi e dei laghi egli poteva fissare il suo volto. E perfino la posizione che doveva prendere era simbolica. Doveva curvarsi, abbassarsi per commettere l'ignominia di vedersi. L'inventore dello specchio ha avvelenato l'animo umano.
Fernando Pessoa, " Il Libro dell'Inquietudine"



Ho avuto desideri, ma mi è stata negata la ragione di averli. Per ogni cosa ho esitazione, spesso senza sapere perché.. Non ho mai avuto l'arte di vivere in maniera attiva. Ho sempre sbagliato i gesti che nessuno sbaglia. Ho sempre fatto il possibile per tentare di fare quello che tutti sanno fare. Voglio sempre ottenere ciò che gli altri riescono a ottenere senza volerlo. Fra me e la vita ci sono sempre stati dei vetri opachi... Non ho mai saputo se era eccessiva la mia sensibilità per la mia intelligenza o la mia intelligenza per la mia sensibilità. Ho tardato sempre. Non so per quale delle due ho tardato: forse per entrambe, o per l'una o per l'altra. O forse la terza ha tardato
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine

Fernando Pessoa. REALTÀ: DARE UN NOME ALL’IGNOTO E SOGNARE.
“Di solito ATTRIBUIAMO ALLA NOSTRA IDEA DELL’IGNOTO IL COLORE DELLE NOSTRI NOZIONI DEL NOTO. Se la morte la definiamo un sonno, è perché essa ci sembra un sonno dal di fuori; se chiamiamo la morte una nuova vita è perché ci sembra una cosa diversa dalla vita. Attraverso piccoli malintesi nei confronti del reale noi costruiamo le fedi e le speranze, e così ci nutriamo di croste che chiamiamo dolci, come i bambini poveri che giocano ad essere felici. Ma così è la vita; o almeno È COSÌ QUEL PARTICOLARE SISTEMA DI VITA CHE DI NORMA È DEFINITO CIVILTÀLA CIVILTÀ CONSISTE NEL DARE A QUALCOSA UN NOME CHE NON È IL SUO, E POI SOGNARE SUL RISULTATO. E in verità IL NOME FALSO E IL SOGNO VERO CREANO UNA NUOVA REALTÀL’OGGETTO DIVENTA VERAMENTE ALTRO, PERCHÉ NOI L’ABBIAMO RESO ALTRO. FABBRICHIAMO REALTÀ. La materia prima è ancora la stessa ma la forma che l’arte le conferisce la allontana da se stessa. UN TAVOLO DI PINO È LEGNO DI PINO, MA È ANCHE TAVOLO. CI SEDIAMO AL TAVOLO E NON AL PINO. Un amore è un istinto sessuale, però non amiamo con l’istinto sessuale, ma presupponendo un altro sentimento. E QUELLA SUPPOSIZIONE È ORMAI, IN EFFETTI, UN ALTRO SENTIMENTO.”
FERNANDO PESSOA (1888 – 1935), “Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares” (1913 – 1935), raccolta, organizzazione e note di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, trad. di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987 (III ed., I ed. 1986), 52. [39. della I ed. curata da J. do Prado Coelho, qui sotto riportata], ‘Alzata di spalle’, pp. 76 – 77.



La metafisica mi è sempre sembrata una forma comune di pazzia latente.
Se conoscessimo la verità la vedremmo; tutto il resto è sistema e periferia.
Ci basta, se riflettiamo, l'incomprensibilità dell'universo;
volerlo capire è essere meno che uomini,
perché essere uomo è sapere che non si capisce
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine



All'improvviso ho sentito per quell'uomo qualcosa di simile alla tenerezza.
Ho sentito in lui la tenerezza che si prova per la comune normalità umana, per la banale quotidianità del capofamiglia che va al lavoro, per il suo umile e allegro focolare, per i piaceri allegri e tristi di cui necessariamente è fatta la sua vita, per l'innocenza di vivere senza analizzare, per la naturalità animalesca di quelle spalle vestite...
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine




"(…) Soltanto le razze che portano i vestiti capiscono la bellezza di un corpo nudo.
Il pudore vale soprattutto per la sensualità, così come l’ostacolo per l’energia.
L’artificialità è un modo di assaporare la naturalità.
Ciò che ho assaporato di questi vasti campi, l’ho assaporato perché non vivo qui.
Colui che non è mai vissuto in costrizione non capisce la libertà.
La civiltà è l’educazione della natura. L’artificialità è la strada per un avvicinamento al naturale.
Eppure non bisogna mai confondere l’artificiale col naturale.
La naturalità dell’animo umano superiore consiste nell’armonia fra il naturale e l’artificiale."
Fernado Pessoa, Il libro dell'inquietudine

Tutto è imperfetto, non c’è tramonto così bello da non poterlo essere di più.
Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine, 1982 - postumo



Pessoa, Fernando Nogueira, poeta portoghese (1888-1935). 
Introdusse nel suo Paese le contemporanee correnti letterarie, dal modernismo al futurismo. 
Pubblicò i 35 Sonetti in inglese (1918) e il poema epico Messaggio in portoghese (1934) _ enc. DeAgostini
Trascorse i primi anni della sua vita in Sudafrica.
Nel 1905 torna a Lisbona e si impiega come corrispondente in lingue estere (francese e inglese).
Nel 1913, lancia il "paulismo".
Nel 1934 pubblica Mensagem, raccolta di versi in portoghese che comprende scritti di teologia, occultismo, politica, filosofia ed economia. La sua poesia verrà emulata dai poeti successivi alla sua morte.
Il 30 novembre 1935, Pessoa muore in un ospedale di Lisbona, dopo una crisi epatica.



Non facciamo altro che vivere una realtà che non ci piace, inventandone un'altra - con l'aiuto della parola, dell'arte e la fantasia - che alimenti la speranza e il sogno. Una vita vissuta per quella che è, sarebbe accettata solo dagli eroi e pazziI primi costruendo, malgrado tutto; i secondi distruggendo, avendo realizzatoEcco, è questa la funzione della poesia: aiutarci a vivere al meglio.



Le migliori frasi di Fernando Pessoa.